custodire l'umanità Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/custodire-lumanita/ Settimanale di informazione regionale Sat, 26 Mar 2022 20:10:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg custodire l'umanità Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/custodire-lumanita/ 32 32 Due “negazioni” affermano https://www.lavoce.it/due-negazioni-affermano/ Thu, 05 Sep 2019 09:55:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55173 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Una foto, ancora una foto a evocare riflessioni. Ed emozioni. Due piccoli alunni di una scuola americana vengono immortalati mentre entrano insieme alla ripresa delle lezioni dopo le vacanze: stesso zainetto in spalla, stessa divisa con maglietta rossa e pantaloni beige.

Uno è bianco e biondo, e tiene la testa bassa, gli occhi semichiusi. Ha la sindrome di Asperger, una forma di autismo. Il suo compagno, di pelle nera, lo tiene per mano e lo accompagna in classe.

Amicizia - ma anche qualcosa di più, molto di più. Divisi, i due alunni potrebbero essere molto più fragili, per via di quelle che troppo spesso vengono catalogate come negatività: la malattia dell’uno, il colore della pelle dell’altro.

Insieme, per mano, l’uno accanto all’altro ad affrontare la quotidianità, alzano uno scudo unico per proteggersi dalla marginalizzazione e dal pregiudizio. Il fatto, poi, che il legame tra i due ragazzini abbia trovato nell’aula di una scuola il luogo ideale dove svilupparsi conferma ancora una volta che la scuola non ha ancora perso quel ruolo di fattore di crescita umana che da sempre le dovrebbe essere proprio.

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di Daris Giancarlini

Una foto, ancora una foto a evocare riflessioni. Ed emozioni. Due piccoli alunni di una scuola americana vengono immortalati mentre entrano insieme alla ripresa delle lezioni dopo le vacanze: stesso zainetto in spalla, stessa divisa con maglietta rossa e pantaloni beige.

Uno è bianco e biondo, e tiene la testa bassa, gli occhi semichiusi. Ha la sindrome di Asperger, una forma di autismo. Il suo compagno, di pelle nera, lo tiene per mano e lo accompagna in classe.

Amicizia - ma anche qualcosa di più, molto di più. Divisi, i due alunni potrebbero essere molto più fragili, per via di quelle che troppo spesso vengono catalogate come negatività: la malattia dell’uno, il colore della pelle dell’altro.

Insieme, per mano, l’uno accanto all’altro ad affrontare la quotidianità, alzano uno scudo unico per proteggersi dalla marginalizzazione e dal pregiudizio. Il fatto, poi, che il legame tra i due ragazzini abbia trovato nell’aula di una scuola il luogo ideale dove svilupparsi conferma ancora una volta che la scuola non ha ancora perso quel ruolo di fattore di crescita umana che da sempre le dovrebbe essere proprio.

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Cosa servirebbe davvero in Venezuela https://www.lavoce.it/cosa-servirebbe-venezuela/ Mon, 04 Feb 2019 08:00:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53952 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Prima ancora che schierarsi dalla parte di Nicolàs Maduro o di Juan Guaidò, la comunità internazionale è chiamata ad ascoltare il grido disperato di un intero popolo affamato. In Venezuela la situazione sociale, anzi umanitaria, è drammatica. Non c’è accesso a medicine e generi di prima necessità, la gente è costretta a scappare verso i Paesi confinanti, è aumentata la criminalità, negli ospedali non sanno più come curare i pazienti.

Questa è la realtà inconfutabile. E invece, ancora una volta, le nazioni assumono posizione sulla base della convenienza geostrategica o dietro una maschera ideologica che ha sapore di stantio. Prima ancora che schierarsi con l’uno o con l’altro, ogni nazione dovrebbe coerentemente provvedere a inviare aiuti ed esercitare un controllo sulla loro equa distribuzione.

Soltanto dopo si dovrebbe ragionare sul fatto che quel Paese, notoriamente ricchissimo di materie prime a cominciare dal petrolio, non ha mai sofferto la fame, pertanto è quanto mai necessario capire le cause della situazione attuale. La politica ha senso nella misura in cui è al servizio delle persone e dei loro bisogni concreti. Tutto il resto è un tragico teatrino destinato a fare aumentare il numero delle vittime.

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di Tonio Dell’Olio

Prima ancora che schierarsi dalla parte di Nicolàs Maduro o di Juan Guaidò, la comunità internazionale è chiamata ad ascoltare il grido disperato di un intero popolo affamato. In Venezuela la situazione sociale, anzi umanitaria, è drammatica. Non c’è accesso a medicine e generi di prima necessità, la gente è costretta a scappare verso i Paesi confinanti, è aumentata la criminalità, negli ospedali non sanno più come curare i pazienti.

Questa è la realtà inconfutabile. E invece, ancora una volta, le nazioni assumono posizione sulla base della convenienza geostrategica o dietro una maschera ideologica che ha sapore di stantio. Prima ancora che schierarsi con l’uno o con l’altro, ogni nazione dovrebbe coerentemente provvedere a inviare aiuti ed esercitare un controllo sulla loro equa distribuzione.

Soltanto dopo si dovrebbe ragionare sul fatto che quel Paese, notoriamente ricchissimo di materie prime a cominciare dal petrolio, non ha mai sofferto la fame, pertanto è quanto mai necessario capire le cause della situazione attuale. La politica ha senso nella misura in cui è al servizio delle persone e dei loro bisogni concreti. Tutto il resto è un tragico teatrino destinato a fare aumentare il numero delle vittime.

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SEA WATCH. Doro, una delle persone salvate dalla nave https://www.lavoce.it/sea-watch-doro/ Wed, 30 Jan 2019 13:44:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53905 doro

Doro, che i membri dell’equipaggio della Sea Watch 3 chiamano “gigante gentile”, ha cicatrici ovunque, sul volto, sul corpo.

È stato torturato e picchiato ripetutamente in Libia; tre volte ha tentato di fuggire con un’imbarcazione in mare, e tre volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica e reso schiavo.

Lo hanno ferito con un Kalashnikov e, a causa dei postumi, ha perso parte della vista. Gli hanno spento sigarette sulla schiena per estorcergli denaro. La madre ha dovuto vendere casa per riscattarlo. Nelle carceri libiche ha visto morire il suo miglior amico. Doro è tra le 47 persone a bordo della Sea Watch, bloccata nel porto di Siracusa, eppure nonostante gli attacchi sui social – sui quali l’equipaggio li informa – ha ancora la gentilezza e il coraggio di dire: “Non biasimarli. Non hanno mai sofferto così. Non sanno cosa significa”. La sua storia è raccontata su Facebook da Brendan, uno dei soccorritori a bordo della Sea Watch.   [gallery columns="2" size="medium" ids="53906,53907"]

Brendan descrive Doro come una persona “forte” e “umile”, “generosa, gentile e premurosa”, tanto da lavare i piatti per aiutare l’equipaggio. Doro parla sette lingue e vuole raccontare a tutti la sua storia, simile a tante, “perché altri non soffrano come lui”.

La terza volta che ha provato la traversata nel Mediterraneo, ha sentito la voce di qualcuno da una nave che diceva ai naufraghi: “Ora siete in salvo”. “Sapeva che non era la Guardia costiera libica, perché non avrebbero mai detto loro quelle parole”.

Invece oggi, afferma Brendan, “la sua libertà è ancora negata”, perché è “tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che rifiutano di farlo scendere a terra.

Doro, amico mio - conclude Brendan - , spero che l’Europa ti dia il benvenuto, e che possano lasciarti vivere e amare” come meriti.

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doro

Doro, che i membri dell’equipaggio della Sea Watch 3 chiamano “gigante gentile”, ha cicatrici ovunque, sul volto, sul corpo.

È stato torturato e picchiato ripetutamente in Libia; tre volte ha tentato di fuggire con un’imbarcazione in mare, e tre volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica e reso schiavo.

Lo hanno ferito con un Kalashnikov e, a causa dei postumi, ha perso parte della vista. Gli hanno spento sigarette sulla schiena per estorcergli denaro. La madre ha dovuto vendere casa per riscattarlo. Nelle carceri libiche ha visto morire il suo miglior amico. Doro è tra le 47 persone a bordo della Sea Watch, bloccata nel porto di Siracusa, eppure nonostante gli attacchi sui social – sui quali l’equipaggio li informa – ha ancora la gentilezza e il coraggio di dire: “Non biasimarli. Non hanno mai sofferto così. Non sanno cosa significa”. La sua storia è raccontata su Facebook da Brendan, uno dei soccorritori a bordo della Sea Watch.   [gallery columns="2" size="medium" ids="53906,53907"]

Brendan descrive Doro come una persona “forte” e “umile”, “generosa, gentile e premurosa”, tanto da lavare i piatti per aiutare l’equipaggio. Doro parla sette lingue e vuole raccontare a tutti la sua storia, simile a tante, “perché altri non soffrano come lui”.

La terza volta che ha provato la traversata nel Mediterraneo, ha sentito la voce di qualcuno da una nave che diceva ai naufraghi: “Ora siete in salvo”. “Sapeva che non era la Guardia costiera libica, perché non avrebbero mai detto loro quelle parole”.

Invece oggi, afferma Brendan, “la sua libertà è ancora negata”, perché è “tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che rifiutano di farlo scendere a terra.

Doro, amico mio - conclude Brendan - , spero che l’Europa ti dia il benvenuto, e che possano lasciarti vivere e amare” come meriti.

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Il sogno di un mondo più umano e più bello https://www.lavoce.it/sogno-mondo-umano/ Wed, 30 Jan 2019 12:05:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53903 Il mio sogno è che ciascuno abbia degli amici radicalmente diversi da lui, che si possa accettare e vivere l’avventura di una amicizia veramente sincera con gente che non ha la nostra stessa educazione, lingua, religione. Se riusciremo a fare questo, il mondo sarà migliore”. È il sogno di un giovane frate domenicano francese, Jean Druel, che al Cairo dirige l’Istituto domenicano di studi orientali.

Quello riportato è un breve passaggio dell’intervista pubblicata dalla rivista del Centro ecumenico di Perugia Una città per il dialogo. In questa frase di p. Jean ci sono alcune parole-chiave che riecheggiano in questi giorni in quella parte di società – e di Chiesa – che non si arrende alla cultura dei muri innalzati e dei porti chiusi. Sono le parole “amicizia”, “diversità”, “mondo”, e, pensando ai giovani anche la parola “sogno”.

Il “sogno” di p. Jean è il “sogno” di Dio che nell’incarnazione del Figlio si è fatto “amico” dell’uomo. E cosa c’è di più “radicalmente diverso” dall’uomo se non “Dio”? I cristiani con la preghiera del “Padre nostro” hanno imparato a pensare a tutto il genere umano come a dei fratelli, seppure tanto e a volte umanamente troppo diversi.

Certo è una sfida continua quella della accettazione della diversità di ogni genere che per i credenti diventa un invito che va oltre quando Gesù dice che dobbiamo “amare” anche i “nemici”. Per questo la questione dei migranti tenuti fuori dai nostri spazi mentali prima che geografici non è una tra le tante discutibili scelte politiche ma tocca nel profondo l’identità del cristiano.

Il vescovo Paolo Giulietti, nell’omelia per i primi vespri della festa del patrono di Perugia, san Costanzo, ha evidenziato il valore e la forza interiore di coloro che ascoltano la propria coscienza e, aggiungiamo noi, il proprio cuore e non si accodano al pensiero dominante. Come il vescovo Costanzo, nel II secolo, che per essere fedele a Cristo perde la vita a causa delle persecuzioni scatenate contro i cristiani per la loro religione.

E come i “Giusti delle nazioni” che negli anni della II guerra mondiale, a rischio della propria vita, hanno salvato la vita degli ebrei perseguitati a causa della loro religione. Nel Martirologio romano la Chiesa ricorda i martiri come esempi da seguire e fa festa per loro, perché dalla loro testimonianza è nato un mondo migliore. Anche i “Giusti delle nazioni” sono testimoni della possibilità che a tutti è data di poter scegliere tra l’essere umani, riconoscendo fino in fondo l’umanità di chi è “diverso”, ed essere invece disumani ovvero distruttivi per tutti.

Il vescovo di Terni, mons. Giuseppe Piemontese, ha usato parole chiare e forti per condannare il modo in cui sono trattati gli immigrati oggi nel nostro Paese. “Il timore per la propria sicurezza – ha detto – , la paura dell’estraneo e del diverso, lo stato di precarietà economica e sociale stanno facendo perdere quella lucidità mentale e quel coraggio civico che porta ad affrontare i problemi con razionalità, intelligenza, solidarietà e compassione. … Non sono nella condizione di fare la predica a nessuno, ma non posso non fare appello al senso di umanità dei cittadini, cristiani e non, anche in vista di evitare situazioni di ulteriori disagi per tutti”.

E infine, ma non ultimo, nel Messaggio per la Giornata per la vita i vescovi italiani ricordano che corriamo il rischio di abituarci alla sofferenza dell’altro pensando che non ci riguarda, e così concludono: “Vivere fino in fondo ciò che è umano migliora il cristiano e feconda la città. La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci attende e parte dal sì alla vita”.

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Custodire l’umanità. Le conclusioni dell’arcivescovo Bassetti https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-le-conclusioni-dellarcivescovo-bassetti/ Sat, 07 Dec 2013 16:49:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20978 Mons. Gualtiero Bassetti
Mons. Gualtiero Bassetti

Carissimi,

il mio intervento sarà soltanto un breve intervento conclusivo. Il mio compito, questa sera, si limiterà soltanto a tirare le fila di questi due giorni di riflessione che non esito a definire straordinari e sorprendenti: sia per la qualità degli interventi, che per la grande risonanza di pubblico che ha avuto questo incontro.

Per questo motivo non posso che iniziare ringraziando calorosamente tutti i relatori che hanno risposto con gioia a questo invito e che sono intervenuti su questo palco.

Non posso non ringraziare, inoltre, il pubblico numerosissimo che è venuto qui ad Assisi anche da fuori regione – dalla Lombardia, dal Friuli, dalla Toscana, persino dalla Sicilia! – e che ha dimostrato, in questa due giorni, un’attenzione costante: ho notato che moltissimi scrivevano prendendo appunti e sono tantissimi coloro che ci hanno già richiesto gli atti.

Voglio ringraziare, infine, tutte le associazioni e le realtà ecclesiali della regione che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa. Un’iniziativa complessa e molto impegnativa che è stata realizzata soprattutto grazie allo sforzo progettuale di alcuni giovani intellettuali supportati, con grandissima partecipazione e competenza, da un gruppo di giovanissimi volontari, per lo più studenti, che hanno dato tutto se stessi per il successo di questa iniziativa.

E ringrazio, infine, non certo ultimo per importanza, il Signore che ha permesso tutto questo. Che ha fatto sì che, attraverso percorsi inattesi e inesplorati, per due giorni, qui ad Assisi, alcuni tra i più importanti intellettuali laici e cattolici del nostro Paese, e non solo, si incontrassero e dialogassero intorno alle parole di papa Francesco: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”.

Questo convegno, lo voglio dire subito a scanso di equivoci, non nasce dalla volontà di voler costruire una “società nuova” in cui si possano udire malcelate tentazioni neoguelfe. E soprattutto non nasconde nessuna pretesa di ingegneria sociale. Questo incontro è, invece, il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all’interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo.

Molti degli interventi di questi giorni sono partiti proprio da questo assunto di fondo.

La grande narrazione del tempo presente è caratterizzata dal paradigma della “crisi economica” a cui si aggiunge quello dell’agonia e del “declino” del mondo occidentale. Un declino, secondo alcuni ineluttabile, i cui effetti sarebbero sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei debiti pubblici degli Stati si legano, inesorabilmente, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e con l’aumento di comportamenti antisociali. Il magistero della Chiesa cattolica ormai da anni insiste, giustamente, nel ritenere che alla base di questa lancinante crisi economica si colloca una profonda crisi morale dell’uomo moderno.

Una “crisi etica”, “di fede” e, in definitiva, della “mancanza di significato e di valori”. È la crisi “dell’uomo che cerca di esistere solo positivisticamente, nel calcolabile nel misurabile” e che “alla fine rimane soffocato”. È la crisi dell’uomo moderno che ha cercato di farsi Dio di se stesso negando ogni forma di trascendente e rimanendo, alla fine, senza Dio e senza una prospettiva futura che non sia riassumibile nel godimento, qui e ora, dei beni materiali che il Mondo gli presenta davanti. È la crisi dell’uomo moderno, infine, che vive in un indefinito e opprimente presente, con sempre meno consapevolezza del proprio passato e della propria storia e, di conseguenza, con sempre meno capacità di proiettarsi nel futuro.

Questa scarsa consapevolezza del passato sta portando la nostra società a vivere, ormai, in una sorta di presente totalizzante e pervasivo. Un presente asfissiante che sta, di fatto, delineando una sorta di “società orizzontale” in cui si riverbera, sempre più, non solo l’assenza di una verticalità delle dimensioni interpersonali – in cui le funzioni e i ruoli, a partire da quello del padre e della madre vengono sempre più messi in discussione – ma, anche e soprattutto, la mancanza di un anelito a guardare in alto, verso il cielo, e nel profondo, nel proprio cuore.

Uno dei prodotti più eclatanti di questa condizione di sradicamento esistenziale, da cui deriva, in parte, questo stato di stagnazione sociale e di immobilismo gerontocratico, è la profonda incrinatura del “patto generazionale” che, da sempre, sta alla base della convivenza sociale. È la lacerazione di quello scambio fondativo tra le generazioni che è una condizione imprescindibile di sussistenza non solo per il cristianesimo ma, laicamente, per la stabilità della società.

Uno dei fattori più inquietanti, più preoccupanti e forse – lasciatemelo dire – anche più vergognosi di questa difficilissima crisi morale-economica è proprio questa rottura del patto tra le generazioni, tra i vecchi e i giovani, che di fatto sta scaricando dolorosamente il peso maggiore della crisi sui nostri figli e sui nostri nipoti. Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione.

I dati pubblicati ieri dall’Istat sul tasso di disoccupazione giovanile in Italia lasciano sgomenti: il 41% dei giovani non ha un lavoro. È il dato peggiore dal 1977 ad oggi.

Come non capire che dietro queste statistiche terribili si cela, non tanto e non solo una tecnicalità economica, ma un drammatico vuoto esistenziale, una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli?

Come capirete, si tratta, ovviamente, di un rapporto importantissimo, di un vincolo decisivo per il futuro dell’umanità. Un rapporto di reciprocità tra le generazioni, di scambio reciproco di esperienze e di opportunità, di diritti e di doveri che non può più essere quello attuale in cui ad una parte della società, quella adulta è stato garantito tutto – e forse anche di più – e ad una parte della società, quella giovane e femminile, non è stato garantito nulla, se non la precarietà della propria esistenza.

Questa consapevolezza della crisi morale-economica della nostra società non deve, però, in alcun modo, farci perdere la speranza e farci distogliere lo sguardo dalla bussola della nostra vita, che è sempre indubitabilmente Cristo.

Questo 2013 che ci stiamo lasciando alle spalle è stato, sotto molti punti di vista, un anno importantissimo e che ha mostrato al Mondo – lasciatemelo dire – l’irruzione potente e salvifica dell’azione dello Spirito santo nella vita degli uomini. Quando nel febbraio di quest’anno papa Benedetto XVI ha rassegnato le sue dimissioni, ha compiuto un gesto il cui significato è così grande che oggi, forse, noi riusciamo solo a sfiorarne i contenuti più importanti.

Lo voglio dire a bassa voce, senza particolare enfasi, ma in modo chiaro e netto: Benedetto XVI è salito sulla croce, spogliandosi di tutto se stesso e, ispirato dallo Spirito Santo, ha impresso una svolta epocale nella storia dell’umanità.

Quel gesto ha mosso la storia. Ed è stato un gesto di cui non si può non sottolineare l’umiltà, la libertà e la fede profondissima. Un gesto a cui noi oggi guardiamo con ammirazione, devozione e gratitudine. (e che forse merita un applauso?)

Un gesto, dicevo, che ha mosso la storia, che ha aperto strade nuove e inaspettate come l’arrivo di un nuovo pontefice “preso dalla fine del mondo” e che, tra le moltissime novità che si potrebbero sottolineare, ha preso, per primo, il nome del poverello d’Assisi, San Francesco.

Questo tempo, dunque, non è soltanto un tempo segnato dalla crisi economica, ma è indubbiamente un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti. Per la Chiesa questo tempo è, indiscutibilmente, il tempo dell’annuncio. Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo.

In questo particolare crinale della storia, dunque, la recente pubblicazione dell’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii Gaudium assume un’importanza fondamentale. Un’importanza che si potrebbe sintetizzare attraverso un binomio che sta alla base di questo testo: l’evangelizzazione e la chiesa missionaria. È ora e adesso – in un contesto sociale segnato da una stagnazione paralizzante e da un immobilismo angoscioso – che infatti il Vescovo di Roma, in totale controtendenza, sta incitando con forza tutti gli uomini a mettersi in movimento, ad andare, ad uscire. Con una dinamicità che è un richiamo gioioso e non soffocante, rivolto prima di tutto alla Chiesa.

Una chiesa che per sua natura, dunque, non può non essere missionaria e che, soprattutto, deve avere “le porte aperte” per “uscire verso gli altri” e “giungere alle periferie umane”. Verso quelle periferie dell’esistenza, in cui le povertà materiali si assommano alle povertà relazionali, e verso quei luoghi dell’anima dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere, nella speranza che l’umano, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile della tecnica, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale.

Proprio per questo, nella sua Esortazione Papa Francesco c’invita ad aprire il cuore e la mente al grido di dolore, d’invocazione e talvolta persino di sconforto sconfinante nella disperazione che – muto o articolato – sale dai tanti, dai troppi, nostre sorelle e nostri fratelli che sono relegati brutalmente o con indifferenza nel “rovescio della storia” – nel buio, nel fango, nella palude della sofferenza, dell’ingiustizia, della povertà, del non-senso.

In Gesù Cristo, l’amore di Dio fa nuovo l’uomo perché Lui, Gesù, fa suo il grido, ogni grido, dell’umanità per rispondervi con la forza e la luce della vita che vince la morte, della libertà che vince ogni forma di schiavitù, della misericordia che vince l’offesa, della giustizia che sana il conflitto, della pace che estingue l’odio e la guerra.

La Chiesa altro non è che il piccolo gregge, il popolo viandante lungo i sentieri del tempo, nella compagnia con gli uomini e le donne fratelli e sorelle, votato non al proprio tornaconto, non all’acquisizione di qualsivoglia posto di prestigio, di rendita, di potere: ma al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo, con sguardo di amore preferenziale rivolto a chi abita le “periferie esistenziali” del mondo moderno.

La Chiesa, dunque, deve essere discepola di Gesù e null’altro: solo così serve l’uomo. E convertendosi sempre di nuovo a Lui, personalmente e comunitariamente, spiritualmente e pastoralmente, può gettare a piene mani il sale della verità e il lievito della fraternità in ogni angolo della nostra società. In questo cantiere vasto, magnifico e drammatico che è la vita, come discepoli di Gesù, non possiamo e non vogliamo essere spettatori ma protagonisti, fianco a fianco, con sincerità e condivisione, con tutti coloro che credono che l’ultima parola è quella dell’amore. E vivono per questo.

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Custodire l’umanità. Le “sottolineature” dell’economista e del teologo https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-le-sottolineature-delleconomista-e-del-teologo/ Sat, 07 Dec 2013 16:43:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20975 Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Relatori al convegno “Custodire l’umanità”

Per un’economia alternativa

di Pierluigi Grasselli
Come è ormai diffusamente denunciato, le gravissime difficoltà in cui ci troviamo sono dovute in gran parte all’operare di un’economia orientata al massimo profitto di breve periodo, e di una finanza dominata dalla ricerca di guadagni di natura speculativa. Nel corso dell’incontro sul tema “Custodire l’umanità, verso le periferie esistenziali” si è cercato di mettere in luce quelle forze, quei meccanismi, per lo più di marca neo-liberista, che agiscono in profondità, condizionando gravemente i nostri orientamenti, scelte e comportamenti. Il sociologo Mauro Magatti si è soffermato sulla “libertà di potenza”, una libertà che si associa a “volontà di potenza”, fondata sul potere crescente e pervasivo del connubio tra tecnica ed economia, manifestatasi in particolare negli sviluppi incontrollati e autoreferenziali della finanza (il finanz-capitalismo analizzato da Gallino, la deriva finanziarizzatrice del neoliberismo), culminati nel collasso del circuito degli scambi globali, nello “slegamento” delle relazioni economiche, istituzionali, affettive e nella perdita di significato, di senso del futuro (l’espansione come “festa dell’irrilevanza”).Il delirio della volontà di potenza ha slegato il rapporto economia-società, ha creato una società disumana, che cerca di cancellare l’impotenza (quale si manifesta nella povertà, nella malattia, nella vecchiaia). La nostra capacità e volontà di essere vicini all’uomo, mettendoci in relazione con l’altro e con l’Altro, è l’unico antidoto, secondo Magatti, ai deliri della prepotenza. La crisi è una grande opportunità, un’occasione storica per ritessere i rapporti violati, per una nuova crescita, per una nuova prosperità.

Anche il filosofo Rinaldo Fabris ha analizzato le gravi alterazioni del rapporto economia-società indotte dall’impiego delle nuove tecnologie, con particolare riferimento al ruolo assunto dal “sistema denaro”, sempre più immateriale e astratto, tale da sfuggire al controllo dell’Uomo, generatore di una profonda crisi delle relazioni sociali, misuratore del valore monetario attribuibile a ogni realtà (la deriva mercificatrice del neoliberismo), con sbocco obbligato nel consumo, e quindi nell’annullamento. Di qui l’esigenza di comprendere questi meccanismi devianti, e di recuperare, con ogni nostra energia, relazioni veramente umane.

L’economista Luigino Bruni pone in luce le differenze tra il capitalismo nordamericano, diffuso a livello globale, che si basa essenzialmente sulla diffusione del Mercato, e quello affermatosi in Italia, fatto prevalentemente di imprese familiari, piccole e medie, e di imprese cooperative, fondato su un forte intreccio tra economico e sociale. Bruni auspica la protezione e valorizzazione di quegli aspetti dell’attività economica che vanno a promozione delle persone e dei rapporti tra esse, contrastando povertà ed esclusione sociale, che si fondano sul dono e sulla reciprocità, che difendono e sostengono i beni comuni, che pongono un limite all’estensione del mercato ed alla mercificazione. Praticare rapporti autentici e sinceri con gli altri, in spirito di fraternità: anche per Bruni, questo è presupposto essenziale per custodire efficacemente l’umanità.

 

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Quel “di più” in senso orizzontale e verticale

di Mons. Fausto Sciurpa

Molteplici suggestioni per riflettere ha offerto il convegno “Custodire l’umanità”. Le diverse prospettive convergono verso il recupero di un più di umanità. Un più non in senso quantitativo, un più di potenza che di fatto si trasforma in prepotenza (Magatti), ma in senso relazionale.

Relazione orizzontale, per una civiltà del vivere insieme, in una dinamica che, pur dentro il fenomeno della globalizzazione, sia capace di ritrovare la profondità della stabilitas loci, lo spazio stabile della propria comunità (Riccardi), ricca della densità dei vissuti della gente (Bagnasco).

Relazione verticale, ove la dimensione dell’Oltre, della trascendenza, riscatti l’uomo dal “cattivo infinito”, in realtà ripiegamento ossessivo su di sé, senza prospettiva (Pessina), se non una deriva nichilista (Fabris).

La dimensione della trascendenza da riscoprire anche nell’immanenza (Givone, Verdon), diventa la domanda provocatoria del non-credente al credente: se la fede si traduce solo in caritas – che, per il credente, è comunque lo sguardo e il cuore di Dio che si fa attenzione vicinanza all’uomo (Bagnasco) – dove sta la differenza con quanti, pur non credenti, avvertono la vicinanza all’uomo nel suo dolore (Natoli)?

Nella domanda ci sembra di scorgere il bisogno, la nostalgia di uscire da una dimensione solo orizzontale, per non perdere il senso del mistero dell’uomo e di Dio. In maniera suggestiva, da alcuni considerata troppo poetica, lasciandosi forse sfuggire la forza evocatrice della provocazione, questo senso del mistero è fatto balenare nella contrapposizione tra un’apparenza povera di presenza (il mondo digitale) e una presenza povera di apparenza, quella dell’eucarestia (Hadjadj), presenza che è vicinanza (Incarnazione) e lontananza, trascendenza che immette in una Presenza che, mentre sfugge, avvolge di tenerezza.

Altri temi importanti per la vita etica, sociale, economica, politica sono stati toccati, legati alle trasformazioni di costume e di strutture; ma si aprirebbe un altro capitolo di riflessione.

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Custodire l’umanità dai nuovi ‘briganti’ https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-dai-nuovi-briganti/ Sat, 07 Dec 2013 16:32:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20971 assemblea-x-la-primaNon è stato un convegno semplice da raccontare, né svolto su piste risapute. Il “Custodire l’umanità” che è il titolo principale è inusuale e ha avuto bisogno di spiegazioni da parte dei relatori. La prima di queste è stata data dal card. Bagnasco che si è servito della parabola del buon samaritano per dare fondamento evangelico a tutta la riflessione. Nella parabola è racchiusa tutta la ricchezza del prendersi cura della persona colpita dai briganti. Non è un semplice atto di pietà ma un’assunzione di responsabilità che dura nel tempo e conduce a una piena guarigione della vittima.

Questa luce ha dato modo di fare una certa unità nei discorsi successivi, che hanno posto in evidenza chi siano e che cosa rappresentino questi malfattori che feriscono l’umanità. Sono situazioni di peccato, di malvagità, ingiustizia, ma anche strutture di peccato, errori di calcolo sul piano economico, mancanza di ricerca della verità e del bene comune nella cultura e nella politica.

Ci si è domandati che cosa rappresenti in questo contesto il processo di secolarizzazione e di globalizzazione (Forte – Natoli) e che cosa si possa fare per rendere trasformare cambiamento, inarrestabile dal punto di vista storico, in presa di coscienza e di consapevolezza che aiuti ad avere fiducia nel futuro e a dominarlo a favore dello sviluppo umano (Magatti, Fabris, Bruni).

Questa umanità, inoltre, è da osservare e ricercare non nei salotti buoni della borghesia scettica, ma nelle “periferie esistenziali”, dove soffre per emarginazione, solitudine, miseria e perdita di speranza e soprattutto, in particolar modo tra i giovani, perdita del senso dell’esistenza.

L’indirizzo che è venuto in questo ambito da Natoli, che si è dichiarato non credente, è quello del ripiegamento sulla dimensione caritativa, il Jesus Caritas che sarebbe il vero unico dogma di fede cattolica, realmente e concretamente vissuto e da vivere. Ciò rappresenterebbe la riscoperta dell’altro senza bisogno dell’Oltre né dell’Altro con A maiuscola. Una religione trasversale che abbraccia tutte le religioni e le culture, e sulla quale si può costruire una grande alleanza per custodire l’umanità e trarla fuori delle periferie esistenziali dove soffre di solitudine.

L’indicazione delle periferie esistenziali figurava come sottotitolo del convegno stesso ed era indubbiamente pensato per evitare di cadere nel rischio tipico dei convegni di studio, che è quello di vagare nelle sfere della accademia intellettuale, per andare invece a vedere nella storia concreta delle persone e dei popoli.

Per questo vi sono stati anche riferimenti alla situazione politica italiana (Galli della Loggia – Giovagnoli) e internazionale, alla ricerca di nuove strategie di pace (Jenkins, Vaccari, Burigana) con l’interessante e problematico intervento di mons. Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo dei Latini in Siria, che ha testimoniato sulla situazione di quel disgraziato Paese in guerra civile. Ha detto che in Siria non è in atto una guerra dei musulmani contro i cristiani, ma tra musulmani e frange estremiste di Al Qaeda.

La categoria generale che, come si può ben capire, è stata nel sottofondo di ogni discorso è quella della crisi nei suoi vari aspetti: crisi di modelli, ma epocale, inedita, globale nella quale convergono una molteplicità enorme di fattori (Scaraffia, Volpi, Pessina).

Era incombente la tentazione al pessimismo alla denuncia. Non è stato così. Gli stessi oratori che ne hanno parlato hanno prefigurato, oltre le utopie, che sono fallite, nuove prospettive di superamento degli ostacoli.

La tentazione del pessimismo è stata abbondantemente e anche realisticamente superata da messaggi di speranza cristiana e annunciata nella conclusione di mons. Bassetti, e anche da analisi fenomenologiche di presenza di aperture alla speranza riscontrabili anche lì dove sarebbe impensabile trovare, come nell’arte del Novecento e nella tecnica della prospettiva (Verdon, Givone).

L’ambiente del teatro Lyrick ha dato il segno di un evento laico e libero, aperto e senza censure di sorta. Gli interventi dei vescovi Sorrentino e Cancian, con brevi, lucidi e alti interventi, hanno messo il segno dello “spirito di Assisi” e della poetica e mistica francescana, alla quale hanno dato voce e significati.

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Custodire l’umanità. I temi trattati al convegno https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-i-temi-trattati-al-convegno/ Mon, 02 Dec 2013 20:11:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20895 Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Immagini dal convegno “Custodire l’umanità”

«Papa Francesco ricorda con molta insistenza che il Vangelo è seme di umanesimo nella storia. Bisogna che riemerga questa potenza umanizzante del Vangelo per il mondo di oggi e il Convegno di Assisi, con i suoi numerosi e autorevoli relatori, offre questa forza umanizzante del Vangelo in preparazione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana dedicato al tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” , che si terrà a Firenze nel novembre 2015». A dirlo, a margine della sua “lezione inaugurale” (il testo integrale della relazione), è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo all’apertura del Convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”, che si è tenuto il 29 e 30 novembre a Santa Maria degli Angeli in Assisi (Teatro Lyrick). Il convegno era poromosso da Conferenza episcopale umbra (Ceu), Progetto Culturale della Cei, Università degli Studi e per Stranieri di Perugia.
Il tema scelto per questo importante evento culturale, ha evidenziato il cardinale, «riprende quanto il Santo Padre Francesco ha annunciato all’inizio del suo Pontificato, e che richiama alla Chiesa universale con parole e azioni».
«Come discepoli per grazia, ma anche in quanto persone, siamo chiamati a prenderci cura dell’umanità là dove vive – ha proseguito il presidente della Cei –. Ci si addentra n

elle periferie – termine riccamente evocativo – non con una strategia di assalto, ma con la temperatura del cuore. Siamo qui per questo: ogni altra ottica sarebbe offensiva. Ma che cosa sono le “periferie”? Da un punto di vista sociologico sono i luoghi fuori dal “centro” della città; in senso più ampio, lontani dal potere, dagli apparati delle decisioni. Ma, intermini  più radicali e universali, le periferie sono i luoghi e le situazioni di lontananza dal centro più profondo dell’umano che è la verità, l’amore, la giustizia. Quando si vive vicini a questo centro allora si è centrati, e le altre distanze sociologiche diventano secondarie. Viceversa, quando siamo decentrati rispetto al bene e alla verità, all’amore a alla giustizia, allora vivere nel centro del potere, del successo, della salute, non cancella il nostro essere dolorosamente periferici rispetto a ciò che vale».

Alla sessione di apertura del Convegno sono intervenuti, oltre al cardinale Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Assisi e vice presidente della Ceu mons. Domenico Sorrentino, il vescovo di Città di Castello mons. Domenico Cancian, delegato Ceu per la Commissione regionale dei Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace e la Salvaguardia del Creato, e Vittorio Sozzi, del Progetto Culturale della Cei.
Mons. Sorrentino ha evidenziato che «custodire l’umanità tocca il nostro vissuto, ha a che fare con le nostre preoccupazioni più radicali e le nostre speranze più vive, e ci spinge a misurarci senza paura con il rischio che forse per la prima volta l’umanità corre in modo così vasto e globale: quello di smarrire la sua identità». Interessante il riferimento del presule al  Cantico delle Creature di san Francesco da cui si sviluppa anche quell’orizzonte attuale sul creato. «Un cantico che è una preghiera di grande profilo umanistico – ha detto mons. Sorrentino – è posto nell’inclusione tra due prospettive umanistiche, che inseriscono la contemplazione della creazione dentro una cultura del dono e una cultura della speranza di cui abbiamo assolutamente bisogno per custodire la nostra umanità».
E’ stato quindi mons. Cancian a sottolineare nel suo saluto il senso plurimo  del verbo custodire che «evoca chiaramente la dimensione contemplativa dell’uomo che trova la sua massima espressione in Maria».

«Custodire è anche accogliere con attenzione e rispetto – ha aggiunto mons. Cancian –, meditare e cercare di comprendere, essere consapevoli di avere in dono qualcosa di Santo e di sacro che non può essere perduto, trascurato, usato a piacimento, consumato secondo il principio narcisistico dell’usa e getta. Tale atteggiamento del custodire è riferito al Creatore, all’umanità specie dei più deboli e fragili, quelli che papa Francesco chiama le periferie esistenziali».

Sozzi ha ricordato come «l’impegno culturale della comunità cristiana non può mai limitarsi ad una semplice analisi sociologica o all’applicazione di categorie ideologiche, ma si caratterizza come vero e proprio servizio all’uomo: un servizio che rianima la speranza e apre prospettive impensate».

Facendo riferimento all’attuale momento di crisi che, come ha ricordato papa Francesco, sembra generare rassegnazione e pessimismo,  Sozzi ha sottolineato che «se la crisi è affrontata con un giusto discernimento può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei modelli economico-sociali per recuperare l’umanità in tutte le sue dimensioni».

Nella seconda sessione della mattinata sul tema “Quale modernità 
post-secolare?” sono intervenuti  Andrea Riccardi, Salvatore Natoli e mons. Bruno Forte.

Andrea Riccardi docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre e già ministro della Repubblica,  ha proposto interessanti spunti di riflessione sul tema “I cristiani e la globalizzazione”.Il lungo processo  della modernità ha messo in campo le molte opportunità legate alla globalizzazione ma con esse le tante problematiche socio-economiche e culturali. «Un effetto della globalizzazione – ha detto Riccardi – è la crescita del senso individuale della vita, che ha allentato legami sociali e ha sradicato movimenti di massa. E’ la crisi di tante forme comunitarie e la forma normale di vita diventa individuale. Di contro si sviluppa l’insicurezza, il mondo appare multipolare».

Andrea Riccardi ha anche parlato di scontro di civiltà, dei rapporti con l’Islam, di altre globalizzazione che si sono verificate nel passato: «a sua maniera il cristianesimo nasce come globalizzazione al di là delle frontiere etnico-linguistiche-culturali». La globalizzazione è un avvenimento che non ha trovato i cristiani impreparati «nella globalità del Concilio ed extra  Concilio si comincia  a vivere con gli altri in un mondo complesso in cui matura una teologia positiva dell’altro – ha aggiunto Riccardi –. Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.

Politiche della felicità: giustizia e beni comuni” è stato il tema trattato dal prof. Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca. «Il processo di secolarizzazione ha portato nella modernità europea ad una progressiva perdita di riferimento alla trascendenza. Oggi ci troviamo in un passaggio d’epoca che definirei secolarizzazione della secolarizzazione, dall’attesa della fine dei tempi si è passati al tempo senza fine cercando di rendere migliore il dimorare degli uomini sulla terra e verso il raggiungimento della felicità massima. Ma sono necessarie politiche finalizzate alla giustizia e beni comuni nel distribuire equamente la ricchezza e salvaguardare la terra. In questo contesto il cristianesimo è ancora attuale con il suo messaggio d’amore e di carità ed in questo riesce ad essere influente e su questa strada è il suo futuro possibile».

A chiudere la sessione è stato l’intervento di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e apprezzato teologo, sul tema “Custodire l’umanità oltre l’utopia e il disincanto. L’umanesimo cristiano alla prova del post-moderno”.  Dal totalitarismo della ragione moderna alle ideologie nichiliste, il trionfo del soggetto e della ragione nel disconoscimento della trascendenza portano alla ricerca di vie altre per l’uomo nel rapporto con l’Assoluto, nella sua condizione filiale «la proposta dell’umanesimo cristiano – ha detto mons. Forte – s’incontra oggi con modelli diversi di umanesimo che ispirano tante opzioni speculative e stili di vita. Un primo modello è quello dell’umanesimo religioso aperto alla trascendenza  come condizione che rende autentica ogni esperienza religiosa e che va rispettata in ogni forma di ricerca del divino. Un secondo modello potrebbe essere quello aperto alle questioni ultime, ma non coniugate ad un’esplicita opzione di fede anche se aperte al dialogo e alla ricerca comune. Un terzo modello di umanesimo è costituito dal cosiddetto pensiero debole, cioè che si chiude pregiudizialmente alla possibilità del trascendente e alle domande che lo riguardano. Certamente la proposta cristiana si pone come critica nei confronti di questo pensiero».

«In questo la proposta cristiana si offre come un nuovo umanesimo – ha concluso mons. Forte – proprio per la sua forza di suscitare novità di vita nell’accoglienza del dono “dell’altro”. Ai cristiani è richiesta una perenne novità di vita, e con essi ai credenti di altre fedi, ai non credenti in ricerca, agli indifferenti. Nei loro confronti è richiesto uno stile di annuncio fatto di presenza irradiante nella fede e nella carità, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare il cuore dell’uomo».

Alla prima sessione pomeridiana dedicata a “Economia e società”, sono intervenuti gli accademici Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, di Luigino Bruni, docente di Politica economica alla Lumsa di Roma, e Adriano Fabris, docente di Filosofia morale all’Università di Pisa.
Magatti ha aperto il suo intervento facendo un excursus sulla crescita economica dal secondo dopoguerra ad oggi, che «il processo di accumulazione, coinvolgendo nuovi strati sociali, ha virato verso una progressiva socializzazione». La corsa all’accumulazione, ha ricordato il docente, ha avuto già negli anni ’70 il suo culmine rispetto a un termine più lungo che era stato programmato. Da qui la crisi mondiale che oggi si vive. Oggi «la mera espansione finanziaria non può costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica, ma è necessario un ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore. Un contributo importante dovrà avvenire da nuove forme di accumulazione sociale e culturale, ossia la cura dei luoghi e delle persone patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società sono alla ricerca».

Bruni si è soffermato sul concetto della «custodia dell’umanità» che «oggi passa anche per certi versi soprattutto dalla custodia dei beni comuni». La sua relazione ha trattato, da una prospettiva economica, in particolare, «le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche».

Fabris ha incentrato il suo intervento sul denaro «come forma di relazione degli esseri umani fra loro» e come questo rapporto abbia modificato rapporti socio-economici. «Il denaro oggi – ha detto il docente – si è fatto virtuale, autoreferenziale: è uno dei modi in cui si attua l’autoaffermazione delle nuove tecnologie provocando conseguenze sbagliate e ingiuste». L’evoluzione in positivo dell’attuale crisi economica è nella critica dell’attuale modo di agire e «nel promuovere, attraverso il giusto uso del denaro, relazioni buone».

Nell’ultima sessione della prima giornata sono intervenuti Philip Jenkins, docente di Storia alla Baylor University (Usa), mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, Franco Vaccari, docente e fondatore di “Rondine-Cittadella della Pace” (Arezzo) e l’ambasciatore palestinese a Londra Manuel Hassassian, docente di Scienza politica all’Università di Betlemme.

Il professor Jenkins ha sostenuto che, «per quanto riguarda le situazioni di conflitto e violenza del mondo contemporaneo, prevalentemente situate nel Medio Oriente islamico, ma anche nell’Asia orientale, si prospetti un possibile futuro di pace e di parallela diminuzione dell’estremismo. Ciò attraverso l’europeizzazione dell’Islam in corso, visibile anche nel mutamento della concezione della donna che, combinata con un processo di secolarizzazione, condurrà nel breve termine alla riduzione di violenza e conflitti. Questa secolarizzazione incrementerà però, nel lungo periodo, individualismo e atomizzazione della società».
«Nei conflitti in cui lo scontro sarà tra le ambizioni degli Stati, da una parte e la difesa dei diritti dell’ individuo e delle comunità dall’altra – ha evidenziato il docente statunitense –, i gruppi e le istituzioni religiose giocheranno un ruolo fondamentale affrontando il bisogno urgente di definire e difendere questi diritti. In ciò i cristiani  troveranno una causa comune con le altre fedi, inclusa l’Islam. Il conflitto si trasformerà dunque in una sfida culturale non violenta tra valori religiosi e valori secolari».

Mons. Nazzaro ha ripercorso le tappe della storia siriana riportando l’esperienza vissuta in prima persona a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Egli ha messo in luce come le varie culture religiose avevano imparato a convivere come «figli della stessa patria con tradizioni diverse» fino al marzo 2011. Mons. Nazzaro ha sostenuto che «i conflitti scoppiati in seguito alla Primavera Araba non siano da considerarsi una guerra civile tra musulmani e cristiani, come risulta il più delle volte dall’informazione dei media, ma piuttosto una guerra tra l’esercito e le frange di al-Qaeda».
L’ambasciatore Hassassian, ricollegandosi all’intervento del professor Jenkins, ha manifestato il proprio ottimismo per quanto riguarda la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, «a condizione che la pace non venga imposta come “diktat” da parte di Israele come avvenuto in passato, ma come effettiva trattativa mediata dall’intervento dell’Unione Europea».

Il professor Vaccari ha portato l’esperienza costruttiva di pace di “Rondine”  intervenendo sul tema “Guarire le relazioni per giungere alla pace”, in particolare soffermandosi sulle tante “periferie del mondo”. «Non solo nei territori di guerra – ha evidenziato Vaccari –, ma in ogni società succedono crescenti disarticolazioni ad ogni livello sociale cultuale, politico, umano, della relazione e quindi la disarticolazione del tessuto sociale crea milioni, miliardi di periferie e il cuore e la mente diventano deserto piano piano, si desertifica l’umanità. Dobbiamo costruire una cultura nuova della relazione con l’altro e dentro questa relazione forte, la persona si può ritrovare, esprimere il dolore, superare il conflitto e ricostruirsi».
Soffermandosi poi sul concetto che «la relazione ha un aggettivo forte, che è la custodia», Vaccari ha detto: «noi a “Rondine”, infatti, viviamo un laboratorio di custodia reciproca quotidiana: i giovani che vengono qui dai luoghi di guerra accettano la sfida per vedere se lontano dalla propaganda che avvelena il cuore e la mente possono custodirsi reciprocamente, da nemici diventare amici. L’israeliano accoglie alla stazione il palestinese e lo porta a Rondine come suo custode e viceversa. Questa è l’esperienza che dice che la strada di una relazione ricompresa ed educata è la via per la risoluzione di ogni tipo di conflitto».

Alla relazione di Vaccari è seguito un breve ma significativo intervento di un giovane israeliano ospite di “Rondine”, che ha affermato: l’esperienza di convivenza é riuscita ad abbattere il «muro non solo fisico ma anche mentale» che divide gli israeliani dai palestinesi, portandoli entrambi e considerarsi semplicemente come amici.

SECONDA GIORNATA
La prima sessione era dedicata ai destini delle utopie del Novecento e alla famiglia con i contributi di Lucetta  Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma,  Roberto Volpi, statistico e saggista, e  Adriano Pessina, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano.

Scaraffia ha affrontato il tema della rivoluzione sessuale come crisi di un’utopia e uno degli effetti della secolarizzazione e dei cambiamenti della morale legata alla sessualità:  “E’ stata una delle trasformazione più grandi in Occidente, un cambiamento che ha inciso sulla morale sessuale, abbandonando  quella cristiana verso altre vie. Sono cambiati molti da allora i rapporti tra i sessi, le modalità del concepimento separando la procreazione dalla libertà della vita sessuale”. Una delle conseguenze maggiori di questa rivoluzione è stata a scapito della famiglia: “ Liberi da ogni morale sessuale, la famiglia orienta le sue scelte in modo diverso specie in riferimento ai figli, che sono voluti e si sceglie quando farli nascere ritenendo che i figli voluti crescono meglio, guardando  quindi alla qualità rispetto alla quantità.

Cresce una propaganda armonistica a favore dalla coppia e della famiglia, che considera il cattolicesimo contro la felicità umana.  Oggi possiamo dire che erano ideologie infondate e troppo sbandierate e gli effetti propagandati non si sono verificati per la famiglia e le difficoltà hanno colpito le famiglie disagiate”. In conclusione gli aspetti positivi di questi grandi cambiamenti: “Oggi si possono affrontare i problemi sessuali con maggiore serenità – ha detto Scaraffia – si ha un maggiore rispetto delle ragazze madri, il rispetto per il corpo femminile e la condanna di ogni forma di violenza sulle donne.  La Chiesa ha chiarito meglio la sua posizione su questi temi e operato per il bene dell’essere umano”.

Della questione antropologica familiare si è occupato Volpi tracciando un quadro storico sociale della famiglia tradizionale che ha espresso il massimo della sua forza nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. “Tutti si sposavano in giovane età – ha detto Volpi – e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d’ingresso nella società adulta,  uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”. La situazione attuale sembra invece portare ad una rivoluzione fallimentare della famiglia, passata da un atteggiamento sociale di tipo aggressivo a difensivo. E i numeri parlano chiaro con la decrescita demografica, con l’invecchiamento della popolazione dove 1 persona su 6 s trova nella fascia tra gli 0 e i 17 anni mentre  12 milioni sono gli over 65 su un totale di 60 milioni. “Una famiglia stanca e decrepita dove mancano i ragazzi che sono il collante delle famiglie con la società – ha detto Volpi -. Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell’economia e il bassissimo grado di mobilità sociale  specie in Italia. Sono cresciute le famigli uni personale al 30 per cento  e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.

Una riflessione sull’uomo come capitale umano posto al centro del mercato biotecnologico che permette nuove forme di benessere personale è stato il tema dell’intervento di Adriano Pessina. “E’ impensabile conservare l’uomo così, perché il dibattito sul potenziamento dell’uomo si salda ormai con il superamento della condizione e della natura umana – ha detto Pessina -. In questo s’inserisce la possibilità per l’uomo di progettare la propria vita, il desiderio di un benessere che porti alla felicità ma che stride con l’insoddisfazione della condizione umana di oggi. Le  modifiche  genetiche, le migliori intelligenze aiutate dalla scienza che dipendono dal mercato portano sempre più ad un soggettivismo solipsistico. L’uomo deve fare i conti però con la propria finitezza. Del resto il finito e l’infinito si sono riconciliati nella persona di Cristo e questa è la sola strada del nuovo umanesimo”.

Alla seconda sessione dedicata a “L’uomo, l’arte e il sacro” hanno relazionato mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore (Firenze), e  Sergio Givone, docente di Estetica all’Università degli Studi di Firenze.

Mons. Verdon ha proposto una riflessione sulla «funzione dell’arte sacra cristiana» a partire dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Giotto, che rappresenta l’epoca in cui l’espressione artistica era indissolubilmente legata alla sfera cristiana, ci propone l’uomo Francesco come colui che «pregando percepisce nel cuore la forza del linguaggio divino». Linguaggio divino che si fa pane e si confonde nel «puzzo dei bassi fondi dell’Urbe» nella famosa Vocazione di San Matteo del Caravaggio: il linguaggio dell’artista è «efficace come indagine religiosa» per quanto sconcertante per il pubblico cristiano dell’epoca. L’arte va quindi verso la visione di Cristo «come l’anti-eroe» per eccellenza (Rembrandt), Colui che va a cercare l’uomo nella sua «periferia esistenziale». Ma, col passare dei secoli fino alla società odierna, «il genere umano, reso insensibile dal benessere, immobilizzato dai piaceri», reputa «politicamente scorretto e addirittura offensivo» realizzare opere che facciano chiara allusione a Cristo (Wallinger) o alla fede in genere. Ma ciò che di fatto emerge dalle opere degli artisti di oggi è una «ricerca spirituale focalizzata sull’uomo ma paradossalmente priva di Dio» (Viola), in cui «traspare tuttavia, anche se in maniera confusa, la sete di salvezza, la fame di senso e di vita vera». «La Chiesa – ha concluso mons. Verdon – con la sua millenaria tradizione di bellezza, deve andare incontro all’uomo» e noi cristiani siamo chiamati a «rispondere a quanti sperano da noi qualcosa dell’arte del vivere evangelico».

Givone ha ricordato come «a partire dai secoli  XV-XVI il processo di secolarizzazione sembra allontanare l’arte dal sacro. Se in passato “la penna dei profeti riusciva ad intingersi nell’essenza del divino”, successivamente l’uomo ha dovuto confrontarsi con la natura, come dimostra la teoria di Galileo Galilei riguarda alla «secolarizzazione della Natura». Nel contempo, ha sostenuto il docente, «emergono teorie e tecniche che ripropongono un’ idea dell’arte in cui il sacro ricopre un ruolo preponderante: la tecnica della prospettiva lineare, a partire da Masaccio, la teoria vichiana del singolo, la poetica di Bach del contrappunto ( l’arte della fuga), ma anche in epoca contemporanea nella visione del sociologo Adorno, nello scrittore Joyce e nell’artista Kandinskij».

La prima sessione del pomeriggio “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia”, ha visto intervenire due docenti universitari di Storia contemporanea, Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli.

Galli della Loggia ha fatto un excursus storico dell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica e istituzionale del Paese dal Risorgimento ad oggi, evidenziando il loro fondamentale contributo nei momenti più difficili della storia d’Italia. Inoltre, non ha tralasciato anche i momenti molto forti di tensione tra la Chiesa e gli stessi cattolici impegnati ad iniziare, come l’ha definito lo stesso docente, dal «padre unico della Repubblica italiana, Alcide De Gasperi».
Galli della Loggia ha ricordato l’impegno, universalmente riconosciuto, dei cattolici e della stessa Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa «socio fondatore della Repubblica». Soffermandosi sull’odierna società italiana «corrotta fino al marciume», lo storico ha sostenuto che «per rimuovere questo marciume occorre mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico».
A margine del suo intervento, Galli della Loggia ha sostenuto che: «non si costruisce la politica sulla fede, ma la fede può produrre l’entusiasmo necessario per animare la politica che si costruisce intorno a delle ideologie e a dei valori».

Giovagnoli ha centrato il suo intervento sul bene comune alla luce del magistero di papa Francesco che «ha sviluppato un originale riflessione sul tema dell’amicizia politica, quale via privilegiata per realizzare una dinamica di sviluppo al servizio di tutti per contrastare la conflittualità esasperata favorita dall’individualismo consumista».
«Nell’ottica del bene comune – ha evidenziato Giovagnoli –, il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità».
«Oggi i cattolici – ha concluso il docente – sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale».

Alla Sessione conclusivaL’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, coordinata da Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano», sono intervenuti il professor Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo, che ha relazionato sul “potere tecnologico e povertà evangelica”, offrendo ampi spunti di riflessione sull’odierna «crisi radicale dell’umanesimo», e l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu e vice presidente della Cei.
Mons. Bassetti, nel «tirare le fila» del Convegno, non ha esitato a definirlo straordinario e sorprendente: sia per la qualità degli interventi, che per la grande risonanza di pubblico che ha avuto questo convegno. Per questo motivo non posso che iniziare ringraziando calorosamente tutti i relatori e il pubblico numerosissimo che è venuto qui ad Assisi anche da fuori regione e che ha dimostrato, in questa due giorni, un’attenzione costante: ho notato che moltissimi scrivevano prendendo appunti e sono tantissimi coloro che ci hanno già richiesto gli atti».
«Voglio ringraziare anche tutte le associazioni e le realtà ecclesiali della regione che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa – ha proseguito il suo intervento mons. Bassetti il cui testo integrale è consultabile sul sito www.chiesainumbria.it –. Un’iniziativa complessa e molto impegnativa che è stata realizzata grazie allo sforzo progettuale di alcuni giovani intellettuali supportati, con grandissima partecipazione e competenza, da un gruppo di giovanissimi volontari, per lo più studenti, che hanno dato tutto se stessi per il successo di questa iniziativa. E ringrazio, infine, non certo ultimo per importanza, il Signore che ha permesso tutto questo. Che ha fatto sì che, attraverso percorsi inattesi e inesplorati, per due giorni, qui ad Assisi, alcuni tra i più importanti intellettuali laici e cattolici del nostro Paese, e non solo, si incontrassero e dialogassero intorno alle parole di papa Francesco: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”».

«Questo incontro – ha evidenziato il presule – è il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all’interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. Molti degli interventi di questi giorni sono partiti proprio da questo assunto di fondo».
«La grande narrazione del tempo presente – ha detto mons. Bassetti – è caratterizzata dal paradigma della “crisi economica” a cui si aggiunge quello dell’agonia e del “declino” del mondo occidentale. Un declino, secondo alcuni ineluttabile, i cui effetti sarebbero sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei debiti pubblici degli Stati si legano, inesorabilmente, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e con l’aumento di comportamenti antisociali. Il magistero della Chiesa cattolica ormai da anni insiste, giustamente, nel ritenere che alla base di questa lancinante crisi economica si colloca una profonda crisi morale dell’uomo moderno…, che vive in un indefinito e opprimente presente, con sempre meno consapevolezza del proprio passato e della propria storia e, di conseguenza, con sempre meno capacità di proiettarsi nel futuro.
«Uno dei fattori più inquietanti, preoccupanti e più drammatici di questa difficilissima crisi morale-economica – ha proseguito mons. Bassetti – è proprio questa rottura del patto tra le generazioni, tra i vecchi e i giovani, che di fatto sta scaricando dolorosamente il peso maggiore della crisi sui nostri figli e sui nostri nipoti. Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione».

«I dati pubblicati ieri dall’Istat sul tasso di disoccupazione giovanile in Italia – sottolineato il presule – lasciano sgomenti: il 41% dei giovani non ha un lavoro. È il dato peggiore dal 1977 ad oggi. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dei dati economici, ma un drammatico vuoto esistenziale, una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? Questa consapevolezza della crisi morale-economica della nostra società non deve, però, in alcun modo, farci perdere la speranza e farci distogliere lo sguardo dalla bussola della nostra vita, che è sempre indubitabilmente Cristo».
Poi mons. Bassetti si è soffermato sul «gesto che ha smosso la storia» nel 2013, le dimissioni di Papa Benedetto XVI, definendole «un gesto di cui non si può non sottolineare l’umiltà, la libertà e la fede profondissima. Un gesto a cui noi oggi guardiamo con ammirazione, devozione e gratitudine. Un gesto, dicevo, che ha mosso la storia, che ha aperto strade nuove e inaspettate, come l’arrivo di un nuovo pontefice “preso dalla fine del mondo” e che, tra le moltissime novità che si potrebbero sottolineare, ha preso, per primo, il nome del poverello d’Assisi, San Francesco. Questo tempo, dunque, non è soltanto un tempo segnato dalla crisi economica, ma è indubbiamente un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti. Per la Chiesa questo tempo è, indiscutibilmente, il tempo dell’annuncio. Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo».

«Una chiesa che per sua natura, dunque – ha evidenziato ancora l’arcivescovo –, non può che essere missionaria e che, soprattutto, deve avere “le porte aperte” per “uscire verso gli altri” e “giungere alle periferie umane”. Verso quelle periferie dell’esistenza, in cui le povertà materiali si assommano alle povertà relazionali, e “verso quei luoghi dell’anima” – come abbiamo scritto nel messaggio iniziale di questo convegno – “dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere, nella speranza che l’umano, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile della tecnica, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale”».
«La Chiesa altro non è che il piccolo gregge – ha sottolineato mons. Bassetti avviandosi alla conclusione –, il popolo viandante lungo i sentieri del tempo, nella compagnia con gli uomini e le donne fratelli e sorelle, votato non al proprio tornaconto, non all’acquisizione di qualsivoglia posto di prestigio, di rendita, di potere: ma al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo, con sguardo di amore preferenziale rivolto a chi abita le “periferie esistenziali” del mondo moderno».
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Circa un migliaio sono stati i partecipanti (provenienti da undici regioni italiane) a questo evento culturale umbro di respiro internazionale per i relatori esteri che interverranno. Molto coinvolto anche il mondo dei media con più di cinquanta giornalisti provenienti da tutt’Italia e l’iniziativa del “Salotto delle interviste” a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori.

Inoltre, la segreteria organizzativa del Convegno, evidenzia anche il grande interesse che ha suscitato il tema “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” nelle Scuole superiori dell’Umbria (vi hanno partecipano circa 200 studenti di una decina di Istituti) e nelle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.

Al termine della sessione sull’arte, sabato mattina  è stata presentata l’importante Mostra fotografica “Aure”, come contributo-testimonianza artistico al Convegno, dalla sua stessa autrice, la giornalista e documentarista polacca Monika Bulaj. Sono scatti dedicati ad importanti temi di ricerca quali: i confini delle fedi (mistica, archetipi, divinazione, possessione, pellegrinaggi, corpo, culto dei morti), minoranze, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Asia, Europa e Africa.

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Resoconto tratto da www.chiesainumbria.it

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Il sito web del convegno: www.custodireumanita.it/

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Un nuovo umanesimo: risposta alla crisi di senso https://www.lavoce.it/un-nuovo-umanesimo-risposta-alla-crisi-di-senso/ Wed, 27 Nov 2013 13:47:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20794 Papa Francesco accolto dai giovani a Santa Maria degli Angeli durante la visita pastorale ad Assisi lo scorso 4 ottobre
Papa Francesco accolto dai giovani a Santa Maria degli Angeli durante la visita pastorale ad Assisi lo scorso 4 ottobre

“Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”. Questo è il tema del convegno internazionale che si tiene il 29-30 novembre, promosso, nell’ambito del progetto culturale della Cei, dalla Ceu in collaborazione con l’Università degli studi e l’Università per Stranieri di Perugia. La sede prescelta è quella del teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli.

Senza dubbio si tratta di una sede inconsueta, ma preferita non soltanto per ragioni logistiche, quanto piuttosto per le modalità in cui il tema verrà trattato. Gli organizzatori infatti ritengono che sia la sede adeguata, in quanto neutra e aperta a tutti, per tracciare le linee di un “nuovo umanesimo” cioè di una visione capace di “custodire l’umanità” che è presente in tutti, soprattutto nei più poveri e nei più deboli. Questo compito, del resto, è antecedente a ogni convincimento laico o religioso e riguarda ogni persona.

Il progetto che ne scaturisce, pertanto, rappresenta il filo rosso che può unire tutti coloro che credono nella possibilità di riscattare l’uomo e di rimetterlo non solo al centro della politica, ma anche dell’economia, dell’arte, della ricerca scientifica, insomma di farne il vero protagonista della storia.

In qualche modo, il luogo stesso che è stato individuato sembra confermare questo intento: si tratta infatti di una figura geometrica che scaturisce dalla contaminazione dell’Uomo vitruviano di rinascimentale memoria con l’abside della basilica di San Francesco di Assisi, luogo da tempo deputato al dialogo tra tutte le religioni e alla promozione della pace anche nelle periferie del mondo.

Per quel che concerne il tema, è indubbio che ha la sua matrice di origine nelle parole e nei gesti compiuti di Papa Francesco quasi quotidianamente nelle sue apparizioni pubbliche. Ma ha anche una sua motivazione culturale di grande attualità. Per molto tempo il processo di secolarizzazione – in atto soprattuto nel mondo occidentale, ma non solo – è stato interpretato come un fenomeno inevitabile dell’età contemporanea, anche perché è stato considerato come l’espressione più matura del tentativo di emancipazione che l’uomo da sempre persegue nei confronti di qualsiasi condizionamento naturale o spirituale.

Alla fine del ’900 però, il fallimento delle ideologie materialiste e il ridimensionamento della presunta autosufficienza della ragione hanno portato alla luce un fenomeno del tutto imprevisto: la diffusione di un vasto processo di “de-secolarizzazione”. Si è fatta strada la sopravvivenza, in forme nuove e diverse da quelle tradizionali, del bisogno del Sacro e la rivendicazione della legittimità di forme di vita capaci di intercettarne il significato.

Non per questo però è cambiato il contesto culturale; anzi, se possibile, è diventato ancora di più secolarizzato. Questo è accaduto innanzitutto per gli effetti della globalizzazione, che ha incentivato una espansione smisurata dell’incidenza dell’economia e, prima ancora, della finanza in tutte le sfere della vita, sia pubblica che privata, e in un impiego “selvaggio” dei mezzi di comunicazione di massa. Ma è avvenuto anche perché, soprattutto con le ricerche scientifiche compiute nel campo della genetica e della genomica, si è imposta l’idea che l’uomo, essendo in grado di conoscere il Dna, può prevenire gran parte delle malattie e decidere la durata della propria esistenza.

Pertanto egli ha in mano non solo il proprio destino ma anche quello delle generazioni future.

Ma è proprio per liberare l’uomo da queste vane illusioni, che rischiano di trasformarlo nell’“apprendista stregone” di faustiana memoria, occorre tornare a riflettere sulla sua natura e sulla sua identità. Da questa esigenza scaturisce la necessità di un rinnovato dialogo tra laici e cattolici.

A tal fine la proposta di costruire una visione antropologica capace di restituire all’uomo il posto di preminenza che gli spetta nel creato, nella consapevolezza dei suoi limiti e delle sue miserie, rappresenta non solo un’opportunità ma anche una sfida. Richiede infatti uno sforzo di discernimento a proposito della profonda crisi di senso in cui l’uomo contemporaneo è immerso, ma anche un sussulto di responsabilità, se vogliamo che torni a guardare al futuro con fiducia.

Per questo appunto, il convegno dedicato a “Custodire l’umanità. verso le periferie esistenziali”, si interroga innanzitutto sulla modernità che si è andata determinando in questo primo decennio del XXI secolo. Quindi prende in considerazione la possibilità di un nuovo rapporto tra economia e società, che non si limiti a perseguire l’obiettivo della crescita, ma che tenga conto anche della progressiva scarsità delle risorse naturali e dell’esigenza di una loro ripartizione più equa e più equilibrata. In questo ordine di idee però non si possono chiudere gli occhi di fronte ai conflitti che insanguinano il mondo, sempre più rimossi o taciuti, perché non rispondono agli interessi economici delle grandi potenze del mondo. Di qui la necessità di individuare strategie che facciano giustizia di questa indifferenza e ristabiliscano la pace.

Venute meno inoltre le vecchie ideologie, diventa inderogabile la necessità di nuove visioni del mondo, che però siano imperniate su una antropologia veramente rispettosa della dignità dell’uomo e capace di intercettare la bellezza del creato.

I dati del convegno “Custodire l’umanità”

Il convegno si apre il 29 novembre, alle ore 9.30 con i saluti di mons. Sorrentino, Vittorio Sozzi del Progetto culturale Cei, e mons. Cancian. Dopo la lezione inaugurale del card. Bagnasco, presidente della Cei, una riflessione storico-filosofica su “Quale modernità post-secolare?”. Seguirà la sessione sociologica ed economica “Per un nuovo rapporto tra economia e società”; quindi una riflessione internazionalista “Oltre i conflitti. Alla ricerca di nuove strategie di pace”. Poi la sessione bioeticista e storico-filosofica “I destini delle utopie. Verso una nuova antropologia?” e quella artistica “L’uomo, l’arte e il Sacro”. Seguirà la sessione storico-politica intitolata “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia” e quella conclusiva, “L’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”. Per i dettagli, vedi l’articolo sul numero scorso de La Voce.

Gli eventi collaterali. Al “Salotto delle interviste” alcuni direttori di testate giornalistiche umbre video-intervistano i relatori negli intervalli. È visitabile la mostra fotografica “Aure” della giornalista e documentarista Monika Bulaj, di origine polacca, italiana di adozione. Un reportage sulla Siria del fotografo toscano Riccardo Lorenzi. Esposizione di libri dell’editrice Città Nuova. Segnaliamo infine la presentazione del volume Alle sorgenti della fede. Pellegrinaggio in Terra Santa a cura della sezione Umbria dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

I partecipanti. In base ai dati disponibili qualche giorno prima dell’evento, i partecipanti superano la soglia dei 700 iscritti, tra cui studenti di scuole superiori umbre e toscane, delle Università degli studi e per gli Stranieri e dell’Accademia di belle arti di Perugia. Le regioni di provenienza sono, oltre all’Umbria, l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania, il Friuli – Venezia Giulia, il Lazio, la Lombardia, le Marche, la Puglia, la Toscana e il Veneto.

Per informazioni. Le informazioni dettagliate sull’evento sono reperibili sui siti internet www.custodireumanita.it e www.periferiesistenziali.it.

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Custodire l’umanità. Verso le nuove “periferie” https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-verso-le-nuove-periferie/ Fri, 22 Nov 2013 13:42:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20771 L’immagine scelta per il manifesto
L’immagine scelta per il manifesto

Venerdì 29 e sabato 30 novembre presso il teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli in Assisi si svolge il convegno internazionale “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”. Evento organizzato da Conferenza episcopale umbra (Ceu), Progetto culturale della Cei e Università degli studi di Perugia, con la collaborazione di molti partner istituzionali, privati e associativi. Questo appuntamento si inserisce lungo il cammino di preparazione al V Convegno ecclesiale nazionale, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, che si svolgerà a Firenze nel novembre 2015.

Nel titolo del convegno risuonano le parole di Papa Francesco pronunciate nella prima omelia del suo pontificato. La vocazione del “custodire” non riguarda soltanto i cristiani ma ha una “dimensione che precede” ogni convincimento laico o religioso, ed “è semplicemente umana, riguarda tutti”. L’incontro muove le sue premesse dal rapporto stringente tra la crisi di senso dell’uomo moderno e l’attuale crisi economica della società occidentale: ovvero di come la “questione sociale” sia diventata anche una “questione antropologica”. Un tema reso attuale da Benedetto XVI e rideclinato da Papa Francesco con il suo costante riferimento alle periferie esistenziali. Alla base di questo riflessione si collocano due categorie interpretative, la “secolarizzazione” e il “nuovo umanesimo”.

Per lungo tempo, il processo di secolarizzazione è stato interpretato come un fenomeno inevitabile dell’età contemporanea. Alla fine del ’900, però, il fallimento delle ideologie materialiste ha portato alla luce un fenomeno del tutto opposto: la diffusione del processo di “de-secolarizzazione”. Ovvero la sopravvivenza, in forme nuove, delle religioni e del bisogno del Sacro, seppur in un contesto ambientale totalmente secolarizzato. Da questa consapevolezza scaturisce un tentativo di dialogo tra laici e cattolici: la proposta di un nuovo umanesimo in grado di rivendicare che l’uomo, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile di una tecnica senza anima, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale.

Il convegno si articola in 8 sessioni, precedute dai saluti delle istituzioni (Chiese umbre, Progetto culturale) e dalla lezione inaugurale del presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco. Si parte quindi con una riflessione storico-filosofica intitolata “Quale modernità post-secolare?”; poi una sessione sociologica ed economica denominata “Per un nuovo rapporto tra economia e società”; quindi una riflessione internazionalista dal titolo “Oltre i conflitti. Alla ricerca di nuove strategie di pace”; a seguire, una sessione bioeticista e storico-filosofica intitolata “I destini delle utopie. Verso una nuova antropologia?”; quindi una riflessione artistica che ha per titolo “L’uomo, l’arte e il sacro”; e una sessione storico-politica denominata “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia”; infine una riflessione conclusiva su “L’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”.

Il convegno avrà come relatori una serie di intellettuali, laici e cattolici, di grande rilievo nazionale e internazionale quali Mauro Magatti e Luigini Bruni, Andrea Riccardi e Salvatore Natoli, Adriano Pessina e Philippe Jenkins, Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli, Sergio Givone e Fabrice Hadjadj, e molti altri.

Un solo spunto dall’intervento del filosofo Salvatore Natoli: “Cosa resta del cristianesimo? Per chi crede, ritengo non sia venuto meno il riferimento alla trascendenza; per altro verso, il cristianesimo in tutta la sua storia si è dispiegato non sempre – purtroppo – ma anche come ordo amoris. Ebbene, questo mi sembra il modo con cui riesce ancora oggi a essere influente. E non è poco”.

Informazioni dettagliate sul convegno sono reperibili sui siti internet www.custodireumanita.it e www.periferiesistenziali.it. L’iscrizione è gratuita e non obbligatoria. Per ogni informazione ci si può rivolgere alla segreteria organizzativa: Miriam Aquino, tel. 075 5750381; email segreteria@custodireumanita.it.

 

Le tematiche del convegno

29 NOVEMBRE

Quale modernità post-secolare? I cristiani e la globalizzazione. Custodire l’umanità oltre l’utopia e il disincanto. L’umanesimo cristiano alla prova del post-moderno (Andrea Riccardi, Salvatore Natoli, mons. Bruno Forte, Antonio Pieretti)

Per un nuovo rapporto tra economia e società. Crescita integrale, via per una nuova prosperità. La custodia come condizione dell’Umano: per una nuova ecologia delle relazioni (Mauro Magatti, Luigino Bruni, Adriano Fabris, Roberto Fontolan)

Oltre i conflitti: alla ricerca di nuove strategie di pace. Politica e religione in Medio Oriente. Guarire le relazioni per giungere alla pace (Philip Jenkins, mons. Giuseppe Nazzaro, Franco Vaccari, Khuloud Daibes, Issa Kassissieh, Riccardo Burigana)

30 NOVEMBRE

I destini delle utopie: verso una nuova antropologia? La rivoluzione sessuale, la crisi di un’utopia. La famiglia difensiva. L’uomo sperimentale e il “cattivo infinito” (Lucetta Scaraffia, Roberto Volpi, Adriano Pessina, Ritanna Armeni)

L’uomo, l’arte e il Sacro. L’uomo Francesco negli affreschi di Giotto, un Sacro d’oltreconfine. Abitare l’eterno (mons. Timothy Verdon, Sergio Givone, Monika Bulaj, Daniele Guastini)

Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia. Dall’“esilio in patria” al pericolo dell’irrilevanza. Italia, bene comune: il contributo dei cattolici (Ernesto Galli della Loggia, Agostino Giovagnoli, Roberto Righetto)

L’Occidente e il mondo contemporaneo. Potere tecnologico e povertà evangelica (Fabrice Hadjadj, mons. Gualtiero Bassetti, Giovanni Maria Vian)

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Vocazione: Uomo https://www.lavoce.it/vocazione-uomo/ Wed, 13 Nov 2013 21:58:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20635 L’immagine scelta per il manifesto
L’immagine scelta per il manifesto

“Quando mi incontro con persone atee, condivido le questioni umane ma non pongo loro in un primo momento il problema di Dio, eccetto che siano loro stesse a porlo a me. Se è necessario, dico loro perché credo. L’umano è così ricco da condividere, che tranquillamente possiamo mettere in comune reciprocamente le nostre ricchezze. Dal momento che io sono credente, so che quelle ricchezze sono un dono di Dio”. Questa lunga citazione di Jorge Mario Bergoglio, tratta da una conversazione tra l’allora arcivescovo di Buenos Aires e il rabbino Abraham Skorka (Il Cielo e la terra, Mondadori, 2013), riassume il nucleo tematico del convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” organizzato dalla Conferenza episcopale dell’Umbria in collaborazione con l’Università di Perugia e il Progetto culturale Cei, che si svolgerà il 29 e 30 novembre al teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli. Al centro del convegno si colloca dunque una profonda riflessione sull’umanità, in questo contesto storico di profonda crisi di senso dell’uomo moderno e perdurante crisi economica della società occidentale, e la necessità della costruzione di un dialogo con tutti. Nel titolo del convegno risuonano le parole di Papa Francesco pronunciate nella prima omelia del suo pontificato. La vocazione del “custodire” – saper leggere con realismo gli avvenimenti della contemporaneità, stare attenti a ciò che ci circonda ed essere in grado di prendere le decisioni più sagge per la vita della polis – non riguarda ovviamente soltanto i cristiani, ma ha una “dimensione che precede” ogni convincimento laico o religioso ed “è semplicemente umana, riguarda tutti”. Una vocazione che assume una particolare importanza in questo delicatissimo periodo storico. Oggi, infatti, per poter guardare al futuro, è fondamentale compiere un bilancio senza indulgenze con il passato, ed è ancora più urgente una realistica comprensione della società attuale. Perché il “moderno”, come avvertiva don Luigi Sturzo nel celebre discorso di Caltagirone del 24 dicembre 1905, “più che sfiducia e ripulsa, desta il bisogno della critica, del contatto, della riforma”. Alla base di questo convegno – che si inserisce lungo il cammino di preparazione al V Convegno ecclesiale nazionale, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, che si svolgerà a Firenze nel novembre 2015 – si collocano due categorie interpretative: la secolarizzazione e l’umanesimo cristiano. Per lungo tempo, il processo di secolarizzazione è stato interpretato come un fenomeno inevitabile dell’età contemporanea. Molti filosofi, storici e sociologi vi hanno visto l’esito ineluttabile della storia e vi hanno colto le ragioni dell’emancipazione dell’uomo moderno dalla dimensione religiosa. Alla fine del ’900, però, il fallimento delle ideologie materialiste ha portato alla luce un fenomeno del tutto opposto: la diffusione del processo di “de-secolarizzazione”, ovvero la sopravvivenza, in forme nuove, delle religioni e del bisogno del Sacro. Questa “società post-secolare” ci mostra, da un lato, la permanenza e la rinascita di comunità religiose e, dall’altro lato, ci consegna una realtà polverizzata, costellata da tanti corpi sociali, sempre più piccoli, che spesso assomigliano a delle monadi individuali impegnate a costruire un rifugio in un “io” assoluto concepito su misura per rispondere a esigenze individuali e a piaceri puramente egoistici. La “questione sociale”, oggi, si interseca pertanto con la “questione antropologica”, dove la difesa dell’integrità della persona umana, dal concepimento alla morte, va di pari passo con la sostenibilità dell’ambiente, una civilizzazione dell’economia e, forse, perfino una “riforma” della politica. Da questa consapevolezza scaturisce un tentativo: la proposta di un umanesimo cristiano capace di dialogare con il mondo laico e in grado di rivendicare che l’Uomo, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile di una tecnica senza anima, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale.

Informazioni/iscrizioni

Tutte le informazioni sul convegno sono reperibili sul sito www.custodireumanita.it o anche sul sito www.periferiesistenziali.it. Coloro che intendono prendere parte all’evento possono compilare l’apposita scheda di iscrizione e inviarla via mail o al numero di fax indicato sotto. L’iscrizione è gratuita. Coloro che intendono fermarsi l’intera giornata potranno liberamente usufruire del buffet predisposto dall’organizzazione. È possibile prenotare un pernottamento a costi ridotti. Telefono: 075 5750381, fax 075 5050365, Segreteria organizzativa cell. 327 3396993, email segreteria@custodireumanita.it.

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