corruzione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/corruzione/ Settimanale di informazione regionale Thu, 11 May 2023 15:36:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg corruzione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/corruzione/ 32 32 Diritti umani e corruzione: se c’è volontà politica, i risultati ci sono https://www.lavoce.it/diritti-umani-e-corruzione-se-ce-volonta-politica-i-risultati-ci-sono/ https://www.lavoce.it/diritti-umani-e-corruzione-se-ce-volonta-politica-i-risultati-ci-sono/#respond Wed, 10 May 2023 16:58:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=71420

Sergej Leonidovič Magnitsky era un avvocato russo che nel 2007 denunciò corruzione e frodi che toccavano vari esponenti della pubblica amministrazione del suo Paese. Si trattava di ispettori del fisco e di agenti di alto rango della polizia. Ma anche di magistrati, imprenditori e banchieri tutti in affari con le mafie. Come nelle trame dei peggiori film fu arrestato lui e, detenuto in condizioni durissime, morì a 37 anni (2009) in un carcere moscovita.

Il Magnitsky Act contro corruzione e per i diritti umani

In suo onore il Congresso Usa intitolò a lui il Magnitsky Act (2012), una legge che prevede sanzioni particolarmente severe nei confronti di coloro che, anche fuori dagli Stati Uniti, si macchiano dei reati di corruzione o violazione dei diritti umani. Sanzioni come confisca o congelamento dei beni, negazione del visto di ingresso, proibizione di svolgere attività commerciale…. Questa legge è applicata ad esempio da anni contro le multinazionali del tessile che utilizzano cotone proveniente dallo Xinjiang (Cina). In questa regione il popolo Uiguro viene forzatamente utilizzato per quei lavori in condizione di schiavitù. Ultimamente sono stati requisiti 15 milioni di dollari di merce che, per l’80% proveniva dal Vietnam. Quando c’è la volontà politica si ottengono risultati significativi a favore dei diritti umani. Quel cotone è appetibile perché risulta di ottima qualità e costa poco.]]>

Sergej Leonidovič Magnitsky era un avvocato russo che nel 2007 denunciò corruzione e frodi che toccavano vari esponenti della pubblica amministrazione del suo Paese. Si trattava di ispettori del fisco e di agenti di alto rango della polizia. Ma anche di magistrati, imprenditori e banchieri tutti in affari con le mafie. Come nelle trame dei peggiori film fu arrestato lui e, detenuto in condizioni durissime, morì a 37 anni (2009) in un carcere moscovita.

Il Magnitsky Act contro corruzione e per i diritti umani

In suo onore il Congresso Usa intitolò a lui il Magnitsky Act (2012), una legge che prevede sanzioni particolarmente severe nei confronti di coloro che, anche fuori dagli Stati Uniti, si macchiano dei reati di corruzione o violazione dei diritti umani. Sanzioni come confisca o congelamento dei beni, negazione del visto di ingresso, proibizione di svolgere attività commerciale…. Questa legge è applicata ad esempio da anni contro le multinazionali del tessile che utilizzano cotone proveniente dallo Xinjiang (Cina). In questa regione il popolo Uiguro viene forzatamente utilizzato per quei lavori in condizione di schiavitù. Ultimamente sono stati requisiti 15 milioni di dollari di merce che, per l’80% proveniva dal Vietnam. Quando c’è la volontà politica si ottengono risultati significativi a favore dei diritti umani. Quel cotone è appetibile perché risulta di ottima qualità e costa poco.]]>
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Integrità e responsabilità per un lavoro degno https://www.lavoce.it/integrita-responsabilita-un-lavoro-degno/ Wed, 08 Nov 2017 16:33:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50490

Capita di leggere di corrotti e di corruttori o più semplicemente di disonesti. La tendenza, pericolosa, è ritenere tali comportamenti - tanto dalla parte del corruttore quanto del corrotto - le conseguenze inevitabili di un sistema degenerato nel quale le virtù lasciano spazio all’arte di arrangiarsi per sopravvivere. Sono le regole del ‘morte tua via mia’ e dell’essere ‘pronti a tutto’ per raggiungere i propri fini: le cifre di un sistema disumanizzante che caratterizza molte delle nostre relazioni sociali. Vale la pena soffermarsi su due aspetti. Da un lato, che dietro ad un corrotto c’è sempre un corruttore che, a fronte dell’ottenimento di un proprio vantaggio, sacrifica il bene comune, ovvero, detto in altro modo, che dietro ad un imprenditore che sfrutta il lavoro altrui c’è sempre un altro lavoratore che vede lesi i suoi diritti e che non farà il bene dell’azienda in cui lavora o, ancora, che dietro ad un lavoratore incapace di far bene il proprio lavoro e di contribuire al bene dell’azienda, c’è sempre un’imprenditore ed una comunità di lavoratori che ne pagano il costo. Dall’altro, che funzionari della pubblica amministrazione, politici, imprenditori, operai, manager, professionisti e artigiani sono tutti accomunati dal fatto di essere, sebbene con ruoli e responsabilità diverse, allo stesso modo dei lavoratori. Entrambi gli aspetti poc’anzi citati svelano come – anche sul complesso terreno del lavoro umano – sussista una relazionalità che pone tutti gli attori coinvolti in tali vicende, almeno sul piano oggettivo, sullo stesso piano. Ciò significa che – ce lo ha ricordato la Settimana Sociale dei Cattolici di Cagliari – un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale richiede istituzioni, uomini di impresa e lavoratori capaci, attraverso la loro reciproca interazione e collaborazione, di dar vita a processi di sviluppo economico inclusivo. In un contesto caratterizzato dalla presenza di immanenti strutture di peccato - come le definiva Giovanni Paolo II nella Sollicitudo Rei Socialis - in cui è avvolta la nostra vita personale, familiare e sociale, ciò richiede sovrabbondanza di valori personali e integrità dei comportamenti. Valori e integrità rilevano sia a livello individuale che sociale. La natura relazionale della persona si riflette infatti sul lavoro umano nel senso che l’attività lavorativa posta in essere da ciascuno contribuisce, proprio attraverso il suo essere in relazione con il lavoro di altre persone, a generare quello sviluppo integrale il cui centro è la persona. Ciò significa che, affinché il lavoro possa essere ritenuto degno della persona, non basta che esso sia ben fatto, secondo i canoni propri di ciascuna professione, oppure in grado di produrre profitti per sé e per la propria organizzazione. Ciò che rileva in questa prospettiva è la sua capacità di contribuire ad instaurare relazioni positive tra i diversi attori coinvolti nei processi produttivi, di consumo e di investimento, capaci a loro volta di promuovere inclusione sociale e la libera partecipazione di ciascuno all’opera creatrice. La promozione di un lavoro degno e dignitoso passa dunque dalle scelte di ciascuno di noi e, in particolare, dai valori che viviamo sul lavoro, nelle nostre relazioni sociali e in famiglia, nonché, dal grado di integrità dei nostri comportamenti. Valori e integrità nei comportamenti che, se testimoniati in modo autentico, possono a loro volta influenzare la nostra cornice istituzionale, promuovendo nell’opinione pubblica una visione sempre più critica (e non disincantata) delle realtà in cui viviamo, contribuendo al rafforzamento, secondo il noto principio di sussidiarietà del diritto, di quei sistemi di controllo sociale extra-legale in grado di orientare i comportamenti dei singoli senza limitarne la libertà ma rispettandone la dignità, nel segno di uno sviluppo umano integrale.]]>

Capita di leggere di corrotti e di corruttori o più semplicemente di disonesti. La tendenza, pericolosa, è ritenere tali comportamenti - tanto dalla parte del corruttore quanto del corrotto - le conseguenze inevitabili di un sistema degenerato nel quale le virtù lasciano spazio all’arte di arrangiarsi per sopravvivere. Sono le regole del ‘morte tua via mia’ e dell’essere ‘pronti a tutto’ per raggiungere i propri fini: le cifre di un sistema disumanizzante che caratterizza molte delle nostre relazioni sociali. Vale la pena soffermarsi su due aspetti. Da un lato, che dietro ad un corrotto c’è sempre un corruttore che, a fronte dell’ottenimento di un proprio vantaggio, sacrifica il bene comune, ovvero, detto in altro modo, che dietro ad un imprenditore che sfrutta il lavoro altrui c’è sempre un altro lavoratore che vede lesi i suoi diritti e che non farà il bene dell’azienda in cui lavora o, ancora, che dietro ad un lavoratore incapace di far bene il proprio lavoro e di contribuire al bene dell’azienda, c’è sempre un’imprenditore ed una comunità di lavoratori che ne pagano il costo. Dall’altro, che funzionari della pubblica amministrazione, politici, imprenditori, operai, manager, professionisti e artigiani sono tutti accomunati dal fatto di essere, sebbene con ruoli e responsabilità diverse, allo stesso modo dei lavoratori. Entrambi gli aspetti poc’anzi citati svelano come – anche sul complesso terreno del lavoro umano – sussista una relazionalità che pone tutti gli attori coinvolti in tali vicende, almeno sul piano oggettivo, sullo stesso piano. Ciò significa che – ce lo ha ricordato la Settimana Sociale dei Cattolici di Cagliari – un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale richiede istituzioni, uomini di impresa e lavoratori capaci, attraverso la loro reciproca interazione e collaborazione, di dar vita a processi di sviluppo economico inclusivo. In un contesto caratterizzato dalla presenza di immanenti strutture di peccato - come le definiva Giovanni Paolo II nella Sollicitudo Rei Socialis - in cui è avvolta la nostra vita personale, familiare e sociale, ciò richiede sovrabbondanza di valori personali e integrità dei comportamenti. Valori e integrità rilevano sia a livello individuale che sociale. La natura relazionale della persona si riflette infatti sul lavoro umano nel senso che l’attività lavorativa posta in essere da ciascuno contribuisce, proprio attraverso il suo essere in relazione con il lavoro di altre persone, a generare quello sviluppo integrale il cui centro è la persona. Ciò significa che, affinché il lavoro possa essere ritenuto degno della persona, non basta che esso sia ben fatto, secondo i canoni propri di ciascuna professione, oppure in grado di produrre profitti per sé e per la propria organizzazione. Ciò che rileva in questa prospettiva è la sua capacità di contribuire ad instaurare relazioni positive tra i diversi attori coinvolti nei processi produttivi, di consumo e di investimento, capaci a loro volta di promuovere inclusione sociale e la libera partecipazione di ciascuno all’opera creatrice. La promozione di un lavoro degno e dignitoso passa dunque dalle scelte di ciascuno di noi e, in particolare, dai valori che viviamo sul lavoro, nelle nostre relazioni sociali e in famiglia, nonché, dal grado di integrità dei nostri comportamenti. Valori e integrità nei comportamenti che, se testimoniati in modo autentico, possono a loro volta influenzare la nostra cornice istituzionale, promuovendo nell’opinione pubblica una visione sempre più critica (e non disincantata) delle realtà in cui viviamo, contribuendo al rafforzamento, secondo il noto principio di sussidiarietà del diritto, di quei sistemi di controllo sociale extra-legale in grado di orientare i comportamenti dei singoli senza limitarne la libertà ma rispettandone la dignità, nel segno di uno sviluppo umano integrale.]]>
Mafia e disaffezione alla politica https://www.lavoce.it/mafia-disaffezione-alla-politica/ Fri, 06 Oct 2017 11:00:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50100 Il nostro Settentrione assomiglia sempre più al profondo Sud degli anni ’80. Eppure ci sono ancora molti esponenti della politica e della società civile che negano l’esistenza della grande criminalità organizzata. Per i magistrati non si deve più parlare di infiltrazione, ma di interazione-occupazione. Una presenza capillare che riguarda ogni regione e provincia, fino al singolo municipio”.
È quanto si legge sul sito di Libera. Un allarme rilanciato dalle recenti notizie sugli intrecci tra politica e ’ndrangheta in un Comune della Brianza.
Da tempo alcuni magistrati del Nord chiedono di alzare la guardia perché “la corruzione è diventata il metodo mafioso più raffinato. Pericolosa al pari della capacità di intimidazione e di condizionamento della politica e della vita del territorio”. L’invito a vigilare sulla infiltrazione mafiosa in Umbria è stato rilanciato anche la scorsa settimana dal presidente della Fondazione umbra contro l’usura https://www.lavoce.it/banche-cittadini-quale-comunicazione/ .
Riecheggiano le parole di Papa Francesco, domenica 1° ottobre a Cesena: “La corruzione è il tarlo della vocazione politica. La corruzione non lascia crescere la civiltà”.
Il dipanarsi del fenomeno malavitoso nelle regioni settentrionali è, non da oggi, sotto osservazione, anche se non è stato facile intercettarlo e colpirlo con immediatezza ed efficacia.
Ciò che esige un’attenzione aggiuntiva è la strategia di penetrazione delle mafie nelle istituzioni locali. Ci si chiede, a volte, se la criminalità organizzata non sia andata e non vada a occupare spazi che nelle istituzioni locali vengono lasciati vuoti perché “la politica è una cosa sporca”. Spazi a disposizione di corrotti e corruttori.
Le risposte possono essere cercate e trovate in più direzioni, ma una, in particolare, chiama in causa la crisi della partecipazione, la crisi della solidarietà, la crisi della democrazia, la crisi di fiducia nel rapporto cittadini-istituzioni. Un insieme di crisi provocate da un’eclissi della coscienza che, ancor oggi, non sembra essersi conclusa.
Una domanda, dunque, rimane: perché quanti affermano di avere a cuore la città rimangono distanti dalle istituzioni, cioè dai luoghi, dove si pensano e prendono decisioni per il bene dei cittadini?
Non è forse il rifiuto o la difficoltà, almeno da parte dei cattolici, di leggere e vivere la politica come forma nobile ed esigente di carità a lasciare spazi vuoti, spazi a disposizione di corrotti e corruttori?
Non è forse la mancanza di una riflessione seria e condivisa sull’impegno politico a rendere più facile e sottile l’infiltrazione della mafia e della cultura mafiosa al Nord?
A stimolare la ricerca, le risposte, le assunzioni di responsabilità politiche sul territorio è la memoria di quanti hanno lottato contro le mafie. Loro, anche se morti, non hanno lasciato spazi vuoti.

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Quanti sono i corrotti? https://www.lavoce.it/quanti-sono-i-corrotti/ Wed, 27 Apr 2016 16:24:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46102 Ci sono state polemiche intorno alla frase del magistrato Davigo secondo cui i politici italiani rubano tutti. Ma lo ha detto davvero? No. Ha detto che nella politica italiana si ruba, e non è la stessa cosa. Ma quanti sono quelli che rubano? D’accordo, non tutti. La maggior parte? No, non sarebbe giusto nemmeno questo. Una minoranza, dunque; ma quanti? Il 10 per cento? Il 5 per cento? Parliamo, più in generale, di quelli che sfruttano la loro posizione per ricavarne vantaggi personali illeciti. Saranno anche pochi rispetto al totale, ma sono comunque troppi, perché sono quanti bastano perché la politica nel suo insieme porti la loro impronta. Sono quelli che sanno meglio quello che vogliono, sono più decisi, più coalizzati; come accade in tutte le cose della vita, chi è spinto da interessi più forti, prevale. Ma sono aiutati anche dal fatto che gli altri – anche senza essere veramente complici – subiscono, si adattano, stanno al gioco, non considerano importante opporsi. E lo stesso fanno i loro elettori. Ci può essere poi un’analisi ancora più radicale e spietata: quella che ha fatto Ernesto Galli della Loggia in un editoriale martedì scorso: i politici fanno cose illecite perché la gente vuole cose illecite dalla politica (anche qui non tutti, direi io, ma comunque in troppi): favori, raccomandazioni, condoni, sperpero del denaro pubblico per arricchimenti privati. E si torna all’evasione fiscale di massa, all’abusivismo edilizio di massa, nel disinteresse degli amministratori pubblici quando non con la loro complicità. Si torna sempre allo stesso punto: la ricchezza maggiore di una nazione è l’onestà dei suoi cittadini, nel pubblico come nel privato. E non basta cambiare una legge per ottenerla. L’onestà è efficace se viene dal profondo e se tutti ci credono. Vale l’insistente predicazione del Papa contro la corruzione; con la precisazione che nel suo linguaggio la “corruzione” non è uno specifico reato del Codice, bensì un termine generico per indicare il radicamento nel male, l’illecito come scelta di vita, come identità della persona. Nel privato, e anche nel pubblico.

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La giustizia arranca dietro il crimine https://www.lavoce.it/la-giustizia-arranca-dietro-il-crimine/ Fri, 05 Feb 2016 09:56:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45327 L'inaugurazione dell'Anno giudiziario a Perugia
L’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Perugia

Come sta la giustizia in Umbria? Non proprio bene, ma è un malessere che dura da anni e che sta diventando una malattia cronica. C’è un aumento della criminalità organizzata, così come cresce la domanda di giustizia dei cittadini nelle cause civili. Però mancano cancellieri e personale amministrativo, per cui i processi vanno a rilento. C’è poi una legislazione che aiuta chi ha interesse ad allungare i tempi delle sentenze, facendo così scattare la prescrizione. Lo ha denunciato, senza giri di parole, il sostituto procuratore generale Giancarlo Costagliola sabato scorso a Perugia in occasione della solenne cerimonia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, parlando dello “scandalo di una giustizia penale che finisce col garantire l’impunità di chi si può permettere costosi collegi di difesa”. Con “un numero spropositato di sanzioni penali (sembra che siano oltre 40 mila) capaci di generare ogni anno – ha spiegato – un numero di procedimenti penali che il nostro sistema giudiziario non può definire in tempi accettabili”. Ad ascoltarlo c’erano parlamentari, sindaci, la Presidente della Regione e tutte le massime autorità civili e militari. “Il diffondersi della corruzione e della delinquenza organizzata – ha detto – insieme al discredito della politica trovano fondamento nella crisi della giustizia penale, favorita e alimentata dal regime della prescrizione”, che “secondo l’opinione comune di giudici e giuristi è la vera zavorra del nostro sistema penale”. Uno strumento “che invoglia tutti gli utenti, in particolar modo gli imputati colpevoli, a tentare di far trascorrere il tempo necessario”: cosicché in un solo anno sono stati cancellati in Italia 160 mila processi, vanificando il faticoso lavoro delle forze di polizia, dei magistrati e del personale degli uffici giudiziari. “Assistiamo passivi e rassegnati – ha aggiunto Costagliola – a un incredibile spreco di risorse materiali e umane che genera la frustrazione delle vittime e della magistratura giudicante”. Parole che vengono ripetute da anni nelle aule di giustizia di tutta Italia in occasione di queste solenni cerimonie, ma che di fatto sono rimaste inascoltate.

 

Alla crisi della giustizia in Umbria contribuisce in modo rilevante la carenza del personale amministrativo, come ricordato dal presidente reggente della corte d’Appello Giancarlo Massei. A Perugia mancano il 36% degli operatori, e la situazione non è migliore negli uffici giudiziari di Spoleto e Terni, tanto che in Umbria – ha ricordato il sostituto procuratore Mario Formisano dell’Associazione nazionale magistrati – lo scoperto dell’organico del personale amministrativo “oltrepassa il 40%. Diviene molto arduo in queste condizioni – ha detto – assicurare un servizio rapido e efficiente” con dipendenti la cui età media per il blocco del turn-over supera i 50 anni e che sono “esausti” per il troppo lavoro. Così saltano udienze, si riducono gli orari di servizio delle Cancellerie, con gli avvocati costretti ad attese di ore, e anche i processi vanno a rilento. Nel tribunale penale di Perugia, per una sentenza nel 65 per cento dei procedimenti si deve aspettare più di due anni, mentre nella sezione civile per definire un procedimento ordinario ci vogliono mediamente 4 anni. La giustizia è sempre più lenta, quando invece ci sarebbe bisogno della certezza della pena in tempi brevi per contrastare una criminalità organizzata che diventa ogni giorno più pericolosa. Aumentano i fatti di sangue dei quali si deve occupare la Corte d’assise. Un “aumento allarmante” per il presidente Massei, che è anche il “segno molto triste” del fatto che “qualcosa e in peggio nel giro di pochi anni è cambiato nella nostra regione”. Dalla relazione del sostituto procuratore generale Giancarlo Costagliola emerge “l’esistenza di insediamenti di gruppi criminali di stampo mafioso e di gruppi criminali extracomunitari” che in certe situazioni collaborano tra loro avvalendosi di gruppi criminali locali, anche questi in crescita. Manca il lavoro, e sono sempre di più le persone residenti in Umbria che si mettono a disposizione di queste organizzazioni criminali e fanno affari con la droga, con il favoreggiamento dell’immigrazone clandestina e la tratta di essere umani legata allo sfruttamento della prostituzione. Ci sono poi gli affari delle mafie che vengono a riciclare in Umbria i soldi “sporchi” dei loro traffici, inquinando la nostra economia. In particolare la relazione del sostituto procuratore generale riferisce della presenza nella nostra regione di “soggetti collegati a cosche della ’ndrangheta” che hanno scelto di vivere in Umbria “per allontanarsi dalle faide attive in Calabria o per riciclare capitali illeciti”. Un’infiltrazione che era cominciata con la ricostruzione dopo il terremoto del 1997. Soldi, tanti soldi pubblici per appalti e cantieri, che facevano gola anche alla ’ndrangheta. Ma questo è un altro capitolo che, forse, non è stato ancora scritto per intero sulla storia di quel terremoto che aveva sbriciolato gli affreschi della basilica di San Francesco ad Assisi e il “Torrino” simbolo di Foligno.

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GIORNATA DELLA PACE. Vincere l’indifferenza è possibile. E cambia le cose https://www.lavoce.it/giornata-della-pace-vincere-lindifferenza-e-possibile-e-cambia-le-cose/ Mon, 28 Dec 2015 07:27:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44820 siria-guerraIl vero male è l’indifferenza” ripeteva instancabile Madre Teresa in tutti i suoi incontri pubblici. Quasi a sottolineare che, se il male è una presenza con la quale l’umanità è chiamata a confliggere, di fatto è l’indifferenza della maggioranza a permettere al male stesso di sedimentarsi, di diffondersi e di crescere. In questo senso la “globalizzazione dell’indifferenza” – come Papa Francesco ha stigmatizzato il fenomeno esteso che caratterizza ancora di più il nostro tempo – rappresenta essa stessa un male che va contrastato con tutte le forze in campo, se vogliamo “conquistare la pace”. Due termini antitetici, indifferenza e pace, per non restare vittime dell’ambiguità secondo la quale l’inerzia delle mani conserte, l’ignavia, l’inoperosità, l’omissione o il disimpegno non si rendono complici della violenza, dell’ingiustizia e della sofferenza.

Ed è particolarmente interessante che il Papa punti l’attenzione su questo sentimento globale non soltanto nei confronti della guerra e del terrorismo, ma anche di “situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza”. Sembra un’eco profonda della definizione di pace che già la Gaudium et spes, esplicitamente richiamata anche nel Messaggio, proponeva al n. 78: “La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita opera della giustizia”.

Molto spesso l’indifferenza – ancorché generata dall’ipertrofia di un certo tipo di informazioni da cui siamo quotidianamente raggiunti e sommersi – è anche il frutto della falsa considerazione secondo la quale ci si trova di fronte a problemi talmente grandi e guidati da poteri tanto forti da sentirsi, a livello individuale, totalmente impotenti e incapaci di apportare alcun contributo alla soluzione. È invece proprio questa mentalità, questo atteggiamento che siamo chiamati a contrastare in maniera determinante.

Era il 1994 quando giunse in Italia Jodie Williams, attivista statunitense che aveva dato origine a una campagna per la messa al bando delle mine antiuomo. Aveva già incontrato rappresentanti di organizzazioni sociali e di movimenti per la pace in altre nazioni, ma volgeva particolarmente la sua attenzione all’Italia perché, purtroppo, tre aziende attive all’epoca nel nostro Paese costruivano ed esportavano mine di ultima generazione che mietevano vittime soprattutto nei Paesi più poveri del pianeta. Ricordo che al suo appello rispondemmo solo in quattro rappresentanti tra organizzazioni di cooperazione internazionale e movimenti di base. C’era chi considerava che non servisse a molto puntare l’indice contro un certo tipo di arma, ma che si dovesse contestare l’intero sistema della guerra e la produzione di materiale bellico. Non mancava chi ci faceva notare che la produzione di quegli ordigni di morte garantiva occupazione e lavoro, oppure coloro che – realisticamente – non vedevano la classe politica abbastanza attenta e vigile da inserire nell’agenda del dibattito un tema non “notiziabile” e impopolare.

Ostinatamente attivammo una campagna che di lì a tre anni (1997) condusse a una legge italiana che definitivamente metteva al bando la produzione, il commercio e l’uso delle mine, e convertiva al civile le aziende senza un solo licenziamento. A livello internazionale, in quello stesso anno si giunse al Trattato di Ottawa che stabiliva una moratoria, e al premio Nobel per la pace.

Le stesse considerazioni si potrebbero fare per la campagna per la cancellazione del debito dei Paesi del Sud del mondo, o per quella contro la privatizzazione dell’acqua. Gli esempi non mancano. Se il torpore delle coscienze dell’indifferenza globale viene vinto dalla volontà della solidarietà, e della solidarietà internazionale, prendiamo consapevolezza di poter concorrere a costruire un mondo migliore secondo il sogno del Dio della pace.

Né va dimenticato che nel nostro Paese l’indifferenza troppo spesso ha assunto i connotati dell’omertà e della “zona grigia” che ha favorito e fatto crescere il predominio delle mafie e dell’illegalità. Anche in questo caso, chi ha saputo vincere l’indifferenza ha proposto leggi più efficaci, ha dato inizio a percorsi di educazione alla legalità democratica, si è fatto prossimo ai familiari delle vittime, ha sostenuto chi denunciava gli estorsori perché malaffare e corruzione non ricevessero alcuna copertura, contiguità e complicità. Anche grazie a quelle scelte la cultura della legalità è cresciuta in Italia e in altre aree del mondo.

Il Messaggio per la Giornata mondiale della pace indica obiettivi, prassi e strumenti che sono praticabili e perseguibili perché essenziali per la pacifica convivenza in senso più profondo e più pieno della semplice assenza di guerra. Si tratta ad esempio dell’impegno per garantire a tutti lavoro, terra e tetto, l’accesso ai farmaci e al diritto alle cure necessarie, condizioni umane per i detenuti, un’accoglienza dignitosa ai migranti… Una pace che richiede “artigiani” creativamente capaci, appassionati e determinati a cooperare al progetto del Dio della pace per l’umanità.

Passo dopo passo, con lo stile feriale e semplice di chi non si è rassegnato all’impermeabilità al dolore del mondo e sa ancora commuoversi (e muoversi) davanti alle lacrime che chiedono pane, dignità e pace.

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“Europa” è greca…ma anche benedettina https://www.lavoce.it/europa-e-greca-ma-anche-benedettina/ Thu, 02 Jul 2015 10:55:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37166 Un manifestante in una delle tante proteste in piazza dei greci di qualche giorno fa, a un certo momento ha alzato la voce gridando con orgoglio dentro un microfono: “Europa è una parola greca!”. Non ha avuto tempo e modo di spiegarsi meglio, e tanto meno di raccontare il mito di Europa, figlia di Agenore re di Tiro, di cui si innamorò lo stesso Zeus padre degli dèi, ma il messaggio era chiaro e conteneva molte altre storie della civiltà greca, da cui non si finisce mai di imparare.

La stessa “democrazia” è una parola greca, come economia, filosofia, psicologia, creando un tessuto linguistico e culturale che ci rende vicini e debitori verso questo piccolo, grande Paese. Ma le parole e i miti oggi non bastano più a nessuno e non trovano spazio nella contabilità degli Stati; non hanno un peso nei loro bilanci, non alleggeriscono il debito pubblico.

Prendere atto di questo da parte di un popolo è difficile, e può sembrare un venir meno alla coscienza della propria dignità e grandezza, finendo talvolta in una specie di esaltazione nazionale più nominalistica che reale. Riferimenti e glorie del passato talvolta possono porsi perfino in contrasto con il presente, come quando si esalta Roma come “madre e maestra universale del Diritto”… e ci ritroviamo la corruzione nel settore pubblico e privato, con tanto di cosiddetta Mafia Capitale.

Con un po’ di pazienza, un discorso di questo tipo si potrebbe allargare a ogni nazione europea: ognuna di esse si esalta in particolari circostanze, come le feste nazionali, dimenticando o trascurando di ricercare soprattutto il bene del popolo.

Parlando di Europa, oggi ci troviamo di fronte non più a un mito o sogno, ma a un progetto insieme ideale e reale, fondato su una comune storia, forti e profonde radici culturali, interessi comuni di sviluppo e di benessere per tutti senza discriminazioni: un antidoto alle guerre che hanno funestato le nazioni del Vecchio Continente per secoli.

Vi è una moneta comune, e criteri comuni di comportamento economico-finanziario per mettersi al riparo dalle speculazioni internazionali e dalle grandi potenze economiche, a tutela del benessere dei nostri popoli (almeno sulla carta). Per tutto questo, che riguarda anche l’Italia non meno della Grecia, anziché fare schermaglie ideologiche o trattative da “braccio di ferro”, ci si deve mettere a tavolino a fare i conti (anche se sembra troppo tardi), si deve tornare a una sana filosofia popolare antica che recita primum vivere, deinde philosophari, “prima la vita, poi la filosofia”.

A tutti i livelli della società si devono rifare i conti, si deve stare alle regole del “buon padre di famiglia”, che garantisce ai figli il pranzo e la cena; si deve essere umili nel quotidiano e nella cura anche delle piccole cose. Secondo Papa Francesco è necessario cambiare stili di vita a tutti i livelli della società, non solo nella prospettiva ecologica, per rispettare la creazione, ma anche economica e sociale per una più equa distribuzione delle ricchezze, che per molti significa distribuzione del minimo vitale per la sopravvivenza.

Se qualcuno coltiva ancora il pregiudizio del superuomo e dell’onnipotenza, dovrà fermarsi per fare i conti. Questo esercizio è la vera sfida di oggi, che consentirà di far rifiorire gli ideali e di realizzare una Comunità europea unita di fatto attorno a un tavolo dove nessuno bara e tutti svolgono il loro compito e pagano il loro debito, in base a equità e responsabilità.

Questo è il progetto dell’Europa oggi, che richiama alla cultura benedettina (san Benedetto da Norcia è infatti patrono d’Europa) la quale ha legato indissolubilmente la regola della preghiera con la regola del lavoro e dell’organizzazione della vita collettiva. La prima di tali regole è quella di fare i conti con la realtà.

 

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C’è una speranza per la politica? https://www.lavoce.it/ce-una-speranza-per-la-politica/ Thu, 28 May 2015 10:16:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34341  

Mons. Domenico Sorrentino
Mons. Domenico Sorrentino

“Frate Francesco vostro servo nel Signore Dio, piccolo e spregevole, a tutti voi augura salute e pace”.

Così San Francesco si rivolge ai “politici” del suo tempo nella “Lettera ai reggitori dei popoli”. Faccio mie le sue parole. Vi giunga, amichevole e rispettoso, il mio saluto, in rappresentanza della comunità cristiana di questa diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, mentre siete alle ultime battute della campagna elettorale.

1. Quale che sia la vostra parte politica, desidero innanzitutto esprimervi la stima della Chiesa. È opinione corrente che la politica sia una cosa sporca. Ma essa è piuttosto una grande forma di “carità”, come ci ricorda anche papa Francesco. Naturalmente a condizione che sia svolta con spirito di servizio e interamente rivolta al “bene comune”.

Se tanti cittadini sono tentati dall’ astensionismo – e non è cosa buona! – purtroppo qualche ragione c’è. Troppi interessi personali, troppa corruzione, troppo sperpero di danaro pubblico, mentre una crisi economica getta lavoratori, disoccupati, giovani e famiglie in preda all’angoscia. È insopportabile. Tocca ai “reggitori dei popoli” – come vi chiamerebbe San Francesco – dare un segnale. Un primo segnale, concreto ed eloquente, potrebbe essere quello di cominciare il vostro mandato, se sarete eletti, con l’autoriduzione dei vostri stipendi e simili privilegi. Si può certo comprendere che l’attività elettorale e politica comporti spese aggiuntive. Ma che gli emolumenti dei politici, a parità di condizioni, si stacchino vistosamente dalla remunerazione media di tanti cittadini, è inaccettabile. Forse un segnale come questo sarebbe importante per restituire credibilità a una politica boccheggiante.

2. Appena eletti, vi ritroverete a gestire, nei parlamenti regionali – il discorso è analogo per quello nazionale – la dialettica maggioranza-opposizione. Una dialettica che vi sta in questi giorni contrapponendo nel confronto elettorale. In linea di massima, è una tensione benefica, nella misura in cui consente di definire bene le posizioni, permettendo agli elettori di fare scelte chiare, oculate e responsabili. Nell’agenda della politica ci sono cose grandi e fondamentali, e tante altre di minor peso, ma che pur incidono nella vita delle persone. Molti temi di concreta organizzazione della convivenza si possono affrontare con diverse soluzioni lecite.

La politica è anche arte di mediare. Per questo la Chiesa non sceglie a priori nessuna “parte”, tanto meno interferisce nelle dinamiche elettorali. Al tempo stesso non si lascia “zittire” da un discutibile senso della “laicità”, che, ben compresa, è valore anche per noi cristiani. La Chiesa non può non avere a cuore la “polis”, perché ha a cuore l’uomo. Lo fa soprattutto con il suo compito educativo, offrendo momenti formativi, come qui ad Assisi, presso l’Istituto Serafico, con la Scuola di formazione socio-politica intitolata a Giuseppe Toniolo. Nelle contingenze elettorali la Chiesa vi segue soprattutto con la preghiera, lasciando ai singoli laici la responsabilità delle scelte concrete. È giusto anche che, una volta in Parlamento, non vi sentiate soli. La comunità cristiana desidera stabilire con voi un contatto, perché il discernimento sulle diverse problematiche possa avvantaggiarsi della comune riflessione.

3. Se tante cose di cui vi occuperete sono opinabili, c’è però un ambito etico fondamentale che precede la politica, e che la politica semplicemente deve riconoscere, salvaguardare e promuovere. La politica non è Dio! Per questo San Francesco, nella lettera ai Reggitori dei popoli, con linguaggio “diretto” ammoniva: “Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico perciò, con tutta la reverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non deviare dai suoi comandamenti”.

Una deriva della politica è la tendenza a fare dei parlamenti il luogo in cui si legifera anche a dispetto della legge di Dio, ad esempio in tema di rispetto della vita. Mettersi al posto di Dio è l’inizio della fine. I comandamenti di Dio non sono materia di discussione. Essi sono inscritti nella nostra coscienza, e vi restano incisi anche quando non riconosciamo più la presenza di Dio o non lo chiamiamo più con questo nome.

4. Per questo vi auguro di andare in parlamento non lasciandovi intrappolare da schemi di “geometria” parlamentare. Parlare di “destra” o “sinistra”, di progressismo o tradizionalismo, di “laico” o di “cattolico”, quando sono in gioco valori riguardanti la vita dell’uomo, la sua dignità, la famiglia, la pace, il lavoro, è linguaggio ambiguo che rischia di ingabbiare le coscienze in schemi non adeguati alla posta in gioco. Che significa porre il marchio di “sinistra” o di “progressista”, a chi si batte per il lavoro e la sua dignità, per il rispetto e l’accoglienza degli immigrati, per la pace e la non proliferazione delle armi, e mettere il marchio di destra e di tradizionalista a chi si batte perché i bimbi non siano uccisi prima ancora di nascere, perché la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna sia rispettata come cellula fondamentale della società evitando la confusione con altri tipi di unione, perché l’identità maschile e femminile sia preservata dalla confusione di matrice ideologica, perché il rispetto dell’essere umano giunga fino all’estremo limite della sua vita?

Questi temi sono tutti intrecciati. Un filo unico li tiene: è la dignità della persona umana, l’unica dignità di ogni uomo e di ogni donna, di qualunque età e condizione. Questi valori dovrebbero essere il fondamento di ogni politica degna di questo nome, l’orizzonte ideale di una democrazia non ridotta a giochi formali. L’auspicio è che i vostri rapporti con gli elettori o con le lobbies e gli interessi di parte non vi leghino anche la coscienza.

5. Papa Francesco ha gridato contro la corruzione e ci ha invitato ad alzare la voce su questo tema. Ha però anche spiegato che essa non si riduce al deprecabile fenomeno delle tangenti. Su questo – va da sé – occorre fare passi in avanti, creando una legislazione e una cultura che costituiscano l’antidoto ad ogni tipo di mafia, di illegalità, di evasione fiscale. Ma corruzione è anche quel sottile avvelenamento delle coscienze e delle relazioni, che si realizza per vie mediatiche e persino legislative, quando si stravolgono valori fondamentali di solidarietà e di rettitudine, ad esempio lasciando via libera alle valanghe di pornografia e di pornoprassi che riempiono i nostri video e corrompono i rapporti sociali e familiari. Come difendere i bambini? E come non indignarsi di fronte alla strumentalizzazione commerciale del corpo? E quanto ancora dobbiamo crescere nel senso del rispetto delle donne e del riconoscimento del loro ruolo sociale? Se dobbiamo tutti riscoprire il dovere di custodire il creato con le sue bellezze materiali, fronteggiando vigorosamente ogni attacco agli equilibri della natura, non meno ci dobbiamo preoccupare della deriva morale che travolge le persone e le famiglie. Non basta scandalizzarsi davanti a casi clamorosi di perversione e di violenza.

I valori fondamentali sono un tessuto unitario. Lacerarlo in un punto significa compromettere il tutto. Una società ormai afflitta vistosamente dalla denatalità, minata dalla corruzione e incapace di tenere in piedi il vincolo familiare si candida all’estinzione. È ora che prendiamo coscienza di quello che sta accadendo. Una alleanza tra soggetti educativi (famiglia, Chiesa, scuola), adulti responsabili di qualunque fede religiosa, politici che ascoltano la propria coscienza prima che le sirene del potere, è necessaria per arginare la frana.

Il Signore vi doni di prepararvi al vostro mandato, di governanti o di oppositori, mettendovi davanti agli occhi la situazione dei giovani, dei lavoratori, dei disoccupati, delle famiglie, degli immigrati, degli anziani e dei malati. Ripartiamo dalla fragilità per metterla al centro e non alla periferia dell’azione politica. In modo particolare adoperiamoci per il superamento della crisi economica, coltivando una visione dell’economia che ponga al centro l’uomo e non lo stritoli negli ingranaggi di una ricerca senza scrupoli del solo profitto.

Nella menzionata lettera ai reggitori dei popoli San Francesco ricordava loro la verità, valida per tutti, che “quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di possedere saranno loro tolte”. A me piace concludere in positivo: per noi credenti c’è un principio di “risurrezione” che è stato posto nella storia da quando Gesù è risorto. Non c’è situazione grave da cui, con l’aiuto di Dio, non si possa risorgere. Sono sicuro che anche tanti fratelli che non si richiamano alla fede, hanno però nel cuore motivi di speranza. A voi e a tutti un abbraccio fraterno.

Assisi, 26 Maggio 2015

 

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Elezioni regionali. Nemico comune: l’astensionismo https://www.lavoce.it/nemico-comune-lastensionismo/ Thu, 28 May 2015 08:55:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34317 elezioni-regionaliCatiuscia Marini, oppure Claudio Ricci. Ma avranno un grande peso, nell’esito finale, i consensi verso Andrea Liberati del Movimento 5 stelle, e soprattutto l’incognita – anzi l’incubo, per tanti candidati – dell’astensionismo, che potrebbe diventare il primo “partito” in Umbria.

Si dovrebbe giocare su questi fattori la poltrona di presidente della Regione Umbria per il prossimo quinquennio.

La legge elettorale regionale, tanto contestata, non prevede ballottaggi: quindi governerà chi prenderà più voti in percentuale. Basterà ottenere la maggioranza relativa per ottenere la maggioranza assoluta e guidare magari l’Umbria verso una sua aggregazione con un’altra Regione.

L’ultima settimana di campagna elettorale ha portato i big nazionali in Umbria nella convinzione – solo presunta – di suscitare qualche entusiasmo in più nell’elettorato, stanco e demotivato da una delle campagne elettorali meno coinvolgenti degli ultimi anni.

Silvio Berlusconi e Claudio Ricci
Silvio Berlusconi e Claudio Ricci

E così è arrivato ad Assisi, a sostegno di Claudio Ricci, Silvio Berlusconi , il quale si è pure rivolto a san Francesco per tentare di ripetere il “miracolo” del 2000 che portò, con il risultato delle regionali, a scalzare Massimo D’Alema da premier.

L’auspicio è che anche l’attuale primo ministro, Matteo Renzi – se sconfitto – vada a casa, perché, come al solito, il risultato delle regionali, nel nostro Paese, può influenzare la maggioranza politica che governa a livello nazionale.

Il leader di Forza Italia ha inoltre sottolineato che Ricci “ha già ottenuto un primo successo riuscendo, come prima Regione, a mettere insieme tutto il centrodestra”, osservando che “non è stato così facile, perché purtroppo la situazione attuale del centrodestra disorienta molti nostri, anche antichi, elettori”.

Nel frattempo è arrivato lo stesso Renzi a Perugia per sostenere Catiuscia Marini. “L’Umbria – ha detto il premier – è stata ben governata da Catiuscia Marini nei precedenti cinque anni.Lunedì prossimo Catiuscia sarà di nuovo alla guida di questa regione, amata da tutta l’Italia, di cui è il centro geografico e da cui è possibile una ripartenza per tutto il Paese”.

Catiuscia Marini, Matteo Renzi e Giacomo Leonelli
Catiuscia Marini, Matteo Renzi e Giacomo Leonelli

Ha pure ricordato quando, con il suo gruppo scout, venne a Nocera Umbra dopo il terremoto del 1997: “Mi resi conto in quella situazione di quanto questa terra fosse nel cuore di ogni italiano, che qui aveva una casa, un parente, una fidanzata. Vederla dall’elicottero mi ha fatto commuovere”.

Ma Renzi, premier ma anche segretario nazionale Pd, ha lanciato un monito: “C’è bisogno che non la diamo per vinta, l’Umbria. Qui c’è da lavorare”, fino all’ultimo, ha ricordato.

“Allora istruzioni per l’uso: prendere telefonino in mano, controllare la rubrica, fare l’elenco di persone da contattare” e “raccontiamo che nella scommessa di Catiuscia c’è la scommessa di tutti voi”.

 

I candidati:

FULVIO MAIORCA “No all’aborto, e aboliamo le Regioni”

Supportato dalla lista “Forza nuova”, Fulvio Carlo Maiorca, nato a Pisticci (Matera) nel 1937, è avvocato del Foro di Perugia. Tra le sue proposte c’è quella dell’abolizione delle Regioni e la devoluzione delle loro competenze e prerogative alla Provincia, nel quadro di un progetto di sviluppo politico dell’autonomia locale.

Per la rinascita dell’Umbria, afferma, è necessario il “richiamo dei giovani di buona volontà alle loro scelte vocazionali, per creare professionisti, artigiani, commercianti, agricoltori, allevatori che si sposino, abbiano figli, riempiano l’Umbria e siano di esempio e guida anche ai giovani immigrati i quali, per sopravvivere dignitosamente, dovranno essere preparati alla nostra cultura. E pertanto, stop immediato all’aborto e a tutte le pratiche abortive; via libera agli aiuti alle famiglie; applicazione piena dell’art. 31 della Costituzione”.

La copertura finanziaria di tali provvedimenti dovrà essere ricavata dalla riduzione dei costi della politica, dall’eliminazione delle spese inutili o superflue, di consulenze e uffici per gestire attività fantasma.

CATIUSCIA MARINI “Più fondi a sostegno delle imprese”

La Presidente uscente si avvale del supporto di 4 liste: Pd, “Umbria più uguale – Sinistra, ecologia libertà – La sinistra per l’Umbria”, “Socialisti riformisti – Territori per l’Umbria” e “Iniziativa per l’Umbria civica e popolare”.

La Marini è nata a Todi nel 1967, laureata in Scienze politiche con indirizzo internazionale. Dal 1998 al 2007 è stata sindaco di Todi per due mandati consecutivi. Nel 2007 è stata assunta come dirigente di Legacoop Umbria. Tra il 2008 e il 2009 è stata parlamentare europea. Nel 2010 è stata eletta presidente della Regione.

In tema economico, nel programma di Marini si parla di “700 milioni di euro nei prossimi anni a sostegno delle imprese agricole, industriali, dell’artigianato, del turismo, del commercio e dell’economia sociale”, di “237 milioni di euro di Fondo sociale europeo per favorire: occupazione giovanile, ritorno al lavoro dei disoccupati, riduzione delle povertà e miglioramento delle competenze dei lavoratori e delle persone”.

CLAUDIO RICCI “Case popolari, zero sprechi, sicurezza”

 

Ha sei liste in appoggio: “Ricci presidente”, “Per l’Umbria popolare con Ricci”, “Cambiare in Umbria con Ricci”, “Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale – Ricci presidente”, Lega nord e Forza Italia. Ricci è nato a Perugia nel 1964. È ingegnere, e dal 1997 ricopre ruoli amministrativi ad Assisi, di cui è stato sindaco dal 2006 al 2015.

Tra i punti del programma riguardanti l’economia, “realizzare più case popolari assegnandole, con alcuni parametri di priorità, a chi risiede in Umbria da almeno 10 anni e dando prevalenza a famiglie numerose e con disabili”; “risparmiare nei primi 3 anni almeno il 10% (del bilancio disponibile) azzerando gli sprechi per ridurre le tasse regionali”; “l’utilizzo gratuito di internet per tutti e in particolare per imprese e giovani”. Tra gli altri punti del programma: “Priorità alla sicurezza, finanziando di più la legge regionale sulla sicurezza. Sviluppare sistemi di videocamere e centrali di controllo attive 24 ore su 24 e sostenere le associazioni di volontari per la sicurezza (al servizio delle polizie locali)”.

MICHELE VECCHIETTI “Un’alternativa reale, antiliberista, di sinistra”

È appoggiato dalla lista “L’Umbria per un’altra Europa”. Nato a Terni nel 1981, è laureato in Filosofia e ha un master in Cooperazione internazionale. Ha lavorato come operatore sociale e insegnante; attualmente è un precario del pubblico impiego.

Si propone come “un’alternativa reale, antiliberista, democratica e di sinistra, rispetto al consociativismo del centrosinistra e del centrodestra, responsabile della ‘crisi nella crisi’ della nostra regione, e della subalternità alle scelte sciagurate del governo Renzi e dell’Europa delle banche”.

Nel suo programma vi è, tra l’altro, un “piano regionale per il contrasto alla povertà, che preveda la sperimentazione di forme di reddito minimo garantito, per inoccupati e disoccupati non coperti da ammortizzatori sociali”, e un “piano regionale per il lavoro, quale strumento con cui concentrare le risorse disponibili, tanto di provenienza regionale che di natura nazionale e comunitaria”, oltre al “blocco degli sfratti per morosità incolpevole”.

SIMONE DI STEFANO “La Ast va salvata nazionalizzandola”

 

È supportato dalla lista “Sovranità – Prima gli italiani”. Di Stefano, nato a Roma nel 1976, è vice presidente nazionale del movimento politico di destra Casapound. Tra i temi principali del suo programma “sicuramente lavoro e sicurezza. L’Umbria è una regione particolare, perché i suoi problemi sono emblematici di situazioni gravi anche a livello nazionale. Pensiamo alle Acciaierie di Terni, con famiglie intere di operai abbandonate a se stesse per colpa di un Governo asservito alla Ue a alle lobby finanziarie, che intende procedere verso lo smantellamento del comparto siderurgico italiano.

Noi siamo per la nazionalizzazione, per l’intervento pubblico, per una public company partecipata da capitale della Regione perché dobbiamo essere padroni delle Acciaierie e non lasciare che i tedeschi le facciano fallire”. Tra le proposte, lo “stop all’immigrazione. In una nazione che ha il 50% di disoccupazione giovanile, non possiamo accogliere altre persone. Non possiamo destinare quei famosi 35 euro al giorno agli immigrati. Dobbiamo destinare quei fondi alla sicurezza”.

AMATO JOHN DE PAULIS “Ecco come fermare i racket criminali”

 

È appoggiato dalla lista “Alternativa riformista”. De Paulis è nato a Wilmington (Delaware, Usa) nel 1950. Biologo e medico veterinario, ha ricoperto ruoli di vertice e rappresentativi di numerose associazioni di veterinari umbri. Tra i punti più caratterizzanti del programma: “Legalizzazione e auto-coltivazione regolamentata della cannabis nonché legalizzazione, controllo sanitario e tassazione della prostituzione: le uniche vie praticabili per spezzare il crimine organizzato e la violenza associata” e “riconoscimento degli animali d’affezione come membri effettivi del nucleo familiare, tutelando i loro diritti”.

Per quanto riguarda la sanità: “Riduzione del ticket sanitario attraverso l’accorpamento delle due Asl in un’unica struttura regionale” e “costituzione di un unico centro acquisti regionale di farmaci, attrezzature e di materiale sanitario”.

In tema economico punta, tra l’altro, sulla “formazione professionale” e sull’utilizzo delle aree agricole demaniali dismesse anche a favore dell’occupazione giovanile.

AURELIO FABIANI “I due problemi sono lavoro e povertà”

 

Lo sostiene la lista “Casa rossa – Partito comunista e dei lavoratori”. Fabiani è nato a Spoleto nel 1955. Nei suoi interventi ha affermato che “in Umbria, come in tutto l’Occidente, oggi i problemi sono due: il lavoro e la povertà. Questi sono originati da grandi gruppi finanziari che hanno causato la crisi e l’hanno poi scaricata sui Paesi più deboli e sui ceti sociali più deboli.

“Anche in Umbria dobbiamo rispondere in tema di lavoro e di povertà. Una vera forza comunista è fondamentale per questo. Da quando essa manca, non l’Umbria, ma i poveri e i lavoratori dell’Umbria hanno subìto un vero massacro sociale. Ci vuole una svolta politica, e l’unico progetto utile è unire le forze che in Umbria si oppongono a questa Europa capitalista delle banche e delle multinazionali che ci strozzano e ci rubano lavoro”. Fabiani ha posto l’accento anche sul fatto che è necessario destinare risorse per l’occupazione “tagliando consulenze e appalti clientelari, per dirottare il tutto per creare lavoro”.

ANDREA LIBERATI “Lotta senza quartiere alla corruzione”

 

È il candidato della lista del Movimento 5 stelle. Liberati è nato a Terni nel 1976; è giornalista, laureato in Scienze politiche e negli ultimi anni, ricoprendo ruolo di vertice locale di “Italia nostra”, ha sollevato le principali questioni ambientali della Conca ternana (tra le quali le contaminazioni di suolo, aria, acqua e cibo e l’ampliamento della discarica Ast).

Nella campagna elettorale di Liberati è stata centrale la lotta alla corruzione. C’è una “gigantesca questione morale che attanaglia l’Umbria ormai da decenni. Una vera e propria cappa che impedisce lo sviluppo della nostra Regione, preda di interessi privatistici lontani anni luce dal bene comune e dagli interessi dei cittadini”.

Tra i principali punti del programma, “il reddito di cittadinanza regionale: 780 euro al mese per disoccupati, inoccupati e pensioni minime. Sgravi fiscali alle imprese virtuose che producono utilità sociale ed eccellenza nel mondo attraverso il reperimento di risorse da una spending review generale”.

 

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La palla è rotonda e la coscienza è sporca https://www.lavoce.it/la-palla-e-rotonda-e-la-coscienza-e-sporca/ Thu, 21 May 2015 10:40:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33812 Attenti a come giocano! Chi non va allo stadio non potrà capire se un calciatore gioca bene o male, se ci si mette con la testa e quindi con l’attenzione, l’entusiasmo e la tensione necessaria (non mi pare appropriato il termine “cattiveria”, troppo usata in ambito sportivo) oppure adopera solo i piedi senza concentrazione. Un vero tifoso può capire, e infatti nel dopo-partita si animano discussioni a non finire perché ognuno “ha capito”…

Chi di noi non ha ascoltato qualcuno di questi discorsi in un bar o in una sala d’attesa del medico o dell’ospedale? Discorsi e discussioni benemerite, che servono a socializzare e allentare la tensione sui temi della politica o del disagio sociale, che rischiano di sedimentare nell’animo disprezzo e odio tra avversari di partito, e anche tra membri dello stesso partito. L’odio dell’avversario politico costituisce un ostacolo alla collaborazione cittadina, facendo perdere di vista il bene comune. Un partito di opposizione è felice se la Giunta fallisce un obiettivo e va male il bilancio, non curandosi del danno alla popolazione e godendo dello scacco dell’avversario.

In ambito sportivo resiste almeno la coesione per una squadra, la propria, cittadina o quella del cuore. Purtroppo, anche in questo campo si incontrano eccessi e turbolenze, e perfino violenze provocate prevalentemente da persone “disturbate” che vanno allo stadio per scaricare sfoghi privati. Sarebbe troppo bello se si facesse sport per spirito di divertimento, per momenti di ricreazione e distrazione dai pesi della vita; puro gioco disinteressato e libero da ogni forzatura, come un leggero manifestarsi di forza e armonia di gesti e movimenti, quasi una danza sciolta dai pesanti vincoli della materia.

L’elogio dello sport, però, qui si ferma per la recente notizia delle partite truccate. È una vergogna. E questo, anche lo sportivo più accreditato non riesce a scorgerlo. Tra un errore voluto e uno fatto per mancanza di attenzione o di energia non è facile neppure per un arbitro distinguere. Ci possono essere dei sospetti, ma vai a dimostrare che quello ha sbagliato perché non ha visto o non ha avuto l’energia o gli è girato male il piede o chissà perché. La scoperta della manipolazione della gara è stata ottenuta solo attraverso le intercettazioni telefoniche.

Anche nel gioco ci vuole la coscienza. Chi non ce l’ha, inquina tutto e coinvolge tutti. Sapere di avere assistito a una stupenda partita con tutta la poesia del caso: l’aria aperta, la folla variopinta con persone di tutte le età insieme e tutti uguali, i movimenti delle squadre, gli improvvisi silenzi dei momenti critici, il fruscio dell’erba verde sotto le velocissime scarpette con i tacchetti ai piedi dei calciatori… e venire poi a sapere che tutto era falsato, inquinato da un patto segreto di alcuni che dovevano piegare la partita in un certo modo per favorire interessi economici, ha il sapore di una beffa. Prendere in giro migliaia di persone e gettare la diffidenza su ciò che – per definizione e per storia – dovrebbe essere l’attività umana più disinteressata del mondo, è una pessima delusione e un gravissimo danno sociale.

È la corruzione che pervade tutto come una esondazione che non risparmia più niente e nessuno. Ne siamo tutti danneggiati, anche economicamente, perché perdendo fiducia si perde la partecipazione, la stima degli altri, non ci si fida di nessuno. Anche perché, in questo gioco al massacro, non ci sono solo calciatori che perlomeno sudano in campo, ma personaggi che girano attorno al fenomeno calcio (e forse anche ad altri sport) per fare i propri interessi che, detto senza enfasi, sono sporchi. Si poteva e doveva a pieno titolo ritenere che il calcio fosse l’ultimo lembo di terra ancora vergine e conservarlo tale, mentre è stato sommerso dai liquami della corruzione.

È proprio vero, e ne ha parlato anche il presidente dei vescovi card. Bagnasco: se non c’è la coscienza, non si salva niente.

 

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Temi forti trattati con “sensibilità ecclesiale” https://www.lavoce.it/temi-forti-trattati-con-sensibilita-ecclesiale/ Thu, 21 May 2015 08:59:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33782 Papa Francesco apre l’Assemblea generale della Cei
Papa Francesco apre l’Assemblea generale della Cei

“Sensibilità ecclesiale” è “appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo: di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza – la carità di Cristo è concreta – e di saggezza”. Parole di Papa Francesco nel suo terzo discorso ai Vescovi italiani, pronunciato in apertura della 68a Assemblea generale della Cei.

Demoni? Fossero solo 7!

Appena il Papa è arrivato nell’aula del Sinodo, non è mancata una battuta scherzosa: “Quando leggo il Vangelo di Marco , dico: ‘Questo Marco ce l’ha con la Maddalena perché aveva ospitato sette demoni. E poi penso: ma io quanti ne ho ospitati? E rimango zitto”.

Dopo il discorso, il Papa si è invece fermato “a porte chiuse” con i Vescovi per un dialogo fatto di domande e risposte. I dieci minuti del discorso pubblico di apertura, molto intensi, hanno rimarcato come la sensibilità ecclesiale si sia “indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e della crisi, che non risparmia nemmeno l’identità cristiana ed ecclesiale”.

Bisogna correre ai ripari, prendendo la parola contro la “corruzione privata e pubblica” e reagendo alle varie forme di “colonizzazione ideologica”. Per vincere la sfida, però, è decisivo il versante pastorale: i laici non hanno bisogno di “vescovi-pilota”, devono essere capaci di assumersi le loro responsabilità in tutti gli ambiti. Non servono convegni che “narcotizzano” le comunità, con documenti astrusi e incomprensibili: ci vogliono “collegialità e comunione” tra diocesi “ricche materialmente e vocazionalmente” e diocesi “in difficoltà”.

Andare controcorrente

In un quadro “realisticamente poco confortante” – ha detto Bergoglio – “la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare controcorrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri”.

“La nostra vocazione – ha aggiunto Francesco citando Isaia – è ascoltare ciò che il Signore ci chiede: ‘Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio’. A noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene solo da Dio… È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi”, ha ammonito.

Di qui la necessità di recuperare “la gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione”.

No alla corruzione

La “sensibilità ecclesiale”, per Francesco, “comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”. È ancora la sensibilità ecclesiale che “come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana”.

Laici emancipati

“I laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del vescovo-pastore”.

È un forte invito all’emancipazione quello del Papa, secondo il quale la sensibilità “ecclesiale e pastorale si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono”. Anche nelle scelte e nei documenti pastorali “non deve prevalere l’aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro popolo o al nostro Paese ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti. Invece, dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”.

Ordine del giorno

Con il discorso del Papa si è aperta lunedì 18 maggio la 68a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. I lavori si sono svolti in Vaticano nell’aula del Sinodo, terminando giovedì 21. Martedì 19, dopo l’intervento del card. Bagnasco, i Vescovi si sono confrontati sul tema principale dell’Assemblea: la verifica della recezione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium . Tra gli altri argomenti all’ordine del giorno: il 5° Convegno ecclesiale nazionale (Firenze, 9-13 novembre), la presentazione di una griglia di lavoro sul tema centrale della scorsa Assemblea generale (“La vita e la formazione permanente dei presbiteri”), l’appuntamento con il Giubileo straordinario della misericordia (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016), l’approvazione del bilancio della Cei e la ripartizione dei fondi dell’8 per mille.

 

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Opere pubbliche utili, ma a chi? https://www.lavoce.it/opere-pubbliche-utili-ma-a-chi/ Fri, 27 Mar 2015 12:32:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31080 Continuano le rivelazioni e gli scandali sulla corruzione nel mondo dei lavori pubblici. Si ha la sensazione che sia un mondo interamente corrotto. Molti si chiedono preoccupati che cosa debba cambiare, nelle leggi, per porre un freno alla corruzione. Personalmente sono un po’ scettico. Certo, tutto può essere cambiato in meglio, e questo vale anche per le leggi. Ma la causa della corruzione non sono le leggi mal fatte. La maggior parte delle regole che abbiamo in materia di lavori e di appalti, per esempio, provengono ormai da normative europee e sono quindi le stesse che valgono in Francia, in Germania e in Gran Bretagna. Del resto, anche lì ci sono imbroglioni e corrotti; ma forse sono un po’ di meno. Sta di fatto che in quei Paesi vediamo opere pubbliche fatte a regola d’arte, funzionanti, utili. Perché da noi le cose vanno diversamente? Perché vediamo tanti soldi letteralmente buttati via in opere inutili, o magari non finite, cadenti prima di essere entrate in funzione? Azzardo una risposta: perché i soldi che ci sembrano buttati in realtà non sono buttati: vanno certamente a finire in tasca a qualcuno, magari anche lecitamente. Bisogna dunque capire qual è il metro di giudizio di chi decide se una certa opera va fatta, e dove e come va fatta. Se il suo criterio è quello di fare una cosa utile, forse quell’opera non sarà fatta o sarà fatta diversamente; ma se il suo criterio è quello di far guadagnare un po’ di soldi a qualcun altro, allora quel progetto sarà certamente approvato. Magari anche solo perché si pensa che sia un bene far girare tanti soldi nella comunità, così guadagnano non solo gli imprenditori ma anche gli operai, i commercianti, e insomma un po’ tutti. Il che non è del tutto sbagliato; diceva Keynes che per far girare i soldi può essere un bene anche pagare gli operai perché scavino buche per terra e poi le riempiano. Ma a lungo andare questi metodi diventano rovinosi, non si produce ricchezza ma solo debito. La buona politica dovrebbe fare queste scelte pensando non all’utilità immediata di pochi, ma ai risultati a lungo termine. Dirlo è facile, ma, a quanto pare, è difficile farlo.

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Corruzione? C’è chi dice no https://www.lavoce.it/corruzione-ce-chi-dice-no/ Fri, 06 Mar 2015 12:46:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30758 Palermo, una grande e nobile città, una capitale europea e mediterranea con una ricchissima storia, ha più volte offerto lo spettacolo di realtà e tendenze contrapposte, con avvenimenti tragici che hanno avuto un enorme peso sulla storia del nostro Paese. Dopo la tragica fine di Falcone e Borsellino, la città ha cominciato a sviluppare una lotta decisa e aperta alla mafia e a ogni forma di sopruso, sfacciata o coperta. In questi giorni è al centro delle cronache perché un suo illustre e stimato cittadino, che risponde al nome di Roberto Helg, 78 anni, presidente della Camera di commercio e vice presidente della società Gesap che gestisce l’aeroporto Falcone-Borsellino, nonché cavaliere del lavoro, è stato rinchiuso in carcere perché trovato con le mani nel sacco. Ha preteso una mazzetta di 100 mila euro per favorire il rilascio di una concessione per un punto di ritrovo all’interno dell’areoporto di Palermo. Normale fattaccio di corruzione, si dirà. Ne avvengono tanti e ovunque, non solo a Palermo.

Sappiamo di Milano, di Roma e di tante altre realtà pubbliche e private. Il popolo italiano onesto sembra quasi rassegnato, limitandosi a passeggere indignazioni. D’altronde, che cosa potrebbe fare? Coltivare e incentivare la denuncia da parte non solo delle vittime dei soprusi, ma di tutti quelli che sanno che sono venuti a conoscenza di fatti delinquenziali? Promuovere la delazione, come accadeva nella Repubblica di Venezia dove era stata aperta nel palazzo ducale una buca in cui ogni cittadino poteva infilare lettere anonime di denuncia? Così si creerebbe una “politica del sospetto” di tutti contro tutti, e una grande, forse impossibile, fatica a discernere il vero dal falso. Ma nella vicenda di Roberto Helg la cosa che più sconvolge è che fino al giorno prima era considerato un paladino dell’onestà, un teorico della lotta contro la mafia e ogni altra forma di malaffare; era l’uomo che invitava le vittime a denunciare i loro aguzzini. I giornali hanno riportato abbondanti stralci di discorsi da lui pronunciati con enfasi e visibile partecipazione emotiva, dando l’idea di essere l’uomo più convinto e deciso nella strategia della moralizzazione della Sicilia e dell’intero Paese.

Ricordate quanto scritto nell’ultimo numero de La Voce? “Giù la maschera”. Ci siamo. Ma non basta. Dobbiamo purtroppo dire che, oltre ad avere una maschera, queste persone sono al buio dentro se stesse, persone “perse”, con una coscienza chiusa nella gabbia della menzogna, detta – prima che a chiunque altro – a se stessi. Il danno che provoca una vicenda come questa è la diffusione della sfiducia. Non c’è da credere più a nessuno e a niente, le parole sono gusci vuoti di sincerità e di verità. Un danno morale e psicologico che frena la crescita umana, soprattutto nei giovani, e quindi anche un danno sociale.

A questa storia voglio accostarne però un’altra, brevissima, che pochi conoscono ed è un paradigma della bontà e onestà sommersa che spesso solo il buon Dio conosce. Un giovane funzionario del Congo, in un posto di responabilità, avrebbe dovuto dare il via libera a una grande partita di riso avariato da immettere nel commercio. Si è rifiutato anche dopo promesse e minacce. Si chiama Floribert Bwana-Chui, aveva 21 anni; è stato ucciso a Goma, in Congo, dopo essere stato atrocemente torturato. Non ha ceduto alle lusinghe e alle promesse. È considerato un santo. Apparteneva, da laico, alla Comunità di Sant’Egidio. Chi volesse saperne di più può trovare notizie cercando in Rete “Partita di riso avariata”. Il fatto è avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 giugno 2007. Di fronte a questo giovane africano, martire della fede e dell’onestà, o meglio, della fede operosa che genera virtù e santità, c’è da vergognarsi per le grandi e piccole forme di falsità e compromesso della vita. E nello stesso tempo si è indotti a non darsi per vinti, ma continuare ad avere speranza.

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Lotta agli sprechi in Umbria: parla la Corte dei conti https://www.lavoce.it/lotta-agli-sprechi-in-umbria-parla-la-corte-dei-conti/ Fri, 06 Mar 2015 12:10:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30728 Il tavolo alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario della Corte dei conti dell’Umbria
Il tavolo alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario della Corte dei conti dell’Umbria

“Sono tempi nei quali il contrasto agli sprechi, alla cattiva amministrazione, all’illecito dannoso (fenomeni che hanno assunto dimensioni preoccupanti), deve essere una priorità, nella convinzione che sia oggi in gioco la tenuta delle nostre stesse istituzioni, e con essa anche il futuro delle giovani generazioni”.

È un passaggio della relazione svolta venerdì scorso alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario dal magistrato Angelo Canale, presidente della Corte dei conti dell’Umbria, l’organo cui spetta di vigilare sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche. Un compito difficile che la Corte è “costretta” a svolgere – ha detto – con “difficoltà crescenti, talvolta avvertendo l’indifferenza, se non il senso di fastidio, di chi, per ruolo istituzionale, le dovrebbe invece essere solidale”. “Indifferenza” e “fastidio” di coloro che nella amministrazione pubblica dovrebbero collaborare affinché i soldi dei cittadini non vengano sprecati o, peggio ancora, rubati. Ad ascoltarlo c’erano le massime autorità locali, tra le quali la presidente della Regione Catiuscia Marini e il sindaco di Perugia Andrea Romizi. Difficoltà – ha proseguito il presidente della Corte dei conti – dovute anche “alla farraginosità e all’eccessivo numero delle leggi, da cui l’incertezza del Diritto, la scarsa trasparenza negli appalti, nelle assunzioni e nelle carriere, l’attenuazione del sistema dei controlli, l’uso distorto della discrezionalità, una burocrazia talvolta oppressiva e autoreferenziale, la violazione delle regole dei procedimenti amministrativi, la proliferazione irragionevole dei centri di spesa, sovente sottratti ad ogni pubblico controllo”. Tutti elementi che sono il terreno fertile che alimenta la “cattiva amministrazione, la corruzione e la marginalizzazione del principio della legalità”.

Quando poi il legislatore è intervenuto, talvolta lo ha fatto – ha detto il presidente – con norme che hanno “depotenziato” la Corte dei conti e con “misure apparse indirizzate a mitigarne il rigore e a introdurre limitazioni all’esercizio dell’azione risarcitoria”. Rendendo quindi più difficile la restituzione alle casse dello Stato di soldi pubblici utilizzati in modo non corretto.

“I magistrati – ha sottolineato Canale – doverosamente applicano queste norme, ma il cittadino avrebbe certamente difficoltà a comprendere la ragione di scelte normative che non sono andate nella direzione di una più rigorosa tutela del pubblico erario”.

Queste “difficoltà crescenti che la Corte dei conti incontra nella sua attività” – ha detto ancora – sono aggravate dalla carenza di magistrati e personale amministrativo. In Umbria, rispetto alla pianta organica, mancano il 30 per cento dei magistrati, tanto che per garantire il numero legale dei Collegi giudicanti ci sono giudici che si devono spostare anche da una regione all’altra.

Per il personale amministrativo, l’età media si è “drammaticamente alzata”. In Umbria è di 54 anni e c’è soltanto un impiegato con meno di 40 anni! “C’è invece bisogno di giovani, senza i quali anche gli investimenti tecnologici rischiano di essere uno spreco”, perché, se poi gli impiegati per ragioni anagrafiche sono poco “informatizzati”, le potenzialità dei computer non vengono sfruttate. Una “boccata di ossigeno” – ha auspicato – potrebbe venire con il trasferimento di personale delle Province riformate, ma tempi e modalità sono ancora da definire.

Quella di Angelo Canale è una relazione che contiene però anche elementi positivi. “Vero è – ha detto – che talvolta la marea montante degli scandali sembra possa travolgere tutto, a cominciare dalla fiducia nelle istituzioni. Ma questo Paese, che ha scritto nel passato pagine di grande sacrificio, operosità, solidarietà, non ci ‘autorizza’ a essere pessimisti. Le forme criminose non sono il paradigma di ciò che accade ovunque. Sbagliato dunque generalizzare; ma sbagliato anche non reagire”.

In una delle sale della Scuola di lingue estere dell’Esercito, ad ascoltare gli interventi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti c’erano anche alcuni studenti del liceo econonico sociale dell’istituto Pieralli di Perugia. Un’iniziativa inserita nel protocollo di intesa per il progetto nazionale “Educare alla legalità” firmato il 30 gennaio scorso. “Sono ragazzi di 17 anni – dice Luisa Quaresima, l’insegnante che li accompagnava – che vivono la realtà e il clima di sfiducia verso le istituzioni dei nostri tempi. Vogliamo aiutarli a conoscere da vicino le nostre istituzioni per cominciare con loro un cammino verso la legalità vissuta nella quotidianità. Perché senza legalità non possono esserci progresso e democrazia”.

angelo-canaleIn Umbria la situazione non è allarmante, ma…

Analizzando i casi trattati dalla Corte dei conti – ha spiegato il suo presidente – per quanto riguarda l’Umbria non si ricavano dati “statisticamente significativi, tuttavia il quadro che traspare ci consegna l’immagine di una regione dove i fenomeni di cattiva amministrazione, pur presenti, non sembrano tali da destare un elevato grado di preoccupazione ed allarme”. Giudizio condiviso da Livia Mercati, intervenuta per conto dell’Ordine degli avvocati di Perugia. “La legalità dei soggetti pubblici e privati – ha detto – in Umbria ha radici solide”. Nella nostra regione – secondo la presidente Catiuscia Marini – c’è “un sistema delle autonomie locali virtuoso. Per noi la Corte dei conti rappresenta un fondamentale ausilio e supporto nell’azione di controllo della correttezza e trasparenza della spesa pubblica”. Correttezza e trasparenza – ha detto il procuratore regionale facente funzione Fernanda Fraioli – hanno bisogno della collaborazione non solo di tutti gli addetti e responsabili della pubblica amministrazione ma anche dei cittadini, i quali troveranno nella Procura della Corte dei conti “un valido alleato nella lotta al malaffare, alla corruzione e al pressapochismo”. Fenomeni che anche nella nostra regione non mancano. Nell’ultimo anno la Procura si è dovuta occupare, ad esempio, del caso di un cancelliere del Tribunale di Perugia che aveva distrutto fascicoli giudiziari e aveva venduto oggetti di valore e quasi due chilogrammi di cocaina, sequestrati come corpi di reato. Ci sono stati anche gestori di ricevitorie del Lotto che non hanno versato allo Stato la percentuale dovuta, per somme che vanno da poche centinaia di euro ai 150.000 che uno di loro alla fine è stato costretto a rimborsare ricorrendo anche a un prestito bancario. Clamorosa poi la vicenda dell’impiegata di un ufficio postale che è riuscita a impossessarsi di quasi 600.000 euro prelevati da libretti postali, depositi o addirittura consegnando ai clienti buoni fruttiferi falsi. La relazione sulla attività della Procura cita tanti altri casi di questo malaffare diffuso, che penalizza la vita quotidiana dei cittadini onesti. Sono stati aperti procedimenti per l’illecito utilizzo di contributi pubblici (ad esempio per un campo di calcio mai realizzato), per impiegati comunali che hanno usufruito, senza averne diritto, dei permessi di legge per assistere familiari, per medici e infermieri che con “falsi ricoveri” in ospedale hanno fatto risparmiare il ticket a parenti e amici. E ancora, per assunzioni e affidamenti di incarichi irregolari, per lavori stradali male eseguiti e per tante situazioni che hanno comportato una cattiva utilizzazione dei soldi dei cittadini.

 

 

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Mattarella. Per un’Italia unita e solidale https://www.lavoce.it/mattarella-per-unitalia-unita-e-solidale/ Fri, 06 Feb 2015 13:54:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30216 Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la Presidente della Camera, Laura Boldrini, e la Presidente Vicaria del Senato, Valeria Fedeli in occasione della cerimonia di giuramento
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la Presidente della Camera, Laura Boldrini, e la Presidente Vicaria del Senato, Valeria Fedeli in occasione della cerimonia di giuramento

“È stato un discorso ricco di contenuti, dove l’orizzonte del bene comune è molto forte”. Questo il primo aspetto che emerge dal discorso tenuto martedì al Parlamento dal nuovo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a giudizio di Giuseppe Savagnone, docente di Dottrina sociale della Chiesa presso la Lumsa di Palermo e direttore del locale ufficio diocesano per la Pastorale della cultura.

Professore, dal discorso di Mattarella emerge un messaggio di responsabilità e speranza, e un invito a sentirsi parte di una comunità.

“Uno dei punti cardine del discorso è l’appello a un’unità che non sia solo formale, ma coinvolga il popolo intorno alla prospettiva del bene comune, per riconciliare le istituzioni e il popolo, che per ora sono distanti, intorno a una prospettiva futura. Così ha sottolineato l’importanza della partecipazione”.

La politica come servizio al bene comune: parole che ricordano quelle della Cei.

“C’è sullo sfondo una visione cristiana della società quale si esprime nella dottrina sociale della Chiesa. Basti pensare alla sottolineatura del bene comune e della partecipazione attraverso i corpi sociali. Questa è una tipica sottolineatura della tradizione sociale dei cristiani: l’importanza dei corpi sociali come momento di mediazione tra l’individuo e lo Stato. Oggi noi assistiamo purtroppo a una separazione tra cittadini e Stato: da un lato, c’è l’individualismo dei primi; dall’altro, le istituzioni non riescono a interpretare le esigenze delle persone”.

Grande attenzione anche ai giovani.

“Le parole di Mattarella sottolineano la prospettiva della speranza e del futuro, puntando sui giovani, ma non in modo retorico. Infatti, il Presidente mostra quali sono le condizioni per le quali questo futuro sia realisticamente perseguibile. Non è un discorso di ottimismo, ma di chiamata alla responsabilità. Il futuro si realizza se noi siamo capaci di ridiventare un popolo unito intorno alle istituzioni, in un cammino da percorrere insieme”.

Spiegando cosa significhi garantire la Costituzione, il Presidente ha parlato del sostegno alla famiglia.

“Mattarella ha fatto una serie di richiami molto precisi che vanno nella direzione del superamento del formalismo. Ha detto, infatti, che la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione, cioè nel viverla giorno per giorno. Non ci possiamo trincerare dietro formule: per questo la famiglia resta centrale. L’elenco di attenzioni, molto ampio – tra cui si citano quelle a donne, disabili, malati – mostra l’impegno del Presidente verso la realtà effettiva della nostra società. Non è solo un discorso di garanzia del suo ruolo di arbitro super partes: Mattarella ha chiesto l’aiuto di tutti per applicare veramente la Costituzione. In più punti del discorso appare, dunque, la preoccupazione per lo scollamento tra istituzioni e cittadini. Il Presidente ha sottolineato la necessità che ci sia un’unità, oltre a quella territoriale, costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Ma questa unità rischia di essere fragile sia per il dualismo tra istituzioni e cittadini sia per la crisi che ha aumentato le ingiustizie, le povertà, la mancanza di lavoro. C’è anche il pericolo che la crisi economica intacchi principi e valori. Questo è un richiamo a un aspetto importante: c’è chi si avvale della crisi per sacrificare i diritti della gente e i servizi sociali fondamentali. Dobbiamo scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale alla base della nostra Costituzione”.

Mattarella ha anche citato la necessità di combattere mafia e corruzione.

“La corruzione è il simbolo di una fortissima crisi etica. Il nostro Paese non è soltanto indietro per il basso livello del Pil o per l’enorme debito pubblico, ma ha conosciuto negli ultimi venti anni una crisi etica senza precedenti. Oggi ci troviamo a dover rivendicare il primato dell’etica per salvare l’economia. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha fatto notare che una parte consistente dei mancati investimenti in Italia è dovuta alla corruzione. Mattarella ha molto insistito sui danni della corruzione, e non a caso qui ha citato il Papa, perché la crisi è etica, e la dimensione religiosa – che il Papa rappresenta – è importante per potervi rispondere”.

Nell’ultima parte del suo intervento, il Presidente ha mostrato una Repubblica dal volto umano, che non dimentica nessuno.

“Sì, quello di Mattarella è stato un discorso di volti. Anche qui c’è un richiamo alla migliore tradizione della visione cristiana della società, secondo la quale la società non coincide, anzitutto, con le sue strutture. La società, secondo la visione cristiana, è rappresentata dalle persone che ne fanno parte: sono volti, che il Presidente ha citato uno a uno, dei bambini, giovani, anziani. Storie di volti che Mattarella ha voluto fossero presenti all’inizio del suo mandato”.

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Un motivo per essere contenti https://www.lavoce.it/un-motivo-per-essere-contenti/ Fri, 06 Feb 2015 13:41:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30211 Rimbalzata con grande evidenza nei giorni scorsi, ha scosso le coscienze in tutto il mondo la terribile notizia del pilota giordano catturato dai terroristi dello Stato islamico (Is), Mual Kasasbeah, che il 31 gennaio è stato arso vivo, chiuso in una gabbia di ferro, secondo quanto documentato da un video degli stessi carnefici. A questo giovane non è bastato portarsi dietro il Corano. Questi fanatici, velleitari assertori del Califfato vogliono dimostrare di essere i più feroci, e quindi i migliori, un modello per i “veri” musulmani, ferventi difensori della vera fede. Si pongono al di sopra del bene e del male: capaci di tutto, dispregiatori di ogni regola internazionale, nemici dell’Occidente e dei suoi alleati.

Questa non è una notizia come le altre; si aggiunge al taglio delle teste, alle crocifissioni, a forme di esibizionismo retorico della crudeltà. È la negazione del valore umano della vittima, e segna la perdita di umanità del carnefice: la vera blasfemia, un sacrilegio. Allargando la scena, troviamo impiccagioni, fucilazioni, esecuzioni di massa.

Il nostro è diventato un pianeta insanguinato, e ora anche avvolto da fiamme minacciose. La guerra mondiale “a capitoli sparsi” di cui ha parlato Papa Francesco? Egli ha ricordato con drammatica intensità anche la tragedia che si sta consumando in Ucraina, tra filo-russi (con l’appoggio di Putin) e indipendentisti, che ha prodotto già migliaia di vittime. Il Papa ha detto in tono meravigliato e triste: “Una guerra tra cristiani!”, invitando tutti a cercare accordi per una convivenza pacifica.

In questo scenario, e con queste deprimenti notizie che ci perseguitano a ogni accensione della tv, è avvenuta l’elezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Meno male, una buona notizia; una scena pacifica, serena, costruttiva, un capolavoro di serietà, di efficienza ed efficacia. Gli italiani, in grande maggioranza, si sono sentiti uniti e rispecchiati, possono stare contenti: non c’è guerra. Ma c’è stata. Mattarella ha ricordato le Fosse Ardeatine e il piccolo Stefano: “Voglio ricordare – ha detto – un solo nome, Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino. Un bambino italiano”. Oltre a questi due ricordi non ha mancato di elencare problemi, difficoltà, pericoli, corruzione, chiamando le cose per nome e indicando vie di speranza. Ha parlato ai concittadini come se avesse davanti i loro volti, destando in molti convinzione ed emozione: “Dopo questo discorso mi sento più italiana” mi ha confidato un’amica.

Lontani da questo sentimento si notano solo i seguaci della Lega e alcune frange del mondo cattolico tradizionalista che bollano come “catto-comunisti” anche i migliori tra i cattolici impegnati in politica, accusati di porre la Costituzione al di sopra del Vangelo. I Vescovi italiani e i nostri Vescovi umbri hanno manifestato la loro soddisfazione, motivata con convinta determinazione, come risulta dal messaggio del card. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu (vedi il suo intervento sopra).

Cosa hanno apprezzato i Vescovi e cosa apprezziamo noi? Molto è stato detto: la persona di Mattarella, la sua storia familiare, la sua formazione cattolica, la sua idea politica. Padre Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, in un’intervista al Corriere della Sera (2 febbraio) ha ritenuto di trovare somiglianze di Mattarella con Papa Francesco, nello stile, nell’attenzione ai poveri, nel richiamo al “discernimento” prima di prendere decisioni, e in una fede convinta e praticata, ma non “muscolare”, non ideologica da imporre, ma da testimoniare. Forse si sta esagerando? Aspettiamo e stiamo a vedere. Intanto, siamo contenti.

Elio Bromuri

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Dopo “Mani pulite” la corruzione dilaga ancora peggio https://www.lavoce.it/dopo-mani-pulite-la-corruzione-dilaga-ancora-peggio/ Fri, 23 Jan 2015 13:03:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29926 Un momento del convegno, da sinistra i magistrati Sfrecola, Davigo e Cardella
Un momento del convegno, da sinistra i magistrati Sfrecola, Davigo e Cardella

“Dopo tutto quello che abbiamo sentito, quasi mi vergogno a fare questa domanda: quale è la strada per uscire da questa situazione?”. A fare la domanda, venerdì scorso in un’affollata sala di palazzo Cesaroni, è stato Raniero, studente del liceo scientifico “Alessi” di Perugia. Uno dei circa 130 allievi di sei tra licei e istituti tecnici che hanno partecipato all’incontro “L’evoluzione della corruzione, da Mani pulite a oggi: che cosa è cambiato”, promosso dal Consiglio regionale nell’ambito del progetto “Educazione alla legalità”. Domanda rivolta a tre importanti relatori: Piercamillo Davigo, consigliere della corte di Cassazione che, con Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo, era stato uno dei protagonisti di quelle indagini che hanno segnato la fine della Prima Repubblica; Fausto Cardella, con una lunga carriera in Umbria e ora procuratore della Repubblica all’Aquila; Salvatore Sfrecola, presidente della sezione regionale di controllo della Corte dei conti. I tre magistrati, nei loro interventi coordinati dal giornalista Tiziano Bertini, sono stati concordi ed espliciti: da “Mani pulite” a oggi la situazione è cambiata in peggio e la corruzione è aumentata. Non è stato fatto niente per combatterla, anzi il contrario. È stato creato un sistema giuridico e processuale per garantire l’impunità a politici e ‘colletti bianchi’ che si fanno corrompere. Il 98% delle condanne – ha detto Davigo – riguardano pene inferiori ai due anni, che non comportano il carcere. Per quelle fino ai tre anni si è provveduto allo stesso risultato con l’indulto. In Italia ci sono meno condannati per corruzione che in Finlandia; e in provincia di Reggio Calabria, che “non è certo una isola felice”, in 20 anni si hanno avute solo due condanne per corruzione. È bene sottolineare che queste affermazioni sono state fatte da magistrati. Come quella che i lavori pubblici non vengono programmati in base alla loro utilità ma solo in base alla possibilità di incassare tangenti e mazzette. “Opere pubbliche – ha detto ad esempio Sfrecola – che alla fine vengono a costare dieci volte in più di quanto programmato, con ritardi, revisioni di prezzi e varianti finalizzate ad aumentare con procedure formalmente lecite la possibilità di distribuire soldi pubblici ad amici, clienti e complici”. Per un tratto della metropolitana di Roma ci sono state 47 perizie di variante; in Italia un chilometro di ferrovia per l’alta velocità costa 78 milioni di euro, dieci volte il costo della stessa opera in Francia e Spagna.

“In qualunque Paese del mondo – ha detto Cardella – può accadere di pagare tangenti nei lavori pubblici, ma solo in Italia si fanno opere per produrre tangenti”. Nell’indifferenza e rassegnazione della gente. “Noi cittadini – ha detto ancora Cardella – non percepiamo più il disvalore del funzionario che prende mazzette”. Davigo ha ricordato una sua indagine che aveva portato all’arresto di tutti i 30 impiegati e funzionari di un ufficio Iva. “Ma qui rubavano tutti! – si era difeso un giovane impiegato – Io ero in prova, e se non avessi accettato mazzette, sarei stato licenziato”. Le cose – ha spiegato Davigo – dopo la Tangentopoli degli anni ’90 sono peggiorate perché anche i politici onesti hanno accettato di sedere vicino a quelli ladri, anzi li hanno difesi e applauditi. “In Italia – ha aggiunto – non accade che i mascalzoni vengano allontanati da incarichi pubblici prima che arrivino i carabinieri ad arrestarli, e la politica scarica su noi magistrati la sua incapacità di autoregolamentarsi. Un politico onesto dovrebbe rinunciare a utilizzare la prescrizione, che non significa essere innocente… Oggi – ha continuato – la politica si fa in franchising. Alcuni politici cambiano continuamente schieramento, il nome è diverso ma la ditta è la stessa. Nei 20 anni dopo Mani pulite si sono fatte leggi non per contrastare la corruzione ma per contrastare chi vuole contrastarla”. Ha quindi fatto alcune proposte per combatterla, ad esempio, norme per premiare chi denuncia e collabora con gli inquirenti. Ma, soprattutto – ha detto – occorre una scelta etica da parte dei cittadini “per non affondare tutti insieme all’Italia”. Dopo avere disegnato uno scenario così nero, quali sono state le risposta dei tre magistrati alla domanda di Raniero? La speranza – hanno detto in sintesi – è nelle nuove generazioni, ma tutti si devono ricordare di essere cittadini rispettando le regole e pretendendo che gli altri facciano la stessa cosa. Il commento di Raniero, parlando con i giornalisti: “Abbiamo capito che adesso siamo noi a doverci impegnare per cambiare le cose”. Fausto Cardella e Salvatore Sfrecola sono due magistrati che conoscono bene la realtà umbra. “La corruzione – secondo Cardella – è un problema di tutto il Paese, ma in Umbria, a differenza di zone meno fortunate, resta un fatto episodico, grazie all’attenta vigilanza delle forze di polizia e a quel valore aggiunto che è la collaborazione dei cittadini”. Giudizio condiviso da Sfrecola: “Ci sono disfunzioni inferiori ad altre situazioni, anche se tanti soldi pubblici potrebbero essere spesi meglio, soprattutto dalle società partecipate troppo contigue alla politica”.

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Le vittime nigeriane figlie di un dio minore? https://www.lavoce.it/le-vittime-nigeriane-figlie-di-un-dio-minore/ Fri, 09 Jan 2015 18:41:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29736 bokopMentre la Francia piange le vittime della redazione di “Charlie Hebdo”, i famigerati Boko Haram hanno sterminato nel nordest della Nigeria un numero indicibile di civili. Potrebbero essere duemila i morti nell’offensiva contro la città di Baqa e altri 16 villaggi limitrofi nel travagliato Stato di Borno. L’offensiva degli estremisti islamici nigeriani è stata lanciata il 3 gennaio scorso, con un bilancio accertato di almeno 100 morti. Il dato davvero inquietante, a questo proposito, è la latitanza dell’esercito nigeriano che ha rifiutato lo scontro, come peraltro denunciato già in passato dalla società civile, abbandonando così nelle mani degli insorti una base militare nei pressi di Baqa, con i magazzini strapieni di armi e munizioni.

Mercoledì 7 gennaio è avvenuto un secondo assalto dei ribelli: la cittadina è stata letteralmente rasa al suolo, mentre gli altri villaggi della zona sono stati saccheggiati e dati alle fiamme. I Boko Haram, dunque, proseguono inesorabilmente la loro avanzata, continuando a combattere una guerra asimmetrica in cui si destreggiano con grande abilità, seminando morte e distruzione. E a questo punto anche il vicino Camerun chiede aiuto. Il presidente Paul Biya ha rivolto giovedì un appello alla comunità internazionale per fermare i Boko Haram. “Dal Mali, alla Somalia, fino alla Repubblica Centrafricana, questi terroristi hanno la stessa agenda” ha detto Biya spiegando che “di fronte a una minaccia globale serve una risposta globale”.

Ma chi sono veramente questi famigerati estremisti? “Boko Haram” è una locuzione “hausa” che letteralmente significa “l’educazione occidentale è peccato”. L’obiettivo di questa formazione è quello di destabilizzare l’intera nazione nigeriana, strumentalizzando la religione per fini eversivi. Da rilevare che il nome ufficiale di questa formazione è “Jamà atu Ahlis Sunna Lidda’ awati wal-Jihad”, che in lingua araba vuol dire “Gente dedita alla propagazione degli insegnamenti del Profeta e al Jihad”. La maggioranza di coloro che militano nel movimento è priva d’istruzione e disoccupata, anche se i finanziatori del movimento estremista sono benestanti.

Stando ad indiscrezioni della società civile, a parte un coinvolgimento del salafismo di matrice saudita, lo stesso che ha foraggiato alacremente Al Qaeda in giro per il mondo, vi sono evidenti complicità interne al “sistema Paese”, come vedremo più avanti approfonditamente, sia nelle forze armate nigeriane come anche nel parlamento federale. Ma proprio perché stiamo parlando del più popoloso paese dell’Africa sub-sahariana, segnato dalla difficile coesistenza di oltre 250 etnie, le cui rivalità peraltro non si esauriscono nella contrapposizione tra il nord prevalentemente musulmano e il sud a maggioranza cristiana, è importante riflettere sulla strategia del terrore messa a punto da questa formazione jihadista.

La situazione, infatti, è degenerata notevolmente da quando è stato eletto presidente della Nigeria, nell’aprile del 2010 , Goodluck Jonathan, originario del Sud del paese e portabandiera del People’s Democratic Party (Pdp). Una vittoria, la sua, che non è stata affatto gradita dalle oligarchie settentrionali del paese, di fede islamica, che hanno visto, per così dire, ridimensionato il loro peso politico. Jonathan, infatti, appartiene all’etnia Ijaw, minoritaria a livello nazionale e di tradizione cristiana, ma che rappresenta la maggioranza della popolazione nella regione del Delta del Niger, ricchissima di petrolio e sotto il controllo delle multinazionali straniere. In questo contesto, il fattore religioso si sovrappone ad una competizione per il potere che rischia, di questo passo, di spaccare in due la Nigeria. Non v’è dubbio, infatti, che l’acutizzazione del conflitto, in cui a pagare il prezzo più alto è la stremata popolazione civile – come nel caso del massacro di Baqa – sia legato anche all’imminente competizione elettorale, in programma nei prossimi mesi. Il presidente uscente non solo cerca la riconferma, ma vorrebbe – così almeno ha promesso – bonificare le istituzioni federali, ridando credibilità al suo governo.

In effetti, per quanto i Boko Haram siano estremisti pericolosissimi e abbiano come obiettivo dichiarato quello di fondare un nuovo califfato, imponendo la sharia (la legge islamica) a tutta la federazione nigeriana (attualmente è in vigore solo nei 12 Stati del nord), le ragioni dell’accresciuta attività terroristica vanno rintracciate, almeno in parte, nei rapporti che i Boko Haram hanno stretto, nel corso degli ultimi anni, con politici locali e membri delle forze di sicurezza originari del nord, interessati alla radicalizzazione del conflitto, al fine di rendere la Nigeria ingovernabile.

Una cosa è certa: per fermare gli estremisti islamici occorre una leadership politica in grado di interagire positivamente con i paesi limitrofi e l’Unione africana (Ua) nella lotta contro il terrorismo. Jonathan, almeno finora, ha dimostrato poca credibilità di fronte all’opinione pubblica per lo scarso impegno profuso nella lotta contro la povertà e la corruzione. Tra l’altro, è in cima alla classifica dei 10 capi di Stato più pagati nel 2014, secondo la rivista “People With Money”, con un fatturato stimato di 58 milioni di dollari. In occasione del matrimonio del suo primo figlio, lo scorso aprile, ha commissionato delle bomboniere molto costose per gli invitati: degli iPhone d’oro zecchino, con impressi i nomi degli sposi e la data delle nozze. Tutto questo sperpero di denaro mentre i Boko Haram imperversano impunemente nel suo paese. La comunità internazionale per quanto tempo ancora starà alla finestra a guardare? Le vittime di Baqa sono forse figlie di un dio minore?

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Impegno comune contro ogni schiavitù https://www.lavoce.it/impegno-comune-contro-ogni-schiavitu/ Fri, 19 Dec 2014 14:59:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29544 raccolta_pomodoriNon più schiavi, ma fratelli: si richiama alla lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo – già schiavo dello stesso Filemone, ora diventato cristiano, e quindi meritevole di essere considerato un fratello – il tema del Messaggio di Papa Francesco per la 48a Giornata mondiale della pace che si celebrerà il 1° gennaio 2015. Il testo prende in esame i volti della schiavitù di ieri e di oggi, ne analizza le cause profonde, mettendo in rilievo l’impegno comune, in modo particolare delle congregazioni religiose, per contrastarla e per lavorare verso una “globalizzazione della solidarietà” anziché dell’indifferenza.

I volti della schiavitù. Nonostante il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù sia stato riconosciuto nel Diritto internazionale come norma inderogabile, “ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”.

Il pensiero di Papa Bergoglio va quindi ai “tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori”; ai migranti che, “nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente; ai detenuti in condizioni a volte disumane; a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro”.

Il Papa non dimentica “le persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori, e alle schiave e agli schiavi sessuali; le donne forzate a sposarsi, quelle vendute in vista del matrimonio o quelle ‘trasmesse in successione’ a un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso”.

E poi ai minori e adulti, “oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale, ai rapiti da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali”.

Le cause della schiavitù. Tra le cause che concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù, il Pontefice elenca “la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione, specialmente quando essi si combinano con il mancato accesso all’educazione o con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro. Non di rado, le vittime di traffico e di asservimento sono persone cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo”.

La corruzione è un’altra delle cause della schiavitù: “L’asservimento e il traffico delle persone umane richiedono una complicità che spesso passa attraverso la corruzione degli intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di altri attori statali o di istituzioni diverse, civili e militari”.

Altre cause della schiavitù sono i conflitti armati, le violenze, la criminalità e il terrorismo.

Un impegno comune. Spesso, secondo Francesco, fenomeni come la tratta delle persone e il traffico illegale dei migranti sembra abbiano luogo “nell’indifferenza generale. Se questo è, purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in favore delle vittime. L’azione delle congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo, e la loro reintegrazione nella società di destinazione o di origine”.

Un immenso lavoro, che però da solo “non può bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento della persona umana”. Occorre anche “un triplice impegno a livello istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili” da parte degli Stati, delle organizzazioni intergovernative e delle imprese.

Globalizzare la fraternità. Per sconfiggere la schiavitù, scrive il Papa, “occorre non rendersi complici di questo male; non voltare lo sguardo di fronte alle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e della dignità, ma avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo, che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso chiama ‘questi miei fratelli più piccoli’ come ha mostrato Giuseppina Bakhita, la santa originaria della regione del Darfur in Sudan”.

Da qui l’appello finale a “farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani”.

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Le luci del Natale brillano sopra le ombre https://www.lavoce.it/le-luci-del-natale-brillano-sopra-le-ombre/ Fri, 12 Dec 2014 13:16:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29501 La crisi non arriva a frenare gli addobbi luminosi delle città e dei paesi, perfino delle piccole frazioni e di singoli caseggiati. La gente ne sente il bisogno: illuminare, purificare, abbellire l’ambiente dove si vive e dove ci si incontra, vincere il buio. Le luci danno sicurezza, visibilità, superano l’angoscia dell’“angolo oscuro”. Le luci di Natale hanno anche il significato specifico della Luce divina che viene a disperdere le tenebre del peccato e della corruzione, a combattere il Male in tutte le sue forme. A proposito, in questi giorni è scoppiata la bolla della “Mafia Capitale”, che si è incorniciata nella galleria degli orrori di una corruzione generalizzata e resa forte da un “sistema” consolidato a livello nazionale. Proprio questa mattina (10 dicembre – vedi art. a pag. 4), mentre scrivo queste righe, sento la notizia che i carabinieri hanno emesso un mandato contro 61 persone sospette di comportamenti mafiosi. Le luci di Natale purtroppo rimangono appese a fili leggeri che tremolano a ogni soffio di vento. Luci artificiali, all’esterno delle persone: non hanno un potere automatico, ma solo evocativo e di richiamo a chi è sensibile, capace di cogliere il fascino di un raggio di sole; ma senza poter penetrare in profondità e toccare la coscienza dei corrotti. Questi amanti dell’ombra, o delle tenebre più profonde, si nascondono e nascondono le proprie mani quando rubano; indossano maschere le più varie, di perbenismo, onestà, affidabilità, sicurezza di sé e onorabilità del proprio operato quando mentono e ingannano i propri interlocutori, per depistare gli addetti ai controlli e alla sorveglianza.

Si deve ancora una volta ascoltare quanto ha detto Papa Francesco quando ha acceso – dalla sua abituale residenza di Santa Marta in Vaticano – l’Albero luminoso più grande del mondo a Gubbio: “Se avete qualcosa di scuro nell’anima, chiedete perdono al Signore. È una bella opportunità, questa del Natale, per fare pulita l’anima! Non abbiate paura, il prete è misericordioso, perdona tutti in nome di Dio, perché Dio perdona tutto”. E aggiunge un augurio: “Che la luce sia nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre città. E adesso, con questo augurio, accendiamo la luce”. Ecco: accendiamo la Luce, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Non mi pare che vi possa essere un augurio più rispondente alle attese di tutti gli uomini di buona volontà, e che noi rilanciamo a tutti i nostri amici, lettori e collaboratori. Oltre al famoso albero di monte Ingino a Gubbio, che risulta luminoso per l’amore, l’impegno, la fatica e l’arte delle persone che lo hanno realizzato e che amano una luce posta sul monte per invitare a camminare sulla strada della luce, è giusto fare attenzione anche alla stella di Miranda. È grande, bella, sta lì a evocare il luogo dove è nato il Redentore, colui che ha annunciato la riscossa dei poveri e degli schiavi – non a caso è stata scelta come simbolo dagli operai della Tk di Terni. Molti, soprattutto i sofferenti, degenti all’ospedale di Terni, contemplando di sera quella stella, si sentono confortati come da una presenza amica, viva e palpitante simile a quella che apparve sopra la grotta di Betlemme.

Le luci di Natale ci sono amiche, ed è giusto che non si badi a spese. Ma le luci che brillano formando disegni augurali rimangono fredde se non arrivano ad illuminare e riscaldare il cuore e la coscienza delle persone adulte, sospinte anche dall’entusiasmo dei bambini. A causa della crisi economica, alcuni cedono alla tristezza, mentre altri puntano con maggiore determinazione alla conquista dei beni immateriali, legati al fascino della bellezza del mistero del Dio fatto uomo, alla bontà e purezza della vita di molti che si sono sottratti al perverso fascino del male, e alla verità di una Parola che salva tutti coloro che la accolgono. Fin d’ora, Buon Natale!

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