cristiani Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cristiani-2/ Settimanale di informazione regionale Tue, 07 Dec 2021 11:17:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg cristiani Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cristiani-2/ 32 32 Il card. Ayuso invitato all’ateneo musulmano https://www.lavoce.it/il-card-ayuso-invitato-allateneo-musulmano/ Thu, 09 Dec 2021 07:08:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63896 Un primo piano del cardinale

Il dialogo e l’incontro tra cristiani e musulmani non fa più notizia. E di per sé, questa sarebbe una “buona notizia”. Ma crediamo sia bene far conoscere i passi che preparano la pace del presente e del futuro, i gesti che fanno crescere una cultura della comprensione reciproca e dell’intesa a favore della fraternità. Il card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dell’Higher Committee of Human Fraternity (Comitato superiore per la fratellanza umana), ha risposto all’invito del prof. Muhammad Hussein Al-Mahrasawy, presidente dell’Università di Al-Azhar (Il Cairo) e il 4 dicembre ha visitato la comunità accademica. “La fratellanza è una pianta che sta crescendo e perciò va innaffiata ogni giorno perché produca i suoi abbondanti frutti” ha detto. D’altra parte sono passati 800 anni dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kamil. E il cardinale Ayuso ha aggiunto: “Dobbiamo essere grati sia a san Francesco, che ha avuto l’ispirazione e il coraggio di incontrare il sultano, sia a Malik al-Kamil per la sua apertura e accoglienza”. Ora tocca a tutte le Chiese locali - aggiungiamo noi - promuovere occasioni di incontro, dialogo, preghiera, amicizia e azione comune]]>
Un primo piano del cardinale

Il dialogo e l’incontro tra cristiani e musulmani non fa più notizia. E di per sé, questa sarebbe una “buona notizia”. Ma crediamo sia bene far conoscere i passi che preparano la pace del presente e del futuro, i gesti che fanno crescere una cultura della comprensione reciproca e dell’intesa a favore della fraternità. Il card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dell’Higher Committee of Human Fraternity (Comitato superiore per la fratellanza umana), ha risposto all’invito del prof. Muhammad Hussein Al-Mahrasawy, presidente dell’Università di Al-Azhar (Il Cairo) e il 4 dicembre ha visitato la comunità accademica. “La fratellanza è una pianta che sta crescendo e perciò va innaffiata ogni giorno perché produca i suoi abbondanti frutti” ha detto. D’altra parte sono passati 800 anni dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kamil. E il cardinale Ayuso ha aggiunto: “Dobbiamo essere grati sia a san Francesco, che ha avuto l’ispirazione e il coraggio di incontrare il sultano, sia a Malik al-Kamil per la sua apertura e accoglienza”. Ora tocca a tutte le Chiese locali - aggiungiamo noi - promuovere occasioni di incontro, dialogo, preghiera, amicizia e azione comune]]>
Il giorno peggiore per Santa Sofia https://www.lavoce.it/il-giorno-peggiore-per-santa-sofia/ Fri, 24 Jul 2020 09:57:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57571

Come non condividere l’amarezza di Papa Francesco alla notizia che verrà restituito al culto islamico quello che per più di mille anni (dal IV secolo al 1453) era stato uno dei principali templi della cristianità? La cattedrale di Costantinopoli, Santa Sofia, dedicata alla Sapienza divina. La sua prima fondazione risalirebbe a Costantino, così come quella di San Pietro a Roma; la sua struttura attuale all’imperatore Giustiniano. Convertita in moschea con la conquista turca, è rimasta tale fino al 1935, quando venne trasformata in museo. Però se guardiamo la storia potremmo farcene una ragione.

Il momento peggiore della storia

Il momento di gran lunga peggiore della basilica di Santa Sofia è stato nel 1204, quando quella che era la capitale dell’Impero romano di Oriente, e della Chiesa ortodossa, venne conquistata da un esercito straniero che, secondo la credibile testimonianza dei contemporanei, fece il saccheggio più feroce e offensivo che si fosse mai visto al mondo. Donne stuprate, bambini sgozzati, chiese e case saccheggiate e incendiate. Santa Sofia fu bestialmente profanata; gli invasori issarono sul trono del Patriarca una prostituta discinta che cantava canzoni oscene fra gli applausi della soldataglia. Gli arredi sacri furono depredati, persino i venerabili mosaici distrutti. Il saccheggio dell’intera città durò tre giorni, poi i comandanti ne ordinarono la fine, ma solo perché altrimenti sarebbe stato impossibile fare la “giusta” spartizione del bottino fra le diverse armate che componevano l’esercito invasore.

Gli invasori erano…

Ma chi erano questi barbari invasori? I soldati delle nazioni cattoliche apostoliche romane, riuniti per la quarta Crociata, poi deviati dai loro sovrani verso una preda più ricca, la capitale bizantina. Ma portavano tuttora il nome di “crociati” e ne vestivano le insegne, mentre stupravano e profanavano le chiese cristiane. Solo ai nostri giorni un Papa ne ha chiesto perdono ai cristiani ortodossi. Dunque è naturale provare oggi amarezza perché Santa Sofia torna al culto islamico, ma con l’umiltà di chi ha, nella propria storia, anche quella pagina orribile. Pier Giorgio Lignani]]>

Come non condividere l’amarezza di Papa Francesco alla notizia che verrà restituito al culto islamico quello che per più di mille anni (dal IV secolo al 1453) era stato uno dei principali templi della cristianità? La cattedrale di Costantinopoli, Santa Sofia, dedicata alla Sapienza divina. La sua prima fondazione risalirebbe a Costantino, così come quella di San Pietro a Roma; la sua struttura attuale all’imperatore Giustiniano. Convertita in moschea con la conquista turca, è rimasta tale fino al 1935, quando venne trasformata in museo. Però se guardiamo la storia potremmo farcene una ragione.

Il momento peggiore della storia

Il momento di gran lunga peggiore della basilica di Santa Sofia è stato nel 1204, quando quella che era la capitale dell’Impero romano di Oriente, e della Chiesa ortodossa, venne conquistata da un esercito straniero che, secondo la credibile testimonianza dei contemporanei, fece il saccheggio più feroce e offensivo che si fosse mai visto al mondo. Donne stuprate, bambini sgozzati, chiese e case saccheggiate e incendiate. Santa Sofia fu bestialmente profanata; gli invasori issarono sul trono del Patriarca una prostituta discinta che cantava canzoni oscene fra gli applausi della soldataglia. Gli arredi sacri furono depredati, persino i venerabili mosaici distrutti. Il saccheggio dell’intera città durò tre giorni, poi i comandanti ne ordinarono la fine, ma solo perché altrimenti sarebbe stato impossibile fare la “giusta” spartizione del bottino fra le diverse armate che componevano l’esercito invasore.

Gli invasori erano…

Ma chi erano questi barbari invasori? I soldati delle nazioni cattoliche apostoliche romane, riuniti per la quarta Crociata, poi deviati dai loro sovrani verso una preda più ricca, la capitale bizantina. Ma portavano tuttora il nome di “crociati” e ne vestivano le insegne, mentre stupravano e profanavano le chiese cristiane. Solo ai nostri giorni un Papa ne ha chiesto perdono ai cristiani ortodossi. Dunque è naturale provare oggi amarezza perché Santa Sofia torna al culto islamico, ma con l’umiltà di chi ha, nella propria storia, anche quella pagina orribile. Pier Giorgio Lignani]]>
L’amore disinnesca l’odio https://www.lavoce.it/lamore-disinnesca-lodio/ Fri, 15 May 2020 14:29:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57146 logo reubrica commento al Vangelo

Il Vangelo di Giovanni di questa domenica VI di Pasqua ci accompagna ‘speditamente’ verso le prossime solennità pasquali: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19). “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi sempre, lo Spirito della verità” (vv. 16-17). In pochi versetti è racchiusa la garanzia del permanere del Risorto in mezzo ai suoi, che nel contesto dell’Ultima Cena affrontano il dolore di un annuncio: la sua morte, che avevamo accantonato, ma che ora diventa ineludibile. Una presenza che riguarda anche la comunità cristiana di sempre, quella delle origini, descritta nelle due letture che la liturgia ci propone; e in particolare la nostra comunità. Una comunità cristiana chiamata a risplendere nel mondo per la sua capacità di farsi sale, “sciogliendosi” nelle necessità dei fratelli. Filippo opera in Samaria, compiendo le opere di Gesù (At 8,5-8). Gesù aveva iniziato il suo ministero partendo proprio dalle necessità concrete del suo popolo. Ma per compiere le opere del Risorto non si può prescindere da lui e dall’amore per lui. Allora il mondo, anche quello che odia i cristiani, non avrà più alibi, perché le nostre opere portano l’eco di una vita donata, così come è descritta nella seconda lettura: “Questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo (1Pt 3,16).

Dirsi cristiani e poi sbraitare contro?

Certo, coloro che si dicono cristiani e hanno gridato per l’apertura al popolo della celebrazione eucaristica e poi hanno sbraitato sui social “stracciandosi le vesti” contro Silvia Romano e la sua conversione anziché gioire con la famiglia per il suo ritorno alla vita, non hanno certo “svergognato” coloro che non amano i credenti in Cristo, come ci ricorda san Pietro nella sua lettera (1Pt 3,16). cristiaA questi cristiani san Paolo ricorda la necessità di provare a fare sul serio con il Vangelo per accostarsi all’eucarestia (1Cor 11,23-29). Forse, questo tempo di digiuno eucaristico rischia di essere passato invano. È lecito domandarsi perché, l’odio verso i cristiani. A questo domanda ha già risposto Gesù: “Perché hanno odiato me” (Gv 15,18), riconoscendo un’attenuante al mondo: perché è incapace di riconoscere l’amore (14,17). L’odio rende freddo il cuore e acceca la vista. Ma è proprio questa la “differenza” cristiana: rimanere legati a Cristo significa pensare e agire come lui, con la consapevolezza che solo l’amore è capace di disinnescare la miccia dell’odio. Fa eco a questa visione sul mondo il pensiero di Paolo VI nel suo Testamento: “Non si creda di giovargli [al mondo] assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo”. La successione di atteggiamenti che Paolo VI sintetizza, sembra esplicitare quanto ci dice san Pietro nella seconda lettura, in riferimento all’amore per Cristo: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

La nostra fede non è filosofia ma è un incontro

La nostra fede non è una filosofia, né una serie di regole morali da osservare, ma un incontro che stabilisce una relazione permanente. Essa necessita continuamente di essere rinnovata da “gesti e parole”, che ne diventano l’alimento necessario. Non si può prescindere dalla logica dell’Incarnazione, che è la via scelta da Dio e non può non essere anche la via della Chiesa. Di conseguenza possiamo dire che è anche il criterio di discernimento per il nostro agire e il nostro credere. Questa stupenda sintesi, che tiene insieme l’essere e l’agire del credente, delinea anche il giusto rapporto tra la libertà dell’amore e dell’amare, con la necessità dell’agire secondo l’amore, espresso nei Comandamenti. L’evangelista Giovanni delinea un interessante percorso in due affermazioni: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” e “chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (14,15.21). Sembrano esprimere lo stesso concetto, ma in realtà indicano un percorso e una priorità: l’amore liberamente ricevuto e accolto spinge a uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, e ci impone regole e atteggiamenti che non feriscano l’altro, che non tradiscano quella relazione che ci ha cambiato la vita. Allora scegliere di agire nel rispetto di quella relazione è accogliere i comandamenti, che diventano il segno di aver accolto quell’amore che è una Persona: Gesù Cristo, presente in mezzo a noi e nei fratelli. I comandamenti, e più in genere le regole morali, non definiscono l’amore, ma ne sono la custodia. Don Andrea Rossi]]>
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Il Vangelo di Giovanni di questa domenica VI di Pasqua ci accompagna ‘speditamente’ verso le prossime solennità pasquali: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19). “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi sempre, lo Spirito della verità” (vv. 16-17). In pochi versetti è racchiusa la garanzia del permanere del Risorto in mezzo ai suoi, che nel contesto dell’Ultima Cena affrontano il dolore di un annuncio: la sua morte, che avevamo accantonato, ma che ora diventa ineludibile. Una presenza che riguarda anche la comunità cristiana di sempre, quella delle origini, descritta nelle due letture che la liturgia ci propone; e in particolare la nostra comunità. Una comunità cristiana chiamata a risplendere nel mondo per la sua capacità di farsi sale, “sciogliendosi” nelle necessità dei fratelli. Filippo opera in Samaria, compiendo le opere di Gesù (At 8,5-8). Gesù aveva iniziato il suo ministero partendo proprio dalle necessità concrete del suo popolo. Ma per compiere le opere del Risorto non si può prescindere da lui e dall’amore per lui. Allora il mondo, anche quello che odia i cristiani, non avrà più alibi, perché le nostre opere portano l’eco di una vita donata, così come è descritta nella seconda lettura: “Questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo (1Pt 3,16).

Dirsi cristiani e poi sbraitare contro?

Certo, coloro che si dicono cristiani e hanno gridato per l’apertura al popolo della celebrazione eucaristica e poi hanno sbraitato sui social “stracciandosi le vesti” contro Silvia Romano e la sua conversione anziché gioire con la famiglia per il suo ritorno alla vita, non hanno certo “svergognato” coloro che non amano i credenti in Cristo, come ci ricorda san Pietro nella sua lettera (1Pt 3,16). cristiaA questi cristiani san Paolo ricorda la necessità di provare a fare sul serio con il Vangelo per accostarsi all’eucarestia (1Cor 11,23-29). Forse, questo tempo di digiuno eucaristico rischia di essere passato invano. È lecito domandarsi perché, l’odio verso i cristiani. A questo domanda ha già risposto Gesù: “Perché hanno odiato me” (Gv 15,18), riconoscendo un’attenuante al mondo: perché è incapace di riconoscere l’amore (14,17). L’odio rende freddo il cuore e acceca la vista. Ma è proprio questa la “differenza” cristiana: rimanere legati a Cristo significa pensare e agire come lui, con la consapevolezza che solo l’amore è capace di disinnescare la miccia dell’odio. Fa eco a questa visione sul mondo il pensiero di Paolo VI nel suo Testamento: “Non si creda di giovargli [al mondo] assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo”. La successione di atteggiamenti che Paolo VI sintetizza, sembra esplicitare quanto ci dice san Pietro nella seconda lettura, in riferimento all’amore per Cristo: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

La nostra fede non è filosofia ma è un incontro

La nostra fede non è una filosofia, né una serie di regole morali da osservare, ma un incontro che stabilisce una relazione permanente. Essa necessita continuamente di essere rinnovata da “gesti e parole”, che ne diventano l’alimento necessario. Non si può prescindere dalla logica dell’Incarnazione, che è la via scelta da Dio e non può non essere anche la via della Chiesa. Di conseguenza possiamo dire che è anche il criterio di discernimento per il nostro agire e il nostro credere. Questa stupenda sintesi, che tiene insieme l’essere e l’agire del credente, delinea anche il giusto rapporto tra la libertà dell’amore e dell’amare, con la necessità dell’agire secondo l’amore, espresso nei Comandamenti. L’evangelista Giovanni delinea un interessante percorso in due affermazioni: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” e “chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (14,15.21). Sembrano esprimere lo stesso concetto, ma in realtà indicano un percorso e una priorità: l’amore liberamente ricevuto e accolto spinge a uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, e ci impone regole e atteggiamenti che non feriscano l’altro, che non tradiscano quella relazione che ci ha cambiato la vita. Allora scegliere di agire nel rispetto di quella relazione è accogliere i comandamenti, che diventano il segno di aver accolto quell’amore che è una Persona: Gesù Cristo, presente in mezzo a noi e nei fratelli. I comandamenti, e più in genere le regole morali, non definiscono l’amore, ma ne sono la custodia. Don Andrea Rossi]]>
Ghada, focolarina di origini libanesi, racconta la situazione nel suo Paese https://www.lavoce.it/ghada-focolarina-libano/ Thu, 21 Mar 2019 10:48:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54230 Libano

Libano, terra in cui la convivenza tra popoli e religioni sarebbe facile... se tutto non congiurasse a renderla difficile. È l’impressione che si riceve ascoltando Ghada Karyoty, focolarina libanese - oggi residente nella comunità di Assisi - che nei giorni scorsi a Perugia è intervenuta all’incontro del lunedì presso il Centro ecumenico.

Tre le religioni presenti sul territorio del Paese mediorientale: cristiani, musulmani e i ‘misteriosi’ drusi. La legge determina in modo chiaro in che modo vadano ripartite le cariche istituzionali tra le diverse appartenenze religiose. Non sempre però funziona: “In Libano - racconta Ghada - è stato da poco creato un Governo dopo otto mesi di latitanza. Non riuscivano a mettersi d’accordo”.

La capacità delle religioni di vivere pacificamente le une accanto alle altre è un fiore all’occhiello del Paese, “tranne durante la guerra del 1978-1990, quando venne fomentato l’odio. Dopo la guerra, le varie religioni si erano stanziate in diverse aree della nazione, poi pian piano si sono rimescolate. Anche se rimane sempre un po’ di fuoco a covare sotto la cenere”.

In Libano il movimento dei Focolari conta una decina di consacrati, cinque uomini e cinque donne, più tutta una serie di famiglie, sacerdoti e anche vescovi “amici del Focolare”. “Come movimento - prosegue Karyoty - organizziamo incontri con gli sciiti più moderati, istruiti, aperti al dialogo. Durante i bombardamenti effettuati da Israele nel 2006 abbiamo accolto nella ‘Mariapoli’, nell’area montana fuori Beirut, un centinaio di rifugiati, tutti sciiti”.

La questione interreligiosa si annoda a quella dei profughi. In un Paese di soli 4 milioni di abitanti, sono presenti mezzo milione di palestinesi, sfollati al tempo della creazione dello Stato di Israele (1948), e un milione e mezzo di persone fuggite dalle guerre in corso, soprattutto dalla Siria (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Dario Rivarossa

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Libano

Libano, terra in cui la convivenza tra popoli e religioni sarebbe facile... se tutto non congiurasse a renderla difficile. È l’impressione che si riceve ascoltando Ghada Karyoty, focolarina libanese - oggi residente nella comunità di Assisi - che nei giorni scorsi a Perugia è intervenuta all’incontro del lunedì presso il Centro ecumenico.

Tre le religioni presenti sul territorio del Paese mediorientale: cristiani, musulmani e i ‘misteriosi’ drusi. La legge determina in modo chiaro in che modo vadano ripartite le cariche istituzionali tra le diverse appartenenze religiose. Non sempre però funziona: “In Libano - racconta Ghada - è stato da poco creato un Governo dopo otto mesi di latitanza. Non riuscivano a mettersi d’accordo”.

La capacità delle religioni di vivere pacificamente le une accanto alle altre è un fiore all’occhiello del Paese, “tranne durante la guerra del 1978-1990, quando venne fomentato l’odio. Dopo la guerra, le varie religioni si erano stanziate in diverse aree della nazione, poi pian piano si sono rimescolate. Anche se rimane sempre un po’ di fuoco a covare sotto la cenere”.

In Libano il movimento dei Focolari conta una decina di consacrati, cinque uomini e cinque donne, più tutta una serie di famiglie, sacerdoti e anche vescovi “amici del Focolare”. “Come movimento - prosegue Karyoty - organizziamo incontri con gli sciiti più moderati, istruiti, aperti al dialogo. Durante i bombardamenti effettuati da Israele nel 2006 abbiamo accolto nella ‘Mariapoli’, nell’area montana fuori Beirut, un centinaio di rifugiati, tutti sciiti”.

La questione interreligiosa si annoda a quella dei profughi. In un Paese di soli 4 milioni di abitanti, sono presenti mezzo milione di palestinesi, sfollati al tempo della creazione dello Stato di Israele (1948), e un milione e mezzo di persone fuggite dalle guerre in corso, soprattutto dalla Siria (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Dario Rivarossa

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Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il programma delle iniziative in Umbria https://www.lavoce.it/unita-cristiani-iniziative/ Tue, 15 Jan 2019 10:00:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53794 cristiani

“Cercate di essere veramente giusti” è il tema della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2019, ispirato al capitolo 16 versetti 18-20 del libro del Deuteronomio. In questo inno si ricorda come siamo chiamati a mostrare come cristiani una comune testimonianza per affermare la giustizia e per essere strumento della Grazia guaritrice di Dio in un mondo frammentato in cui diventa cifra del futuro la solidarietà e la collaborazione.

Camminando insieme e avendo Cristo in mezzo a noi si può cercare di contrastare l’ingiustizia ed essere preziosi fratelli di quanti sono vittima di essa. E senza dubbio le divisioni esistenti sono causa dell’ingiustizia e pertanto occorre pregare per la riconciliazione che, così come l’ecumenismo, prima di essere lo sforzo umano di credenti che cercano di superare le divisioni che esistono fra loro, è un dono di Dio per il quale occorre pregare.

Nella diocesi di Perugia-Città della Pieve le iniziative per tale preghiera durante la settimana che va dal 18 al 25 gennaio sono attività svolte dal centro ecumenico San Martino di Perugia in collaborazione con l’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della diocesi e con il Consiglio delle Chiese Cristiane di Perugia (CCC) cheraggruppa le principali realtà cristiane della diocesi. Un modo concreto di testimoniare insieme la riconciliazione di Cristo.

Il programma prevede che sia itinerante nelle diverse chiese cristiane di Perugia nei diversi giorni della settimana con liturgie ecumeniche a cura dei responsabili di Chiesa. Quest’anno voglio sottolineare come la conclusione della settimana si celebrerà nella Chiesa Greco-Cattolica di Perugia della cui presenza la nostra diocesi si è arricchita.

Annarita Caponera Presidente Centro Ecumenico San Martino e del Consiglio delle Chiese Cristiane di Perugia

Programma delle celebrazioni ecumeniche

Perugia

(inizio incontri ore 18.00 presso le chiese indicate)

  • Venerdì 18 gennaio, Chiesa Avventista (Via Cilea 11 – San Sisto): "Il diritto scorra come acqua di sorgente" (Amos 5, 24);
  • Sabato 19, Comunità ortodossa romena (chiesa di San Fiorenzo via della Viola, 1): "Semplicemente, dite ‘sì’ quando è ‘sì’ e ‘no’ quando è ‘no’" (Matteo 5, 37);
  • Lunedì 21, Centro Ecumenico San Martino (via del Verzaro, 23): "Contentatevi di quel che avete" (Ebrei 13, 5);
  • Mercoledì 23, Chiesa Valdese (Via N. Machiavelli, 10): "Il suo nome è: il Signore dell’universo" (Geremia 10, 16);
  • Venerdì 25, Chiesa Greco-Cattolica (Via Col di Tenda, 15): "Il Signore è mia luce e mia salvezza" (Salmo 27[26], 1).  

Assisi

Come tradizione consolidata per la diocesi, sarà un ottavario peregrinante: il 18 gennaio si aprirà al santuario della Spogliazione, a cui seguiranno nei giorni successivi la chiesa di S. Masseo, le basiliche di S. Maria degli Angeli e S. Chiara, le chiese di S. Maria sopra Minerva, S. Pietro e l’oratorio di S. Francescuccio, con la congregazione anglicana.

Alle celebrazioni presso la basilica di S. Francesco e la parrocchia di S. Michele in Bastia parteciperà padre Petru Heisu della parrocchia ortodossa romena di Perugia. La preghiera conclusiva sarà il 25 gennaio nella cattedrale di S. Rufino. (Marina Zola)

Gubbio

Venerdì 25 gennaio alle ore 21 il vescovo mons. Luciano Paolucci Bedini, nei locali sottostanti il seminario diocesano, terrà una relazione su “L’unità è superiore al conflitto: l’ecumenismo al tempo di Papa Francesco”. “E la Pace e l’Unità – ricorda il presule sull’ultimo numero di Insieme Camminiamo - sono l’unica strada che possiamo percorrere insieme a tutti i nostri fratelli di fede, che appartengono a differenti confessioni cristiane, e che sentono il peso della scandalosa divisione tra noi”.]]>
cristiani

“Cercate di essere veramente giusti” è il tema della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2019, ispirato al capitolo 16 versetti 18-20 del libro del Deuteronomio. In questo inno si ricorda come siamo chiamati a mostrare come cristiani una comune testimonianza per affermare la giustizia e per essere strumento della Grazia guaritrice di Dio in un mondo frammentato in cui diventa cifra del futuro la solidarietà e la collaborazione.

Camminando insieme e avendo Cristo in mezzo a noi si può cercare di contrastare l’ingiustizia ed essere preziosi fratelli di quanti sono vittima di essa. E senza dubbio le divisioni esistenti sono causa dell’ingiustizia e pertanto occorre pregare per la riconciliazione che, così come l’ecumenismo, prima di essere lo sforzo umano di credenti che cercano di superare le divisioni che esistono fra loro, è un dono di Dio per il quale occorre pregare.

Nella diocesi di Perugia-Città della Pieve le iniziative per tale preghiera durante la settimana che va dal 18 al 25 gennaio sono attività svolte dal centro ecumenico San Martino di Perugia in collaborazione con l’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della diocesi e con il Consiglio delle Chiese Cristiane di Perugia (CCC) cheraggruppa le principali realtà cristiane della diocesi. Un modo concreto di testimoniare insieme la riconciliazione di Cristo.

Il programma prevede che sia itinerante nelle diverse chiese cristiane di Perugia nei diversi giorni della settimana con liturgie ecumeniche a cura dei responsabili di Chiesa. Quest’anno voglio sottolineare come la conclusione della settimana si celebrerà nella Chiesa Greco-Cattolica di Perugia della cui presenza la nostra diocesi si è arricchita.

Annarita Caponera Presidente Centro Ecumenico San Martino e del Consiglio delle Chiese Cristiane di Perugia

Programma delle celebrazioni ecumeniche

Perugia

(inizio incontri ore 18.00 presso le chiese indicate)

  • Venerdì 18 gennaio, Chiesa Avventista (Via Cilea 11 – San Sisto): "Il diritto scorra come acqua di sorgente" (Amos 5, 24);
  • Sabato 19, Comunità ortodossa romena (chiesa di San Fiorenzo via della Viola, 1): "Semplicemente, dite ‘sì’ quando è ‘sì’ e ‘no’ quando è ‘no’" (Matteo 5, 37);
  • Lunedì 21, Centro Ecumenico San Martino (via del Verzaro, 23): "Contentatevi di quel che avete" (Ebrei 13, 5);
  • Mercoledì 23, Chiesa Valdese (Via N. Machiavelli, 10): "Il suo nome è: il Signore dell’universo" (Geremia 10, 16);
  • Venerdì 25, Chiesa Greco-Cattolica (Via Col di Tenda, 15): "Il Signore è mia luce e mia salvezza" (Salmo 27[26], 1).  

Assisi

Come tradizione consolidata per la diocesi, sarà un ottavario peregrinante: il 18 gennaio si aprirà al santuario della Spogliazione, a cui seguiranno nei giorni successivi la chiesa di S. Masseo, le basiliche di S. Maria degli Angeli e S. Chiara, le chiese di S. Maria sopra Minerva, S. Pietro e l’oratorio di S. Francescuccio, con la congregazione anglicana.

Alle celebrazioni presso la basilica di S. Francesco e la parrocchia di S. Michele in Bastia parteciperà padre Petru Heisu della parrocchia ortodossa romena di Perugia. La preghiera conclusiva sarà il 25 gennaio nella cattedrale di S. Rufino. (Marina Zola)

Gubbio

Venerdì 25 gennaio alle ore 21 il vescovo mons. Luciano Paolucci Bedini, nei locali sottostanti il seminario diocesano, terrà una relazione su “L’unità è superiore al conflitto: l’ecumenismo al tempo di Papa Francesco”. “E la Pace e l’Unità – ricorda il presule sull’ultimo numero di Insieme Camminiamo - sono l’unica strada che possiamo percorrere insieme a tutti i nostri fratelli di fede, che appartengono a differenti confessioni cristiane, e che sentono il peso della scandalosa divisione tra noi”.]]>
La crisi della politica e il sano realismo della fede https://www.lavoce.it/la-crisi-della-politica-sano-realismo-della-fede/ Wed, 27 Jun 2018 15:34:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52180 di Paolo Giulietti

Lo slogan trumpiano America first e il nostrano “Prima gli italiani” vengono presentati dagli autori come strategie (“finalmente!”) libere da buonismo o faciloneria, e ispirate a un sano realismo. Ma è davvero così?

Perché, se è così, noi cristiani non abbiamo più nulla da dire a questa società e ai suoi problemi. Il Vangelo infatti – piaccia o meno – parla di altre logiche, ispirate a condivisione, fiducia, accoglienza, misericordia… in base alle quali il mondo dovrebbe funzionare al meglio (che poi è il succo del concetto di “regno di Dio”).

Se tutto ciò non è realista, cioè non traccia le coordinate di una realtà possibile, ma costituisce un’utopia buona al massimo per i conventi, per sollecitare qualche occasionale elemosina, si deve onestamente concludere che il cristianesimo non è più capace di offrire alcunché di significativo per ciò che attiene alle dinamiche economiche, politiche e sociali che rappresentano una bella fetta della vita delle persone, delle comunità e dei popoli.

Dovremmo quindi accontentarci di una religione tutta privata e spirituale, che si mantenga strettamente nei confini delle sagrestie, degli oratori o dei Centri d’ascolto delle Caritas.

Se però guardiamo dietro la cortina degli slogan, è facile accorgersi che il realismo non sta dove si vuol far credere che sia. È evidente, infatti, che l’irrinunciabile tenore di vita dei popoli “sviluppati” – americani in testa – è incompatibile con la salvaguardia del creato, cioè con la sopravvivenza della specie umana, soprattutto se pensiamo che qualche miliardo di individui desidera acquisirlo (e perché no?). È evidente che un’economia e una politica che non si occupino con decisione di ridurre le diseguaglianze si condannano a investire cifre sempre più rilevanti in armamenti (“sicurezza” la chiamano) e a fomentare incessantemente conflitti regionali, anche su larga scala.

È evidente che una pressione demografica come quella africana, in assenza di un serio progetto di sviluppo e in permanenza degli attuali meccanismi predatori delle risorse di quel Continente, non sarà arginabile a lungo senza esigere un pesantissimo tributo di vite umane. È evidente che la deriva individualista e nichilista delle nostre società – quella italiana in testa – condurrà l’Occidente all’estinzione demografica e alla marginalità economica e culturale. È evidente che le guerre commerciali, alla lunga, produrranno peggiori condizioni di vita generali, col rischio di degenerare in guerre guerreggiate. E l’elenco delle evidenze potrebbe continuare.

Noi cristiani, quindi, abbiamo ancora qualcosina da dire. È infatti più realistico tutto questo o l’invito evangelico a cercare prima “il regno di Dio e la sua giustizia”? Come insegna la dottrina sociale della Chiesa, la pace vera – non quella assai precaria “all’ombra delle baionette” – è l’esito di un giusto ordinamento del mondo, e la condivisione di decisioni e risorse costituisce l’unico modo per assicurare un futuro all’umanità e alla sua “casa comune”.

È più realistica la “globalizzazione dell’indifferenza” o la tensione squisitamente cristiana a riconoscere in ognuno un fratello e a ciascun essere umano un’inviolabile dignità, nella convinzione che le persone non siano un problema, bensì parte della soluzione? È più realistico proporre ai giovani di spendersi per una società come quella attuale, oppure crescerli coltivando in loro la fiducia che “il regno di Dio è vicino”, cioè che il mondo migliore sia a portata di mano di quanti desiderino realizzarlo? Senza illuderli che sia facile o rapido, ma con la certezza che sia una scelta ispirata a sano realismo.

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L’ecumenismo fa tappa a Cuba https://www.lavoce.it/lecumenismo-fa-tappa-a-cuba/ https://www.lavoce.it/lecumenismo-fa-tappa-a-cuba/#comments Thu, 11 Feb 2016 16:52:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45363 Kirill-e-Papa-Francesco_CMYK-2
Papa Francesco e il patriarca Kirill

La lunga attesa ha finalmente raggiunto il suo compimento: il 12 febbraio la terza Roma [Mosca] si riconcilia con la prima Roma per salvare la seconda [Costantinopoli], le Chiese perseguitate dell’Oriente”. Con questa formula l’agenzia missionaria di informazione Asia News sintetizza l’incontro, in calendario proprio oggi, tra Papa Francesco e il patriarca Kirill di Mosca.
Un “evento storico” – tra vari altri nel pontificato di Bergoglio – per tanti motivi: perché avviene su un’isola che ha giocato un ruolo chiave nella storia del Novecento; perché avviene alla vigilia del viaggio di Francesco in alcuni luoghi significativi dell’America Latina; perché rappresenta un abbraccio ecumenico tutt’altro che scontato (più difficile che con il patriarca Bartolomeo, per una serie di ragioni); e perché il cristianesimo mondiale, di qualunque segno, si trova oggi sotto attacco da parte del fondamentalismo islamico. Il metropolita Hilarion di Volokolamsk ha dichiarato, al proposito, che la situazione in Medio Oriente, in Africa e in altre regioni dove si sta “perpetrando un vero e proprio genocidio di cristiani” richiede “misure urgenti e una più stretta cooperazione tra Chiese cristiane”.
L’“ecumenismo del sangue”, più volte evocato da Benedetto XVI e da Papa Francesco, sembra oggi favorire una ripresa dell’ecumenismo anche teologico. Del resto, Kirill – che è un “amico dell’Umbria” (vedi editoriale di mons. Chiaretti in prima pagina) – è sempre stato più aperto al dialogo di quanto lo fosse il suo predecessore a Mosca, Alessio II. È arrivato a Cuba nel corso del suo primo viaggio ufficiale da patriarca in America Latina; lì, insieme a Bergoglio, incontra anche il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
Il meeting tra i due ‘leader massimi’ della cristianità prevede un colloquio personale presso l’aeroporto internazionale “José Martí” de L’Avana e la firma di una Dichiarazione comune. Preparato “da lungo tempo” – ha commentato la Sala stampa vaticana -, l’incontro “sarà il primo nella storia e segnerà una tappa importante nelle relazioni tra le due Chiese”. Dell’avvenimento è stato informato in anticipo anche il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, che ha manifestato la sua soddisfazione e gioia per questo passo avanti nel cammino delle buone relazioni ecumeniche. L’abbraccio tra il Papa e il Patriarca di Mosca porterà – si spera – anche a un clima più disteso tra le varie Chiese ortodosse, che nel 2016 si apprestano a celebrare, tra mille difficoltà, il loro Sinodo mondiale.
A creare tensioni religiose tra Roma e Mosca, dal 1990 in poi, è stata in particolare la questione degli “uniati” in Ucraina, ossia cristiani di rito ortodosso ma tornati sotto l’egida di Roma, e quindi malvisti dal resto dell’Ortodossia. Ad esempio: con la caduta del comunismo, a chi andavano restituiti gli edifici sacri confiscati, agli ortodossi o agli “uniati”? E la Chiesa cattolica ha diritto o no di fare azione pastorale in quelle aree est-europee in cui già esiste una presenza ortodossa? I problemi si stanno comunque stemperando. L’incontro tra il Papa e Kirill – ha precisato la Sala stampa vaticana – era in preparazione già “da un paio d’anni. Si era sempre pensato a un luogo neutro che non fosse né la Russia né il Vaticano. Cuba è certamente un crocevia nel mondo di oggi, ed evidentemente è un luogo ben conosciuto alla Chiesa ortodossa russa e ormai anche alla Chiesa cattolica: ricordiamo che tre Papi hanno visitato Cuba in tempo molto ravvicinato”, Giovanni Paolo II nel 1998, Benedetto XVI nel 2012 e Francesco nel settembre scorso.
Cosa si diranno, o anzi, cosa si stanno dicendo Francesco e Kirill? Impossibile fare anticipazioni, perché i loro interventi “sono previsti non come discorsi preparati, con un testo lungo o complicato, ma più come un’espressione spontanea, personale, di sentimenti in questa straordinaria e bellissima occasione” ha detto padre Lombardi della Sala stampa. In fondo, le parole esatte non contano: purché sia un’occasione “straordinaria e bellissima”.

Il programma del viaggio papale in Messico

Comincia oggi, 12 febbraio – fino al 17 – il viaggio di Papa Francesco in Messico, preceduto dall’incontro con il metropolita Kirill. Nell’itinerario il Papa ha voluto inserire alcune diocesi collocate nel centro, nord e sud del Paese, non toccate dai viaggi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Tappa fondamentale sarà, nel pomeriggio del 13 febbraio, il santuario di Nostra Signora di Guadalupe. Lì Bergoglio incoronerà l’immagine miracolosa della Vergine con un diadema in oro e argento. Al mattino, invece, l’incontro con il presidente e la classe politica del Messico. In cattedrale, quindi, incontrerà i Vescovi. Domenica 14 il Papa sarà a Ecatepec de Morelos, zona molto popolosa e con un elevato indice di povertà, dove presiederà la messa. Dopo il rientro nella Capitale, la visita a un ospedale pediatrico. Il giorno 15 il Papa si dirigerà a Tuxtla Gutiérrez, città di migrazione e di transito dal Guatemala. A San Cristóbal de las Casas, la messa con canti e letture nelle lingue indie; e proprio lì il Pontefice consegnerà un decreto che autorizza l’utilizzo delle lingue locali nella liturgia. Nel pomeriggio la visita ai malati nella cattedrale in cui sono conservate le spoglie di san Bartolomé de las Casas. Martedì 16 nello stadio di Morelia il Papa incontrerà prima il clero e i consacrati e, nel pomeriggio, 50.000 giovani. Mercoledì 17 l’atteso arrivo di Francesco in uno dei luoghi-simbolo del viaggio: Ciudad Juárez, la città più a nord del Messico, confinante con la diocesi statunitense di El Paso. Qui sono previsti tre incontri: con i carcerati, con il mondo del lavoro, e con la popolazione, le vittime della violenza e i familiari dei desaparecidos. Il Papa celebrerà la messa su un palco collocato a ridosso della rete che separa il Messico dagli Usa, area segnata dai drammi dell’immigrazione. Un momento toccante si vivrà prima della celebrazione, quando il Papa si avvicinerà alla rete, collocherà una croce e pregherà per tutti i popoli migranti del mondo. Alla sera, la partenza per Roma.

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Le parole di papa Francesco per il Giubileo della vita consacrata https://www.lavoce.it/profeti-solidali-e-speranzosi/ Fri, 05 Feb 2016 10:29:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45330 vita-consacrata2015_CMYK.jpgDa “religioso” anche lui (ossia appartenente alla Compagnia di Gesù, i gesuiti), Papa Francesco ha parlato dal cuore ai religiosi e religiosi venuti a Roma per il Giubileo della vita consacrata, il 1° febbraio in aula Paolo VI. Tant’è che non ha letto il discorso che aveva preparato ma ha parlato interamente a braccio.
Era anche la conclusione dell’Anno dedicato alla vita consacrata, la quale – ha detto Bergoglio – ha “tre pilastri. Il primo è la profezia, l’altro è la prossimità, e il terzo è la speranza”. Ha però cominciato dalla più ‘classica’ virtù dei monaci: l’obbedienza.
“La perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di croce. Ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte” e dicono: “Secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa – ha commentato il Papa – “è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. ‘Tu che fai?’ – ‘Io faccio quello che mi piace’. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio!”. E a proposito di profezia, essa consiste nel “dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma, la profezia, e lo si deve chiedere allo Spirito santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia… Poi l’altra parola è la prossimità. Uomini e donne consacrate non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no! Per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo. ‘Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?’. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente”.
La scelta della vita consacrata – ha aggiunto – non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente”. Il Papa è quindi tornato su un tema che gli è particolarmente caro, quando parla dello stile di vita quotidiana del cristiano, religioso o laico che sia: “Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere! Perché chi chiacchiera è un ‘terrorista’ dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se ne va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo, distrugge. Questa, l’apostolo Santiago [ossia Giacomo, vedi Gc 3,5-10] diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere: quella di dominare la lingua”. Infine, la speranza, la virtù che guarda con fiducia al futuro.
E qui Francesco si è confidato con l’uditorio: “Vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: ‘Quanti seminaristi avete?’ – ‘Quattro, cinque…’. Quando voi, nelle vostre comunità religiose, maschili o femminili, avete un novizio, una novizia, due, e la comunità invecchia, invecchia…. a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: ‘Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?’. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della ‘inseminazione artificiale’. Accolgono: ‘Ma sì, vieni, vieni, vieni…’. E poi i problemi che [nascono] lì dentro… No, si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione, e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci”. Con il consueto realismo, ha aggiunto: “Perché c’è un pericolo… questo è brutto, ma devo dirlo: quando una congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti e incomincia a essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo… E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore!”.
Per concludere con un grande abbraccio fraterno: “Vi ringrazio tanto per quello che fate”, voi “consacrati, ognuno con il suo carisma!”.

 

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Papa Francesco per la prima volta in visita alla sinagoga di Roma https://www.lavoce.it/papa-francesco-per-la-prima-volta-in-visita-alla-sinagoga-di-roma/ Fri, 22 Jan 2016 11:51:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45114 Papa Francesco con il rabbino capo Riccardo Di Segni in visita alla sinagoga di Roma
Papa Francesco con il rabbino capo Riccardo Di Segni in visita alla sinagoga di Roma

Papa Francesco ha portato il “saluto di pace” agli ebrei, italiani e non solo, nel corso della sua “prima visita” alla sinagoga di Roma il 17 gennaio. Proprio così l’ha definita: “prima visita”, quasi a prometterne un’altra.
Bergoglio è il terzo Pontefice a mettere fisicamente piede nell’edificio, dopo Giovanni Paolo II nel 1986 e Benedetto XVI nel 2010.Entrambi erano però stati preceduti da Giovanni XXIII che benedisse la comunità ebraica all’esterno della sinagoga sul Lungotevere, suscitando scalpore e gioia.
La visita di Wojtyla fu “storica”. Quella di Ratzinger, “controversa” a causa delle voci che circolavano circa la possibile beatificazione di Pio XII. Un giorno probabilmente verrà riconosciuta in via ufficiale l’opera di Papa Pacelli a favore degli ebrei perseguitati, ma è giusto rispettare la sensibilità diffusa, specie su un tema così delicato; tant’è che Papa Francesco ha lasciato cadere il caso Pacelli. Quanto alla sua visita, avviene in un momento di tensioni e stragi causate dal terrorismo islamico.
“Nel dialogo interreligioso – ha detto il Papa – è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode; che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda, e cerchiamo di collaborare. Nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr. Nostra aetate , 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”.
Dopo aver richiamato, a questo proposito, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, ha aggiunto: “Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di un’ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze e ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità, e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia.
Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
Il rabbino capo Riccardo Di Segni ha sottolineato che, nella “tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte [come le visite papali, ndr ] diventa chazaqà , consuetudine fissa. È decisamente il segno concreto di una nuova Era”.
Quindi ha ricordato il Giubileo nella tradizione ebraica: “Non ci è sfuggito il momento iniziale in cui all’apertura della porta è stata recitata la formula liturgica ‘aprite le porte della giustizia’. Per un ebreo che ascolta è qualche cosa di noto e familiare, è la citazione del verso dei Salmi ” che “citiamo nella nostra liturgia festiva”. Tutti “attendiamo – ha detto ancora Di Segni – un momento chissà quanto lontano nella storia in cui le divisioni si risolveranno… Accogliamo il Papa per ribadire che le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono però essere giustificazione all’odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia e collaborazione; e che le esperienze, i valori, le tradizioni, le grandi idee che ci identificano devono essere messe al servizio della collettività”.
All’evento era anche presente un portavoce della Knesset , il Parlamento dello Stato di Israele, Yuli Edelstein . Il quale ha ringraziato il Papa per i suoi appelli a favore della Terra Santa: questo “aiuta l’economia, sia per ebrei che per gli arabi, e potrebbe favorire la stabilità e la pace” in Medio Oriente.

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Eventi ecumenici con il Metropolita https://www.lavoce.it/eventi-ecumenici-con-il-metropolita/ Mon, 18 Jan 2016 13:02:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45037

Nella cornice del Centro ecumenico, abbiamo presentato lo scorso lunedì 11 gennaio le varie iniziative che si svolgeranno a Perugia durante la Settimana di preghiera l’unità dei cristiani, che va dal 18 al 25 gennaio e ha per tema “Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio” (1Pt 2,9). La Settimana vede ormai consolidata la prassi inaugurata dal Consiglio delle Chiese cristiane di Perugia (Cccpg) di spostarsi in maniera itinerante nelle sedi delle diverse Chiese presenti nel territorio e celebrare liturgie condivise sulla base del sussidio predisposto dalla Commissione fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Il programma Martedì 19 gennaio, ore 17.30 presso la chiesa valdese (via Machiavelli 10, Perugia) celebrazione ecumenica “Chiamati a essere messaggeri di speranza”. Venerdì 22 gennaio, ore 18.30 presso la chiesa avventista (via Cilea 11, San Sisto), “La comunione degli apostoli”; Sabato 23 gennaio, ore 18 presso la comunità ortodossa romena (chiesa di San Fiorenzo, via della Viola 1), “Ascolta questo sogno”. Il culmine della celebrazione della settimana sarà domenica 24 gennaio in quanto Perugia avrà la gradita presenza del metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta ed esarca dell’Europa meridionale. Domenica 24 gennaio il Metropolita svolgerà la visita pastorale alla parrocchia greco-ortodossa di San Gerasimo di Perugia. In tale occasione verrà celebrata l’eucaristia alle ore 11 in occasione del decimo anniversario della consegna di questa chiesa (situata in Via Benincasa) alla comunità greco-ortodossa di Perugia da parte dell’allora arcivescovo di Perugia mons. Giuseppe Chiaretti. Nel pomeriggio di domenica 24 gennaio alle ore 16 presso il Centro ecumenico San Martino (via del Verzaro 23, Perugia) si terrà la celebrazione ecumenica “Ospitalità per la preghiera” con la partecipazione dei seguenti responsabili delle diverse Chiese appartenenti al Cccpg: il card. Gualtiero Bassetti; il metropolita Gennadios; il reverendo Ionut Radu, responsabile della comunità ortodossa romena di Perugia; il pastore Pawel Gajevski della Chiesa valdo-metodista di Perugia e Terni; il pastore emerito Lillo Furnari, della Chiesa avventista di Perugia. A conclusione della giornata, come pure di tutta la settimana organizzata congiuntamente da Consiglio delle Chiese cristiane di Perugia, Centro ecumenico e ufficio diocesano per l’Ecumenismo, il card. Bassetti celebrerà in cattedrale alle ore 18 la messa per l’unità dei cristiani. Lunedì 18 gennaio alle ore 17 al Centro ecumenico (via del Verzaro 23 a Perugia) sarà presente il rabbino della comunità di Roma Cesare Moscati, che partecipa da numerosi anni al dialogo cattolico-ebraico che si svolge nella sede del Centro ecumenico. Si può dire che tale partecipazione è avvenuta fin dagli albori di questa iniziativa, nata a livello nazionale per intuizione della Conferenza episcopale italiana, e ora arrivata alla 20a Giornata annuale. Il tema di quest’anno, come si evince dal sussidio della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei è la “decima parola” tratta da Esodo 20,17: “Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”. La necessità di porre questa iniziativa in data 18 gennaio - anziché il 17, giorno suo proprio - è dovuto al fatto che la comunità ebraica di Roma nella data di domenica 17 sarà impegnata con la visita di Papa Francesco alla sinagoga della Capitale. La scelta della data quindi è necessariamente stata posta nel giorno successivo, coincidente con l’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. D’altronde i nostri “fratelli maggiori” stanno - per così dire - sulla soglia del cristianesimo, e a volte fanno “capolino” anche dal di dentro, se si considera il fatto che Gesù era, è e sarà ebreo per sempre.    ]]>

Nella cornice del Centro ecumenico, abbiamo presentato lo scorso lunedì 11 gennaio le varie iniziative che si svolgeranno a Perugia durante la Settimana di preghiera l’unità dei cristiani, che va dal 18 al 25 gennaio e ha per tema “Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio” (1Pt 2,9). La Settimana vede ormai consolidata la prassi inaugurata dal Consiglio delle Chiese cristiane di Perugia (Cccpg) di spostarsi in maniera itinerante nelle sedi delle diverse Chiese presenti nel territorio e celebrare liturgie condivise sulla base del sussidio predisposto dalla Commissione fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Il programma Martedì 19 gennaio, ore 17.30 presso la chiesa valdese (via Machiavelli 10, Perugia) celebrazione ecumenica “Chiamati a essere messaggeri di speranza”. Venerdì 22 gennaio, ore 18.30 presso la chiesa avventista (via Cilea 11, San Sisto), “La comunione degli apostoli”; Sabato 23 gennaio, ore 18 presso la comunità ortodossa romena (chiesa di San Fiorenzo, via della Viola 1), “Ascolta questo sogno”. Il culmine della celebrazione della settimana sarà domenica 24 gennaio in quanto Perugia avrà la gradita presenza del metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta ed esarca dell’Europa meridionale. Domenica 24 gennaio il Metropolita svolgerà la visita pastorale alla parrocchia greco-ortodossa di San Gerasimo di Perugia. In tale occasione verrà celebrata l’eucaristia alle ore 11 in occasione del decimo anniversario della consegna di questa chiesa (situata in Via Benincasa) alla comunità greco-ortodossa di Perugia da parte dell’allora arcivescovo di Perugia mons. Giuseppe Chiaretti. Nel pomeriggio di domenica 24 gennaio alle ore 16 presso il Centro ecumenico San Martino (via del Verzaro 23, Perugia) si terrà la celebrazione ecumenica “Ospitalità per la preghiera” con la partecipazione dei seguenti responsabili delle diverse Chiese appartenenti al Cccpg: il card. Gualtiero Bassetti; il metropolita Gennadios; il reverendo Ionut Radu, responsabile della comunità ortodossa romena di Perugia; il pastore Pawel Gajevski della Chiesa valdo-metodista di Perugia e Terni; il pastore emerito Lillo Furnari, della Chiesa avventista di Perugia. A conclusione della giornata, come pure di tutta la settimana organizzata congiuntamente da Consiglio delle Chiese cristiane di Perugia, Centro ecumenico e ufficio diocesano per l’Ecumenismo, il card. Bassetti celebrerà in cattedrale alle ore 18 la messa per l’unità dei cristiani. Lunedì 18 gennaio alle ore 17 al Centro ecumenico (via del Verzaro 23 a Perugia) sarà presente il rabbino della comunità di Roma Cesare Moscati, che partecipa da numerosi anni al dialogo cattolico-ebraico che si svolge nella sede del Centro ecumenico. Si può dire che tale partecipazione è avvenuta fin dagli albori di questa iniziativa, nata a livello nazionale per intuizione della Conferenza episcopale italiana, e ora arrivata alla 20a Giornata annuale. Il tema di quest’anno, come si evince dal sussidio della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei è la “decima parola” tratta da Esodo 20,17: “Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”. La necessità di porre questa iniziativa in data 18 gennaio - anziché il 17, giorno suo proprio - è dovuto al fatto che la comunità ebraica di Roma nella data di domenica 17 sarà impegnata con la visita di Papa Francesco alla sinagoga della Capitale. La scelta della data quindi è necessariamente stata posta nel giorno successivo, coincidente con l’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. D’altronde i nostri “fratelli maggiori” stanno - per così dire - sulla soglia del cristianesimo, e a volte fanno “capolino” anche dal di dentro, se si considera il fatto che Gesù era, è e sarà ebreo per sempre.    ]]>
ECUMENISMO. Dal 18 al 15 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani https://www.lavoce.it/meraviglie-da-annunciare/ Fri, 15 Jan 2016 21:15:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44994 La cattedraleortodossa di Daugavpils inLettonia“Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio” ( 1 Pietro 2,9) è il testo biblico di riferimento per la imminente Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ( 18-25 gennaio ). Quest’anno il materiale per la celebrazione della Settimana è stato preparato dai cristiani delle varie confessioni della Lettonia, materiale che poi è stato rifinito in un agile sussidio dalla Commissione ecumenica internazionale nominata dalla Commissione fede e Costituzione (Consiglio ecumenico delle Chiese) e dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (Chiesa cattolica).

All’interno del tema si distinguono due momenti: il primo evidenzia la chiamata dei cristiani a essere “popolo di Dio” dopo aver ricevuto la potenza della salvezza di Dio in Cristo Gesù mediante il battesimo comune a tutti i cristiani; il secondo sottolinea l’ascolto delle “opere meravigliose” di Dio così come si leggono nella Bibbia.

Quest’articolazione del tema sottolinea la profonda unità che già viene condivisa dai fedeli in Cristo. Il battesimo infatti è ciò che ci rende cristiani, rinati dall’acqua e dallo Spirito in continua sfida per rimanere in questa identità di popolo di Dio. Le “opere meravigliose” di Dio, ascoltate e annunciate sulla base delle Scritture, ci accomunano nella testimonianza al mondo di tali opere attraverso il culto e la preghiera, nonché nell’azione concorde in favore della giustizia e della pace.

I simboli proposti nelle celebrazioni ecumeniche presenti nel sussidio sono: una Bibbia, una candela illuminata, il sale. Gli ultimi due richiamano chiaramente l’identità dei cristiani e definiscono la loro missione sulla base del Discorso della montagna di Gesù ( Mt 5,13-16): i cristiani sono il sale e la luce, mandati ad essere sale e luce del mondo. La Bibbia invece letta e pregata insieme rappresenta un potente mezzo che rende palese l’unità già presente.

Ricordiamo come la ricerca dell’unità da parte di tutti i cristiani sia un imperativo che si basa sulla preghiera di Gesù perché tutti fossimo una cosa sola ( Gv 17, 21), la divisione pertanto non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo danneggiando la predicazione del Vangelo e rendendo poco credibili i cristiani di fronte al mondo. Ecco perché ben vengano le iniziative volte al ristabilimento dell’unità la cui cura riguarda tutti, sia i fedeli che i pastori, e ci tocca da vicino secondo le possibilità di ognuno, sia nella vita quotidiana (ecumenismo di base) sia negli studi teologici e incontri al vertice (ecumenismo istituzionale).

A ben pensarci, pregare per l’unità dei cristiani dovrebbe essere l’intenzione di preghiera quotidiana, vista la posta in gioco: dovrebbe impegnarci tutto l’anno, non soltanto in alcuni brevi periodi individuati sul calendario.

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Francesco in Africa: perché il popolo lo ha sentito vicino https://www.lavoce.it/francesco-in-africa-perche-il-popolo-lo-ha-sentito-vicino/ Sat, 05 Dec 2015 10:46:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44606 Apertura della Porta Santa nella Cattedrale di Bangui
Apertura della Porta Santa nella Cattedrale di Bangui

L’Africa sta vivendo un momento magico: cresce la fede, con milioni di battesimi ogni anno; le strade si moltiplicano, l’elettricità è portata anche in zone remote, l’acqua diventa più disponibile. Però non è tutto oro quello che luccica. I benefici sono ancora limitati al 30% della popolazione, l’altro 70% ha ancora a che fare con pane insufficiente, acqua non potabile, ospedali senza medicine e letti… Francesco, pur apprezzando il progresso raggiunto, si è decisamene schierato dalla parte dei poveri, che sono la maggioranza, con chiari richiami e indicazioni per i Governi, la politica, il mondo finanziario e le Chiese. Francesco ha cercato di convincerci che possiamo sognare un grande futuro se lavoreremo più assieme, se debelleremo i demoni del tribalismo e del fondamentalismo religioso che oppongono un gruppo umano a un altro, sempre fonte di violenza distruttrice. Francesco ci ha aiutato a debellare il pessimismo che spinge tanti africani a fuggire dal Continente, credendo che il paradiso si trovi altrove, magari in Europa! Ha cercato di convincerci che è possibile costruire una vita più dignitosa anche in Africa.

Il fascino della sua persona: umiltà, gioia, sincerità, speranza.

Perché Papa Francesco è così popolare in Africa? Quale dei suoi tratti personali colpisce di più? Qui siamo abituati a vedere il Presidente della Repubblica, ministri, cardinali e vescovi lontani dalla gente; sembra che, più si cresce nella carriera, più ci si debba distanziare dal popolo con grandi macchine, elicotteri, aerei personali, case lussuose… Francesco colpisce per la sua semplicità: di vestire, di presentarsi, di parlare, di portare la sua borsa, di andare dall’ottico a comprare gli occhiali. Assieme alla semplicità colpisce la sua l’umiltà di ammettere i limiti, saper chiedere scusa. Allo stadio Kasarani di Nairobi, di fronte a migliaia di giovani, ha bollato con parole di fuoco la corruzione che sottrae infinite risorse finanziarie allo sviluppo del Kenya; ma ha pure aggiunto: “Non è soltanto una sfida per voi in Kenya, ma anche per me in Vaticano”. Poi la sua insistenza sulla compassione e misericordia di Dio, che costituiscono il tema dell’Anno santo che Francesco ha aperto a Bangui, la capitale del Centrafrica, domenica 29 novembre. In Francesco vediamo il volto di Dio Padre che accoglie il figlio, che può aver sbagliato, ma senza umiliarlo per l’errore. Nell’Africa tradizionale la grandezza della persona è nella sua magnanimità, nella sua capacità di accogliere e fare posto a tutti attorno alla stessa tavola per godere assieme dello stesso cibo. I giornali, le televisioni, le radio lo hanno salutato milioni volte come il Papa della speranza, Papa del popolo, soprattutto dei più poveri. Tutti sono venuti alle celebrazioni da lui presiedute: cristiani, musulmani, indù. Tutti affermano: questo Papa è anche nostro perché rappresenta Dio nel quale anche noi crediamo! Lui prega per tutti, non solo per i cattolici! Infine, il coraggio. Obama qui a Nairobi si è mosso su un’auto super-blindata a prova di missile. Francesco ha detto di temere soltanto le zanzare. Un’ottima combinazione di grande sintonia con il popolo e di immensa fiducia in Dio!

La fede e l’impegno sociale per gli altri: la Chiesa, attore religioso e sociale

Il Papa cerca di ripulire la Chiesa da una religione unilateralmente incentrata sui riti liturgici e preghiere intimiste che poi non aprono il cuore al perdono, alla solidarietà, alla collaborazione, all’accoglienza. Francesco ama ripetere: la preghiera che non conduce a un impegno pratico per gli altri, per il tuo fratello più povero, malato, che ha bisogno di aiuto; che non apre il cuore alla sorella, al fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Sant’Ubaldo da Gubbio aveva come ispirazione il motto: “Nessuna Chiesa senza un ospizio per i poveri’. La Chiesa di mattoni è il posto in cui Gesù sacramentato viene custodito, dove la comunità si riunisce per pregarlo, per ascoltarlo, per adorarlo, per ringraziarlo. Ma Gesù non è soltanto nell’ostia, o oso dire: non è principalmente nell’ostia, ma nel fratello e nella sorella che a ogni passo incontriamo, soprattutto il povero e l’estraneo. Nella messa più partecipata, all’Università di Nairobi il 26 novembre, Francesco ha indossato una mitria di pelle di capra. Cerca di snellire la Chiesa liberandola da aspetti di pomposità barocca di altri tempi: liturgie con abiti dorati, calici preziosi, porpora, stonano con l’identità di Gesù di Nazareth che la liturgia celebra. Alcuni Padri della Chiesa insistevano nel vendere i paramenti per investirne il ricavato per i poveri. Qui in Africa tutti hanno l’esperienza che la Chiesa è un attore sociale di prima grandezza: tutte le parrocchie hanno la scuola, il dispensario, la Caritas per i poveri. Questa è la Chiesa che Francesco è venuto a consolidare in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.

Collaborazione tra le varie religioni: mai violenza in nome di Dio

L’ultima tappa del viaggio è stato il Centrafrica, una nazione di 5 milioni di abitanti a stragrande maggioranza cristiana, ora devastata dalla violenza e terrore di gruppi islamici finanziati e armati dal Medio Oriente. Se c’è una nazione che ha infinito bisogno di riconciliazione e giustizia in questo momento, è proprio lì. L’idea di aprire lì l’Anno santo, che è anno di riconciliazione come frutto di compassione e misericordia, esprime più di mille parole dove batta il cuore di Francesco. Non è stato lui ad invitare in Vaticano il leader palestinese Abu Mazen, il presidente israeliano Shimon Peres e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo per pregare per la riconciliazione tra israeliani e palestinesi? Senza un dignitoso mutuo riconoscimento di due nazioni indipendenti fra i due popoli, ogni sogno di pace in Medio Oriente è puro fumo. In uno degli incontri più toccanti con tutti i leader delle varie religioni presenti in Kenya, la mattina del 26 novembre, ha ripetuto con forte emozionalità: “Mai più violenza in nome di Dio!”. Pure ai giovani ha ripetuto di non lasciarsi abbacinare dai fautori di violenza e dagli esecutori di condanne a morte. Non si può dimenticare che il primo grande attentato terroristico di matrice islamica avvenne a Nairobi l’8 agosto 1998, con 252 vittime. Non c’è dubbio che Francesco ci ha lasciato un capitale di speranza, di motivazioni e di ispirazione, oltre che di preghiera, che non potranno non portare frutto – se noi ci impegneremo con coerenza e tenacia!

25-30/11/2015

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Linda https://www.lavoce.it/linda/ Sat, 05 Dec 2015 08:44:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44566 Don Angelo Fanucci
Don Angelo Fanucci

“Linda”: non saprei con quale altro aggettivo qualificarla. Linda. Parlo dell’omelia pronunciata nella chiesa di San Francesco, a Gubbio, il 30 novembre scorso, secondo giorno della novena dell’Immacolata. Pronunciata da chi? Esito a dirtelo, benevolo lettore, perché so di rischiare che l’immagine che ho di lui prenda a fuoco. Sai, lui ha i capelli rossi, i paramenti che indossava (si celebrava la festa di sant’Andrea) erano rossi, se rivelo il suo nome anche la sua faccia diventa rossa, e… l’immagine che ho di lui prende a fuoco.

Ma va’ là che te lo dico! È don Matteo Monfrinotti, giovane e aulente fiore all’occhiello del clero eugubino. No, non scherzo affatto: è stato un piacere ascoltarlo; nelle prossime sere della novena tornerò a lasciarmi sorprendere da lui ogni volta che potrò. Dio mio, dopo tante predicucce improntate all’ultimo momento! Quelle che per tanto tempo anch’io ho avuto l’infame coraggio di pronunciare, fidando in quella buona padronanza della lingua italiana che mi permette di rimediare al vuoto dei contenuti con qualche gioco pirotecnico verbale.

Don Matteo è laureato in Lettere classiche e dottore in Teologia e Scienze patristiche. Lippis tonsoribusque notum est che la Patristica è la produzione teologica del I millennio dell’era cristiana, a partire dal III secolo; ma non tutti i guerci e i barbieri sanno con quanto appeal, con quanta precisione e sobrietà il nostro giovane confratello parla della Madonna, usando quasi soltanto parole attinte a Ireneo o ad Agostino.

Evidentemente oggi a Roma le Università pontificie fanno le cose sul serio. Ne ho avuto coscienza diretta assistendo qualche tempo fa alla discussione della tesi di laurea di don Luca Lepri su De Lubac. Quattrocento pagine dense e lucide, recentemente pubblicate da Cittadella. L’hanno torchiato, il prete mingherlino, ben benino, a lungo, l’hanno strizzato, i suoi relatori, come facevano una volta con i panni che lavavano, ai bordi della Saonda o dell’Assino, le nostre antiche, robuste lavandare.

Non era così ai miei tempi. Alla Lateranense insegnava patristica un agostiniano dottissimo, padre Daniel Stiernon, ma la Patristica non contava nulla; contava solo san Tommaso, trasformato e umiliato (da teologo potente a teologo prepotente) a opera di un certo tomismo d’accatto.

Due preti giovani e modernissimi che sono tali perché hanno recuperato parti davvero notevoli del nostro passato. E io, francamente, sono stufo delle continue “scoperte” in fatto di Padri e soprattutto di Bibbia. Quel biblista tedesco ha “dimostrano” che l’asina di Balaam parlava tre lingue. Quell’altro, tedesco anche lui, si dice sicuro che il buon ladrone ci aveva i calli alle ginocchia.

Aux sources! – “Alle fonti!” fu il motto con il quale cristiani veri e disposti a pagare di persona invocarono a metà del secolo XX il rinnovamento della Chiesa. Sources, sorgenti, non rigagnoli.

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Chiesa e islam, dialogo possibile https://www.lavoce.it/chiesa-e-islam-dialogo-possibile/ Fri, 30 Oct 2015 14:02:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44114

[caption id="attachment_44092" align="alignleft" width="350"]Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide[/caption] Due religioni e due culture a confronto, per avviare un dialogo che favorisca la conoscenza reciproca e l’integrazione nella comunità locale. Era questo il filo conduttore dell’incontro pubblico “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è tenuto sabato 24 ottobre nel centro socio-culturale San Francesco, affollatissimo, promosso dal Comune insieme al Centro culturale islamico di Umbertide, parrocchia di Cristo Risorto, Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Gubbio e Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid) dei Frati minori conventuali di Assisi. L’obiettivo era agevolare la socializzazione e il rapporto tra la popolazione umbertidese e la numerosa comunità islamica presente in città attraverso il dialogo e la comprensione, nella convinzione che la riflessione e il confronto tra due diverse religioni e culture non possa che arricchire la vita della comunità umbertidese dove vive una comunità islamica di circa 1.500 unità, il 10% della popolazione locale, per la maggior parte marocchini, ma anche algerini, tunisini, albanesi, oltre a persone dell’Africa subsahariana. L’incontro si è aperto e concluso con i saluti del sindaco Marco Locchi, che ha parlato di Umbertide come di “un piccolo laboratorio del dialogo islam-cristianesimo” ricordando la realizzazione del Centro “Jerry Masslo” nato e portato avanti in collaborazione con la Caritas diocesana. “Questo incontro è stato di grande interesse per me” ha detto il Sindaco a conclusione dell’incontro, esprimendo la volontà di proseguire con appuntamenti analoghi, periodici, nei quali confrontarsi su temi concreti. Si è quindi proseguito con i contributi di illustri esponenti delle due religioni, moderati dalla giornalista de La Voce Maria Rita Valli, che ha subito espresso la forte necessità del dialogo, ormai diventato imprescindibile tra le persone che credono in un Dio misericordioso ed ha sottolineato la diversità e varietà sia dei cristiani che si articolano nelle tre grandi famiglie cattolica, ortodossa e evangelica, sia dei musulmani che oltre alle due grandi tradizioni sunnita e sciita, conoscono una varietà di aggregazioni che si traducono, anche in Italia, in diverse associazioni quali, per esempio, l’Ucoii, il Coreis, la Lega musulmana mondiale e la Confederazione islamica italiana fondata dall’imam Abdallah Massimo Cozzolino e della quale fa parte anche l’imam di Umbertide Chafiq El Oquayly. Sono intervenuti don Stefano Bocciolesi, direttore dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, padre Silvestro Bejan, delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Ordine dei frati minori Conventuali e direttore del Cefid, Chafiq El Oquayly, presidente del Centro culturale islamico di Umbertide e presidente della Federazione regionale islamica dell’Umbria, e l’imam Cozzolino. “La maggioranza dei musulmani ritiene inammissibile la violenza del Daesh e dell’Is “ha detto Cozzolino, sottolineando la necessità del dialogo tra i credenti, perché, ha aggiunto, “non sono le religioni a dialogare ma le persone”. “la bella integrazione che è avvenuta a Umbertide (dove molti suoi confratelli hanno deciso di fermarsi e di far crescere i loro figli), può diventare il modello ideale per stabilire corrette relazioni tra musulmani e cristiani”.

Il Centro islamico

Nel suo intervento l’imam Chafiq El Oqayly si è soffermato in particolare nel descrivere la vita di un centro islamico. “In un centro islamico - ha detto l’imam - si prega, si studia il Corano, si impara la lingua italiana e si insegna ai bambini quella del Paese in cui sono, si ritrovano le proprie radici”. Sulla questione del Centro culturale islamico l’Amministrazione Comunale in una nota in risposta ad un ordine del giorno presentato da Umbertide Cambia, “precisa che da tempo ad Umbertide è presente un centro islamico situato presso l’area ex tabacchi” in un edificio non più adeguato e che “nel 2011 l’associazione Centro culturale islamico ha acquistato una porzione di terreno in zona Madonna del Moro al fine di realizzare una nuova struttura in cui trasferire il centro”.

Da parte cattolica

"In questo incontro - ha detto padre Silvestro Bejan - vogliamo parlare col vero islam, che è capace di dialogare e di confrontarsi, non con quelli che strumentalizzano il Corano per fini politici, economici. È chiaro che per parlare bisogna porsi davanti l’uno all’altro, come fece san Francesco, pieni dello Spirito di Dio che ci saprà guidare”. E don Stefano Bocciolesi: “È importante riconoscerci in una apertura reciproca, senza cadere nei sincretismi, ma affrontando un dialogo vero che riconosca la propria identità e radici. Bisogna avere la voglia di incontrare la persona nella sua diversità”.]]>

[caption id="attachment_44092" align="alignleft" width="350"]Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide[/caption] Due religioni e due culture a confronto, per avviare un dialogo che favorisca la conoscenza reciproca e l’integrazione nella comunità locale. Era questo il filo conduttore dell’incontro pubblico “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è tenuto sabato 24 ottobre nel centro socio-culturale San Francesco, affollatissimo, promosso dal Comune insieme al Centro culturale islamico di Umbertide, parrocchia di Cristo Risorto, Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Gubbio e Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid) dei Frati minori conventuali di Assisi. L’obiettivo era agevolare la socializzazione e il rapporto tra la popolazione umbertidese e la numerosa comunità islamica presente in città attraverso il dialogo e la comprensione, nella convinzione che la riflessione e il confronto tra due diverse religioni e culture non possa che arricchire la vita della comunità umbertidese dove vive una comunità islamica di circa 1.500 unità, il 10% della popolazione locale, per la maggior parte marocchini, ma anche algerini, tunisini, albanesi, oltre a persone dell’Africa subsahariana. L’incontro si è aperto e concluso con i saluti del sindaco Marco Locchi, che ha parlato di Umbertide come di “un piccolo laboratorio del dialogo islam-cristianesimo” ricordando la realizzazione del Centro “Jerry Masslo” nato e portato avanti in collaborazione con la Caritas diocesana. “Questo incontro è stato di grande interesse per me” ha detto il Sindaco a conclusione dell’incontro, esprimendo la volontà di proseguire con appuntamenti analoghi, periodici, nei quali confrontarsi su temi concreti. Si è quindi proseguito con i contributi di illustri esponenti delle due religioni, moderati dalla giornalista de La Voce Maria Rita Valli, che ha subito espresso la forte necessità del dialogo, ormai diventato imprescindibile tra le persone che credono in un Dio misericordioso ed ha sottolineato la diversità e varietà sia dei cristiani che si articolano nelle tre grandi famiglie cattolica, ortodossa e evangelica, sia dei musulmani che oltre alle due grandi tradizioni sunnita e sciita, conoscono una varietà di aggregazioni che si traducono, anche in Italia, in diverse associazioni quali, per esempio, l’Ucoii, il Coreis, la Lega musulmana mondiale e la Confederazione islamica italiana fondata dall’imam Abdallah Massimo Cozzolino e della quale fa parte anche l’imam di Umbertide Chafiq El Oquayly. Sono intervenuti don Stefano Bocciolesi, direttore dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, padre Silvestro Bejan, delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Ordine dei frati minori Conventuali e direttore del Cefid, Chafiq El Oquayly, presidente del Centro culturale islamico di Umbertide e presidente della Federazione regionale islamica dell’Umbria, e l’imam Cozzolino. “La maggioranza dei musulmani ritiene inammissibile la violenza del Daesh e dell’Is “ha detto Cozzolino, sottolineando la necessità del dialogo tra i credenti, perché, ha aggiunto, “non sono le religioni a dialogare ma le persone”. “la bella integrazione che è avvenuta a Umbertide (dove molti suoi confratelli hanno deciso di fermarsi e di far crescere i loro figli), può diventare il modello ideale per stabilire corrette relazioni tra musulmani e cristiani”.

Il Centro islamico

Nel suo intervento l’imam Chafiq El Oqayly si è soffermato in particolare nel descrivere la vita di un centro islamico. “In un centro islamico - ha detto l’imam - si prega, si studia il Corano, si impara la lingua italiana e si insegna ai bambini quella del Paese in cui sono, si ritrovano le proprie radici”. Sulla questione del Centro culturale islamico l’Amministrazione Comunale in una nota in risposta ad un ordine del giorno presentato da Umbertide Cambia, “precisa che da tempo ad Umbertide è presente un centro islamico situato presso l’area ex tabacchi” in un edificio non più adeguato e che “nel 2011 l’associazione Centro culturale islamico ha acquistato una porzione di terreno in zona Madonna del Moro al fine di realizzare una nuova struttura in cui trasferire il centro”.

Da parte cattolica

"In questo incontro - ha detto padre Silvestro Bejan - vogliamo parlare col vero islam, che è capace di dialogare e di confrontarsi, non con quelli che strumentalizzano il Corano per fini politici, economici. È chiaro che per parlare bisogna porsi davanti l’uno all’altro, come fece san Francesco, pieni dello Spirito di Dio che ci saprà guidare”. E don Stefano Bocciolesi: “È importante riconoscerci in una apertura reciproca, senza cadere nei sincretismi, ma affrontando un dialogo vero che riconosca la propria identità e radici. Bisogna avere la voglia di incontrare la persona nella sua diversità”.]]>
Israeliani e palestinesi divisi e lontani sin dai banchi di scuola https://www.lavoce.it/educare-al-dialogo-e-alla-conoscenza-sin-dai-banchi-di-scuola/ Fri, 16 Oct 2015 12:57:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43930 Una scuola cristiana in Palestina
Una scuola cristiana in Palestina

“Vedere tanti giovani intrisi di odio agire violentemente fino a uccidere, morire o essere uccisi è triste. Condanniamo con fermezza questi atti. La sola risposta che ci può essere è quella del dialogo e della conoscenza, e queste devono venire dai banchi di scuola. Sono valori che devono essere insegnati sin da piccoli. Non possiamo lasciare che i giovani si prendano a coltellate. Dobbiamo insegnare loro principi di vita e non di morte. I programmi scolastici non devono favorire l’odio e l’oppressione”.

Le scene di morte di questi giorni a Gerusalemme e in Cisgiordania, che hanno visto protagonisti giovani palestinesi aggredire e uccidere famiglie di ebrei e essere a loro volta colpiti dalle forze israeliane riporta in primo piano il ruolo delle scuole. “È facile – dice padre Abdel Masih Fahim, segretario generale per le scuole cattoliche della Custodia di Terra Santa – vedere come sin da piccoli, tra i banchi di scuola, si diventa attori del conflitto in corso. Gli studenti vivono sulla propria pelle la retorica che fuoriesce dai libri di storia nei quali la narrativa dell’altro, israeliano o palestinese che sia, vive della contrapposizione, del tema del nemico, dell’incarnazione dell’oppressione, dell’insicurezza e del pericolo dietro ogni angolo. I bambini crescono con identità incompatibili”.

A generarle sono le interpretazioni opposte di date, di storie, di eventi, di terre contese dai confini invisibili o forse meglio dire inesistenti, tutto messo per iscritto, nero su bianco, nei libri di scuola. Così facendo si distrugge il futuro e si segna ancora di più la distanza tra visioni diverse.

L’altro come nemico: questa è l’immagine che israeliani e palestinesi restituiscono gli uni degli altri secondo i testi scolastici. Una visione confermata da diversi studi condotti negli ultimi anni da diversi esperti. Uno di questi, promosso nel 2013 dal Consiglio delle istituzioni religiose di Terra Santa (che rappresenta cristiani, musulmani e ebrei), ha visto gli autori, tutti di diversa provenienza, convenire che i libri israeliani e quelli palestinesi (ne sono stati presi in esame 640, 492 israeliani e 148 palestinesi), mancano di “informazioni sulla religione, la cultura, l’economia e altre attività quotidiane”, quando queste non sono addirittura ignorate. Un modo “per negare la legittima presenza dell’altro”. Conclusioni che hanno ricevuto critiche sia da parte israeliana sia palestinese.

“I programmi scolastici – conferma padre Fahim – non favoriscono la comprensione e la pace tra i due popoli. I rispettivi ideali vengono contrapposti, e gli studenti crescono nei banchi di scuola con una narrativa violenta e di opposizione. Lo vediamo nello studio della storia, della geografia, dell’arte, dell’educazione civica”. L’esempio portato dal francescano è lo scoglio di Gerusalemme: “La Città santa – dice – è considerata da entrambe le parti come propria capitale. Inoltre i confini dei due Paesi non esistono, non ci sono. Si insegna che esiste una sola terra e un solo popolo che la abita. I palestinesi ritengono che tutta la terra appartenga a loro, e lo stesso credono gli israeliani”.

Difficile pensare a un futuro di pace “se si cresce così. La pace non viene considerata. Dalle due parti non sembrano arrivare messaggi di comprensione e soprattutto di dialogo”. Cambiare i programmi appare questione insormontabile come anche ampliare i corsi di studio, introducendo, come ha fatto da qualche tempo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) lo studio della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Tra l’incudine e il martello ci sono le scuole cristiane che, nel loro piccolo, cercano di veicolare messaggi di tolleranza e di convivenza giusta e pacifica. “Sono 36 anni che lavoro nel mondo della scuola, e ho sempre cercato di favorire la nascita di gruppi di israeliani e palestinesi, ebrei, cristiani e musulmani, capaci di confrontarsi e parlare fuori dai luoghi comuni e dagli stereotipi, ma siamo pochi. Purtroppo – riconosce il segretario generale per le scuole cattoliche della Custodia di Terra Santa – non riusciamo a incidere nelle due società come vorremmo. Nonostante le difficoltà, andiamo avanti lo stesso. Nelle nostre scuole, che siano in Israele o in Palestina, seguiamo i programmi dei rispettivi Ministeri. I libri di testo – ribadisce – rappresentano le diverse posizioni dei due Paesi in lotta da decenni. Anche se siamo una minoranza, nelle nostre scuole cristiane cerchiamo di far passare il messaggio che la convivenza, la giustizia, il rispetto e la conoscenza reciproca sono possibili”.

E poco importa se lo studio della storia del cristianesimo sia penalizzato nelle scuole palestinesi e israeliane, dove, aggiunge il religioso, “non possiamo parlare di etica cristiana, spiegare che cosa è il cristianesimo, cosa è la Chiesa e il significato della nostra presenza qui”. Ma qualcuno ora sembra se ne stia accorgendo, stando al sostegno che le scuole cristiane in Israele (ben 47, per 33 mila studenti) hanno ricevuto dall’opinione pubblica israeliana e palestinese in occasione di uno sciopero proclamato per denunciare il taglio massiccio dei contributi statali imposto negli ultimi due anni da parte di Israele, e revocato dopo un accordo con ministero dell’Educazione.

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SINODO. Tra i temi più trattati la questione dei divorziati risposati https://www.lavoce.it/sinodo-tra-i-temi-piu-trattati-la-questione-dei-divorziati-risposati/ Thu, 15 Oct 2015 14:45:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43939 famiglia-crisiSono stati 93 gli interventi all’ottava e alla nona Congregazione generale del Sinodo dei vescovi, nel pomeriggio del 14 ottobre e nella mattina del 15, dedicate al dibattito sulla terza e ultima parte dell’Instrumentum laboris, ha spiegato padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, aprendo il briefing di giovedì 15 ottobre. Come prevedibile, tra i temi più trattati la questione dell’accesso dei divorziati alla comunione, hanno riferito i quattro collaboratori del portavoce vaticano per i diversi gruppi linguistici.

Molti, ha raccontato p. Bernard Hagenkord, gli interventi in lingua tedesca sull’importanza della “difesa della dottrina cattolica su matrimonio e famiglia. La Chiesa, è stato detto da qualcuno, non ha né il potere né l’autorità di cambiare la Parola di Dio”; al tempo stesso, diversi padri hanno sottolineato: “Non siamo ufficiali incaricati di controllare la purezza dei cristiani”. Per molti la domanda è: “Cosa fa la Chiesa per chi vive in questa situazioni?”. Da alcuni padri è stata proposta una valutazione delle situazioni caso per caso.

La sottolineatura del legame tra dottrina e misericordia è stata molto presente negli interventi sinodali in lingua inglese, ha detto p. Thomas Rosica. Diversi padri auspicano un linguaggio in grado d’insegnare le verità della Chiesa, “comprensibile” e “mirato anche alle esigenze dei più giovani. Un insegnamento solido della dottrina, fortemente alimentato dalla Parola di Dio”.
Per molti padri servono inoltre “sistemi, anzi ‘medicine’ per curare le ferite di chi si trova in situazioni difficili” e occorre una solida formazione dei sacerdoti. Importante anche “il sorriso”. Al centro di diversi interventi le “questioni sociali che le famiglie affrontano: immigrazione, tratta delle donne, bambini profughi senza famiglia”, e l’impatto sulle famiglie del terrore seminato dall’Isis.

Per Romilda Ferrauto (lingua francese), il tema dei divorziati risposati, “tornato a valanga negli interventi”, mostra la diversità di approcci tra “chi sottolinea che il ruolo della Chiesa è restare fedele al Signore e chi pensa che è necessario accompagnare le persone nel loro fallimento senza per questo diluire la dottrina”. Molti, ha riferito, “sottolineano che l’obiettivo non è garantire l’accesso indiscriminato all’Eucaristia, ma proporre un approccio personalizzato”. Per alcuni “privare dell’Eucaristia è un fatto grave”, per altri “è peccato che si resti aggrappati troppo ai sacramenti come fossero gli unici strumenti della grazia”.
All’attenzione dei padri anche il problema dei matrimoni misti, soprattutto con i musulmani, e la necessità di “misure per proteggere la parte cattolica”, la questione delle donne costrette alla poligamia, l’accompagnamento delle coppie senza figli, le adozioni nelle coppie omosessuali, l’aborto. “Un vescovo africano ha puntato il dito contro le nuove colonizzazioni ideologiche”.

Concretezza nella pastorale sulla famiglia è la richiesta emersa da molti interventi in lingua spagnola, ha riferito p. Manuel Dorantes. Diversi padri hanno ringraziato il Papa per il Motu proprio sulle cause di riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale. Per p. Dorantes “sono diversi i punti di vista e si sta cercando di trovare un equilibrio tra misericordia e obbedienza al magistero della Chiesa”.
In alcuni Paesi, è stato detto, “i divorziati risposati ricevono con difficoltà anche una benedizione”, alcuni padri hanno affermato che “la comunione spirituale non è sufficiente”. Il religioso ha citato l’intervento “commovente” di un vescovo che ha raccontato di aver celebrato una messa di prima comunione nella quale il figlio di una coppia di divorziati risposati ha dato ai genitori due pezzetti della propria ostia.

Ricordando che la Chiesa polacca ha sempre escluso la possibilità della comunione ai divorziati risposati, monsignor Stanisław Gadecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, ha ribadito che non sono scomunicati e a volte chi è escluso dalla comunione ne ha un desiderio più forte di chi vi ha il diritto.
Monsignor Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico), ha parlato del percorso penitenziale richiamato da alcuni padri, precisando che esso richiede il riconoscimento dei propri errori e il pentimento e ha chiarito che il Sinodo “non pretende di prendere decisioni”, che spettano al Papa, ma di offrirgli “riflessioni e punti di vista”. “Non c’è disaccordo – ha assicurato mons. Gadecki – sul fatto che alcuna autorità al mondo possa sciogliere un vincolo matrimoniale valido”.

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Nuovo ecumenismo https://www.lavoce.it/nuovo-ecumenismo/ Thu, 23 Jul 2015 11:14:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39938 mondovi
Un matrimonio interconfessionale a Mondovì con il pastore e il prete

Si parla fin troppo spesso di “nuova evangelizzazione”, ma finora è rimasto nell’ombra un aspetto concomitante: il nuovo ecumenismo. “In cammino verso un nuovo ecumenismo” è proprio il titolo della 52a Sessione di formazione organizzata dal Sae (Segretariato attività ecumeniche) che si terrà alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli dal 26 luglio al 1° agosto.

“Nuovo” in che senso? “Anzitutto – risponde la presidente del Sae, Marianita Montresor – nel senso del rinnovamento nella potenza dello Spirito santo, che sa sempre trovare le vie più adeguate. Poi, perché tra i cristiani sta maturando una nuova consapevolezza ecumenica di fronte alle sfide da affrontare insieme. Si pensi al tema dell’ospitalità eucaristica [la Comunione data a fedeli di Chiese diverse dalla propria [ndr], che riguarda spesso gli immigrati, ma non solo loro, e con situazioni spesso inedite”.

E ancora: “Ecumenismo nuovo nel saper andare in profondità. Spesso si fa ancora fatica a condividere i doni dello Spirito. Nel caso del Sae, poi, fin dalla fondazione, il discorso del dialogo tra cristiani di diverse confessioni include anche i rapporti con il popolo ebraico. Oggi anche questo aspetto deve essere declinato in modo nuovo, più vincolante. Gesù era ebreo, e resterà ebreo per sempre”.

“Dove sta andando l’ecumenismo?” sarà, non a caso, il titolo del primo incontro di lavoro del Sae ad Assisi. Tra i relatori che si susseguiranno durante la settimana fa capolino qualche presenza ben nota ai lettori: mons. Benedetto Tuzia, che celebrerà la messa martedì 28; Annarita Caponera, presidente del Consiglio delle Chiese di Perugia. Numerosi gli esperti che converranno nella città serafica da tutta Italia, come il saggista Brunetto Salvarani, il teologo cattolico Piero Stefani, il teologo valdese Paolo Ricca. Ampia e qualficata la presenza di esponenti delle Chiese ortodosse e protestanti.

La Sessione comprende anche laboratori e gruppi di studio. Questi ultimi si concentreranno su quattro argomenti, ossia “La ricezione dell’ecumenismo: luci e ombre”, “A 50 anni dalla Nostra aetate: quale dialogo tra ebrei e cristiani?”, “L’ecumenismo oggi: prospettive per il dibattito teologico” e “I matrimoni misti come luogo di ospitalità e di identità”. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.saenoti- zie.it.

Un traguardo di medio termine – conclude Montresor – sarà il quinto centenario della Riforma luterana nel 2017, per il quale il Sae “auspica una celebrazione comune. In fondo, quello per una perenne riforma è un impegno che tocca tutte le Chiese”.

 

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Da cristiani nel mondo del lavoro https://www.lavoce.it/da-cristiani-nel-mondo-del-lavoro/ Tue, 14 Jul 2015 10:51:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38772 relatori-acli
Un momento della XXIV edizione della FestAcli

Tra il 26 e il 28 agosto 1944, nel convento di Santa Maria sopra Minerva prendono vita le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli).

Domenica 12 luglio si è tenuta a Sigillo, presso il villaggio turistico Val di Ranco, la XXIV edizione della FestAcli promossa dalle Acli provinciali di Perugia con la zona eugubino-gualdese e il circolo fossatano Ora et labora.

Paola Vacchina presidente nazionale del Patronato Acli e dell’Enaip, ha avuto il compito di sintetizzare a grandi linee la storia delle Acli.

Si tratta della data di nascita ufficiale, in quanto la gestazione del movimento risale almeno alla firma del patto di unità sindacale, stipulato il 3 giugno del ’44 fra le correnti, allora clandestine, cristiana, comunista e socialista, per costituire il Sindacato unitario, cioè la Confederazione generale dei lavoratori italiani (Cgil).

I fondatori decidono che i compiti specifici delle Acli devono essere quelli di affermare i princìpi cristiani della vita, affiancando l’opera dei Sindacati unitari di categoria per tutto quanto esula dai compiti specifici riservati ai sindacati stessi. Promotore delle Acli è Achille Grandi, mosso dall’istanza di salvaguardare l’identità dei lavoratori cristiani, e quindi il patrimonio ideale del cattolicesimo sociale, all’interno del recentemente costituito sindacato unitario. Grandi è anche il primo presidente delle Acli nazionali.

Le Acli devono quindi svolgere un ruolo di formazione culturale e sociale congiunto a un’esperienza concreta d’iniziativa sociale. Nelle intenzioni della gerarchia ecclesiastica, le Acli potrebbero fornire il nucleo di lavoratori cristiani in grado di dare vita a un nuovo sindacato caratterizzato in senso cristiano.

Le Acli devono quindi svolgere un ruolo di formazione culturale e sociale congiunto a un’esperienza concreta d’iniziativa sociale. Il 16 novembre 1951 viene costituito l’Enaip (Ente nazionale acli per l’istruzione professionale) quale organismo specificamente rivolto all’istruzione professionale dei lavoratori. Nel corso dei 70 anni ne è passata di acqua sotto i ponti…

Oggi sono cambiati i contesti di un tempo ma, di certo, c’è sempre bisogno dell’impegno sociale e cristiano. Che senso possono avere le Acli oggi? La risposta non è scontata: alla base di tutto la passione educativa. Le persone hanno bisogno di ritrovare il senso profondo della vita, che si riscopre ogni volta con il radicamento al Vangelo.

Un cristiano adulto, impegnato nel sociale, sente la continua necessità di formazione, di confrontarsi e di fermarsi a riflettere. Le “tre fedeltà” delle Acli sono la sfida per il futuro e, allo stesso tempo un pilastro di unità. A seguire c’è stato un ricco dibattito che ha permesso di ampliare la riflessione.

Vi hanno partecipato Nicola Miriano, mons. Ceccobelli vescovo di Gubbio, Elisa Faraoni, Massimo Ceccarelli, Alberto Cecconi, Santi Filippetti, mons. Pietro Bottaccioli, vescovo emerito, l’avv. Ferracchiato sindaco di Fossato di Vico, la vice sindaco di Costacciaro Patrizia Lupini, e Giovanni Pascucci, noto come Giannetto, che ha voluto ricordare come la sua lunga militanza aclista abbia raggiunto i 57 anni.

Quindi è seguita la messa celebrata da mons. Ceccobelli, mons. Bottaccioli e don Raniero Menghini, al termine della quale è seguito il pranzo comunitario.

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Nigeria in fiamme https://www.lavoce.it/nigeria-in-fiamme/ Thu, 09 Jul 2015 09:42:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38069 Un campo profughi in Nigeria
Bambini in fuga dagli attacchi di Boko Haram rifugiati in un campo profughi a Diffa (Niger)

Bambine e donne kamikaze, bombe nei mercati, nelle chiese, nelle moschee e nei ristoranti. Tragedie che colpiscono indistintamente musulmani e cristiani e portano la firma del gruppo fondamentalista Boko Haram.

Nell’ultima settimana sono state più di 200 le vittime in Nigeria, le ultime 44 a Jos, in un’affollata moschea dove il predicatore invitava alla pace tra le religioni, e in un ristorante frequentato da musulmani. Poi una giovane donna si è fatta esplodere in una chiesa evangelica nel Nord-est, uccidendo 5 fedeli.

Alcuni giorni prima, nella stessa area, erano state date alle fiamme 32 chiese e 300 abitazioni; altre due donne kamikaze si sono fatte esplodere a Maiduguri, provocando 13 morti. A Miringa i miliziani islamici hanno sgozzato 11 persone accusandole di essere “traditori” in procinto di disertare. In 6 anni nel Nord-est della Nigeria i morti sono stati 13 mila, e un milione e mezzo gli sfollati.

Abbiamo raggiunto telefonicamente l’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Ayau Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana.

La sua arcidiocesi è stata di nuovo colpita al cuore…

“È dovere delle autorità fermare la violenza. La gente chiede con forza di essere difesa dagli attacchi dei gruppi fondamentalisti. Non so indicare in che modo, perché la situazione è molto difficile: non c’è un nemico ben identificato, con soldati in uniforme. Questa è una sorta di guerriglia, che coinvolge perfino donne e bambine kamikaze vestite normalmente. Per cui è difficile, anche per il Governo, contrastare un fenomeno di questo tipo, nel quale non si sa chi sia il nemico”.

Com’è il clima nella comunità cristiana?

“Chi non avrebbe paura di vivere in una situazione del genere? Anche il nostro vicino potrebbe essere pericoloso. C’è un continuo clima di sospetto e siamo tutti preoccupati. Non siamo tranquilli in nessun luogo. All’interno delle nostre chiese e strutture abbiamo delle forze di sicurezza private, oltre alle normali forze dell’ordine. Cerchiamo di essere attenti e di vigilare”.

La situazione è peggiorata?

“Al Nord-est è molto peggiorata. Ci sono migliaia di sfollati interni, e poi ci sono centinaia di migliaia di rifugiati nei Paesi vicini: in Ciad, in Niger, in Camerun. È terribile. Questi terroristi hanno perso la loro umanità, attaccano senza una logica razionale. Quando si perde la razionalità, si apre la strada al fanatismo e si uccide indiscriminatamente”.

Gli stessi musulmani sono colpiti dalla violenza dei fanatici. Dialogate?

“C’è un dialogo costante e una collaborazione molto buona. I musulmani moderati comprendono bene il problema, si sentono anche loro vittime del fanatismo, lo denunciano con forza. La scorsa settimana sono andato, con altri preti, nella grande moschea di Jos per salutare il nuovo imam. Tutti dicono che questi terroristi non sono veri musulmani, non agiscono in nome dell’islam, commettono solo gravi crimini contro l’umanità. Io ci credo”.

Il 20 luglio il presidente Buhari incontrerà alla Casa Bianca il presidente Obama, che promette aiuti alla lotta contro Boko Haram.

“Siamo ottimisti sulla presidenza del generale Buhari. I leader europei e americani stanno estendendo la collaborazione, molto è stato fatto. Abbiamo visto tanta buona volontà da parte della comunità internazionale, che ha intenzione di aiutarci. È interesse di tutti unire le forze per combattere contro il terrorismo, che si sta diffondendo ovunque. Non è solo un problema della Nigeria ma di diverse zone dell’Africa e del Medio Oriente, dell’Europa e dell’America. Oramai il terrorismo è globale, non ci sono più i limiti delle frontiere. Il livello di attenzione deve essere molto alto, da parte di tutti”.

 

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La famiglia fa la Chiesa https://www.lavoce.it/la-famiglia-fa-la-chiesa/ Fri, 08 May 2015 10:12:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32935 Le Nozze di Cana, affresco di Giotto, Cappella degli Scrovegni - Padova
Le Nozze di Cana, affresco di Giotto, Cappella degli Scrovegni – Padova

Sono state dedicate da Papa Francesco al matrimonio, le due udienze generali del 29 aprile e 6 maggio (testi integrali su www.vatican.va).

“La nostra riflessione – ha esordito due mercoledì fa – circa il disegno originario di Dio sulla coppia uomo-donna, dopo aver considerato le due narrazioni del libro della Genesi, si rivolge ora direttamente a Gesù” a partire dall’episodio delle nozze di Cana (Gv 2,1-11). “Dunque, il primo dei suoi segni prodigiosi con cui Egli rivela la sua gloria, lo compì nel contesto di un matrimonio, e fu un gesto di grande simpatia per quella nascente famiglia, sollecitato dalla premura materna di Maria… Così Gesù ci insegna che il capolavoro della società è la famiglia: l’uomo e la donna che si amano”.

Un messaggio che resta valido anche oggi, anche se “le persone che si sposano sono sempre di meno. Questo è un fatto… Credo che dobbiamo riflettere con grande serietà sul perché tanti giovani ‘non se la sentono’ di sposarsi. C’è questa cultura del provvisorio: tutto è provvisorio, sembra che non ci sia qualcosa di definitivo”.

“Le difficoltà – ha rimarcato – non sono solo di carattere economico, sebbene queste siano davvero serie. Molti ritengono che il cambiamento avvenuto in questi ultimi decenni sia stato messo in moto dall’emancipazione della donna. Ma nemmeno questo argomento è valido, è una falsità, non è vero! È una forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna… Dobbiamo difendere le donne! In realtà, quasi tutti gli uomini e le donne vorrebbero una sicurezza affettiva stabile, un matrimonio solido e una famiglia felice. La famiglia è in cima a tutti gli indici di gradimento fra i giovani; ma, per paura di sbagliare, molti non vogliono neppure pensarci”. Qui, allora, “la testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano è la vita buona degli sposi cristiani e della famiglia”.

La condizione odierna della donna è tornata anche più avanti nel suo discorso. Bergoglio ha esortato i cristiani a “sostenere con decisione il diritto all’uguale retribuzione per uguale lavoro. Perché si dà per scontato che le donne devono guadagnare meno degli uomini? No! Hanno gli stessi diritti. La disparità è un puro scandalo! Nello stesso tempo, riconoscere come ricchezza sempre valida la maternità delle donne e la paternità degli uomini, a beneficio soprattutto dei bambini. Ugualmente, la virtù dell’ospitalità delle famiglie cristiane riveste oggi un’importanza cruciale, specialmente nelle situazioni di povertà, di degrado, di violenza familiare”.

Il matrimonio cristiano – ha quindi affermato il Papa nell’udienza del 6 maggio – “non è semplicemente una cerimonia che si fa in chiesa, con i fiori, l’abito, le foto. Il matrimonio cristiano è un sacramento che avviene nella Chiesa, e che anche fa la Chiesa, dando inizio a una nuova comunità familiare… Ispirato dallo Spirito santo, Paolo (Ef 3,32) afferma che l’amore tra i coniugi è immagine dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Una dignità impensabile! Ma in realtà è inscritta nel disegno creatore di Dio, e con la grazia di Cristo innumerevoli coppie cristiane, pur con i loro limiti, i loro peccati, l’hanno realizzata…

Il marito, dice Paolo, deve amare la moglie ‘come il proprio corpo’ (Ef 5,28); amarla come Cristo ‘ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei’ (v. 25). Voi mariti qui presenti, capite questo? Amare la vostra moglie come Cristo ama la Chiesa? Questi non sono scherzi, ma cose serie! L’effetto di questo radicalismo della dedizione chiesta all’uomo, per l’amore e la dignità della donna, sull’esempio di Cristo, dev’essere stato enorme nella stessa comunità cristiana”.

Il valore cristiano del matrimonio consiste inoltre nella sua vocazione evangelizzatrice. “Il sacramento del matrimonio – ha detto ancora il Papa – è un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre se stessi, e anche oltre la stessa famiglia. La vocazione cristiana ad amare senza riserve e senza misura è quanto, con la grazia di Cristo, sta alla base anche del libero consenso che costituisce il matrimonio…

La decisione di ‘sposarsi nel Signore’ contiene una dimensione missionaria, che significa avere nel cuore la disponibilità a farsi tramite della benedizione di Dio e della grazia del Signore per tutti. Infatti gli sposi cristiani partecipano, in quanto sposi, alla missione della Chiesa. Ci vuole coraggio per questo! Perciò quando io saluto i novelli sposi, dico: ‘Ecco i coraggiosi!’, perché ci vuole coraggio per amarsi così, come Cristo ama la Chiesa”.

“E così – ha concluso – la vita della Chiesa si arricchisce ogni volta della bellezza di questa alleanza sponsale, come pure si impoverisce ogni volta che essa viene sfigurata”.

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