crisi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/crisi/ Settimanale di informazione regionale Thu, 11 Feb 2021 16:05:06 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg crisi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/crisi/ 32 32 Questione di fiducia https://www.lavoce.it/questione-di-fiducia/ Thu, 11 Feb 2021 16:04:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59135 Mario Draghi

In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta questa fiducia è stata ben riposta perché Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava incartata al punto da non avere altro sbocco possibile che le elezioni anticipate. Evento che sarebbe stato incompatibile con le tre emergenze in atto – sanitaria, economica e sociale – come lo stesso Presidente ha tenuto a documentare. E che avrebbe esposto il Paese, già colpito dalla brusca interruzione – in piena pandemia – dell’attività del governo precedente, a rischi incalcolabili.

Tre governi

È la terza volta che in questa legislatura il capo dello Stato si trova alle prese con la nascita di un nuovo esecutivo. La prima è stata subito dopo le elezioni del marzo 2018, il cui esito aveva determinato un completo sconvolgimento degli equilibri parlamentari tradizionali. La seconda è stata nell’estate del 2019, in seguito all’improvviso smarcamento del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla maggioranza giallo-verde. La terza è cronaca di queste settimane, con la decisione di Matteo Renzi di portare Italia Viva fuori dalla coalizione su cui poggiava il secondo governo Conte, l’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la tragedia della pandemia. In tutti e tre i casi, pur nella diversità delle situazioni, Mattarella ha seguito un percorso limpido, esplorando personalmente e attraverso incarichi ad hoc tutte le soluzioni teoricamente in campo. Ha dato tempo o ha pressato gli interlocutori avendo come unica bussola gli interessi del Paese.

E ora Draghi

Stavolta, di fronte al consumarsi di tutte le ragionevoli combinazioni parlamentari e allo stallo tra i partiti, ha dovuto assumere direttamente un’iniziativa, facendo appello a tutte le forze politiche. Nel lessico corrente si parla di “governo del Presidente” proprio perché sua è l’iniziativa originaria. Ma ogni governo che si costituisce diventa sempre un governo del Parlamento perché è lì che trova la sua legittimazione democratica attraverso la “fiducia” espressa dai rappresentanti dei cittadini. Questo vale anche per il governo Draghi, che nasce circondato da grandi attese dentro e fuori l’Italia, data l’esperienza, la competenza e l’indiscusso prestigio internazionale del premier. La speranza è che sia messo nelle condizioni di lavorare efficacemente e per il tempo necessario. Le “gravi emergenze non rinviabili” che hanno spinto il capo dello Stato ha chiamarlo dalle “riserve” della Repubblica interpellano la responsabilità di tutti. Stefano De Martis]]>
Mario Draghi

In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta questa fiducia è stata ben riposta perché Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava incartata al punto da non avere altro sbocco possibile che le elezioni anticipate. Evento che sarebbe stato incompatibile con le tre emergenze in atto – sanitaria, economica e sociale – come lo stesso Presidente ha tenuto a documentare. E che avrebbe esposto il Paese, già colpito dalla brusca interruzione – in piena pandemia – dell’attività del governo precedente, a rischi incalcolabili.

Tre governi

È la terza volta che in questa legislatura il capo dello Stato si trova alle prese con la nascita di un nuovo esecutivo. La prima è stata subito dopo le elezioni del marzo 2018, il cui esito aveva determinato un completo sconvolgimento degli equilibri parlamentari tradizionali. La seconda è stata nell’estate del 2019, in seguito all’improvviso smarcamento del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla maggioranza giallo-verde. La terza è cronaca di queste settimane, con la decisione di Matteo Renzi di portare Italia Viva fuori dalla coalizione su cui poggiava il secondo governo Conte, l’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la tragedia della pandemia. In tutti e tre i casi, pur nella diversità delle situazioni, Mattarella ha seguito un percorso limpido, esplorando personalmente e attraverso incarichi ad hoc tutte le soluzioni teoricamente in campo. Ha dato tempo o ha pressato gli interlocutori avendo come unica bussola gli interessi del Paese.

E ora Draghi

Stavolta, di fronte al consumarsi di tutte le ragionevoli combinazioni parlamentari e allo stallo tra i partiti, ha dovuto assumere direttamente un’iniziativa, facendo appello a tutte le forze politiche. Nel lessico corrente si parla di “governo del Presidente” proprio perché sua è l’iniziativa originaria. Ma ogni governo che si costituisce diventa sempre un governo del Parlamento perché è lì che trova la sua legittimazione democratica attraverso la “fiducia” espressa dai rappresentanti dei cittadini. Questo vale anche per il governo Draghi, che nasce circondato da grandi attese dentro e fuori l’Italia, data l’esperienza, la competenza e l’indiscusso prestigio internazionale del premier. La speranza è che sia messo nelle condizioni di lavorare efficacemente e per il tempo necessario. Le “gravi emergenze non rinviabili” che hanno spinto il capo dello Stato ha chiamarlo dalle “riserve” della Repubblica interpellano la responsabilità di tutti. Stefano De Martis]]>
Quanto ci costa il coronavirus https://www.lavoce.it/misure-anticrisi/ https://www.lavoce.it/misure-anticrisi/#comments Tue, 24 Mar 2020 09:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56540 Logo rubrica Il punto

Misure anticrisi gettando sul tavolo 25 miliardi di euro

Poche settimane fa, da queste colonne si parlava dell’enorme debito pubblico che impedisce allo Stato italiano di intervenire nell’economia nazionale, come tutti gli chiedono di fare. Ma ecco che proprio questa settimana, il 16 marzo, il Governo dà alla luce uno straordinario pacchetto di misure anticrisi gettando sul tavolo 25 miliardi di euro. In aggiunta, si capisce, al flusso di denaro che ogni giorno esce dalle casse dello Stato.

Sono impazziti, o ero io che non avevo capito nulla?

Né l’una cosa né l’altra. Diciamo che è un azzardo di quelli che si fanno solo in condizioni disperate. Condizioni che fino a un mese fa non si potevano prevedere, e che hanno portato alla chiusura delle scuole e dei campi di calcio, perfino al divieto dei funerali e delle messe (compresa quella del Papa, che adesso infatti celebra senza fedeli, e chissà quanto gli costa). Quindi non si venga a dirmi: “Ecco, vedi che i soldi c’erano, e adesso li tirano fuori”. Non c’erano. È un nuovo debito che si aggiunge al vecchio. Altri titoli di Stato che prima o poi si dovranno rimborsare, altri interessi che, invece, andranno pagati a stretto giro. È vero che l’Europa, questa volta, ci darà una mano, ma non nel senso che i soldi li metterà lei: nel senso che ci proteggerà, se ci riesce, dalle speculazioni di chi scommette sul nostro fallimento.

Non possiamo illuderci che il costo non ricada alla fine sui contribuenti italiani.

Misure anticrisi. Come? Della caccia agli evasori fiscali sento parlare da quando ero bambino, quindi è inutile contarci. Un appesantimento delle aliquote frenerebbe l’economia e darebbe pochi risultati. C’è però la parola tabù, che nessuno osa pronunciare: un’imposta patrimoniale. Si dovrebbe trattare di una imposizione straordinaria, una tantum, con aliquote bassissime. Come il famoso prelievo del 6 per mille da tutti i conti bancari effettuato senza preavviso dal Governo di Giuliano Amato nel luglio 1992. All’epoca fu uno scandalo, ma erano briciole, perché nel 1992 quei conti rendevano l’8 per cento. Toccasse a me decidere, lo rifarei; sarebbero 10 miliardi per lo Stato, incassati in un attimo e senza spese. Ma, per vostra fortuna, non tocca a me. di Pier Giorgio Lignani]]>
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Misure anticrisi gettando sul tavolo 25 miliardi di euro

Poche settimane fa, da queste colonne si parlava dell’enorme debito pubblico che impedisce allo Stato italiano di intervenire nell’economia nazionale, come tutti gli chiedono di fare. Ma ecco che proprio questa settimana, il 16 marzo, il Governo dà alla luce uno straordinario pacchetto di misure anticrisi gettando sul tavolo 25 miliardi di euro. In aggiunta, si capisce, al flusso di denaro che ogni giorno esce dalle casse dello Stato.

Sono impazziti, o ero io che non avevo capito nulla?

Né l’una cosa né l’altra. Diciamo che è un azzardo di quelli che si fanno solo in condizioni disperate. Condizioni che fino a un mese fa non si potevano prevedere, e che hanno portato alla chiusura delle scuole e dei campi di calcio, perfino al divieto dei funerali e delle messe (compresa quella del Papa, che adesso infatti celebra senza fedeli, e chissà quanto gli costa). Quindi non si venga a dirmi: “Ecco, vedi che i soldi c’erano, e adesso li tirano fuori”. Non c’erano. È un nuovo debito che si aggiunge al vecchio. Altri titoli di Stato che prima o poi si dovranno rimborsare, altri interessi che, invece, andranno pagati a stretto giro. È vero che l’Europa, questa volta, ci darà una mano, ma non nel senso che i soldi li metterà lei: nel senso che ci proteggerà, se ci riesce, dalle speculazioni di chi scommette sul nostro fallimento.

Non possiamo illuderci che il costo non ricada alla fine sui contribuenti italiani.

Misure anticrisi. Come? Della caccia agli evasori fiscali sento parlare da quando ero bambino, quindi è inutile contarci. Un appesantimento delle aliquote frenerebbe l’economia e darebbe pochi risultati. C’è però la parola tabù, che nessuno osa pronunciare: un’imposta patrimoniale. Si dovrebbe trattare di una imposizione straordinaria, una tantum, con aliquote bassissime. Come il famoso prelievo del 6 per mille da tutti i conti bancari effettuato senza preavviso dal Governo di Giuliano Amato nel luglio 1992. All’epoca fu uno scandalo, ma erano briciole, perché nel 1992 quei conti rendevano l’8 per cento. Toccasse a me decidere, lo rifarei; sarebbero 10 miliardi per lo Stato, incassati in un attimo e senza spese. Ma, per vostra fortuna, non tocca a me. di Pier Giorgio Lignani]]>
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Cosa servirebbe davvero in Venezuela https://www.lavoce.it/cosa-servirebbe-venezuela/ Mon, 04 Feb 2019 08:00:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53952 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Prima ancora che schierarsi dalla parte di Nicolàs Maduro o di Juan Guaidò, la comunità internazionale è chiamata ad ascoltare il grido disperato di un intero popolo affamato. In Venezuela la situazione sociale, anzi umanitaria, è drammatica. Non c’è accesso a medicine e generi di prima necessità, la gente è costretta a scappare verso i Paesi confinanti, è aumentata la criminalità, negli ospedali non sanno più come curare i pazienti.

Questa è la realtà inconfutabile. E invece, ancora una volta, le nazioni assumono posizione sulla base della convenienza geostrategica o dietro una maschera ideologica che ha sapore di stantio. Prima ancora che schierarsi con l’uno o con l’altro, ogni nazione dovrebbe coerentemente provvedere a inviare aiuti ed esercitare un controllo sulla loro equa distribuzione.

Soltanto dopo si dovrebbe ragionare sul fatto che quel Paese, notoriamente ricchissimo di materie prime a cominciare dal petrolio, non ha mai sofferto la fame, pertanto è quanto mai necessario capire le cause della situazione attuale. La politica ha senso nella misura in cui è al servizio delle persone e dei loro bisogni concreti. Tutto il resto è un tragico teatrino destinato a fare aumentare il numero delle vittime.

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di Tonio Dell’Olio

Prima ancora che schierarsi dalla parte di Nicolàs Maduro o di Juan Guaidò, la comunità internazionale è chiamata ad ascoltare il grido disperato di un intero popolo affamato. In Venezuela la situazione sociale, anzi umanitaria, è drammatica. Non c’è accesso a medicine e generi di prima necessità, la gente è costretta a scappare verso i Paesi confinanti, è aumentata la criminalità, negli ospedali non sanno più come curare i pazienti.

Questa è la realtà inconfutabile. E invece, ancora una volta, le nazioni assumono posizione sulla base della convenienza geostrategica o dietro una maschera ideologica che ha sapore di stantio. Prima ancora che schierarsi con l’uno o con l’altro, ogni nazione dovrebbe coerentemente provvedere a inviare aiuti ed esercitare un controllo sulla loro equa distribuzione.

Soltanto dopo si dovrebbe ragionare sul fatto che quel Paese, notoriamente ricchissimo di materie prime a cominciare dal petrolio, non ha mai sofferto la fame, pertanto è quanto mai necessario capire le cause della situazione attuale. La politica ha senso nella misura in cui è al servizio delle persone e dei loro bisogni concreti. Tutto il resto è un tragico teatrino destinato a fare aumentare il numero delle vittime.

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