cristiani perseguitati Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cristiani-perseguitati/ Settimanale di informazione regionale Thu, 08 Sep 2022 17:36:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg cristiani perseguitati Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cristiani-perseguitati/ 32 32 Centinaia di pellegrini massacrati in Etiopia https://www.lavoce.it/centinaia-di-pellegrini-massacrati-in-etiopia/ Mon, 22 Mar 2021 15:11:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59626 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Un diacono della Chiesa ortodossa etiope, che chiede di restare anonimo, il mese scorso ha cominciato a raccontare l’orrore.

Per quella Chiesa, Axum è la città santa in cui è nascosta e custodita l’Arca dell’alleanza. Ogni anno a novembre, con celebrazioni e pellegrinaggi, viene ricordato il trasporto dell’Arca da Gerusalemme. Il 28 novembre scorso, i soldati della confinante Eritrea hanno fatto irruzione nella cattedrale e ucciso centinaia di persone, sostenendo che si trattava di sostenitori dei miliziani del Fronte di liberazione popolare del Tigrai (Tplf). 

I cadaveri sono rimasti per giorni interi nella chiesa e lungo le strade perché i soldati impedivano di seppellirli. Il diacono sostiene che, terminata l’occupazione della città da parte dei soldati eritrei, si è potuto dare sepoltura a circa 800 persone in fosse comuni. Hanno recuperato le carte d’identità, dal momento che molti erano arrivati lì come pellegrini. Amnesty International ha pubblicato di recente un dossier chiedendo che quanto accaduto venga riconosciuto come crimine contro l’umanità.

L’organizzazione internazionale ha raccolto le testimonianze di 41 persone, che sono state incoraggiate dal diacono che ha rotto il silenzio. Ricordiamo che il Governo etiope ha sempre impedito che forze di interposizione Onu e osservatori internazionali potessero mettere piede nel Paese, giudicandola un’indebita ingerenza.

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colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Un diacono della Chiesa ortodossa etiope, che chiede di restare anonimo, il mese scorso ha cominciato a raccontare l’orrore.

Per quella Chiesa, Axum è la città santa in cui è nascosta e custodita l’Arca dell’alleanza. Ogni anno a novembre, con celebrazioni e pellegrinaggi, viene ricordato il trasporto dell’Arca da Gerusalemme. Il 28 novembre scorso, i soldati della confinante Eritrea hanno fatto irruzione nella cattedrale e ucciso centinaia di persone, sostenendo che si trattava di sostenitori dei miliziani del Fronte di liberazione popolare del Tigrai (Tplf). 

I cadaveri sono rimasti per giorni interi nella chiesa e lungo le strade perché i soldati impedivano di seppellirli. Il diacono sostiene che, terminata l’occupazione della città da parte dei soldati eritrei, si è potuto dare sepoltura a circa 800 persone in fosse comuni. Hanno recuperato le carte d’identità, dal momento che molti erano arrivati lì come pellegrini. Amnesty International ha pubblicato di recente un dossier chiedendo che quanto accaduto venga riconosciuto come crimine contro l’umanità.

L’organizzazione internazionale ha raccolto le testimonianze di 41 persone, che sono state incoraggiate dal diacono che ha rotto il silenzio. Ricordiamo che il Governo etiope ha sempre impedito che forze di interposizione Onu e osservatori internazionali potessero mettere piede nel Paese, giudicandola un’indebita ingerenza.

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EGITTO. Le attività solidali – specie in campo medico – portate avanti dai cristiani a favore di tutti https://www.lavoce.it/egitto-attivita-solidali-cristiani/ Sun, 23 Dec 2018 08:06:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53693 egitto

“Il popolo italiano è nostro amico. Siamo grati alla Cei per il sostegno spirituale, culturale e caritativo che ci dona, e che ci fa sentire parte della Chiesa universale”: così mons. Makarios Tewfik, vescovo di Ismailia, ha accolto il gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidato dal presidente don Adriano Bianchi, che si sono recati poche settimane fa in Egitto per conoscere alcuni progetti di solidarietà finanziati dalla Cei con i fondi dell’8x1000.

Ismailia, sede dell’omonima Eparchia copto-cattolica, è il capoluogo del Governatorato omonimo. La diocesi comprende anche la nota località turistica di Sharm el-Sheikh e la penisola del Sinai, dove sono ancora attive alcune cellule jihadiste affiliate al sedicente Stato islamico (Isis o Daesh).

L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dei cristiani in Egitto che, nonostante gli attentati e le stragi - l’ultima è del 2 novembre scorso - “sembra migliorare”. Due, ha spiegato il vescovo, le piste seguite dalle istituzioni: “Garantire piena cittadinanza a tutti gli egiziani appartenenti alla minoranza cristiana, ed evitare le derive integraliste e fondamentaliste in ambito islamico”.

La risposta della Chiesa punta tutto sull’istruzione e l’educazione. “Il nostro punto di forza - sottolinea mons. Tewfik - è rappresentato dalle scuole, le migliori di tutto l’Egitto, e per questo frequentate dai figli dei massimi responsabili civili e politici.

Ne abbiamo 18, due gestite direttamente dalla diocesi. Ci sono poi gli ospedali, dove curiamo tutti i più bisognosi, senza guardare a fede e etnia. Quello di Port Said è l’unico ospedale cattolico nella parte orientale dell’Egitto”.

(Continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

D. R. - M. R. V.

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egitto

“Il popolo italiano è nostro amico. Siamo grati alla Cei per il sostegno spirituale, culturale e caritativo che ci dona, e che ci fa sentire parte della Chiesa universale”: così mons. Makarios Tewfik, vescovo di Ismailia, ha accolto il gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidato dal presidente don Adriano Bianchi, che si sono recati poche settimane fa in Egitto per conoscere alcuni progetti di solidarietà finanziati dalla Cei con i fondi dell’8x1000.

Ismailia, sede dell’omonima Eparchia copto-cattolica, è il capoluogo del Governatorato omonimo. La diocesi comprende anche la nota località turistica di Sharm el-Sheikh e la penisola del Sinai, dove sono ancora attive alcune cellule jihadiste affiliate al sedicente Stato islamico (Isis o Daesh).

L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dei cristiani in Egitto che, nonostante gli attentati e le stragi - l’ultima è del 2 novembre scorso - “sembra migliorare”. Due, ha spiegato il vescovo, le piste seguite dalle istituzioni: “Garantire piena cittadinanza a tutti gli egiziani appartenenti alla minoranza cristiana, ed evitare le derive integraliste e fondamentaliste in ambito islamico”.

La risposta della Chiesa punta tutto sull’istruzione e l’educazione. “Il nostro punto di forza - sottolinea mons. Tewfik - è rappresentato dalle scuole, le migliori di tutto l’Egitto, e per questo frequentate dai figli dei massimi responsabili civili e politici.

Ne abbiamo 18, due gestite direttamente dalla diocesi. Ci sono poi gli ospedali, dove curiamo tutti i più bisognosi, senza guardare a fede e etnia. Quello di Port Said è l’unico ospedale cattolico nella parte orientale dell’Egitto”.

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D. R. - M. R. V.

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La solennità di san Lorenzo nelle parole dell’arcivescovo Bassetti https://www.lavoce.it/la-solennita-di-san-lorenzo-nelle-parole-dellarcivescovo-bassetti/ Thu, 13 Aug 2015 12:48:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42474 San Lorenzo
San Lorenzo

Nella solennità di san Lorenzo, primo diacono della Chiesa, santo cui è dedicata la cattedrale di Perugia, il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, nella messa della vigilia ha ordinato sette diaconi permanenti provenienti da sette comunità parrocchiali: Francesco Buono e Gian Mauro Maggiurana da Tavernelle; Giovanni Brustenghi dal Castiglione della Valle; Lanfranco Cipolletti da Cerqueto di Marsciano; Francesco Germini da Pila; Aristide Bortolato da Pierantonio; Luigi Fioroni da San Barnaba in Perugia.
Il giorno dopo il Cardinale ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica delle ore 11.30 in cattedrale, concelebrata come ogni anno da una folta rappresentanza di sacerdoti provenienti dai cinque continenti che a Perugia studiano l’Italiano.

Qui di seguito il testo dell’omeliatenuta dal Cardinale nel giorno della solennità, il 10 agosto scorso:

All’inizio di questa celebrazione, m’è caro salutare le autorità di ogni genere e grado, e, soprattutto, i sacerdoti di altre nazionalità che, per motivi di studio, sono presenti nella nostra Diocesi e nella nostra città. Voi, carissimi presbiteri, rendete presente fra noi quella Chiesa della Pentecoste, nata 50 giorni dopo la Pasqua del Signore, che canta ed esprime le meraviglie dello Spirito. Perugia possa essere sempre nei vostri confronti Chiesa e città accoglienti.

Carissimi, festeggiare il Santo Patrono è come festeggiare un padre, un fratello, un amico – San Lorenzo è uno dei santi più venerati nella Chiesa: il suo culto è antichissimo.

Per la Chiesa è sempre tempo di martirio

L’immagine del diacono Lorenzo, con gli strumenti della sua passione, che oggi veneriamo, ci rimanda ai tempi lontani, in cui i cristiani venivano perseguitati e condannati ad atroci supplizi. Purtroppo per la Chiesa è sempre tempo di martirio. Più di quattromila sono i cristiani uccisi fra il 2013 e il 2014 per motivi legati alla loro fede. Sessantamila cristiani sono imprigionati nei campi di detenzione della Corea del Nord. Più di mille chiese sono state attaccate da estremisti dell’Islam. Più di cento sono i Paesi del mondo in cui si registra un crescente disprezzo per la libertà religiosa.

Secondo l’ultimo Dossier della Caritas, almeno cento milioni di cristiani sono perseguitati e lottano per la fede. L’intolleranza religiosa, come ben sapete, sta purtroppo crescendo. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a questi fatti che scuotono la nostra coscienza di uomini e di cristiani e non possiamo non farci carico delle sofferenze di tanti fratelli e sorelle.

Affrontare insieme alle Istituzioni civili il fenomeno migratorio e dei profughi

Un altro fenomeno dei nostri giorni: il problema migratorio e quello dei profughi. Gente costretta a lasciare la propria terra e consegnarsi nelle mani di trafficanti senza scrupoli, che si servono di essi come di merce da trasporto. In poco più di sette mesi, in migliaia hanno trovato la loro tomba nel Mar Mediterraneo. Fra questi, tante donne e bambini. Il Santo Padre ha parlato chiaramente: “Respingere i migranti? Questa è guerra! Pensiamo a quei fratelli partiti dalla Birmania… sono cacciati da un Paese all’altro e vanno per mare… quando arrivano in un porto o su una spiaggia – sono parola di Papa Francesco – danno loro un po’ d’acqua e un po’ da mangiare e li ricacciano in mare! Questo, dice il Papa, è un conflitto non risolto, questa è guerra, questa si chiama violenza, si chiama uccidere…”.

Cari Fratelli e Sorelle, noi vogliamo essere Chiesa solidale e vogliamo esprimere secondo le nostre possibilità un’accoglienza generosa e concreta, impegnandoci come Caritas e con l’aiuto delle Istituzioni locali, che regolano i flussi dei migranti.

Siamo chiamati ad amare i fratelli, soprattutto i più poveri del mondo

San Lorenzo, nostro celeste patrono aiuti tutti noi a vivere e a consolidare la civiltà dell’amore costruita in due millenni di cristianesimo e fondata sul Vangelo. Essa, non è compito solo di pochi esperti e non riguarda solo gli addetti ai lavori, ma è un dovere di tutti, ognuno per la sua parte. Cresca nei nostri cuori il fuoco della carità che infiammò san Lorenzo, il quale, caduto in terra come un seme, ci dice oggi che la misura definitiva del nostro essere amati da Dio è soltanto quella  dell’amore verso i fratelli. Siamo chiamati ad amare i fratelli, soprattutto i più poveri del mondo, con quell’amore commovente e misterioso con cui ci ama Gesù. Amare per un cristiano significa dare vita, dare gioia, comunicare speranza.

La gente è stanca di attendere e di ascoltare tante promesse

Nell’omelia di ieri sera, durante l’ordinazione di sette diaconi, citavo le parole del Vangelo: “Gesù vedendo le folle che erano stanche ne sentì compassione”, sottolineando come anche oggi sia importante vedere le “folle stanche”.

Oggi il nostro popolo è stanco, spesso sfiduciato e demotivato… La gente è stanca di attendere e di ascoltare tante promesse, che spesso non vanno oltre le parole. I giovani sono stanchi, li vedo spesso depressi e umiliati, cercano un senso alto per la vita, un lavoro, e non hanno chi possa indicare loro la strada, chi possa essere da faro affinché la loro fragile imbarcazione arrivi sicura al porto dell’esistenza.

Sono stanche le coppie di sposi e sentiamo sempre più frequentemente di coppie che divorziano o si separano. Come vorrei che le giovani coppie potessero carpire la bellezza dell’amore sponsale e coniugale, dell’amore genitoriale e della fatica di essere padre e madre, non tanto perché si mette al mondo una vita, ma perché la si accompagna pazientemente, perché la si educa ascoltandola, formandola, fino a lasciare i figli liberi, liberi della libertà di Dio, capaci di scelte grandi, positive e belle.

Potessero davvero comprendere gli sposi cristiani che la loro primaria vocazione è quella di trasmettere l’icona del nome di Dio: Dio è amore e proprio la coppia uomo-donna, unita nel sacramento del matrimonio, rivela questa identità di Dio.

Un padre di cinquanta anni minacciato di sfratto è quel sacramento di Cristo che san Lorenzo aveva colto nei poveri

Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Mons. Oscar Romero: oggi beato e martire della Chiesa. Otto giorni prima di morire ha concluso una sua omelia con queste parole: “Se vedessimo che è Cristo, l’uomo bisognoso, l’uomo torturato, l’uomo prigioniero, l’uomo ucciso, Lui in ogni persona umana calpestata così indegnamente lungo le nostre strade, vedremmo in questo Cristo calpestato una moneta d’oro che si raccoglie con cura e si bacia, né certo ci vergogneremmo di Lui”.

Un padre di cinquanta anni, con quattro figli, minacciato di sfratto, come mi è capitato di incontrare in questi giorni, non è forse anche lui sacramento di Cristo, segno della sua misteriosa presenza, proprio quel sacramento che Lorenzo aveva colto nei poveri? San Lorenzo, diacono, martire, nostro celeste patrono, aiutaci ad amare Cristo, i poveri e la Chiesa, che tu ha fecondato con il tuo sangue! Amen!

 

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Santa Chiara: un esempio di vita ancora attuale https://www.lavoce.it/santa-chiara-un-esempio-di-vita-ancora-attuale/ Thu, 13 Aug 2015 12:18:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42473 Santa Chiara in preghiera con le sue suore, affresco, chiesa di San Damiano, Assisi
Santa Chiara in preghiera con le sue suore, affresco, chiesa di San Damiano, Assisi

Martedì 11 agosto in occasione della solennità di santa Chiara si è tenuta, presso la basilica dedicata alla Santa di Assisi, la concelebrazione solenne presieduta dal cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

La cerimonia animata dal coro dei “Cantori di Assisi” ha visto la partecipazione delle massime autorità civili e militari.

Il cardinale Robert Sarah durante l’omelia, dopo aver ringraziato innalzando un canto di lode al Signore per esprimere la sua gioia nell’essere presente alla celebrazione dedicata alla Santa, ha posto l’attenzione sulla Parola di Dio e sull’Eucaristia affermando che “non possiamo farne a meno per vivere in pienezza la nostra esistenza. Nella vita di Santa Chiara – ha aggiunto – hanno avuto un ruolo fondamentale; sono stati i suoi due grandi pilastri. Santa Chiara ha cercato di vivere il Vangelo sull’esempio del Poverello di Assisi, lei desiderava rendere la sua vita conforme all’ideale evangelico proposto da Gesù; voleva vivere per Gesù, in Gesù e come Gesù stesso ha vissuto.

Partendo dalla Parola di Dio e da un rapporto intenso con Gesù Eucaristia santa Chiara ha modellato tutta la sua vita desiderando di essere la sposa di Cristo a cui era legata intimamente. La povertà per santa Chiara e san Francesco è stata la strada maestra per poter vivere pienamente il Vangelo imitando Cristo che è stato povero dalla nascita fino alla morte – ha poi suggerito il cardinale  – siamo tutti chiamati a seguire Gesù povero, umile, spogliato di ogni privilegio”.

Infine il cardinale Sarah ha ricordato, affidandoli a Dio, tutti i cristiani perseguitati e ha rivolto a tutti i fedeli l’augurio di far crescere come in santa Chiara l’amicizia con Gesù tramite la preghiera e l’adorazione. Durante la cerimonia sono stati portati sull’altare due cesti, uno contenente i ceri e l’altro i libri delle lodi e dei vespri offerti dalle suore clarisse.

 

 

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In fuga dall’orrore https://www.lavoce.it/in-fuga-dallorrore/ Thu, 06 Aug 2015 09:18:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42057 Profughi in fuga dagli attacchi dell’Isis
Profughi in fuga dagli attacchi dell’Isis

Un anno fa, 120 mila cristiani abbandonavano la Piana di Ninive in fuga dall’Isis. “Nei primi otto mesi dall’invasione dello Stato islamico, abbiamo perso dodici consorelle. Il loro cuore non è riuscito a sopportare tanta sofferenza”.

Così suor Justina, delle Domenicane di santa Caterina da Siena, riassume ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) il dramma vissuto da tante religiose costrette a fuggire dal sedicente Califfato.

Suor Justina è rientrata in Iraq dall’Italia un anno e mezzo fa. Il convento dove viveva vicino a Pisa è stato chiuso e lei è tornata ad Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno.

Appena in tempo per assistere all’esodo di 120 mila cristiani che nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014 hanno abbandonato la Piana di Ninive per trovare rifugio in Kurdistan.

“È impossibile descrivere – dice – quanto è accaduto in quei giorni. Intere famiglie hanno perso tutto”. Assieme ai profughi, alla casa delle Domenicane di Ankawa sono giunte anche molte consorelle fuggite dalle città e dai villaggi caduti in mano all’Isis. Tra loro suor Lyca, che racconta le dieci interminabili ore di viaggio verso Erbil.

Per tutta la giornata del 6 agosto, mentre molti altri abitanti di Qaraqosh erano già fuggiti, le religiose sono rimaste nel villaggio cristiano per sostenere i fedeli terrorizzati. “Speravamo che la minaccia sarebbe durata soltanto alcuni giorni – ricorda – ma quando i peshmerga hanno smesso di difenderci, abbiamo capito che non c’era più alcuna speranza”.

Le religiose hanno lasciato il convento alle 11.30 di sera. In condizioni normali sarebbe stata sufficiente un’ora per raggiungere Erbil, ma le strade erano invase da macchine e famiglie in fuga e le religiose hanno camminato fino al mattino seguente, senz’acqua e con una temperatura di oltre 40 gradi.

“In marcia ai bordi della strada vi erano migliaia e migliaia di persone, mentre ogni macchina ospitava almeno dieci passeggeri”. Nonostante lo shock, appena giunte ad Ankawa le suore si sono messe al servizio dei rifugiati: dall’assistenza nei campi profughi alla gestione dei dispensari, alla pastorale giovanile.

Alcune di loro vivono in uno dei container donati da Acs ai profughi cristiani. “Ci impegniamo soprattutto – dichiara suor Diana – a garantire un’educazione ai ragazzi. Facciamo del nostro meglio, ma purtroppo non è abbastanza. L’Isis sta uccidendo il nostro futuro, perché, se questa generazione non riceverà un’istruzione, non ve ne sarà un’altra”.

Nei giorni scorsi la Fondazione Acs ha approvato due nuovi progetti: un contributo di 2 milioni di euro per finanziare sei mesi affitto di alloggi per i rifugiati cristiani, e uno di 690 mila euro per l’acquisto di pacchi viveri per 13 mila famiglie cristiane in Kurdistan.

 

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Incontro testimonianza sui cristiani in Siria https://www.lavoce.it/incontro-testimonianza-sui-cristiani-in-siria/ Wed, 15 Jul 2015 14:08:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39071 Un momento dell’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”
Un momento dell’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”

L’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”, tenutosi a Todi l’11 luglio, nasce da un’idea di Marcello Rinaldi, direttore della Caritas diocesana, per gettare luce sulla drammatica situazione dei cristiani in quell’area del Medio Oriente.

Per due ore e mezzo la sala del Trono del palazzo vescovile di Todi si è trasformata in uno spazio di riflessione e di condivisione di testimonianze e reportage, che hanno visto protagonisti Ayman Haddad, ingegnere e docente di Lingua e cultura araba, e Gian Micalessin, giornalista e reporter di guerra.

La tavola rotonda si è aperta con le parole del vescovo mons. Benedetto Tuzia, che ha ricordato l’importanza del “polmone” siriaco della Chiesa, oltre a quello latino e bizantino.

A seguire, don Marcello Cruciani, parroco del Ss. Crocifisso, ha presentato un quadro, tanto interessante quanto ai più sconosciuto, sulla cristianizzazione dell’Umbria da parte dei monaci siriaci nei primi secoli della diffusione del cristianesimo.

L’atmosfera si è caricata di pathos e commozione durante la vibrante testimonianza dell’ing. Haddad. La sua recente esperienza in Siria, centro del suo intervento, ha permesso di comprendere aspetti toccanti della vita dei siriani e in particolare della comunità cristiana, di cui fanno parte i suoi parenti e amici.

In uno scenario di devastazione, in una Damasco martoriata e soffocata dai check-point, i cristiani non tradiscono il loro messaggio di fede e fanno della speranza il loro baluardo quotidiano. Il loro attaccamento ai riti e alle tradizioni li rende paladini di Cristo nelle avversità.

La solidarietà è la cifra del vivere cristiano; la forza della comunità è proprio la comunione di spirito nel dolore, dal momento che a Damasco ogni famiglia cristiana conta almeno un lutto. Sono i quartieri cristiani, infatti, a essere presi di mira dai mortai dei jihadisti. I cristiani di Siria sono i martiri di oggi, che scelgono di non rinnegare il nome di Cristo di fronte alla minaccia di morte.

Essere “martire” significa, in greco, essere “testimone”: questo spinge la maggior parte di loro a non andarsene e a mantenere salde le radici di un ulivo, quello del cristianesimo, che non può essere sradicato ma che può solo portare i suoi frutti altrove.

Poi l’illustrazione del conflitto in tutta la sua storicità da parte di Gian Micalessin che, attraverso i suoi reportage dal sapore unico, ha delineato un vivido quadro della situazione geopolitica del conflitto siriano a partire dai suoi albori. L’esperienza diretta di chi dall’esterno è andato alla ricerca della verità, di chi ha ascoltato testimoni e ha riconosciuto nei loro occhi gli occhi della guerra, ha reso estremamente sentita la partecipazione dei presenti.

La rischiosissima visita a Maaloula, città martire cristiana in cui si parla ancora oggi l’aramaico, e le impressionanti riprese, scandite dal sibilo dei proiettili dei cecchini, in una Aleppo devastata dai colpi di mortaio dei jihadisti, hanno mostrato con la drammaticità e la potenza dell’immagine ciò che significa vivere oggi in Siria.

Le parole del vicario apostolico di Aleppo mons. George Abu Khazen sono un monito a tutti i cristiani d’Occidente: “Guai a un Medio Oriente senza cristiani!”. Ciò rappresenterebbe un’inestimabile perdita per l’Europa e per il mondo. Un rischio che dovrebbe scuotere dall’indifferenza l’Occidente, così attento alla storia, e allo stesso tempo potenziale vittima del miopismo e della superficialità.

A tale incontro, che ha messo in risalto l’inevitabile comunanza di destino che lega i popoli del mondo, non poteva non seguire una serata all’insegna della valorizzazione dello scambio tra culture. Il tema “Una sola famiglia umana – Incontro tra i popoli” ha infatti animato la cena multiculturale organizzata presso l’istituto Crispolti dalla Caritas diocesana e dall’associazione Matavitau in occasione della campagna mondiale inaugurata da Papa Francesco “Cibo per tutti”. Evento dal clima festoso, ha fornito a tutti i partecipanti la prova che la conoscenza delle altre culture passa anche dall’alimentazione, necessità comune a tutti gli uomini.

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Un anno vissuto nel terrore https://www.lavoce.it/un-anno-vissuto-nel-terrore/ Wed, 01 Jul 2015 12:54:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37089 Militanti Isis presso la provincia irachena di Salahuddin (foto AFP)
Militanti Isis presso la provincia irachena di Salahuddin (foto AFP)

Si trasforma in tragedia anche una vacanza sulle spiagge della Tunisia. È ancora presto per dire se e in che misura sia coinvolto il gruppo terrorista Stato islamico (Isis), ma – a distanza di un anno esatto dalla proclamazione del sedicente Califfato – l’Isis è diventato una minaccia globale, intravista dietro ogni attentato che sia feroce e attuato da kamikaze.

Prima, lo “spettro che si aggirava per il mondo” era Al Qaeda; ora ci si chiede se le due formazioni confluiranno in una. (A noi occidentali potrà sembrare che l’estremismo islamico sia tutto uguale ma, di fatto, solo di recente Al Qaeda e Isis hanno cominciato a cercare vie di collaborazione).

Un anno. Riprecorriamo brevemente i fatti. Il 29 giugno 2014, Ibrahim al-Badri, ossia Abu Bakr al-Baghdadi, proclamò la nascita del Califfato in un territorio compreso tra Siria e Iraq, conquistato dalle milizie fondamentaliste dell’Isis, che era emerso alla luce un po’ prima.

Mosul, Ramadi, Raqqa, Palmira sono alcune delle località su cui ora sventola il vessillo nero del Califfo. Da quel momento una lunga scia di sangue: dal Maghreb al Mashreq, dal Golfo arabico fino all’Afghanistan, jihadisti di varie provenienze hanno espresso fedeltà al califfo Al Baghdadi.

Le stragi contro le minoranze irachene yazide e cristiane, l’uso sistematico dello stupro, della tortura, della pena di morte, dei rapimenti, sono i mezzi abituali con cui i “miliziani neri” impongono la loro supremazia alle popolazioni conquistate. Il tutto, seguendo passo dopo passo un dettagliato manuale di guerra rimasto segreto fino a poco fa, poi rivelato da un’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel.

A fare da cassa di risonanza mondiale per il movimento terrorista sono state le decapitazioni di prigionieri occidentali, a cominciare dal giornalista americano James Foley il 19 agosto 2014. Il bilancio delle vittime sale giorno dopo giorno: alcune stime lo fissano in almeno 15 mila morti, e va ricordato che la maggioranza di loro erano musulmani. L’Isis non combatte l’Occidente, combatte tutto ciò che non coincide con se stesso. Le minacce si sono estese all’Occidente: “Arriveremo a Roma” ha annunciato tempo fa il Califfo.

I Governi sembrano aver sottovalutato il fenomeno almeno fino a stragi come quella di Charlie Ebdo a Parigi, o al Museo del Bardo a Tunisi.

I cristiani delle aree occupate dall’Isis sono in una situazione disperata. Giorni fa, tra gli altri, il senatore John McCain e Tony Perkins, presidente del Family Research Council americano, hanno rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che la strategia di Usa e Europa non sta minimanente fermando i massacri dei fedeli in Cristo.

I miliziani – hanno denunciato – “stanno commettendo feroci atrocità contro le comunità cristiane in Siria e in Iraq, preseguitando le minoranze religiose e distruggendo intere città, intere economie locali. I cristiani fuggono dalle loro case in numero sempre più grande, creando una crisi migratoria esplosiva che avrà pesanti ripercussioni sulla stabilità e sicurezza dell’intera area”.

Dopo un anno, l’Occidente – e non solo – si ritrova a dover prendere misure per salvaguardare la sicurezza interna dalle minacce dei terroristi, che trovano reclute direttamente sul territorio: vedi i killer di Charlie Ebdo, vedi il killer tunisino, che lavorava come animatore di spiaggia.

Sostanzialmente, bravi ragazzi, disagiati per vari motivi, che vengono “assunti” per uccidere, come fanno le mafie in Italia. È lecito, chiedersi che cosa si stia facendo per evitare che le nuove generazioni musulmane conoscano solo odio religioso e intolleranza. Non saranno certo gli aerei della Coalizione a mettere la parola “fine” allo Stato islamico.

 

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La grande tribolazione https://www.lavoce.it/la-grande-tribolazione/ Tue, 16 Jun 2015 14:58:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36015 Domenico-Cancian-incontroLa comunità tifernate si è fermata a riflettere e pregare sulla difficile situazione dei cristiani perseguitati nel mondo. L’occasione è stata quella dell’incontro di lunedì scorso presso la sala Santo Stefano del palazzo vescovile, che ha visto ospiti il vescovo mons. Domenico Cancian, Franco Ciliberti e Stefano Bravi.

L’iniziativa risponde all’invito rivolto dal Papa alla Chiesa locale a prendersi cura di ogni ferita come un “ospedale da campo”. Durante la serata si sono alternati momenti di preghiera, canti e riflessioni su un argomento di grande attualità, con un pregresso storico che lo vede da sempre sulla cresta del dibattito politico, culturale e interreligioso.

La Storia riporta una serie nutrita di eccidi e stragi che hanno avuto a oggetto i cristiani, laici e religiosi, nel corso degli ultimi duemila anni, fino ai giorni nostri, con un parallelismo che accomuna tra loro eventi lontani migliaia di anni e avvenuti in molte parti del mondo.

La minaccia alla libertà religiosa rappresenta una minaccia per tutti gli altri diritti civili; nasconde generalmente interessi politici e, ancor più spesso, economici. Da qui la necessità, ha detto Ciliberti , di tenere viva la memoria della figura dei martiri di tutti i tempi, anche se, ai nostri giorni, sembra che le coscienze si siano assopite, vittime del relativismo culturale.

Nella seconda riflessione, Bravi ha preso spunto dall’Apocalisse, là dove Giovanni parla di “quelli che vengono dalla grande tribolazione… Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. Così i martiri perseguitati e uccisi per la loro fede sono testimonianza della resurrezione di Cristo e della salvezza dell’uomo.

A concludere la serata è stato il vescovo mons. Cancian che ha voluto affrontare l’argomento considerando come Gesù si sia relazionato con la violenza e la persecuzione dei suoi tempi. Ha citato le Beatitudini, indicando nei miti e misericordiosi coloro che hanno un atteggiamento positivo, coloro che non fanno del male, che non cedono all’istinto della violenza. Gesù chiama beati anche gli operatori di pace che si adoperano attivamente in tal senso e i perseguitati che, anche se vittime di violenza, considerano la loro persecuzione come fonte di beatitudine. “Gesù – dice mons. Cancian – è il Giusto per eccellenza, è perseguitato fino alla morte con grande accanimento soprattutto nei giorni della Passione. Ciò testimonia come il progetto di salvezza dell’uomo passi attraverso la persecuzione di Gesù”.

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Non si vede la luce in fondo al tunnel https://www.lavoce.it/non-si-vede-la-luce-in-fondo-al-tunnel/ Thu, 11 Jun 2015 10:15:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35391 Cristiani a Mosul
Cristiani a Mosul

Gli edifici pubblici rivestiti di nastri e addobbi. Festoni sulle strade principali piene di miliziani. Ma anche moschee fatte saltare in aria, donne costrette a coprirsi completamente, scuole vuote e quartieri cristiani deserti.

Così, a un anno esatto dall’occupazione dell’Isis, si presenta Mosul, la seconda città irachena, oggi nella morsa del califfo Abu Bakr al Baghdadi. La sua caduta rappresenta uno dei momenti focali dell’avanzata dello “Stato islamico” in Iraq e in Siria, e ha portato la comunità internazionale a reagire avviando, sotto l’egida Usa, bombardamenti nei territori occupati.

Sono di martedì 9 giugno le immagini, riprese segretamente nel corso del 2014, clandestinamente fatte uscire dalla città e quindi trasmesse dalla Bbc, in cui residenti locali parlano delle regole severissime imposte dall’Isis secondo un’interpretazione ferrea della sharia , la legge islamica.

Si apprende così che “la punizione minima è la fustigazione, che può essere applicata anche se si viene sorpresi a fumare. Il furto è punito con l’amputazione di una mano, l’adulterio di un uomo gettandolo dall’alto di un edificio, di una donna con la lapidazione. Le esecuzioni avvengono in pubblico per intimidire la gente, che spesso è obbligata ad assistere”.

Altre testimonianze riferiscono che “le donne possono uscire di casa solo se accompagnate da un familiare maschio e completamente coperte, compresi viso e mani”. In un video si vedono moschee sciite e sunnite fatte saltare in aria al grido di Allah akbar (“Dio è grande”), solo perché mete di pellegrinaggi considerati “idolatri”.

Terrore e violenza bloccano la città, dove scarseggia il carburante e la ricostruzione stenta a partire. Per non parlare dell’inquinamento e del degrado che aumentano a vista d’occhio. Deserte le aule scolastiche. I genitori hanno ritirato i figli per evitare che subiscano l’indottrinamento dei miliziani. Ma i timori della popolazione di Mosul non si fermano allo Stato islamico. L’altra grande paura dei residenti è che, se le milizie sciite dovessero arrivare a Mosul insieme alle truppe dell’esercito regolare di Baghdad, queste potrebbero lasciarsi andare a rappresaglie contro la popolazione sunnita, come accaduto a Tikrit, strappata nei mesi scorsi all’Isis.

Non ha visto le immagini della Bbc, mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, ma commenta: “Non mi direbbero nulla di nuovo. Distruzione, violenza, terrore, persecuzione come mai fino a oggi. È quello che stiamo vivendo ormai da anni, e con lo Stato islamico la situazione è peggiorata. E non parlo solo di Mosul. Quelli dell’Isis sono dei veri barbari”.

La mente del vescovo corre alla vicina Piana di Ninive, un tempo popolata di villaggi cristiani e “oggi ridotta a una landa desolata”. Mons. Warduni parla da uno dei villaggi a nord della Piana, “dove manca tutto, acqua, medicine, cibo, mezzi di trasporto… Sa qual è la nostra sofferenza più grande? Non sapere dov’è la comunità internazionale, non capire perché si permette di distruggere una storia cristiana lunga duemila anni. Il mondo se ne infischia di questa storia, e una parte di esso continua a vendere armi all’Isis e alimentare la guerra, diventando complici della nostra sciagura”.

Le scuole chiuse di Mosul, le case dei cristiani marchiate con la “N” nera, famigerata “lettera scarlatta” con cui il Califfato marchia i nasrani, ovvero i cristiani seguaci del Nazareno, l’indottrinamento violento, gli abusi, gli espropri, le torture e le esecuzioni sommarie: “Chi avrebbe mai pensato che un giorno ci saremmo trovati in questa condizione?”, chiede mons. Warduni.

“La cosa più grave è che non vediamo la luce in fondo al tunnel, il buio più pesto ci avvolge, ci stringe, ci impedisce di avanzare. Siamo circondati dalla disperazione, dalla paura. Siamo stanchi”. Eppure la Chiesa irachena, nelle sue diverse componenti, continua il suo sforzo “di stare accanto ai fedeli rimasti grazie agli aiuti che altre Chiese e organismi di solidarietà ci recapitano. Li ringraziamo per questo. Purtroppo l’esodo dei cristiani è continuo, è un’emorragia che, se continua, così ci porterà alla morte. Non ci saranno più cristiani in Iraq. Tutto, nell’indifferenza di molti della comunità internazionale. Questo ci fa molto male. L’unico rifugio vero per noi è confidare nella preghiera, nella certezza che Dio è al nostro fianco”.

 

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La vera ricchezza della Chiesa https://www.lavoce.it/la-vera-ricchezza-della-chiesa/ Wed, 27 May 2015 13:46:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34282 L'albero dei carismi durante la veglia di Pentecoste
L’albero dei carismi durante la veglia di Pentecoste

La benedizione del fuoco e le sette lampade simboleggianti i doni dello Spirito, portate all’altare dai religiosi e religiosi delle famiglie presenti in diocesi: un segno di comunione nella Veglia di Pentecoste, che ha unito in un incontro di partecipata preghiera i gruppi, associazioni e movimenti della diocesi.

“La Pentecoste – ha detto il vescovo Piemontese – è il compimento della nostra esperienza del Signore risorto, che ci accompagna nella missione e nella testimonianza in tutta la nostra vita.

È la realtà della Chiesa arricchita di doni e carismi vari, che ammiriamo nei volti dei nostri fratelli, ognuno dei quali, diverso dagli altri, manifesta un aspetto particolare dello Spirito santo.

In questa Veglia siamo invitati a compiere questa esperienza nella nostra Chiesa particolare che, come quella universale, è comunione e missione.

Espressioni che identificano la nostra realtà, che vogliono essere la prospettiva nella quale intendiamo muoverci come Chiesa, riprendere il nostro cammino, intensificando la comunione tra carismi diversi, tra doni: della vita consacrata, gruppi, movimenti, associazioni, particolari cammini di spiritualità, tutti verso il Signore per abbracciare il Signore ispirati, illuminati e accompagnati dallo Spirito santo. E tutti pronti per la missione di annunciare il Vangelo ai nostri giorni e alle nostre comunità”.

La Veglia ha unito le diverse realtà ecclesiali che hanno simbolicamente appeso a un albero spoglio le “foglie” dei loro carismi per dare linfa nuova alla Chiesa, nella quale essenziale è l’apporto dei laici. “Nelle scelte pastorali – per citare Papa Francesco – la sensibilità ecclesiale (che è appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo: di umiltà, compassione, misericordia, concretezza, saggezza) si esplica nel rinforzare l’indispensabile ruolo dei laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono. Laici che non dovrebbero avere bisogno del vescovo-pilota o di input clericali per assumersi le loro responsabilità come battezzati”.

Nella Veglia si è pregato anche per i cristiani perseguitati perché – ha concluso il Vescovo – con l’aiuto dello Spirito “vivano la testimonianza senza la paura costante di essere uccisi”; perché lo Spirito “converta il cuore di tanti persecutori; perché ispiri nella Chiesa carismi generosi che si dedichino a costruire la comunione che impegnino nella missione. Perché tutti possiamo essere felici di essere cristiani”.

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Una Veglia di Pentecoste dal forte significato ecumenico https://www.lavoce.it/una-veglia-di-pentecoste-dal-forte-significato-ecumenico/ Tue, 26 May 2015 12:23:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34096 La cattedrale di s. lorenzo durante la veglia di pentecoste
La cattedrale di s. lorenzo durante la veglia di pentecoste

“La notte di Pentecoste, dopo quella di Pasqua, è la più importante di tutto l’Anno liturgico, perché in questa notte ricordiamo la discesa dello Spirito Santo, che è già presente nel mondo e nella storia degli uomini ancor prima di Gesù. Soprattutto dopo la morte e la risurrezione del Figlio di Dio, lo Spirito Santo è il grande protagonista della storia della Chiesa e dell’umanità. Ogni volta che noi l’invochiamo, anche nella nostra preghiera personale e non soltanto in questo momento così solenne della notte di Pentecoste o della celebrazione del sacramento della Cresima, lo Spirito discende su di noi e ci dà quella forza per vivere da figli di Dio; ci dà quella capacità di rispettare in noi stessi e negli altri la dignità dei figli di Dio”.

Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti all’inizio dell’omelia della Veglia di Pentecoste in una gremita cattedrale di San Lorenzo in Perugia, sabato 23 maggio. La Veglia, per intenzione di papa Francesco, è stata dedicata al ricordo dei cristiani martiri nel mondo.

“Questa notte celebriamo anche il ricordo di tanti fratelli martiri di tutte le confessioni cristiane, perché quando ti uccidono – ha commentato il cardinale – non ti domandano se sei cattolico, ortodosso, copto, protestante, … Non gli importa niente, ti uccidono perché sei di Cristo. Ma questo è anche il momento della nostra forza, come dice Gesù, perché sarà proprio in quel momento che, anche se vi dovesse capitare il martirio, voi mi darete la vostra testimonianza e potranno anche uccidere il vostro corpo, ma nessuno può fare qualche cosa contro di voi perché voi siete di Cristo”.

“Mi torna sempre in mente – ha proseguito il porporato – l’episodio di una mamma irachena di famiglia cristiana, che le avevano ucciso un figlio. La donna, rispondendo alla domanda di un altro figlio –  ‘che cosa faresti se incontrassi per strada colui che ha ucciso mio fratello?’ -, disse: ‘lo lo perdonerei, perché l’ho già perdonato e poi l’inviterei in casa e gli direi: tu hai creduto di farci del male, ma di fatto tu hai aiutato mio figlio ad andare in Paradiso’. Questa è la fede dei cristiani, questa è la testimonianza dei cristiani, questa è la forza dei cristiani che viene dallo Spirito”.

“Per chi crede nello Spirito Santo – ha evidenziato il cardinale – non esistono mai situazioni senza ritorno, perché lo Spirito alimenta in noi la speranza e in questo senso il cristiano è sempre ottimista. Come dicevo prima, ti potranno anche togliere la vita, ma non ti toglieranno mai la parte più vera, più profonda di te stesso, che è la tua coscienza, il tuo spirito, la tua capacità di amare e di donarti”.

La giovane cristiana palestinese che ha portato la sua testimonianza in cattedrale
La giovane cristiana palestinese che ha portato la sua testimonianza in cattedrale

E’ stata una Veglia di preghiera, promossa dalla Consulta diocesana delle aggregazioni laicali, che ha visto anche la toccante testimonianza di una giovane universitaria “cristiana palestinese araba”. Così si è definita Eliana di Betlemme, che studia Economia aziendale a Perugia, nel prendere la parola al termine della Veglia di Pentecoste, durante la quale il cardinale Bassetti ha impartito il sacramento della Cresima a diciannove adulti, tra i quali diversi giovani universitari che ha conosciuto personalmente anche attraverso alcune loro lettere.

 “La nostra unica  ‘arma’ è la preghiera”

Eliana ha raccontato la sua storia, quella di tanti cristiani di Terra Santa che ogni giorno che riescono a trascorrere con non poche privazioni e sofferenze ringraziano il Signore. È proprio la fede che li sostiene nella vita quotidiana, aiutandoli a proteggere i luoghi Santi e a non abbandonarli.

Ha parlato del costante esodo dei cristiani dalla Palestina, dove oggi sono appena l’uno per cento della popolazione, perché vittime di una guerra infinita tra palestinesi e israeliani. Ma lei, una volta terminati gli studi, ritornerà in Palestina perché prova dolore al pensiero che un giorno nessuno resterà a proteggere i luoghi in cui nacque Gesù, anche se è duro viverci. Il muro, costruito dagli israeliani, impedisce anche ai cristiani di muoversi liberamente da una località all’altra. Ad esempio, Eliana non può andare a pregare a Gerusalemme o a Nazareth e questo le fa molto male, ma non si dispera perché ha fede, una fede che ha vissuto fin da piccola.

La giovane palestinese ha chiesto “tante preghiere per i cristiani che soffrono in Terra Santa e in tutto il mondo. La nostra unica ‘arma’ – ha detto con voce commossa – è la preghiera. Ci possono togliere la libertà, ma non la fede”. Ha anche ricordato quanto i cristiani di Terra Santa sono impegnati per costruire la pace, ma, essendo una piccola minoranza, non hanno voce. Al riguardo, ha fatto un appello: “state vicino ai cristiani che soffrono, perché oggi gridano e hanno bisogno del vostro ascolto. Noi cristiani dobbiamo essere uniti, perché un domani altri fratelli possono trovarsi nella nostra situazione”.

 Cinquanta lumini in segno di “Solidarietà con i cristiani perseguitati nel mondo”

La Veglia di Pentecoste in San Lorenzo ha avuto un forte significato ecumenico nel pregare per tutti i cristiani perseguitati, vissuta con la comunità ortodossa romena e recitando il Padre Nostro anche in arabo. Si è poi conclusa con l’accensione di cinquanta lumini, quanti sono i Paesi dove i cristiani soffrono e sono in pericolo di vita per la loro fede, collocati all’esterno della cattedrale sotto un lungo striscione bianco con scritto in rosso: “Solidarietà con i cristiani perseguitati nel mondo”.

 

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Vieni, spirito di pace! https://www.lavoce.it/un-legame-forte/ Thu, 21 May 2015 10:29:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33807 Kalkar-pentecosteA tutte le comunità cattoliche – non solo italiane – la Presidenza della Cei propone di dedicare la Veglia di Pentecoste (23 maggio) ai martiri contemporanei, alla tragedia di tanti cristiani e tante persone i cui diritti fondamentali alla vita e alla libertà religiosa vengono sistematicamente violati.

“Esiste un legame forte – afferma il testo, citando Papa Bergoglio – che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano… Questa situazione – prosegue la Cei – ci interroga profondamente e deve spingerci a unirci, in Italia e nel mondo, in un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza con questi nostri fratelli e sorelle. Imploriamo il Signore, inchiniamoci davanti al martirio di persone innocenti, rompiamo il muro dell’indifferenza e del cinismo, lontano da ogni strumentalizzazione ideologica o confessionale”.

Da qui appunto “la proposta di dedicare, in Italia e in tutte le comunità del mondo che vorranno aderire, la prossima Veglia di Pentecoste ai martiri nostri contemporanei. A questo scopo si sta inoltre lavorando a un progetto di diffusione – attraverso i social media – di testimonianze e storie, dai diversi Paesi: racconti di fede e di amore estremo, eventi di condivisione, fatti di carità. Sono moltissimi i cristiani e gli uomini di ogni confessione capaci di testimoniare l’amore a prezzo della vita. Tale testimonianza non può passare sotto silenzio, perché costituisce per tutti una ragione di incoraggiamento al bene e di resistenza al male”.

Corea-cristianiIl Vaticano e le Chiese cattoliche d’Europa – tramite il loro organismo Ccee – a loro volta hanno esortato l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) “ad agire in modo chiaro” contro l’intolleranza e i “crimini d’odio” verso i cristiani, e a proteggerli nei loro territori, giacché in alcune regioni essi subiscono persecuzioni per le quali “si potrebbe anche parlare di tendenze genocide”.

Dalla conferenza sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani promossa il 18 maggio a Vienna dall’Osce è infatti emersa “l’importanza di rafforzare gli sforzi per prevenire e combattere l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani nella regione, concentrandosi sui crimini ispirati dall’odio, l’esclusione, l’emarginazione e la negazione dei diritti”.

“Con l’aumento dell’intolleranza religiosa nel mondo”, ha affermato la delegazione della Santa Sede, “i cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato e discriminato a livello globale. In alcune regioni, tra cui quelle alle porte della regione Osce, si potrebbe anche parlare di tendenze genocide in queste persecuzioni”. Anche dove ai cristiani “sono risparmiate simili atrocità… viene spesso ricordato loro nel discorso pubblico, o anche nei tribunali, che possono credere ciò che vogliono in privato, e celebrare il loro culto come vogliono nelle loro chiese, ma semplicemente non possono agire a partire da quelle credenze in pubblico”. Ma “negare un posto nella sfera pubblica ad argomenti morali religiosamente informati è intollerante, anti-democratico e anti-religioso”.

Per rendersi conto della gravità della situazione a livello mondiale, basta sfogliare la annuale World Watch List dedicata al fenomeno. Il testo stila un elenco di 50 Paesi in base al grado di persecuzione che i cristiani affrontano per il solo fatto di confessare e praticare la propria fede. La List è compilata da esperti di “Porte aperte”. Le analisi si basano soprattutto sul grado di libertà dei cristiani nel vivere apertamente la fede in 5 sfere della vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella chiesa che frequentano e nella vita pubblica della nazione; una sesta area misura l’eventuale grado di violenze subìte.

 

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Non possiamo più tacere https://www.lavoce.it/non-possiamo-piu-tacere/ Fri, 24 Apr 2015 09:21:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31773 Cristiani perseguitati in Pakistan
Cristiani perseguitati in Pakistan

Un richiamo forte alla sua comunità, alla comunità internazionale, al mondo islamico e al mondo della pace è stato fatto il 20 aprile dal vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino nel corso dell’ultima sessione del Sinodo diocesano, in riferimento alle persecuzioni e uccisioni nei confronti dei cristiani del mondo. Sulla scia degli interventi del Papa, da Assisi si leva una voce nel coro del silenzio rispetto alla distruzione di vite e di opere che sta avvenendo in molti paesi del mondo.

“Il Sinodo ci sta concentrando sul cammino della nostra Chiesa particolare – dice il vescovo Sorrentino – ma l’orizzonte rimane quello della Chiesa universale. E nella Chiesa oggi ci sono membra che stanno soffrendo più delle altre, perché raggiunte da una persecuzione che sta facendo scorrere sangue in tanta parte del mondo e sta creando nuovi martiri. La nostra Chiesa di Assisi – sottolinea ancora – deve far sentire la sua voce. Purtroppo, nel panorama dell’opinione pubblica è di scena il silenzio, o l’assuefazione, o la rassegnazione. La voce del Papa si è fatta sentire con forza, invocando un’attenzione fattiva della politica internazionale, ma finora con scarsi risultati. La prima attenzione deve essere espressa nella preghiera, ma poi anche nel tenere alto il livello di informazione e di coinvolgimento”.

Mons. Sorrentino sottolinea poi che “le soluzioni non sono facili; e le risposte armate, che sembrano a prima vista le più necessarie o le uniche efficaci, sono anche le più equivoche e le meno convincenti. La storia degli ultimi decenni lo ha dimostrato. Ma forse – ed è qui l’appello all’unità mondiale – si possono cercare vie efficaci anche su altro terreno, a condizione che la comunità internazionale trovi una rinnovata unità, e lo stesso mondo islamico faccia corpo nei confronti di questo fenomeno aberrante che si sta sviluppando nel suo seno, e che non va confuso con l’islam stesso”.

L’invito è quello a far “sentire alta la nostra voce. Assisi si pregia del titolo di città della pace, e qui accorrono, in diverse circostanze, uomini e donne di pace da tutto il mondo. Oggi pare che questo mondo di uomini della pace sia come nascosto, bloccato in uno strano silenzio. Noi Chiesa di Assisi, riunita in Sinodo, vogliamo unire la nostra voce a quella di Papa Francesco. Spero, anche con il vostro aiuto e suggerimento, che nei prossimi giorni possiamo ancora una volta dare voce, in una iniziativa comune, ai tanti fratelli e sorelle che vedono soffocare nel sangue il diritto a esistere e a proclamare la fede in Gesù Signore. Anche per loro noi gridiamo: Gesù è il Signore, e chiediamo che si fermi l’ondata di persecuzione che sta devastando il cristianesimo del Medio Oriente e di altre regioni del mondo”.

Quasi in concomitanza, il giorno 22, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha diffuso una Nota in cui osserva: “Gli avvenimenti di questi ultimi tempi fanno sì che molti ci chiedano: ‘C’è ancora spazio per dialogare con i musulmani?’. La risposta è sì, più che mai”. E lo è, “prima di tutto, perché la grande maggioranza dei musulmani stessi non si riconosce nella barbarie in atto… I credenti costituiscono un formidabile potenziale di pace”.

 

Vescovi umbri

I vescovi dell’Umbria, riuniti in Conferenza, lunedì scorso hanno preso in considerazione le gravi notizie che da tempo incalzano l’opinione pubblica sui cristiani sottoposti a persecuzione in varie regioni del mondo, specie in Medio Oriente.

Desiderano riecheggiare con forza le prese di posizione di papa Francesco, che ha insistentemente chiesto un impegno efficace della comunità internazionale perché non sia versato altro sangue, finiscano le intimidazioni e si creino condizioni di pace, tolleranza e armonia in quelle tormentate regioni.

Analogo interesse i vescovi hanno portato alle ultime notizie di cronaca riguardanti le tragedie dell’immigrazione. Chiedono il superamento della cultura dell’indifferenza e un impegno serio della politica nazionale e internazionale, perché finisca questa triste vicenda, ormai da troppo tempo prolungata, di esistenze travolte dal bisogno e dallo sfruttamento e si diano risposte ispirate a una cultura dell’accoglienza, dell’integrazione e del rispetto dei diritti umani.

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Una missione da salvaguardare https://www.lavoce.it/una-missione-da-salvaguardare/ Fri, 24 Apr 2015 08:27:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31765 Il Rettore Franco Moriconi
Il Rettore Franco Moriconi

L’Università degli studi di Perugia ha celebrato l’Anno accademico in corso, il 707° della sua antica storia, il primo della gestione del Rettore Franco Moriconi eletto, appunto, poco più di un anno fa. Giovedì 23 aprile nell’Aula Magna dell’Ateneo si è svolta la solenne cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico 2014–2015 alla presenza del corpo accademico, degli studenti, delle autorità cittadine e regionali, e dell’onorevole Stefano Rodotà. Il magnifico rettore Franco Moriconi, nella sua relazione, al termine del primo anno di governo dell’Ateneo ha tracciato un quadro positivo della situazione dell’Università in relazione al numero di iscritti, aumentati, al potenziamento dei servizi per gli studenti, e non ultimo, alla valutazione Anvur introdotta per il miglioramento dell’Ateneo.

Oltre al Rettore sono intervenuti il rappresentante del personale tecnico-amministrativo e bibliotecario Giuseppina Fagotti, e il rappresentante degli studenti Alberto Gambelli mentre Maria Caterina Federici, professore ordinario del Dipartimento di Filosofia, scienze sociali, umane e della formazione, terrà la prolusione sul tema: “L’approccio scientifico alla difficile comprensione dell’azione umana”.

L’inaugurazione in Aula Magna è stata preceduta dalla messa presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, nella Chiesa dell’Università. Il cardinale commentando le letture bibliche del giorno ha evidenziato il fatto che “in molte nazioni del mondo, migliaia di cristiani vengono perseguitati e uccisi brutalmente in odio alla fede, per il solo fatto di credere a Gesù”. “Non possiamo far finta di niente! perché – ha aggiunto il Cardinale – il rivolo di sangue innocente che bagna la terra di questi Paesi lontani arriva fino alle nostre case, accede nei luoghi di lavoro come l’Università, entra nei luoghi di preghiera e scava nei nostri cuori un solco di dolore profondissimo”.

Dopo aver ricordato che “ci riguarda” come uomini anche “quell’enorme flusso di uomini, donne e bambini in fuga dalla miseria indicibile del loro Paese, che vengono venduti come schiavi nella moderna tratta degli esseri umani”, si è rivolto a quanti vivono in Università ricordando che quanto sta accadendo nel mondo riguarda “anche l’Università, i suoi 707 anni di vita, la sua storia attuale, il suo ethos e la sua missione educativa”. Il cardinale Bassetti ha parlato di “missione” che va “custodita, impreziosita e salvaguardata in ogni modo. Perché è un patrimonio di tutti. Perché l’Università riguarda ognuno di noi: ogni studente, ogni professore, ogni amministrativo e ogni singolo cittadino di questa città e di questa regione”.

Ai docenti ha ricordato che “al centro di questa missione educativa risiede la persona e la sua incancellabile dignità umana”. Nell’omelia è emerso anche il cammino pastorale della Chiesa italiana che nel convegno ecclesiale che si terrà in novembre a Firenze si confronterà sul tema del nuovo umanesimo, e che avrà, proprio a Perugia (dal 7 al 9 maggio), un momento di approfondimento del tema nella prospettiva del dialogo tra le culture e tra le religioni. “Mai come adesso – ha aggiunto Bassetti – è estremamente importante la riflessione su un nuovo umanesimo. Un umanesimo che oggi si presenta come una sfida difficile perché l’uomo moderno che abbiamo di fronte è un uomo sempre più spaesato, disorientato e soprattutto sempre più fragile”.

“Tutto ci è donato dall’alto. Ma su tutto siamo liberi di scegliere. Liberi ci ha voluto il Signore e liberi rimarremo sempre. Fino alla fine” ha detto Il Cardinale, ricordando le parole del Vangelo del giorno, in cui Gesù dice “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. “Però – ha soggiunto – con un’avvertenza fondamentale: chi crede in Lui ha la vita eterna. Una vita eterna che, se lo vogliamo, è già iniziata. Il significato profondo della vita di ciascuno consiste proprio nel ritrovare in noi l’eternità di cui Dio ci rende partecipi. Credere in Gesù significa avere uno sguardo nuovo sul mondo. È la prospettiva della croce. Gesù è stato innalzato sulla croce per l’umanità ferita dai propri peccati. E quella croce gloriosa è la via di salvezza. Quella salvezza che porta alla resurrezione. Quella porta stretta che porta alla Pasqua. Quel Passaggio che porta a Dio”.

Il Cardinale, quale Pastore anche del popolo che vive la sua fede lavorando o studiando in Università, ha benedetto tutta la comunità universitaria. “Che il Signore ispiri la vostra ricerca, il vostro studio e il vostro spirito di accoglienza” ha detto, invitando a pregare insieme “che la Santa Vergine della Misericordia possa allargare il suo manto verso tutti voi e sant’Ercolano possa proteggervi sempre da ogni tentazione e da ogni errore”.

 

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Cristiani massacrati dai militanti di Al Shabaab https://www.lavoce.it/cristiani-massacrati-dai-militanti-di-al-shabaab/ Wed, 15 Apr 2015 08:53:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31424 Il dolore di una madre per la strage al campus universitario in Kenya
Il dolore di una madre per la strage al campus universitario in Kenya

Quando partii per la prima volta per l’Uganda nel giugno del 1971, gli obiettivi che condividevo con tutti gli altri missionari e missionarie erano due: quello religioso, ossia l’evangelizzazione; e quello sociale, lo sviluppo e la promozione umana. Obiettivi che mi hanno sempre illuminato, motivato e sostenuto nei quaranta e più anni di servizio agli africani. Mai ho pensato che la mia religione, la fede cristiana, potesse in qualche modo incentivarmi alla violenza, all’odio e a seminare la morte. Per me, come per tutti i cristiani, la vita è sacra e deve essere sempre promossa, mai soffocata.

Garissa, grande tradimento

Eppure in questi ultimi 25 anni in Kenya innumerevoli volte sono stato testimone di una manipolazione aberrante della religione – soprattutto quella musulmana – per giustificare massacri, attentati, esecuzioni di cristiani, distruzioni di chiese e annesse opere sociali. Il primo grande attentato a Nairobi il 7 agosto 1998: 252 vittime. Il 13 settembre 2013: circa 80 morti sempre a Nairobi. Nel 2014, 50 morti sulla costa dell’Oceano Indiano a Mpeketoni, nella regione del Malindi. Un crescendo di violenza, e sempre in nome di Dio!

Perché quei 150 morti

Ora Garissa! Una cittadina di 150 mila abitanti a 350 chilometri da Nairobi nel nordest del Kenya, a 145 chilometri dal confine con la Somalia; un confine lungo 800 chilometri che attraversa il deserto, quindi difficilissimo da controllare. La Somalia negli ultimi 25 anni mai ha goduto di un Governo centrale organizzato, capace di controllare una superficie che è il doppio dell’Italia: 637.000 kmq. Perciò la Somalia è diventato il rifugio sicuro dei gruppi islamici più violenti e sanguinari. Vi confluiscono da varie parti del mondo; là hanno i loro campi base sia per addestramento che per lanciare attacchi cruenti soprattutto contro il Kenya. Non si dimentichi che per una decina di anni, subito prima e subito dopo il 2000, la costa somala è stato l’epicentro della pirateria internazionale. I gruppi estremisti, genericamente chiamati Al Shabaab (“giovani audaci”), cercano anche di imporre al Paese un islam estremista, intollerante e assassino.

Martiri

Ecco i nomi di alcuni dei più famosi martiri: il vescovo Pietro Colombo assassinato sulla porta della chiesa nel 1989; la laica missionaria dottoressa Annalena Tonelli, con una revolverata alla nuca mentre visitava i malati di tubercolosi in un ospedale da lei fondato (2003); la suora missionaria infermiera Leonella Sgorbati assassinata mentre organizzava i reparti (2006); dei martiri somali nessuno può tenere la memoria! Il collegio universitario dove il 2 aprile scorso i guerriglieri islamici di Al Shabaab hanno ucciso 147 studenti e tre membri del personale, era stato aperto nel 2011. Nell’aprile 2015 aveva un popolazione sulle 800 persone tra studenti, insegnanti e personale sussidiario. Non era la prima volta che tali spedizioni criminali colpivano Garissa e dintorni. Nel mirino, soprattutto i cristiani, le chiese e le opere per la promozione dello sviluppo, urgentissimo dato che è una zona molto arida e dimenticata dai Governi kenioti del passato. Per questo il Governo del Kenya si trova a disagio per difendersi dalle accuse di inefficienza e trascuratezza. Sembra che non si sia imparato nulla dalla lunga litania di attentati pagati a caro prezzo da tanti cittadini del Kenya, soprattutto giovani. Purtroppo la cooperazione con gli Stati Uniti e con l’Inghilterra si è notevolmente allentata a vantaggio della Cina, avida di interessi e di materie prime ma totalmente noncurante nei confronti della sicurezza fisica dei kenioti, del terrorismo, dell’ambiente e dei diritti umani.

Un prezzo esorbitante

Il Kenya paga a carissimo prezzo il clima di insicurezza e i ripetuti attacchi. Prima di tutto, in termini di vite umane e conseguenti sofferenze indicibili per tutte le famiglie private delle loro giovani speranze; piaghe mai rimarginabili! Poi il pericolo – non ipotetico – dello sgretolamento sociale a causa di una – non ipotetica – crescente tensione fra la maggioranza cristiana dei kenioti e la minoranza musulmana, concentrata soprattutto sui confini con la Somalia e sulla costa dell’Oceano Indiano a Mombasa. La leadership musulmana keniota sembra ancora esitante di fronte a una condanna sistematica e concreta della violenza religiosa. Ulteriore grave conseguenza negativa è la sospensione di tanti progetti di sviluppo sostenuti dalla Chiesa cattolica e da altre Chiese cristiane nelle zone più abbandonate e povere del Paese, come appunto Garissa. Infine la cessazione quasi totale del turismo, la terza entrata più cospicua del Kenya dopo il tè e il caffè.

Speranza e voglia di vivere

Al Shabaab è anche un’organizzazione militare, quindi una risposta militare del Governo del Kenya è un’opzione aperta e forse necessaria. Ma la riposta simbolica più forte è venuta dai cristiani di Garissa, che la mattina di Pasqua hanno riempito la chiesa, nonostante il vuoto lasciato dai 150 uccisi. Non vogliamo lasciarci paralizzare dal timore e fuggire. È la strategia dei gruppi islamici estremisti: rendere impossibile la vita normale delle comunità cristiane, degli impiegati governativi, delle organizzazioni umanitarie. Il loro futuro è in una totale vuoto di governo, di società civile e di organizzazione religiosa, in modo da poter restare loro gli unici attori sul palcoscenico. La stessa tattica in Medio Oriente, nelle zone controllate dall’Isis: rendere impossibile la vita dei cristiani, indurli a fuggire e lasciare tutto a loro. Da questo punto di vista, ci auguriamo una vera solidarietà internazionale per aiutare i locali a restare, grazie alla speranza e a condizioni di vita più umane. La solidarietà internazionale è una necessità assoluta e urgentissima. Per questo apprezziamo moltissimo l’attenzione chiara e continua di Papa Francesco. Gli Al Shabaab devono convincersi che la loro strategia non ha alcuna possibilità di successo.

Che lo Spirito del Signore risorto Gesù aiuti tutti: kenioti, amici del Kenya e la comunità internazionale a trovare una risposta valida duratura e, a lungo andare, non violenta. Soprattutto, che possiamo offrire ai giovani che ingrossano le file di Al Shabaab alternative di vita più affascinanti e valori più solidi e solidali. È una sfida aperta a tutti, con le Chiese e altre religioni in prima fila!

 

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“La Chiesa vi è vicina” https://www.lavoce.it/la-chiesa-vi-e-vicina/ Fri, 27 Mar 2015 13:53:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31116 Il card. Angelo Bagnasco tiene la prolusione al Consiglio episcopale permanente
Il card. Angelo Bagnasco tiene la prolusione al Consiglio episcopale permanente

Il Giubileo della Misericordia, i cristiani perseguitati nel mondo e la situazione dell’Italia sono stati i punti focali della prolusione del card. Angelo Bagnasco all’ultimo Consiglio permanente della Cei.

L’Anno santo

“I nostri lavori – ha detto il Cardinale – si aprono avendo nell’anima la lieta sorpresa che il Santo Padre Francesco ha fatto al popolo di Dio… Ci aspetta un particolare anno di grazia per poter fare, insieme ai nostri amati sacerdoti e diaconi, alle persone consacrate, alle nostre comunità, una più intensa esperienza del cuore misericordioso di Dio, di cui Gesù è ‘volto vivo’”.

“L’esperienza della misericordia divina – ha aggiunto – ci fa uscire, ci fa prendere il largo sulle strade degli altri. Nessun luogo è talmente lontano o chiuso da essere inaccessibile al Dio misericordioso e pietoso, grande nell’amore.

E poi bisogna annunciare: anche il samaritano ha annunciato a suo modo la novità di Cristo: lo ha fatto attraverso dei gesti che parlano e dicono che Dio è presente.

Con l’uscire e l’annunciare si può rimanere ancora esterni alla miseria umana: è necessario anche abitarla. Appunto come il Samaritano, che è entrato nella sciagura del malcapitato, nella sua paura e nella sua umiliazione: ha accettato di rallentare il proprio passo, di ritardare la marcia per abitare il bisogno altrui versandovi olio e vino.

In questo modo ha svolto anche un’opera educativa. Come? Con il suo farsi prossimo ha immesso nel mondo il germe di una rivoluzione; ha posto in questione una visione che toccava non solo il Levita di passaggio; ha gettato il guanto della sfida a una cultura individualista. Ha detto no a una visione che scarta il debole e lo abbandona al suo destino.

E così ha iniziato quella trasfigurazione della realtà che si compirà in Cristo, il vero, grande Samaritano dell’umanità: con quel gesto ha preso corpo sulla terra il sogno di una umanità nuova e bella che sarà possibile grazie all’irruzione dello Spirito”.

Cristiani perseguitati

“Sollecitati dal Papa – ha proseguito il Presidente della Cei – a guardare lontano e a pensare in grande il nostro ministero e la nostra stessa umanità, non possiamo non rimanere dolorosamente attoniti di fronte alla persecuzione contro i cristiani che cresce e si incrudelisce.

Il mondo della fede, del buon senso comune, il mondo dell’Umano, rimane sconcertato e percosso. E si interroga: perché? Perché perseguitare e uccidere? Perché tanta barbarie compiaciuta ed esibita sul palcoscenico mediatico del mondo? Perché non fermarsi neppure davanti ai bambini, agli inermi? È forse l’odio per l’Occidente?

Ormai la Storia senza pregiudizi ha fatto le giuste distinzioni: gli errori del passato non coincidono in nessun modo con il Vangelo, il libro di Gesù. È forse la paura di fronte alla modernità con i suoi valori di libertà, di uguaglianza, di democrazia, di giusta laicità, di valorizzazione e di rispetto per la donna…? È forse la rabbia di sapersi perdenti di fronte alla Storia che incalza inesorabile? È forse la ritorsione verso un consumismo che allenta i vincoli, stempera le idee, tende ad appiattire gli ideali e a ridurli al benessere materiale? È forse il tentativo turpe e macabro di regolare i conti all’interno del proprio mondo culturale e seminare terrore tra coloro che la pensano diversamente? C’è forse la speranza che l’Occidente ceda alle feroci provocazioni e reagisca, per poi poter gridare all’invasione o peggio, e così riattizzare vecchi fuochi?

La ragione, prima ancora che le fedi, non può non condannare tanta barbara e studiata crudeltà contro le minoranze, e in particolare contro i cristiani solo perché cristiani. E non può non condannare strategie folli e sanguinarie che portano indietro l’orologio della storia…

Mentre resta urgente la responsabilità di assicurare i diritti della libertà religiosa nel mondo, ancora una volta esortiamo l’Europa a un serio esame di coscienza sul fenomeno di occidentali che si arruolano negli ‘squadroni della morte’. Non si può liquidare la questione sul piano sociologico incolpando la mancanza di lavoro nei vari Paesi: ciò può essere una concausa. Il problema è innanzitutto di ordine culturale: non si può svuotare una cultura dei propri valori spirituali, morali, antropologici senza che si espongano i cittadini a suggestioni turpi. In questo senso, la cultura occidentale è minacciata da se stessa e favorisce il totalitarismo”.

L’Italia

Per sintetizzare la situazione corrente del nostro Paese, il card. Bagnasco ha voluto “far eco alle parole del Santo Padre Francesco a Napoli: parole di altissima condanna del malcostume e del malaffare che sembrano diventati un ‘regime’ talmente ramificato da essere intoccabile… È un destino fatale? Si può reagire?

Senza dubbi, diciamo che si deve reagire, e che ciò è possibile… Ogni soggetto ha il dovere di fare del proprio meglio per il bene della gente, che è in gravi difficoltà e che spesso è stremata: se l’onestà è un valore sempre e comunque, che misura la dignità delle persone e delle istituzioni, oggi le difficoltà di quanti si trovano a lottare per sopravvivere insieme alla propria famiglia… sono un ulteriore motivo perché la disonestà non solo non sia danno comune, ma anche non sia offesa gravissima per i poveri e gli onesti. Ciò è insopportabile!…

Come Pastori, diamo voce alla gente e, purtroppo, quella voce incalza le nostre parrocchie e diventa grido: invoca lavoro per chi l’ha perso e per chi non l’ha mai trovato. Invoca lavoro per chi è sfiduciato e si arrende mettendosi ai margini della società, facile preda della malavita. E con la disoccupazione, l’instabilità sociale cresce fatalmente…

La Chiesa in Italia, a livello centrale, porta avanti da anni il progetto Policoro e il ‘Prestito della speranza’: sono anche questi dei segni concreti che vengono incontro ai giovani, alle famiglie e alle piccole imprese. Tutti sappiamo che non basta ripianare i buchi, ma occorre investire, perché la competizione globale esige di essere sempre all’avanguardia; perché le nostre eccellenze devono essere difese con una continua ricerca; perché le professionalità non deperiscano; perché il patrimonio nazionale non prenda il volo per altri lidi, vanificando così i segnali positivi di ripresa che vengono rilevati dagli esperti”.

L’immigrazione

“Continua – ha denunciato il Cardinale – la tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore. Fuggono dai loro Paesi per le ragioni che conosciamo: guerre, carestia, miseria, violenza. E cosa trovano? Molto, ma certamente ancora insufficiente al fine di una vera integrazione e di una vita nuova.

Le forze in campo non sono poche, ma la situazione richiede visione, energie e risorse, che attestino che l’Europa esiste come casa comune, e non come un insieme di interessi individuali, ancorché nazionali. Un coacervo dove chi è più forte fa lezione e detta legge. La Chiesa, attraverso le Caritas e i centri Migrantes, le parrocchie e le associazioni specifiche, risponde con ogni mezzo, anche grazie all’8 per mille, e mira a un processo di vera integrazione nel rispetto delle comunità di accoglienza e dei cittadini”.

La scuola

Quanto, infine, al tema della scuola paritaria, “è in gioco la libertà di educazione dei genitori per i loro figli. Non è una cortesia concessa a qualcuno, ma è un diritto dei genitori: diritto fondamentale che – unico caso in Europa – in Italia è stato affermato a parole, ma negato nei fatti da troppo tempo.

A proposito di cultura, non possiamo non dar voce anche alla preoccupazione di moltissimi genitori, e non solo, per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del gender, ‘sbaglio della mente umana’, come ha detto il Papa a Napoli sabato scorso. Il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione… Ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘trans-umano’ in cui l’Uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità…

Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate: volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa? Reagire è doveroso e possibile; basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva… Sappiate, genitori, che noi Pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini”.

 

Le domande del card. Bagnasco

Mai come questa volta sono risuonate, nella prolusione del card. Bagnasco, tante domande. Domande incalzanti, che scuotono l’interlocutore, e a cui è difficile dare rispose univoche e sicure. Sembra che il Presidente della Cei voglia chiamare a raccolta il popolo cristiano a una presa di coscienza interpellando l’intelligenza e la coscienza dei Vescovi stessi, in primo luogo, come responsabili delle loro popolazioni, e dei membri del clero, dei religiosi e dei singoli fedeli. Altro significato può essere intravisto nel desiderio di Bagnasco di favorire, in un mondo spesso frantumato e discorde, la convergenza su percorsi comuni di riflessione per giungere a proposte e progetti condivisi. Questo in riferimento all’ambiente cattolico, ma anche all’ambito più sensibile e responsabile del mondo laico. Le domande più incisive toccano temi di grande impatto anche emotivo, che riguardano la violenza e la guerra, la persecuzione contro i cristiani, la “disumanizzazione” dell’Umano, la corruzione: “Perché uccidere? Perché tanta barbarie? Perché non fermarsi neppure davanti agli inermi, ai bambini? È forse l’odio per l’Occidente? È forse la paura verso la modernità? È forse la ritorsione contro il consumismo, che riduce tutto ai beni materiali? È una provocazione all’Occidente per suscitare una reazione che induca a riattizzare altre violenze?”. A proposito di corruzione si domanda: “È un destino fatale? Si può reagire?”. E a proposito dell’educazione all’ideologia del gender – secondo cui già ai bambini si deve insegnare che possono scegliere il sesso cui vogliono appartenere, senza tenere nel debito conto i dati di natura – chiede: “Vogliamo questo per in nostri bambini, ragazzi e giovani? Che a scuola, fin dall’infanzia, ascoltino e imparino queste cose come avviene in altri Paesi d’Europa?”. Il card. Bagnasco, ovviamente, dà le sue risposte, e alcune sue domande sono puramente retoriche. Ma porsi degli interrogativi, in questo scorcio di storia della Chiesa e del mondo, credo sia un esercizio serio e urgente.

E. B.

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Anno Santo della Misericordia https://www.lavoce.it/il-dono-del-vangelo-che-e-misericordia/ Fri, 20 Mar 2015 14:36:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31024 Giovanni Andrea Sirani "La cena in casa del Fariseo" 1652. Particolare
Giovanni Andrea Sirani “La cena in casa del Fariseo” 1652. Particolare

Appena annunciato da Papa Francesco, ha suscitato interesse ed entusiastiche adesioni. Lo ha fatto in un contesto di preghiera, le “24 ore per il Signore”, iniziativa che sta divenendo una prassi diffusa nelle comunità cattoliche del mondo.

Sapremo di più circa le modalità di svolgimento di questo “Giubileo straordinario della Misericordia” la prima domenica dopo Pasqua, quella in Albis, ribattezzata da Giovanni Paolo II “domenica della Divina Misericordia”. Fin d’ora sappiamo che avrà inizio l’8 dicembre 2015, festa dell’Immacolata Concezione e 50° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. Sappiamo anche che l’organizzazione dell’evento sarà affidata al Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione.

Non si può non notare che l’intenzione di Papa Francesco si collega idealmente all’iniziale intuizione di Giovanni XXIII, che determinò una svolta nello stile pastorale della Chiesa. Roncalli volle che i lavori del Concilio fossero improntati alla “medicina della misericordia” piuttosto che a quella della “severità” e del rigore. Tale scelta di Papa Giovanni non fu dettata da una tattica di aggiramento delle persone, ma dal desiderio di far tacere la voce dei “profeti di sventura”, mostrando agli uomini di oggi “la validità della dottrina, piuttosto che rinnovando condanne”: “La Chiesa cattolica, innalzando per mezzo di questo Concilio ecumenico la fiaccola delle verità religiose, vuol mostrarsi Madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati”.

È un’ampia, coraggiosa apertura a quella parte dell’umanità che Bergoglio chiamerebbe “periferie esistenziali”.

La linea tracciata da Giovanni XXIII all’inizio dei lavori del Concilio nel famoso discorso di apertura, Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962), è stata raccolta dai suoi successori e trasmessa al mondo in modi diversi e con linguaggi propri da Paolo VI e Giovanni Paolo II; e ora da Francesco con questo inaspettato e gioioso annuncio, accolto come un dono dello Spirito che aleggia sul turbinoso spettacolo del mondo.

Non sarà male ricordare – ai distratti e superficiali che si accorgono solo occasionalmente dell’esistenza della Chiesa – che essa porta avanti il suo “antico e nuovo” pellegrinaggio nella storia, nella quale, nonostante limiti e cadute, offre con abbondanza la fiducia, la speranza e la dignità ai poveri nel corpo e nello spirito, risollevati dalla loro prostrazione e dalla sofferenza di sentirsi perduti e abbandonati.

L’annuncio della misericordia è decisamente marcata da Papa Bergoglio in ogni sua omelia e dichiarazione, per una sua radicata scelta personale, pastorale e teologica insieme.

“La vocazione di Matteo” nel celebre quadro del Caravaggio
“La vocazione di Matteo” nel celebre quadro del Caravaggio

Nel suo stemma brillano le parole Miserando atque eligendo (“ebbe misericordia di lui e lo scelse”) che descrivono la chiamata di Matteo come apostolo da parte di Gesù.

Nell’attuale fase della storia, in cui si svolge un confronto serrato e spesso violento di popoli e nazioni, di civiltà, culture e religioni, e dove i cristiani sono perseguitati in tante parti del mondo, la Chiesa potrebbe esprimersi con altre forme di presenza e di visibilità per la difesa dei principi e dei valori della sua dottrina, per la salvaguardia della sua stessa sopravvivenza in determinati Paesi, e per imporre la pace con strumenti di pressione e di potere. Ma la convinzione profonda della centralità della Misericordia nel messaggio cristiano la sottrae a ogni tentazione mondana, e la spinge a proporre al mondo la Misericordia come il nome proprio di Dio.

Papa Francesco ritiene che non vi sia per la Chiesa altra via che quella della misericordia. Nella Chiesa c’è posto per tutti: non si chiude la porta a nessuno, non vi è peccato che non possa essere perdonato, non vi è persona che non possa essere salvata.

Il Giubileo ne è occasione e strumento: lo percepiscono – e non da oggi – persone le più disparate e lontane. Basti pensare che già il primo Giubileo del 1300, indetto da Bonifacio VIII (un Papa non molto amato da Dante), era stato fortemente voluto dal popolo, così come in precedenza erano state reclamate dal popolo la Perdonanza di Celestino V e il Perdono della Porziuncola di san Francesco.

È stato sempre il popolo a voler “accorciare le distanze” da un Giubileo all’altro: doveva avere una scadenza di 100 anni, all’inizio di ogni secolo, poi fu portato a 50 anni e poi a 25, per impedire che una intera generazione rimanesse priva di questa grazia.

Questo fatto indica la presenza, nelle profondità del cuore umano, del desiderio di perdono di Dio, di rinascita dalle colpe, di riconciliazione con se stessi e con i fratelli; il desiderio di sentirsi uniti in un comune cammino, diretti a una meta condivisa. “Indulgenza” per il popolo credente è sinonimo di perdono, senza sottili distinzioni, anzi oggi è del tutto abbandonato ogni riferimento alle indulgenze monetizzate di triste memoria.

Tra i 29 Giubilei della storia, oltre ai 26 ordinari, questo è straordinario, affiancandosi quindi al Giubileo straordinario indetto da Pio XI nel 1933 per celebrare l’anniversario della Redenzione (considerando la morte e risurrezione di Gesù come avvenute nell’anno 33 d.C.) e con la stessa motivazione indetto da Giovanni Paolo II nel 1983.

Il Giubileo della Misericordia, quindi, assume i caratteri dell’originalità e della novità: questa è una nota costitutiva dell’evangelizzazione, sempre nuova e sempre riferita allo stesso “Vangelo eterno”, fonte di riconciliazione e di pace per tutti i singoli esseri umani che vengono alla luce su questa terra.

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“Nostri fratelli uccisi solo perché cristiani” https://www.lavoce.it/nostri-fratelli-uccisi-solo-perche-cristiani/ https://www.lavoce.it/nostri-fratelli-uccisi-solo-perche-cristiani/#comments Fri, 20 Mar 2015 14:16:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31021 Un inarrestabile attacco si dipana sotto i nostri occhi, rivolto contro i cristiani e contro quanto di “cristiano”, sia pure “anonimo”, esiste nel mondo. Colpisce in profondità la coscienza cristiana vedere croci divelte dalla sommità di chiese e campanili, sostituite dalla mezzaluna che somiglia alla spada di Maometto. In modo analogo è colpita la coscienza di ogni persona quando osserva la distruzione irosa e violenta di opere d’arte, frutto del genio umano e di antiche culture. Ma ancor più dolorosa la constatazione di tanti cristiani sottoposti a violenze e persecuzioni di ogni genere. L’ultima che ha fatto notizia è stata l’uccisione di cristiani a Lahore in Pakistan, con 15 morti e un’ottantina di feriti provocati da attentatori talebani suicidi, avvenuta in due chiese, una cattolica e una anglicana. Per questa strage il Papa all’Angelus di domenica 15 marzo ha chiesto la fine delle violenze nel Paese asiatico e in tutti i Paesi in cui i “cristiani sono perseguitati, i nostri fratelli versano il sangue soltanto perché cristiani”.

Questo, che è uno dei più recenti fatti tragici, si pone in linea con tanti altri che sono accaduti precedentemente in tante parti del mondo. Per dare qualche cifra – anche in vista della Giornata dei missionari martiri di cui si farà memoria il 24 marzo – si calcola che nel 2014 siano stati 4.344 i cristiani uccisi e oltre mille le chiese attaccate, soprattutto in Iraq e Siria, a opera del cosiddetto Stato islamico, e in Nigeria a opera di Boko haram. Nel 2012 i morti erano stati 1.021, e l’anno dopo 2.123 (fonti: Osservatore Romano e la protestante Open Doors). Oltre ai danni alle persone vittime di violenza, questi fatti danneggiano la causa della fede e della religione, che vengono viste come motivi di conflitto. Ciò provoca in alcuni intellettuali e correnti di pensiero la denuncia dell’uso e della presenza della religione nella sfera pubblica. Su Repubblica del 9 marzo, Flores D’Arcais chiedeva perentoriamente la cancellazione del nome di Dio dalla sfera pubblica per rendere possibile una società laica e democratica. Il ricorso al nome di Dio sarebbe incompatibile con la democrazia. Questo autore aveva già scritto cose simili, ad esempio, nel suo libro sulla morale senza Dio, pertanto non c’è da meravigliarsi di quanto affermi oggi. Ma l’idea di una religione sepolta nel silenzio intimo della persona singola sta avanzando nella mentalità collettiva.

È indubbio che i credenti non debbano cadere in una specie di sindrome da assedio. Però l’assedio c’è, e si deve reagire non abbandonando i valori che la fede ci offre, né seguendo l’esempio di chi – come Nichi Vendola che si sposa con il suo partner e si esibisce su tutti i media – persegue la cultura gender e propone un’antropologia sganciata da ogni norma superiore. Ma, in armonia con Papa Francesco, occorre rispondere con la misericordia, la testimonianza fedele, l’annuncio missionario tenace e coraggioso. Il card. Bassetti suggerisce anche di domandarsi che cosa voglia dire Dio al Suo popolo attraverso queste vicende, e quale significato abbiano i “segni dei tempi”, di cui era attento osservatore Giorgio La Pira. Il Cardinale ammonisce evocando la mano “sinistra” di Dio in azione nel nostro tempo, insieme alla mano destra, quella benedicente. Una domanda che è anche un esame di coscienza per tutti. I cristiani sono chiamati non a fare “crociate”, non a fuggire, e neppure a sfuggire alle più imbarazzanti domande, ma a cercare luce nel Vangelo – “Convertiti e credi al vangelo!” – e nell’insegnamento della Chiesa. Indirizzando così la vita sulla via dello Spirito, eliminando dalla Chiesa e dalla società occidentale – ufficialmente costituita da una maggioranza di battezzati, divenuta invece cinica e confusa, rinnegando sempre più diffusamente le sue radici cristiane – la lebbra distruttiva della corruzione, che scandalizza e deprime la speranza degli umili e dei timorati di Dio. Appena finito di scrivere queste righe ci arriva la notizia della strage di almeno 24 persone morte in un attentato al museo di Tunisi.

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L’Isis prende in ostaggio 100 cristiani https://www.lavoce.it/lis-prende-in-ostaggio-100-cristiani/ Fri, 27 Feb 2015 11:25:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30535 Siriani in fuga dall’Isis trasportano quello che possono diretti verso il confine con la Turchia
Siriani in fuga dall’Isis trasportano quello che possono diretti verso il confine con la Turchia

Sono tra 120 e 140 i cristiani assiri tenuti in ostaggio dai jiahdisti dello “Stato islamico” che nella notte tra domenica 22 e lunedì 23 febbraio hanno sferrato un attacco su larga scala ai villaggi cristiani disseminati lungo le sponde del fiume Khabur, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira. Lo conferma l’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, ordinario dell’Arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi. Gli ostaggi appartengono tutti ai villaggi di Tel Jazira, Tel Shamiram e Tel Gouram.

“I jihadisti – riferisce l’Arcivescovo – hanno preso pieno controllo dei villaggi sulla sponda occidentale del Khabur, mentre, il pomeriggio del 24 febbraio, tutti gli abitanti dei 22 villaggi disseminati lungo la sponda orientale sono stati evacuati e più di mille famiglie cristiane assire e caldee sono fuggite verso i centri maggiori di Hassakè, Qamishli, Dirbesiye e Ras al-Ayn. Martedì sera – aggiunge mons. Hindo – soltanto ad Hassakè le famiglie di nuovi rifugiati erano più di 950”.

L’offensiva dei jihadisti dello Stato islamico finora ha provocato la morte in combattimento di 4 cristiani arruolati nelle milizie assire (schieratesi con i battaglioni curdi contro i miliziani dell’Is), mentre al momento, secondo fonti assire, un giovane cristiano assiro di nome Milad risulta essere l’unica vittima civile degli islamisti.

A giudizio dell’Arcivescovo siro-cattolico, i jihadisti hanno lanciato l’offensiva nella regione del Khabur per trovare nuovi spazi e vie di fuga, compensando le sconfitte e le perdite di territorio da loro registrate a Kobane e intorno alla roccaforte di Raqqa. Secondo mons. Hindo, anche le contromosse prospettate da alcuni Paesi stranieri davanti alle recenti strategie militari dello Stato islamico confermano le gravi responsabilità dell’Occidente nello scatenamento dei conflitti che stanno dilaniando il Medio Oriente.

“Con le loro politiche sciagurate – dichiara – soprattutto francesi e statunitensi, con i loro alleati regionali, hanno favorito di fatto l’escalation del Daesh [acronimo arabo con cui si indica lo Stato islamico, ndr]. Adesso perseverano nell’errore, commettono sbagli strategici grotteschi come l’annuncio sui media della ‘campagna di primavera’ per liberare Mosul. Si ostinano a interferire con interventi irrilevanti, invece di riconoscere che proprio il sostegno da loro garantito ai gruppi jihadisti ci ha portato a questo caos e ha distrutto la Siria, facendoci regredire di 200 anni”.

isis-raqqa-syriaLungo le sponde del fiume Khabur, affluente dell’Eufrate, c’erano più di 30 villaggi cristiani, fondati negli anni Trenta del secolo scorso, dove avevano trovato rifugio dall’Iraq i cristiani assiri e caldei fuggiti dai massacri perpetrati allora dall’esercito iracheno.

Erano villaggi fiorenti, abitati ognuno da migliaia di persone, con chiese e comunità molto attive, che gestivano anche scuole e iniziative sociali. Ma dall’inizio della guerra si erano quasi tutti svuotati, e alcuni di loro somigliavano ormai a città fantasma. Tel Hormuz prima della guerra contava più di 4.000 abitanti, ma negli ultimi mesi si sono ridotti a meno di 300.

Inizio dei corsi all’Università cattolica di Erbil, Iraq

Il 2015 è l’anno in cui prenderanno il largo i corsi dell’Università cattolica di Erbil, ateneo fortemente voluto dalla Chiesa caldea anche come forma concreta di aiuto ai giovani cristiani in Medio Oriente. Nei giorni scorsi l’arcivescovo caldeo Bashar Matti Warda, ordinario dell’arcidiocesi di Erbil e grande sponsor dell’opera, ha annunciato con una lettera l’imminente inizio delle attività per quattro facoltà universitarie, compreso il college di studi economici (Business Administration). Nella lettera, diffusa sui media ufficiali del Patriarcato, l’Arcivescovo fa appello a tutti i potenziali sponsor e collaboratori dell’iniziativa affinché contattino l’arcidiocesi per mettere a disposizione dell’ateneo le proprie eventuali donazioni e le proprie competenze nel campo dell’insegnamento universitario.

La prima pietra della nuova università era stata posta ad Ankawa, sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, il 20 ottobre 2012. Era stata la Chiesa caldea a mettere a disposizione i 30 mila mq su cui far sorgere le strutture. L’obiettivo, fin dall’inizio, era quello di creare un polo d’insegnamento universitario privato aperto a tutti, conforme alle esigenze del mercato e strettamente associato alla ricerca scientifica. A distanza di quasi tre anni, dopo le convulsioni che hanno travolto le regioni settentrionali dell’Iraq e hanno portato proprio ad Ankawa migliaia di profughi cristiani costretti alla fuga dai jihadisti dello Stato islamico, l’Università vuole essere un segno concreto di aiuto ai giovani cristiani iracheni, inevitabilmente tentati dall’idea di fuggire all’estero per lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e le incertezze e le minacce che pesano sul futuro.

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Strage degli innocenti. Oggi come allora? La sfida del dialogo con l’islam https://www.lavoce.it/strage-degli-innocenti-oggi-come-allora-la-sfida-del-dialogo-con-lislam/ Wed, 31 Dec 2014 11:44:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29616 Cristiani perseguitati dall’Isis in fuga dall'Iraq
Cristiani perseguitati dall’Isis in fuga dall’Iraq

Succedono tante disgrazie e violenze nel mondo, ma ve ne sono alcune così atroci che lasciano ferite profonde nella coscienza collettiva. Mi riferisco a quanto successo in Pakistan: l’uccisione di trentadue bambini e ragazzi, a Peshawar, ad opera dei talebani di quel Paese. Lo sdegno e la condanna sono unanimi. In tempo di Natale la sensibilità per i bambini e i piccoli in generale è ancora più acuta e viene spontaneo riandare con la mente alla strage degli innocenti ordinata da Erode, re della Giudea (Matteo 2, 1-16). Ci domandiamo: da allora ad oggi siamo allo stesso punto? Le nostre riflessioni inclinano ad un senso di impotenza.

Gli uomini di buona volontà però non si arrendono al male e non possono lasciare soffocato nel silenzio “il grido del sangue innocente”.
Le voci che si sono levate finora sono deboli, incerte e timorose, mentre dovrebbero smuovere governi e autorità internazionali e quelle masse di persone che vanno in piazza solo per reclamare diritti propri.

Questi terroristi, volendo fare il male più grande e atroce, hanno scelto una scuola, hanno preso bambini e ragazzi e li hanno sacrificati, secondo un macabro rituale, sull’altare del loro cieco fanatismo: hanno recitato la formula che, secondo un loro errato calcolo, li assolve e li giustifica “Allah Akbar!” (Dio è grande), e ai bambini hanno fatto pronunciare la “shahada”, la formula breve del credo musulmano per garantire loro il paradiso.

In tal modo, con l’uccisione di creature innocenti, hanno decretato anche la morte di Dio, distruggendone la natura, l’immagine e il senso del suo stesso essere.

È il caso di dire con Nietzsche, “Dio è morto”, anzi “Noi l’abbiamo ucciso”. Ancora più propriamente potremmo aggiungere che il Dio dei talebani, come quello dei terroristi tagliatori di teste che lottano per un improbabile califfato, non esiste.

Questi terroristi sono condannati anche dai membri delle comunità musulmane e dai loro capi come dei criminali, con un distinguo: essi sono e rimangono musulmani, non possono essere dichiarati infedeli o atei. Tale affermazione, comunque si voglia interpretare, suona come una presa di coscienza secondo cui il marcio sta nel tessuto di quel popolo e di quella religione. Nello stesso tempo sembra voler dire che gli infedeli e gli atei rimangono per la loro stessa natura membri del “Dar al harb”, (la terra della guerra), mentre i terroristi, sono un’eccezione nel “Dar al Islam”, (la terra dell’Islam) che, secondo la loro convinzione, è terra di pace destinata ad abbracciare l’intera umanità.

Nel mondo musulmano in grande fermento si sta svolgendo, da parte di molti, una affannosa ricerca di una cultura dialogica, aperta al confronto. I cristiani accettano di porsi in dialogo e di farlo con apertura d’animo e coraggio, secondo quanto indicato dal Concilio Vaticano II nella dichiarazione sulle religioni non cristiane (Nostra aetate 1965)). L’errore capitale che può commettere l’Occidente di radice cristiana, Europa e America, sarebbe quello di diventare o apparire agli occhi dei musulmani come dei crociati. È facile e comodo per la mentalità musulmana identificare i cristiani come crociati, dimenticando san Francesco, lo spirito d’Assisi, e le dichiarazioni di rispetto e amicizia più volte espresse, e in modo molto solenne.

Oggi, a differenza del passato, dall’attacco alle Torri gemelle in poi, il dialogo diventa una necessità, un’urgenza planetaria da svolgere con franchezza, nella verità, nella pazienza dell’ascolto e nel coraggio della denuncia. Si tratta anche di andare a scrutare le radici velenose da cui trae origine la mala pianta della violenza. Un’indicazione generale ci viene anche da papa Francesco che nell’enciclica Evangelii gaudium ai nn. 252 e 253 specifica il modo di dialogare con i membri dell’Islam, facendo riferimento anche agli “ episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano”, che tuttavia non devono condurre alla generale condanna dell’immensa famiglia musulmana.

 

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