cittadini Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cittadini/ Settimanale di informazione regionale Fri, 26 Mar 2021 14:51:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg cittadini Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cittadini/ 32 32 Il Difensore civico: chi è? A che cosa serve? https://www.lavoce.it/difensore-civico-cosa-serve/ Thu, 20 Jun 2019 10:02:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54737 difensore civico

Dopo 23 anni, il 19 febbraio scorso il Consiglio regionale dell’Umbria ha nominato il Difensore civico votando Marcello Pecorari, unica candidatura presentata. E dopo quattro mesi, il 14 giugno, Pecorari ha presentato un primo bilancio della sua attività alla stampa spiegando anche chi e perché può richiedere il suo intervento.

“Il Difensore civico regionale opera per una pubblica amministrazione imparziale, trasparente, efficace ed efficiente negli ambiti della sanità, dei servizi sociali, della disabilità, di trasporti regionali, dei fondi europei e in ogni materia di competenza regionale” ha detto Pecorari, sottolineando che il difensore civico è chiamato a tutelare i cittadini da eventuali abusi o ritardi della pubblica amministrazione.

“Caratteristiche del difensore civico sono l’imparzialità, il non essere soggetto ad alcuna forma di controllo, la gratuità dei servizi” ha aggiunto Pecorari, annunciando che verrà a breve attivato un sito internet, mentre già sono in funzione un indirizzo di posta elettronica (difensorecivico@alumbria.it) e un numero telefonico (075 5763215) ai quali può essere contattato.

Quanto al bilancio, in questi primi mesi di attività il suo Ufficio ha ricevuto in media tre istanze al giorno di vario tipo, ma le più frequenti riguardano i rapporti con la sanità: il difensore civico è anche garante dei diritti del malato.

INFO UTILI SUL DIFENSORE CIVICO, LEGGE E AMBITI DI INTERVENTO sull'edizione digitale de La Voce.

M. R. V.

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difensore civico

Dopo 23 anni, il 19 febbraio scorso il Consiglio regionale dell’Umbria ha nominato il Difensore civico votando Marcello Pecorari, unica candidatura presentata. E dopo quattro mesi, il 14 giugno, Pecorari ha presentato un primo bilancio della sua attività alla stampa spiegando anche chi e perché può richiedere il suo intervento.

“Il Difensore civico regionale opera per una pubblica amministrazione imparziale, trasparente, efficace ed efficiente negli ambiti della sanità, dei servizi sociali, della disabilità, di trasporti regionali, dei fondi europei e in ogni materia di competenza regionale” ha detto Pecorari, sottolineando che il difensore civico è chiamato a tutelare i cittadini da eventuali abusi o ritardi della pubblica amministrazione.

“Caratteristiche del difensore civico sono l’imparzialità, il non essere soggetto ad alcuna forma di controllo, la gratuità dei servizi” ha aggiunto Pecorari, annunciando che verrà a breve attivato un sito internet, mentre già sono in funzione un indirizzo di posta elettronica (difensorecivico@alumbria.it) e un numero telefonico (075 5763215) ai quali può essere contattato.

Quanto al bilancio, in questi primi mesi di attività il suo Ufficio ha ricevuto in media tre istanze al giorno di vario tipo, ma le più frequenti riguardano i rapporti con la sanità: il difensore civico è anche garante dei diritti del malato.

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M. R. V.

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Furti: è legittima difesa solo se… https://www.lavoce.it/furti-legittima-difesa-solo/ Thu, 19 Oct 2017 08:15:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50260

Ancora una volta, un cittadino ha usato la pistola per allontanare da casa sua un ladro sorpreso all’opera, e senza volerlo (così dichiara) lo ha ucciso. Ancora una volta, qualche forza politica ha colto l’occasione per sostenere la necessità di una modifica legislativa volta ad allargare il campo della “legittima difesa”, anche più di quanto è stato già fatto con una legge del 2006. La legittima difesa è prevista, da sempre, come eccezione al divieto generale di farsi giustizia da soli; divieto che è la pietra angolare del concetto stesso di Stato fin dall’antichità. E, da sempre, i requisiti dell’autodifesa, per essere considerati legittimi, sono due: la necessità e la proporzionalità. Se qualcuno, disarmato, minaccia di darti uno schiaffo, non puoi rispondere sparandogli. La legge modificata nel 2006 dice che per considerare proporzionata la reazione basta che sia in atto una violazione di domicilio e che vi sia una minaccia di violenza, o quantomeno un pericolo di aggressione. Nel caso di questi giorni, accaduto a Latina, vi era stata la violazione di domicilio, ma non vi era stata violenza e non vi era neppure pericolo di aggressione, se è vero che i ladri erano disarmati e stavano scappando dopo i primi spari andati a vuoto; tanto che l’uomo ucciso è stato colpito alle spalle. L’uccisore tuttavia potrebbe ancora giustificarsi, ed evitare ogni pena, dimostrando di essersi ingannato in buona fede sulla gravità del pericolo che stava correndo; altrimenti potrebbe essere condannato per “eccesso colposo in legittima difesa” e ricevere la pena prevista per l’omicidio colposo, cioè non intenzionale. Ma una forza politica, come abbiamo già detto, vorrebbe andare ancora oltre e stabilire per legge – in buona sostanza – che il padrone di casa è libero di uccidere chiunque entri in casa sua abusivamente, anche se è disarmato e non minaccia nessuno. Si può accettare una proposta del genere? Secondo me, no; sarebbe come dire che un reato secondario come la semplice violazione di domicilio è punibile con la pena di morte, e per di più senza processo e senza appello, a piena discrezione della persona offesa. Un enorme passo indietro dopo venticinque secoli di civiltà del Diritto.]]>

Ancora una volta, un cittadino ha usato la pistola per allontanare da casa sua un ladro sorpreso all’opera, e senza volerlo (così dichiara) lo ha ucciso. Ancora una volta, qualche forza politica ha colto l’occasione per sostenere la necessità di una modifica legislativa volta ad allargare il campo della “legittima difesa”, anche più di quanto è stato già fatto con una legge del 2006. La legittima difesa è prevista, da sempre, come eccezione al divieto generale di farsi giustizia da soli; divieto che è la pietra angolare del concetto stesso di Stato fin dall’antichità. E, da sempre, i requisiti dell’autodifesa, per essere considerati legittimi, sono due: la necessità e la proporzionalità. Se qualcuno, disarmato, minaccia di darti uno schiaffo, non puoi rispondere sparandogli. La legge modificata nel 2006 dice che per considerare proporzionata la reazione basta che sia in atto una violazione di domicilio e che vi sia una minaccia di violenza, o quantomeno un pericolo di aggressione. Nel caso di questi giorni, accaduto a Latina, vi era stata la violazione di domicilio, ma non vi era stata violenza e non vi era neppure pericolo di aggressione, se è vero che i ladri erano disarmati e stavano scappando dopo i primi spari andati a vuoto; tanto che l’uomo ucciso è stato colpito alle spalle. L’uccisore tuttavia potrebbe ancora giustificarsi, ed evitare ogni pena, dimostrando di essersi ingannato in buona fede sulla gravità del pericolo che stava correndo; altrimenti potrebbe essere condannato per “eccesso colposo in legittima difesa” e ricevere la pena prevista per l’omicidio colposo, cioè non intenzionale. Ma una forza politica, come abbiamo già detto, vorrebbe andare ancora oltre e stabilire per legge – in buona sostanza – che il padrone di casa è libero di uccidere chiunque entri in casa sua abusivamente, anche se è disarmato e non minaccia nessuno. Si può accettare una proposta del genere? Secondo me, no; sarebbe come dire che un reato secondario come la semplice violazione di domicilio è punibile con la pena di morte, e per di più senza processo e senza appello, a piena discrezione della persona offesa. Un enorme passo indietro dopo venticinque secoli di civiltà del Diritto.]]>
Si può vivere senza scienza? Ne discutono scienziati, teologi e filosofi https://www.lavoce.it/si-puo-vivere-senza-scienza-ne-discutono-scienziati-teologi-e-filosofi/ Mon, 27 Feb 2017 15:21:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48674 Logo SEFIR IMMAGINEL’opinione pubblica italiana non ha sempre un atteggiamento amichevole verso la scienza. Da una parte la scienza (spesso confusa con la tecnologia o con la medicina) dovrebbe risolvere ogni problema (con la cura giusta, tramite una macchina innovativa, un algoritmo, una formula, ecc.). Dall’altra si ipotizzano commistioni oscure fra scienza e potere, al punto da immaginare che certe bufale che girano on line siano oro colato e che gli scienziati le contraddicano a vantaggio di imprecisati ‘poteri forti’.

La scienza è al contrario una pianta gracile, difficile da far crescere, alla quale è facile causare un danno grave. Per questo SEFIR – Scienza e Fede sull’Interpretazione del Reale ha ritenuto opportuno proporre ad alcuni relatori di approfondire la domanda cruciale “Si può vivere senza scienza?”, con un convegno che si terrà a Roma il 2, 3 e 4 marzo presso l’Auditorium Antonianum (Viale Manzoni, 1).

Giovedì 2 marzo, nel pomeriggio, il giornalista Luciano Onder con la sua relazione sulle rappresentazioni della scienza nella televisione italiana aiuterà a capire quali siano (e quali siano stati) gli effettivi sentimenti dei cittadini. Il filosofo Sergio Galvan con “La scienza tra ragione forte e pensiero debole”, affronterà l’argomento di come possa prosperare una scienza che desidera fornire contributi di “verità” in un momento storico di pensiero debole. La mattina di venerdì 3 marzo è dedicata a due specifiche ‘minacce’ per la scienza contemporanea. La prima mette a confronto Giovanni Pistone, affermato matematico ed esperto di statistica, con Francesca Dell’Orto, giovane filosofa e proviene dal diffondersi dell’idea che gli algoritmi – con cui si trattano le grandi masse di dati – possano agire ricavando in automatico informazioni utili e sensibili, a prescindere dall’esistenza di un modello scientifico. La seconda ‘minaccia’ – di cui parlerà Giovanni Iacovitti, docente di Ingegneria – proviene dal diffondersi dell’idea che lo sviluppo tecnologico possa sostenersi da solo, senza ricorso alla Scienza. Nel pomeriggio di venerdì 3 marzo, Silvano Tagliagambe, Professore Emerito di filosofia della scienza affronterà le dimensioni umanistiche della scienza. Seguirà un dibattito aperto a tutti per mettere a fuoco il rapporto tra scienza e promozione umana. Sabato 4, al mattino, Andrea Toniolo, della Facoltà Teologica del Triveneto di Padova, sposterà l’attenzione su un concetto di scienza più ampio, che includa anche il sapere della fede cristiana, che non può fare a meno della scienza teologica. Grazie all’aiuto di Irene Kajon si indagherà anche il punto di vista su sapere e scienza di quell’ebraismo nel quale affonda le sue radici il cristianesimo.

Il Sefir dal 2014 tiene a Perugia la settimana di studio interdisciplinare su tematiche di alta specializzazione (vedi articolo).

 

Per informazioni

SEFIR – Scienza e Fede sull’Interpretazione del Reale – Area di ricerca interdisciplinarePiazza S. Giovanni in Laterano, 4 – 00184 Roma Tel. 06.69895537 / 06.698.86298
SEFIRArea@gmail.com
www.ecclesiamater.org (voce Aree di Ricerca)

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Il Brexit è realtà. Restano quattro domande: sul referendum e sull’Europa https://www.lavoce.it/il-brexit-e-realta-restano-quattro-domande-sul-referendum-e-sulleuropa/ Fri, 24 Jun 2016 11:20:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46528 Cameron referendum BrexitQuesto articolo – occorre confessarlo – era stato scritto mercoledì 22 giugno. Certo, mancavano i risultati del voto inglese che, con il referendum di ieri (23 giugno), sancisce il “leave”, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, cui aveva aderito nel 1973. Per il resto le considerazioni che si potevano avanzare due giorni fa, una settimana or sono o nel mese di marzo erano e restano le stesse. Anzitutto i dati: per il referendum sulla permanenza o l’uscita del Regno Unito dall’Ue hanno votato il 72% degli aventi diritto. 17 milioni e 410mila sudditi britannici hanno scelto il “no” all’Europa (51,9%), 16 milioni 140mila si sono espressi per il “sì” (48,1%). Londra città, Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per il “remain”, il resto del Paese per il “Brexit” (Britain exit). Concretamente ora si apre una lunga fase di negoziati per ridefinire i rapporti tra Regno Unito e il resto dell’Unione europea.

Ci sono due anni di tempo per riscrivere le regole di una convivenza che si vuole comunque amichevole ed economicamente sostenibile con vantaggio reciproco. Nel frattempo l’isola è in subbuglio e l’Europa comunitaria si lecca una ferita profonda: alla crisi economica, alla crisi migratoria, si aggiunge questa nuova crisi politica: non è la prima che l’Ue affronta; ma certamente questa appare tra le più ardue, capitando in un momento di disaffezione al progetto di pace e d’integrazione europea, avviato 70 anni fa sulle ceneri della seconda guerra mondiale.

Risuonano invece in queste ore le parole del vero vincitore (se così si può definire) di questa battaglia: Nigel Farage, visionario indipendentista, leader dell’Ukip, antieuropeo dichiarato, europarlamentare tignoso e indomabile, finalmente riuscito nel suo doppio intento: isolare il Regno di Elisabetta in un mondo ormai interdipendente e rifilare un fendente a una Ue già di per sé provata. “C’è un sogno che irrompe nell’alba di oggi su un Regno Unito indipendente. Questa sarà – ha dichiarato Farage alla luce dei risultati del referendum – una vittoria per la gente vera, una vittoria per la gente comune, una vittoria per la gente perbene. Spero che questa vittoria faccia crollare” il progetto europeo “fallimentare”, e “ci porti a un’Europa di Stati sovrani, che commercino assieme, che siano amici e collaborino insieme, e che ci si sbarazzi della bandiera e dell’inno di Bruxelles”. Infine: “Facciamo sì che il 23 giugno entri nella storia come il nostro giorno dell’indipendenza”.

Sul versante opposto c’è il primo degli sconfitti: il premier David Cameron.  Il quale lo scorso anno, pur di vincere le elezioni politiche, aveva promesso il referendum, del quale diventa vittima. Con questa sfida elettorale Cameron ha diviso il suo partito (i Conservatori); ha spezzato esattamente a metà l’elettorato e dunque il suo Paese; ha dato coraggio e forza vincente a populismo, nazionalismo ed euroscetticismo; ha isolato l’United Kingdom dal resto del Vecchio Continente e dal mercato unico europeo con il quale le imprese dell’isola svolgono la gran parte degli affari. E ora rischia di vedere la stessa nazione britannica spezzata in due se, tenendo fede alle promesse, la Scozia, convintamente europeista, dovesse indire un ulteriore referendum per staccarsi da Londra pur di rimanere nell’Ue.

Alla luce di tali esiti, a Cameron non resterebbe, per coerenza, che farsi da parte (come ha già dichiarato), lasciando che siano altri ad avviare i negoziati di buon vicinato, partendo, questa volta, da un Regno Unito “extracomunitario”, così come extraUe diventano i suoi cittadini, le sue imprese, la sua City… Si salva solo la lingua, perché l’inglese è, nei fatti, una lingua globale, della quale nessuno può, nel terzo millennio, fare a meno.

Rimangono sul tavolo vari quesiti, gli stessi – appunto – di due giorni fa, di una settimana fa, dei mesi scorsi.

Il primo: sulla base di quali elementi certi e convinzioni consolidate i cittadini hanno scelto per il sì o per il no? Non è un dubbio sulla democrazia, ma un interrogativo sullo strumento referendum che, nella semplificazione di un sì o un no, porta a decidere su materie in genere complesse, che andrebbero forse trattate con maggior cautela e ampia visione strategica ed etico-politica, nelle sedi delegate dalle democrazie parlamentari. E il Parlamento inglese ha secoli di storia…

Secondo quesito: la scossa proveniente dal Regno Unito indurrà l’Ue a ripensarsi? Il sogno europeo dei “padri fondatori” resta indiscutibile e buono nelle fondamenta, ma richiede, alla luce dei tempi che cambiano, delle trasformazioni epocali in corso, delle nuove sfide interne ed esterne, di essere aggiornato, rafforzato e reso presentabile e nuovamente ambito – persino “amato” – dai cittadini europei.

Terzo punto: l’“esempio” inglese sarà seguito da altri Paesi membri, sull’onda dei nazionalismi diffusi che sperimentiamo da anni e che trovano il loro “volto scuro” nei muri risorgenti in varie parti del continente?

Così arriva almeno una quarta domanda: in relazione a questa Europa che sembra imboccare strade divergenti, prenderà forma un’Europa a più velocità o a geografie variabili? Perché è esattamente ciò che è stato imposto da Cameron all’Ue e sancito lo scorso febbraio tra Londra e i 27, quando, pur di scongiurare il Brexit, era stato detto sì alle condizioni imposte dal premier britannico: il Regno Unito non avrebbe fatto parte di ulteriori integrazioni verso l’unità politica; dell’Ue nel suo complesso (mercato, leggi, accordi…) Londra avrebbe pescato solo ciò che sarebbe andato a proprio vantaggio, di fatto negando il principio di solidarietà sul quale si basa la stessa Ue; il Regno avrebbe trattato diversamente i lavoratori, e dunque i cittadini, Ue da quelli con passaporto inglese, a partire da un diverso sistema di welfare. Chi crede davvero all’Europa unita può soggiacere a queste condizioni oppure è meglio che l’Ue assuma una nuova dimensione plurima a cerchi concentrici, con maggiori o minori gradi di profondità d’integrazione politica?

Agli interrogativi si comincerà probabilmente a rispondere da domani. Per oggi c’è una certezza: chi insegue i populismi alla fine ne resta vittima.

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La giustizia arranca dietro il crimine https://www.lavoce.it/la-giustizia-arranca-dietro-il-crimine/ Fri, 05 Feb 2016 09:56:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45327 L'inaugurazione dell'Anno giudiziario a Perugia
L’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Perugia

Come sta la giustizia in Umbria? Non proprio bene, ma è un malessere che dura da anni e che sta diventando una malattia cronica. C’è un aumento della criminalità organizzata, così come cresce la domanda di giustizia dei cittadini nelle cause civili. Però mancano cancellieri e personale amministrativo, per cui i processi vanno a rilento. C’è poi una legislazione che aiuta chi ha interesse ad allungare i tempi delle sentenze, facendo così scattare la prescrizione. Lo ha denunciato, senza giri di parole, il sostituto procuratore generale Giancarlo Costagliola sabato scorso a Perugia in occasione della solenne cerimonia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, parlando dello “scandalo di una giustizia penale che finisce col garantire l’impunità di chi si può permettere costosi collegi di difesa”. Con “un numero spropositato di sanzioni penali (sembra che siano oltre 40 mila) capaci di generare ogni anno – ha spiegato – un numero di procedimenti penali che il nostro sistema giudiziario non può definire in tempi accettabili”. Ad ascoltarlo c’erano parlamentari, sindaci, la Presidente della Regione e tutte le massime autorità civili e militari. “Il diffondersi della corruzione e della delinquenza organizzata – ha detto – insieme al discredito della politica trovano fondamento nella crisi della giustizia penale, favorita e alimentata dal regime della prescrizione”, che “secondo l’opinione comune di giudici e giuristi è la vera zavorra del nostro sistema penale”. Uno strumento “che invoglia tutti gli utenti, in particolar modo gli imputati colpevoli, a tentare di far trascorrere il tempo necessario”: cosicché in un solo anno sono stati cancellati in Italia 160 mila processi, vanificando il faticoso lavoro delle forze di polizia, dei magistrati e del personale degli uffici giudiziari. “Assistiamo passivi e rassegnati – ha aggiunto Costagliola – a un incredibile spreco di risorse materiali e umane che genera la frustrazione delle vittime e della magistratura giudicante”. Parole che vengono ripetute da anni nelle aule di giustizia di tutta Italia in occasione di queste solenni cerimonie, ma che di fatto sono rimaste inascoltate.

 

Alla crisi della giustizia in Umbria contribuisce in modo rilevante la carenza del personale amministrativo, come ricordato dal presidente reggente della corte d’Appello Giancarlo Massei. A Perugia mancano il 36% degli operatori, e la situazione non è migliore negli uffici giudiziari di Spoleto e Terni, tanto che in Umbria – ha ricordato il sostituto procuratore Mario Formisano dell’Associazione nazionale magistrati – lo scoperto dell’organico del personale amministrativo “oltrepassa il 40%. Diviene molto arduo in queste condizioni – ha detto – assicurare un servizio rapido e efficiente” con dipendenti la cui età media per il blocco del turn-over supera i 50 anni e che sono “esausti” per il troppo lavoro. Così saltano udienze, si riducono gli orari di servizio delle Cancellerie, con gli avvocati costretti ad attese di ore, e anche i processi vanno a rilento. Nel tribunale penale di Perugia, per una sentenza nel 65 per cento dei procedimenti si deve aspettare più di due anni, mentre nella sezione civile per definire un procedimento ordinario ci vogliono mediamente 4 anni. La giustizia è sempre più lenta, quando invece ci sarebbe bisogno della certezza della pena in tempi brevi per contrastare una criminalità organizzata che diventa ogni giorno più pericolosa. Aumentano i fatti di sangue dei quali si deve occupare la Corte d’assise. Un “aumento allarmante” per il presidente Massei, che è anche il “segno molto triste” del fatto che “qualcosa e in peggio nel giro di pochi anni è cambiato nella nostra regione”. Dalla relazione del sostituto procuratore generale Giancarlo Costagliola emerge “l’esistenza di insediamenti di gruppi criminali di stampo mafioso e di gruppi criminali extracomunitari” che in certe situazioni collaborano tra loro avvalendosi di gruppi criminali locali, anche questi in crescita. Manca il lavoro, e sono sempre di più le persone residenti in Umbria che si mettono a disposizione di queste organizzazioni criminali e fanno affari con la droga, con il favoreggiamento dell’immigrazone clandestina e la tratta di essere umani legata allo sfruttamento della prostituzione. Ci sono poi gli affari delle mafie che vengono a riciclare in Umbria i soldi “sporchi” dei loro traffici, inquinando la nostra economia. In particolare la relazione del sostituto procuratore generale riferisce della presenza nella nostra regione di “soggetti collegati a cosche della ’ndrangheta” che hanno scelto di vivere in Umbria “per allontanarsi dalle faide attive in Calabria o per riciclare capitali illeciti”. Un’infiltrazione che era cominciata con la ricostruzione dopo il terremoto del 1997. Soldi, tanti soldi pubblici per appalti e cantieri, che facevano gola anche alla ’ndrangheta. Ma questo è un altro capitolo che, forse, non è stato ancora scritto per intero sulla storia di quel terremoto che aveva sbriciolato gli affreschi della basilica di San Francesco ad Assisi e il “Torrino” simbolo di Foligno.

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Troppe incertezze sul futuro degli impiegati delle Province https://www.lavoce.it/troppe-incertezze-sul-futuro-degli-impiegati-delle-province/ Fri, 23 Oct 2015 13:53:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43993 Terni-provincia-assemblea-rsu-14-sciopero-dipendenti-cmykRimane alta l’attenzione sulla vicenda del trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per il riordino delle Province di Perugia e Terni. Destinatari dello sciopero-protesta del 16 ottobre (vedi lettera a pagina .. ) sono il Governo nazionale che – secondo le rappresentanze sindacali – sta mettendo in pericolo servizi essenziali come strade e scuole, e la Regione, alla quale è stato chiesto di rispettare l’impegno assunto dall’assessore Bartolini di “esuberi zero”.

“Siamo molto preoccupati per la salvaguardia dei posti di lavoro, delle professionalità e dei servizi da erogare – hanno detto i lavoratori –. Sono ancora troppe le incertezze che stanno accompagnando questo processo di riforma. A Governo e Regione chiediamo di farsi carico dei problemi, anche finanziari, che questa riforma confusa sta provocando, e di trovare una soluzione che garantisca un futuro per i lavoratori e per le funzioni importanti che la Provincia svolge a favore dei cittadini”. Una vicenda che coinvolge circa 1.350 dipendenti tra Perugia e Terni, dei quali 235 transiteranno in Regione o in enti a essa collegati. Altri 650 resteranno negli uffici delle due Province. A questi si aggiungono i 200 dipendenti dei Centri per l’impiego, di cui 150 a tempo indeterminato e 50 a tempo determinato, che continueranno a svolgere le loro funzioni finché ci sarà la copertura economica dell’Ue e della Regione.

Altri 253 lavoratori sarebbero in esubero senza certezze sul futuro. I sindacati chiedono chiarezza sulla polizia provinciale e le strade regionali ex Anas, temi per i quali esprimono “preoccupazione di fronte a una insufficiente presa in carico delle problematiche a partire dalla Regione, che non intende corrispondere le risorse necessarie per lo svolgimento dei servizi, e arrivando fino al sistema complessivo degli enti locali umbri, che solo ieri hanno informato il Tavolo di  governance  dell’avvio della ricognizione delle disponibilità assunzionali nei Comuni”.

Sui Centri per l’impiego il percorso deve essere ancora definito nella modalità e nella tempistica. Il rischio immediato è quello dell’interruzione dei servizi e dell’inserimento del personale in esubero nel Portale nazionale della mobilità. Intanto a Terni, il 21 ottobre, è stato firmato da Cgil, Cisl e Uil, Regione e Province un protocollo d’intesa che riguarda i 235 dipendenti (158 di Perugia e 77 di Terni), che da dicembre transiteranno in Regione. Si tratta del personale che ricopre le funzioni delegate dalla stessa Regione alle due Province dal 1999. Il protocollo non risolve i problemi della gran parte dei provinciali. La presidente Marini, sempre il 21 ottobre, ha auspicato un nuovo intervento del Governo a favore di questi dipendenti, prospettando per una parte di loro la collocazione in altri settori del pubblico impiego, come i Comuni o gli Uffici giudiziari.

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Di chi è la colpa della crisi https://www.lavoce.it/di-chi-e-la-colpa-della-crisi/ Thu, 02 Jul 2015 09:43:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37137 Continuano le tribolazioni della Grecia, ma anche di tutti gli altri Paesi europei che subiscono gli effetti della crisi. Ma dove sta l’origine di tutti questi mali? La Grecia è vittima di un meccanismo perverso, di un complotto di aguzzini e di strozzini, o è vittima di se stessa? La domanda si potrebbe porre, in uno sfortunato domani, anche per l’Italia (speriamo che non accada).

La risposta può stare in una frase che viene spesso ripetuta, ma di cui a molti sfugge il reale significato: queste cose avvengono quando un Paese pretende troppo a lungo di vivere al di sopra delle proprie risorse. I semplici cittadini obiettano: “Io non ho colpa di nulla, ho speso solo i soldi che avevo e neppure tutti, tant’è vero che non ho debiti e anzi un po’ di risparmi”. Ma qui bisogna saper distinguere fra l’economia delle singole famiglie e quella collettiva.

È vero che i singoli hanno speso solo i soldi che avevano ma, nel suo insieme, la comunità nazionale consumava più di quello che produceva. La chiave del mistero sta nella spesa pubblica usata dallo Stato non (solo) come mezzo per finanziare i servizi pubblici, ma (anche) come strumento per sostenere il potere di acquisto delle famiglie, e così incentivare i consumi e diffondere il benessere.

Un obiettivo che sarebbe sacrosanto, se per raggiungerlo lo Stato non dovesse indebitarsi sistematicamente anno dopo anno, decennio dopo decennio. Come fa lo Stato a sostenere i consumi privati? In mille modi: con le pensioni facili (pensiamo a quelle di invalidità), con le opere pubbliche inutili, con gli sprechi nel pubblico impiego e nei servizi.

Come fa lo Stato a indebitarsi? Emettendo buoni del tesoro, rinnovandoli all’infinito, e pagandoci sopra gli interessi. Ma alla fine i nodi vengono al pettine. Questo meccanismo si è ingigantito da quando – dalla metà del Novecento in poi – nella nostra parte del mondo si è costruito lo “Stato sociale” che ha fatto del benessere a spese della collettività un diritto garantito a ogni individuo.

Perfetto; ma perché il tutto stia in piedi, e ci resti per sempre, ci vuole una base economica fortissima e in continuo sviluppo. Le leggi dell’economia non sono un’invenzione dei cattivi.

 

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I cittadini si “riprendono” la città https://www.lavoce.it/i-cittadini-si-riprendono-la-citta/ Fri, 03 Apr 2015 09:53:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31284 Corso Cavour nei pressi di Sant’Ercolano a Perugia
Corso Cavour nei pressi di Sant’Ercolano a Perugia

I cittadini si rimboccano le maniche. La fiducia nei partiti e nella politica è ai minimi storici e l’astensione in tutte le ultime consultazioni elettorali ha raggiunto livelli record. Tanta gente però ha voglia di impegnarsi, di tornare a parlare con il vicino di casa e di quartiere che non conosce, di fare qualcosa insieme agli altri per risolvere problemi quotidiani piccoli e grandi. A Perugia – ma succede anche in altre città dell’Umbria – negli ultimi anni è tutto un fiorire di comitati spontanei ed associazioni che, sfruttando anche le nuove tecnologie informatiche ed i social network, scendono in campo con iniziative concrete per il bene comune. Non solo con cene, feste e gite sociali ma dandosi da fare per la manutenzione di strade e giardini e per la rivitalizzazione di quartieri che si spopolano. Coinvolgono persone che vengono da altri paesi, fanno proposte ed interloquiscono con i Palazzi del potere e gli amministratori pubblici, ma sempre senza una bandiera partitica. C’è insomma tanta gente perbene, di tutti i ceti sociali, che non si adegua al clima di rassegnazione e di apatia ma fanno proposte ed iniziative concrete per il bene della comunità della quale fanno parte. A Perugia ormai ogni quartiere cittadino ha una sua associazione o comitato. Una delle più vecchie ed attive è l’associazione Borgo Bello, che ha contribuito a far rinascere il rione di Porta San Pietro e Corso Cavour dove non ci sono più negozi chiusi e case vuote. Gli abitanti della zona di corso Bersaglieri e Porta Pesa hanno costituito l’associazione Rivivi Borgo S. Antonio mentre quelli di corso Garibaldi e Porta S. Angelo hanno creato l’associazione Vivi il Borgo. Con il Comitato Piazza Grimana e Dintorni cittadini, commercianti e studenti italiani e stranieri stanno affrontando i problemi della riqualificazione urbanistica, della sicurezza e dello spaccio della droga in questa zona della città universitaria. Altrettanto hanno fatto residenti, artigiani ed operatori commerciali di via dei Priori (hanno anche una pagina su Facebook) così come quelli della zona tra via Alessi e via Pinturicchio con l’associazione Fiorivano le Viole. Quest’ultima, con il suo labirinto di vicoli, era diventata una sorta di supermarket della droga protetto da “vedette” delle organizzazioni criminali che lo gestivano. C’è poi “Perugia non è la capitale della droga”, nata attorno ad un gruppo di frequentatori di Facebook, che si propone di riscattare l’immagine della città con iniziative per la riqualificazione delle zone più degradate. Si mobilitano però anche le periferie. In un’altra delicata zona della città, teatro di spaccio e di microcriminalità, si è recentemente costituita l’associazione Fontivegge Insieme. Con una serie di iniziative cerca di restituire ai cittadini zone occupate dalla criminalità. Il suo motto è “Dove ci siamo noi non ci sono loro”. Sempre nel comune di Perugia ogni paese e frazione (ad esempio Ponte San Giovanni, Pila, San Sisto, Pontefelcino) ha associazioni e comitati di cittadini che oltre alle tradizionali feste e sagre organizzano incontri culturali, laboratori e corsi di vario tipo per ricostruire il senso di appartenenza ad una comunità venuto meno con il disordinato sviluppo urbanistico degli ultimi decenni. Si tratta sicuramente di un elenco parziale ed incompleto di questo fiorire di associazioni. Solo alcune di quelle da noi citate fanno parte di un lungo elenco, consultabile sul sito Internet del Comune di Perugia, che ne conta 120! Si tratta prevalentemente di associazioni culturali, sportive e ricreative, prova della grande vitalità della nostra comunità. È però soprattutto l’attività sociale di questi comitati di zona e di quartiere a dimostrare che mentre cresce la sfiducia nella politica c’è anche tanta voglia di impegnarsi di persona nell’interesse comune. Rimboccandosi le maniche con progetti concreti per affrontare tutti insieme i problemi di oggi e spargendo qualche buon seme per un domani migliore.

 

Le iniziative di alcune associazioni del centro storico

Nel lungo elenco delle attività di associazioni e comitati di quartiere, rese note sui loro siti internet e sui social network, ci sono tante iniziative per stare insieme ma a colpire in particolare sono quelle di tagliare l’erba nei giardini pubblici, pulire le strade, fare la manutenzione di spazi comuni, organizzare lotterie e collette per restaurare beni culturali dimenticati. Borgo Bello ad esempio da qualche tempo ha costituito il Gam (Gruppo autoorganizzato di manutenzione) che la domenica mattina si occupa dei Giardini di viale Indipendenza. Svolge anche una intensa attività sociale con mercatini, feste in piazza e “notti bianche” del quartiere. “Fiorivano le viole” si è impegnata a recuperare spazi inutilizzati ed abbandonati in via della Viola, via Cartolari e traverse attigue per farne una sorta di polo artistico e culturale. In un paio di anni ha raggiunto i 400 iscritti ed è riuscita a far riaprire una quindicina di locali sfitti che ospitano botteghe artistiche ed attività commerciali. Anche l’associazione di via dei Priori è molto attiva nell’ambito culturale con l’organizzazione, ad esempio, di un Concorso di pittura estemporanea. Tra i progetti di Rivivi Borgo Sant’Antonio ci sono la realizzazione di un Museo delle mura e delle porte urbiche e quello del “Borgo invisibile”, un percorso di arte sacra con la riapertura degli oratori di San Benedetto in via del Roscetto e di San Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate in corso Bersaglieri. Vivi il Borgo invece ha promosso anche una colletta per restaurare l’edicola sacra settecentesca della “Mater boni consilii” di corso Garibaldi. Sono di più recente costituzione le associazioni “Perugia non è la capitale della droga” e “Fontivegge Insieme”. Tra le iniziative attuate dalla prima ci sono il progetto MappiAmo Perugia, che raccoglie su Internet segnalazioni su problemi e situazioni di degrado, ed il concorso fotografico “Quant’ sè bella Perugia”. “Fontivegge insieme” è riuscita a coinvolgere anche le comunità straniere in varie iniziative (mercatini, spettacoli, una merenda) per “rioccupare” i luoghi dello spaccio.

 

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Un motivo per essere contenti https://www.lavoce.it/un-motivo-per-essere-contenti/ Fri, 06 Feb 2015 13:41:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30211 Rimbalzata con grande evidenza nei giorni scorsi, ha scosso le coscienze in tutto il mondo la terribile notizia del pilota giordano catturato dai terroristi dello Stato islamico (Is), Mual Kasasbeah, che il 31 gennaio è stato arso vivo, chiuso in una gabbia di ferro, secondo quanto documentato da un video degli stessi carnefici. A questo giovane non è bastato portarsi dietro il Corano. Questi fanatici, velleitari assertori del Califfato vogliono dimostrare di essere i più feroci, e quindi i migliori, un modello per i “veri” musulmani, ferventi difensori della vera fede. Si pongono al di sopra del bene e del male: capaci di tutto, dispregiatori di ogni regola internazionale, nemici dell’Occidente e dei suoi alleati.

Questa non è una notizia come le altre; si aggiunge al taglio delle teste, alle crocifissioni, a forme di esibizionismo retorico della crudeltà. È la negazione del valore umano della vittima, e segna la perdita di umanità del carnefice: la vera blasfemia, un sacrilegio. Allargando la scena, troviamo impiccagioni, fucilazioni, esecuzioni di massa.

Il nostro è diventato un pianeta insanguinato, e ora anche avvolto da fiamme minacciose. La guerra mondiale “a capitoli sparsi” di cui ha parlato Papa Francesco? Egli ha ricordato con drammatica intensità anche la tragedia che si sta consumando in Ucraina, tra filo-russi (con l’appoggio di Putin) e indipendentisti, che ha prodotto già migliaia di vittime. Il Papa ha detto in tono meravigliato e triste: “Una guerra tra cristiani!”, invitando tutti a cercare accordi per una convivenza pacifica.

In questo scenario, e con queste deprimenti notizie che ci perseguitano a ogni accensione della tv, è avvenuta l’elezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Meno male, una buona notizia; una scena pacifica, serena, costruttiva, un capolavoro di serietà, di efficienza ed efficacia. Gli italiani, in grande maggioranza, si sono sentiti uniti e rispecchiati, possono stare contenti: non c’è guerra. Ma c’è stata. Mattarella ha ricordato le Fosse Ardeatine e il piccolo Stefano: “Voglio ricordare – ha detto – un solo nome, Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino. Un bambino italiano”. Oltre a questi due ricordi non ha mancato di elencare problemi, difficoltà, pericoli, corruzione, chiamando le cose per nome e indicando vie di speranza. Ha parlato ai concittadini come se avesse davanti i loro volti, destando in molti convinzione ed emozione: “Dopo questo discorso mi sento più italiana” mi ha confidato un’amica.

Lontani da questo sentimento si notano solo i seguaci della Lega e alcune frange del mondo cattolico tradizionalista che bollano come “catto-comunisti” anche i migliori tra i cattolici impegnati in politica, accusati di porre la Costituzione al di sopra del Vangelo. I Vescovi italiani e i nostri Vescovi umbri hanno manifestato la loro soddisfazione, motivata con convinta determinazione, come risulta dal messaggio del card. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu (vedi il suo intervento sopra).

Cosa hanno apprezzato i Vescovi e cosa apprezziamo noi? Molto è stato detto: la persona di Mattarella, la sua storia familiare, la sua formazione cattolica, la sua idea politica. Padre Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, in un’intervista al Corriere della Sera (2 febbraio) ha ritenuto di trovare somiglianze di Mattarella con Papa Francesco, nello stile, nell’attenzione ai poveri, nel richiamo al “discernimento” prima di prendere decisioni, e in una fede convinta e praticata, ma non “muscolare”, non ideologica da imporre, ma da testimoniare. Forse si sta esagerando? Aspettiamo e stiamo a vedere. Intanto, siamo contenti.

Elio Bromuri

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Riforma delle Province, che gran confusione! https://www.lavoce.it/riforma-delle-province-che-gran-confusione/ Fri, 09 Jan 2015 18:22:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29725 marini-cmykIl 2015 dovrebbe essere un anno di grandi mutamenti nell’assetto istituzionale e amministrativo dell’Umbria, tra la riforma delle Province avviata dal governo Renzi e le elezioni regionali in programma tra qualche mese. In un quadro di incertezze e confusione. Soprattutto per le due Province, con 700 dipendenti da ricollocare, competenze da definire, servizi a rischio (non secondari, come quelli per 140 scuole e 3.000 km di strade), e soldi che potrebbero mancare anche per pagare gli stipendi. In Regione si chiude una legislatura che il presidente del Consiglio regionale Eros Brega, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, ha definito “la più complessa dell’intera storia dell’Umbria”.

Nella tarda primavera si voterà, ma non si sa ancora con quale legge elettorale. I consiglieri passeranno dagli attuali 30 a 20: un problema in più per i partiti, attualmente impegnati nella ricerca della complicata formula vincente per le ambizioni personali e di lista. E intanto continua la crisi economica, con 137.000 persone che, secondo la Cgil, “vivono una forte sofferenza occupazionale: 51.000 disoccupati, 23.000 giovani che non studiano e non lavorano, 22.000 cassintegrati e 41.000 lavoratori estremamente precari”. E la Regione avrà meno soldi da spendere.

La presidente Catiuscia Marini, nella conferenza stampa di fine anno, ha detto che la legge di stabilità e le varie manovre per ridurre la spesa pubblica nel 2015 faranno mancare nelle casse della Regione una somma stimata in circa 90 milioni di euro. La prossima legislatura poi potrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere l’ultima per la Regione Umbria. Si torna infatti a parlare di “macroregioni”. Due parlamentari del Pd hanno presentato una proposta di legge di riforma costituzionale (dunque un cammino lungo) per ridurre il numero delle Regioni da 20 a 12, con uno schema che prevede l’accorpamento di Umbria, Toscana e provincia di Viterbo. Una macroregione dell’Italia Centrale, della quale però si parla da almeno vent’anni.

Intanto però è partita la riforma delle Province e delle città metropolitane. Dall’ottobre scorso non ci sono più consiglieri provinciali eletti dai cittadini, ma le due Province restano, con i loro palazzi di rappresentanza e le loro strutture. Ci sono due nuovi presidenti (il sindaco di Foligno Nando Mismetti a Perugia e il sindaco della Città dell’acciaio Leopoldo Di Girolamo in provincia di Terni) che non percepiscono indennità aggiuntive per questo incarico. Ci sono però anche 1.350 dipendenti che aspettano ancora di sapere quale sarà il loro futuro.

La riforma varata dal Governo prevede che per 700 di loro si trovi un’altra collocazione; in pratica, che vengano destinati ad altre Amministrazioni pubbliche, che vadano in pensione, o che finiscano in “mobilità”. Ma nessuno ha ancora deciso il loro destino, anche perché resta da definire chi si occuperà dei servizi attualmente svolti dalle Province. Ambiente, trasporti, scuole, strade e pari opportunità restano di loro competenza; ma per la formazione professionale, il turismo, l’agricoltura, sviluppo economco e altre funzioni dovrebbero subentrare Comuni e Regioni, con modalità e tempi da fissare.

Incertezze e confusione che hanno spinto dipendenti e sindacati a clamorose azioni di protesta: a Perugia i lavoratori hanno fatto irruzione nelle sale della Regione dove si teneva la conferenza stampa di fine anno della presidente Marini, mentre a Terni hanno simbolicamente occupato la sede della Provincia. Alla fine di dicembre si è svolta una riunione alla quale hanno partecipato i nuovi Presidenti delle due Province, l’assessore regionale Fabio Paparelli, sindacalisti, dirigenti dell’Anci (Associazione nazionale Comuni) e dell’Upi (Unione Province). Sono state formulate alcune ipotesi. Dei 700 dipendenti in esubero, la Regione ne potrebbe assorbire 130-150. Tra questi ci saranno 50 precari che avranno il contratto prorogato per un anno. Altri 80 potrebbero andare a rinforzare gli organici carenti degli uffici giudiziari, e altri 120, i più fortunati, entro il 2016 potranno andare in pensione. Per i rimanenti si spera di trovare una collocazione in uffici periferici dello Stato, come la Soprintendenza ai beni culturali. Ma c’è anche il problema di 160 dipendenti delle Comunità montane formalmente soppresse da alcuni anni, e che sarebbero dovuti passare alle Province.

Per tutti resta il quesito di chi pagherà gli stipendi da gennaio. Il Governo ha dimezzato il numero dei dipendenti delle Province e dal 1° gennaio 2015 ha anche dimezzato le risorse per pagare loro gli stipendi. Le casse delle due Province umbre – come hanno ricordato i loro Presidenti – sono praticamente vuote, con difficoltà anche ad assicurare il riscaldamento delle scuole e il rifornimento del sale per le strade in caso di neve. Ma anche la Regione e i Comuni, che dovrebbero assumere parte del personale in esubero, non se la passano bene. La nuova legge di stabilità, secondo alcune stime dei sindacati, ha tagliato 160 milioni per gli enti locali dell’Umbria. Insomma, la riforma delle Province tanto attesa, invocata o temuta, forse ridurrà gli sprechi, ma per ora è certo che ha aumentato la confusione.

 

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“Cento ramazze” per pulire Gubbio https://www.lavoce.it/cento-ramazze-per-pulire-gubbio/ Thu, 10 Jul 2014 17:49:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26004 GUBBIO-giardini-cmykUn antico proverbio recita più o meno così: “Se terrai pulito davanti casa tua, tutta la città sarà pulita”. Sembra quello cui si sono ispirati alcuni eugubini, convinti che l’amore per la propria città si possa esprimere in mille modi, compreso quello di sporcarsi le mani, come si dice oggi, in questo caso non solo in senso figurato. Hanno infatti dato vita all’associazione “Cento ramazze”, un nome che da solo ne illustra motivazioni e scopi.

Basta guardarsi intorno, attraversare i vicoli e percorrere le strade del centro storico e della immediata periferia per accorgersi che c’è stato un calo nelle cura e nella manutenzione di quanto appartiene alla sfera pubblica. Lo scatto di Gavirati da piazza Quaranta Martiri propone immagini sufficientemente esplicative, che non hanno bisogno di particolari commenti. Di sicuro la crisi economica influisce sui servizi pubblici, ma la sensazione è anche quella di una minor attenzione rispetto al passato, quasi di un lasciar perdere sperando che siano gli “altri” a risolvere preoccupazioni e problemi.

È questo il quadro nel quale è maturato lo scatto di orgoglio di alcuni eugubini che hanno varato l’associazione, fiduciosi di mobilitare con l’esempio e la “provocazione” altri concittadini pronti a condividere un ideale nobile: una città pulita grazie al volontariato.

La proposta-provocazione arriva, manco a dirla, dal quartiere di San Martino. “Insieme a Carlo Rogari, Laura Ciarapica, Elisa Neri – racconta Massimo Bei – preoccupati dallo stato di manutenzione del centro, dopo una serie di incontri nel salone della parrocchia, abbiamo deciso di lanciare un appello alle persone più sensibili: ripulire tombini e griglie della parte alta della città, ossia via XX Settembre, corso Garibaldi, via Savelli della Porta, via Baldassini”.

Il primo appuntamento è in Piazza grande per le ore 8.30 di domenica 13 luglio. “Le sensazioni sono positive – prosegue Bei – e stanno arrivando sostegni anche da parte di industrie e imprese”.

Iniziativa meritoria, da non mandare però delusa proprio da parte delle istituzioni. Il gruppo è lo stesso che a maggio aveva ripulito l’ingresso di parco Ranghiasci – alle prese con un degrado sempre più preoccupante – rinnovando anche i “sacchi” dei cestini portarifiuti. Era il 12 maggio. Purtroppo, da allora nessuno ha pensato di sostituire quelli ormai strapieni; in questo caso non è questione di soldi, ma di pura e semplice attenzione da parte del servizio pubblico.

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Un’Europa a più velocità https://www.lavoce.it/uneuropa-a-piu-velocita/ Fri, 04 Jul 2014 14:17:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25971 Il palazzo sede del Parlamento Europeo a Strasburgo
Il palazzo sede del Parlamento Europeo a Strasburgo

Il primo obiettivo della Presidenza italiana? Potrebbe essere quello di farci sentire un po’ di più cittadini europei”: Piero Graglia parte da qui per parlare della Presidenza di turno dell’Unione europea che il governo di Matteo Renzi ha assunto per la seconda metà del 2014. Tra i massimi studiosi del federalismo, Graglia ha insegnato in vari atenei all’estero.

A che punto si trova la “casa comune”?

“Si dice che la storia sia maestra di vita, ma in genere parla a studenti distratti… Credo sia bene ricordare che il processo d’integrazione europea non nasce per motivi o interessi economici, anche se oggi si parla quasi solo di questo. In realtà, prende avvio nella precisa convinzione che, dopo la Seconda guerra mondiale, occorresse ridare pace al Continente, costruendo legami tra i popoli e gli Stati. Progressivamente – e soprattutto negli ultimi anni, in ragione della crisi – l’economia ha preso il sopravvento sulla politica, ma così non si va da nessuna parte. La Banca centrale europea, ad esempio, decide la politica monetaria senza avere un vero referente politico, senza una politica economica condivisa. Cosa che non avviene per la Federal Reserve americana, il cui referente è il Presidente degli Stati Uniti. L’Ue marcerà ancora se sarà una costruzione politica e democratica”.

Come rimediare?

“È chiaro che l’interdipendenza e l’integrazione economica necessitano di un governo dell’economia. Un impulso in tale direzione, oggi come oggi, può venire solo dal Parlamento europeo, oppure da un gruppo di Stati che decidesse di approfondire l’integrazione politica, che per il momento è rimasta a metà strada”

Delinea un’Europa a “geometrie variabili”?

“Tutti e 28, insieme, non si arriverà a una decisione su questo punto fondamentale. Un’Europa a più velocità può essere, in questa fase, una soluzione, purché si proceda con buon senso, con un progetto chiaro e, nondimeno, che tale progetto resti aperto a tutti gli Stati membri, con una visione inclusiva”.

Le forze europeiste riusciranno a serrare i ranghi e a portare il loro contributo per una Unione rinnovata?

“I numeri ci sono. Popolari e socialisti-democratici potrebbero trovare dei punti d’intesa facendo convergere altre forze europeiste. Fra l’altro, in sede europea ci sono personaggi che credono realmente all’unità europea: lo stesso Juncker, designato alla carica di presidente della Commissione, il leader liberal-democratico Verhofstadt, alcuni eurodeputati tedeschi, i Verdi francesi… Ci sono persino euroscettici che potrebbero essere conquistati alla causa di un’Europa diversa, più efficace. Si tratta però di affrontare alcuni nodi discriminanti”.

Per esempio?

“Pensiamo alla questione del bilancio Ue. Chi parla di maggiore integrazione senza poi adoperarsi per un aumento del budget comunitario, magari dotato di risorse finanziarie proprie, fa solo della retorica. Occorre fornire all’Ue i mezzi per agire”.

Quali priorità dovrebbe portare Renzi a Strasburgo?

“In questa fase è essenziale riportare i cittadini e la cittadinanza europea al centro del dibattito. Il senso di appartenenza all’Ue potrebbe rafforzare la responsabilità delle istituzioni e, al contempo, riavvicinare i cittadini all’Ue. I segnali di distanza tra elettori e Unione si sono del resto misurati proprio con le elezioni di maggio. Ugualmente importante è il superamento dell’austerità imposta in questi anni, che ha peggiorato gli effetti della recessione economica. Per questo è importante che l’Italia rafforzi i legami con la Germania, convincendo i tedeschi che la sola ricetta del rigore non funziona, anzi è sbagliata. Qualche debole segnale lo abbiamo avuto dal Consiglio europeo della scorsa settimana. Servono investimenti produttivi, come ha fatto la Fed nel momento più difficile della crisi in America”.

Il Mediterraneo e gli immigrati.

“È un’emergenza non solo italiana, e la risposta dev’essere comune. Ma anche qui emerge l’impegno di approfondire l’integrazione politica. Il Centro e il Nord dell’Europa vanno coinvolti in una risposta rapida, concertata e solidale. Del resto i flussi migratori non possono essere arrestati; vanno affrontati nel modo giusto, anche considerando che possono essere, come è avvenuto in passato, un’occasione positiva per i nostri Paesi”.

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Sanità umbra: 800 indagati https://www.lavoce.it/sanita-umbra-800-indagati/ Fri, 04 Jul 2014 14:12:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25969 sportelli-Cup-2-pagamento-ticketL’Umbria è una delle regioni ‘virtuose’ che il Governo ha preso come riferimento per la definizione dei parametri sui costi standard della sanità pubblica, per evitare gli sprechi ripetutamente denunciati di medicinali e apparecchiature il cui prezzo, senza alcuna logica, varia da regione a regione anche in misura rilevante. Dunque un “modello di sanità pubblica” a livello nazionale, come più volte rivendicato con orgoglio dalla presidente Catiuscia Marini.

Un modello però con ancora gravi anomalie. Nei giorni scorsi si è appreso che i carabinieri del Nas, dopo due anni di indagini, hanno scoperto che in tutti gli ospedali pubblici dell’Umbria c’è la prassi, abbastanza diffusa da parte di medici, infermieri e personale socio-sanitario, di favorire parenti, conoscenti e ‘amici degli amici’ per prestazioni specialistiche in ambulatorio ed esami di laboratorio. Evitando loro le liste di attesa, talvolta troppo lunghe, dei cittadini ‘normali’ e senza pagare il ticket. Come? Attestando il falso, cioè che i soggetti sono stati ricoverati, e quindi hanno la precedenza per esami e visite.

In due anni di indagini i carabinieri hanno esaminato in 13 ospedali 220.000 cartelle cliniche. Accertamenti capillari in base ai quali le Procure della Repubblica di Perugia, Terni e Spoleto hanno indagato 800 persone per reati quali truffa ai danni dello Stato, falso in atto pubblico ed esercizio abusivo della professione medica. La posizione di 575 operatori della sanità pubblica è stata anche segnalata alla Corte dei conti per il recupero di un danno erariale che è stato calcolato in un milione e 200.000 euro.

Asl e aziende ospedaliere – hanno sottolineato i carabinieri – hanno collaborato nelle indagini. Si è appreso che sono già stati avviati procedimenti disciplinari che potrebbero portare alla sospensione dal lavoro di medici e infermieri, alcuni dei quali avrebbero già risarcito, per i ticket non pagati, somme fino a 3-4.000 euro.

La presidente Marini, che ha anche la delega per la sanità, ha detto che la Regione si costituirà parte civile perché “ogni euro sottratto indebitamente alla spesa sanitaria è un euro in meno per la sanità pubblica e quindi per i cittadini”. Ha anche annunciato che nelle prossime settimane verrà varato un “piano straordinario” per eliminare le liste di attesa troppo lunghe.

Una promessa accolta con un certo scetticismo dai sindacati, in particolare dalla Cgil, la quale ricorda che la stessa promessa era stata fatta nel 2010 dall’allora assessore alla sanità Vincenzo Riommi. Promessa alla quale non sono seguiti risultati apprezzabili. È quindi umanamente comprensibile l’operato del malato che, dovendo aspettare mesi per un esame, chiede ‘aiuto’ al medico o all’infermiere. Ed è quindi anche comprensibile il comportamento di chi, magari per aiutare il paziente che non ha soldi per pagare il ticket o non può permettersi di aspettare tanto per un esame o una visita specialistica, cerca in buona fede una soluzione nei meandri della burocrazia.

Ma è davvero così? Il numero degli indagati (800 in 13 ospedali) e i loro comportamenti – così come descritti dagli inquirenti che parlano di “costante e consolidato malcostume” – fanno venire molti dubbi. Anche lo scenario della sanità è infatti quello a tutti noto di una macchina pubblica complessa e non sempre efficiente, dove il cittadino troppe volte è costretto a chiedere per favore quello che gli spetterebbe per diritto. Facendo così, diventare “normale” un mondo dove hanno buon gioco “furbetti” e raccomandati. Che ti passano avanti anche quando devi fare l’esame del sangue.

Consoliamoci comunque con il fatto che almeno in Umbria c’è chi controlla, affinché questo non avvenga più. Con carabinieri e magistratura che vigilano, e con la Regione che promette di volere risolvere i problemi evidenziati dall’indagine. Che sia la volta buona perché il sistema della sanità pubblica dell’Umbria sia un “modello” a livello nazionale non solo per i costi ma anche per efficienza e qualità dei servizi, senza bisogno di scambi di favori e raccomandazioni.

Che cosa è saltato fuori dalle indagini dei Nas

Per gli investigatori, guidati dal capitano Marco Vetrulli, quello individuato era “un costante e consolidato malcostume”. Dagli accertamenti dei carabinieri – si legge in un comunicato del Nas – è emerso che “i sanitari prescrivevano esami ematochimici a se stessi, genitori, figli, fratelli, suoceri e zii registrandoli nel sistema informatico come ricoverati, e facendo ottenere prestazioni sanitarie senza dover corrispondere il ticket”.

In certi casi sarebbero stati gli infermieri a firmare la richiesta invece dei medici. In altri casi si sarebbero falsificate le firme. Con ingenti danni economici alle Aziende ospedaliere e alle Asl, e un “ingiusto profitto” per i destinatari delle prestazioni specialistiche. L’ indagine – sottolineano ancora i carabinieri – ha consentito alle sei Direzioni generali delle Aziende ospedaliere e sanitarie locali, “che hanno collaborato fattivamente”, di apportare modifiche alle procedure di erogazione delle prestazioni per rendere più sicuro il sistema, di avviare i recuperi delle quote di compartecipazione alla spesa sanitaria per le prestazioni irregolari erogate, nonché di avviare procedimenti disciplinari a carico degli indagati.

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Le cooperative sociali si lanciano sul mercato? https://www.lavoce.it/le-cooperative-sociali-si-lanciano-sul-mercato/ Sat, 14 Jun 2014 16:40:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25590 assistenza-disabili-anziani-caregiver-1Centoundici cooperative aderenti (su 652 nazionali), 4.000 soci e oltre 100 milioni di euro di fatturato. Sono questi i numeri di Federsolidarietà Umbria, la sezione di Confcooperative che si occupa del settore sociale. Un settore che sta attraversando la più importante sfida al cambiamento degli ultimi decenni, imposta dalla crisi e dalla ‘mannaia’ che ha investito i fondi pubblici.

Il fronte è duplice: da una parte, uscire dalla dipendenza nei confronti della pubblica amministrazione e rivolgersi a committenti privati mettendosi sul mercato; dall’altra, cambiare abito senza cambiare identità, ovvero farsi impresa – in termini di comunicazione, innovazione e spendibilità dei servizi – senza assumere il valore del fare impresa, ovvero quello di produrre utili. Perché “il guadagno economico non è la finalità delle cooperative sociali, che sono chiamate per natura, in quanto entità no-profit, a reinvestire nel territorio le loro entrate”, spiega Carlo Di Somma, presidente di Federsolidarietà appena riconfermato per il prossimo quadriennio.

Ad oggi, il modello del welfare funziona, in soldoni, così: l’Ente pubblico fornisce un servizio la cui gestione viene affidata ad un soggetto tramite gara d’appalto. Vince chi ottiene il punteggio più alto nei vari parametri – “a insindacabile giudizio” della commissione esaminatrice – e offre i propri servizi al minor prezzo.

Un meccanismo relativamente semplice, che si inceppa, però, su alcuni ingranaggi. Il primo: il costo. “Il tariffario regionale che regolamenta i prezzi dei servizi socio-sanitari – dice Di Somma – è fermo al 2009. Il tariffario prevedeva due voci: il costo del lavoro più un 12,5% di costi generali. Ma dal 2009 ad oggi il solo costo del lavoro è salito del 13%. I conti sono presto fatti. Ne traggono vantaggio le grandi realtà nazionali, a discapito delle medio-piccole cooperative regionali. In questo modo, si depaupera il territorio non soltanto in termini occupazionali”.

Il secondo “ingranaggio” poco oleato riguarda la normativa. Oltre all’aggiornamento del tariffario, infatti, il terzo settore è in attesa del Regolamento regionale per capire verso quale modello l’Ente pubblico sia indirizzato e aprire un tavolo di discussione tra le parti. Ad oggi, una parte del percorso dei lavori è iniziato, ma occorre fare più in fretta.

“Le nostre richieste sono chiare e puntano a un ribaltamento del modello attuale”, aggiunge Di Somma. Il modello proposto da Federsolidarietà sarebbe il seguente: l’Ente pubblico – in questo caso la Regione – ha il compito di programmare e normare, emanando un “pacchetto” di requisiti a cui dovranno attenersi tutte le cooperative sociali che vorranno ottenere la gestione di servizi. “Requisiti ferrei, chiari e pesati tra qualità e costi, che siano piena garanzia di determinati standard di offerta”, dice ancora Di Somma. A questo punto, tutte le cooperative dotate di tali requisiti andranno a costituire un elenco aperto, da cui – ed è questa la vera novità – il cittadino o soggetto di varia natura sarà libero di scegliere a chi affidare il proprio servizio.

“In questo modo – sottolinea Di Somma, puntualizzando il terzo ‘ingranaggio’ difettoso, quello relativo ai controlli – si crea automaticamente un doppio canale di monitoraggio della qualità effettiva dei servizi offerti. Da una parte, l’Ente pubblico, non dovendosi più preoccupare di affidare gli appalti, è più libero e in forze per dedicarsi ai controlli. Dall’altra, come avviene nel libero mercato, sono i fruitori stessi del servizio, i cittadini, a poter vigilare sulla sua qualità, sostituendola nel momento in cui non è rispettata”.

Aprirsi al libero mercato significa, però, inevitabilmente, sottostare alle sue regole. Il presidente Di Somma ne è consapevole e, infatti, ammette: “Non tutta la cooperazione è pronta a questo cambiamento. Per stare sul mercato, occorre rimettersi in discussione e investire a tutti i livelli, da una maggior capacità comunicativa alla formazione continua del personale. Non a caso, stiamo lanciando dei progetti di formazione al management, perché amministrare una cooperativa non è per tutti e da tutti. Alla fine, ci sarà una ‘selezione naturale’, per cui è giusto che resteranno solo le migliori”.

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Elezioni: a Orvieto il centrosinistra si ricompatta su Germani e vince https://www.lavoce.it/elezioni-a-orvieto-il-centrosinistra-si-ricompatta-su-germani-e-vince/ Sat, 14 Jun 2014 16:03:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25573 palazzo_comune_orvieto-bnIl centrosinistra, con Germani, a Orvieto si ricompatta e strappa la Rupe a Concina. Su 16.765 iscritti nelle liste elettorali, al ballottaggio di domenica scorsa hanno votato 10.762 elettori, con un’affluenza del 64,13%. Germani ha raccolto 5.715 consensi ossia il 54,38% fermando l’uscente Concina a 4.794 voti pari al 45,62%, insufficienti per la rielezione a palazzo di città. I segnali al primo turno erano chiari.

La lista più votata al primo turno della coalizione di centrosinistra era stata quella del Pd con 3.359 voti pari al 28,56%; a seguire la lista civica “Per andare avanti” con 1.495 voti pari al 12,71%, “Sinistra ecologia e libertà” 520 voti pari al 4,42%, Partito dei comunisti italiani 356 voti pari al 3,02%, Scelta civica 206 voti pari all’1,75%. Per la coalizione di Concina la lista più votata era Forza Italia con 1.438 voti pari al 12,22%. La seconda lista più votata “Per Orvieto – Identità e territorio” con 1.299 voti pari all’11,04%. Come dicevamo, la coalizione che sosteneva Germani si è ricompattata, mentre Fratelli d’Italia, Forza Italia, “Orvieto libera” e “Identità e territorio”, a quanto pare, non hanno percepito la reale forza organizzativa che si muoveva contro.

“Dopo cinque lunghi anni – ha commentato il neo primo cittadino – siamo riusciti a riportare Orvieto nella giusta direzione. È una bella soddisfazione non solo per me ma per tutto il gruppo di giovani che insieme a me ha condiviso questa battaglia. L’unico rammarico, forse, è di qualche uscita un po’ fuori del seminato dell’ultima settimana, ma per il resto è stata una bella esperienza che ci ha portato fin qui per ridare alla città un progetto nuovo, diverso, e speriamo che già dalla prossima settimana dia i risultati che tutti ci aspettiamo”.

Gli orvietani ci sembra abbiano prestato ascolto anche ad Andrea Scopetti, segretario del Pd, che aveva promesso una sorta di partecipazione partecipata che ha chiamato “una grande rete civica orvietana, vale a dire una forma di confronto permanente e costante sui problemi e sulle decisioni fondamentali della nostra comunità, alla quale prenderanno parte il Sindaco e la Giunta, i consiglieri, i rappresentanti delle associazioni di categoria, del volontariato, del mondo produttivo, e i delegati delle Frazioni indicati direttamente dai cittadini.

A Orvieto decideremo insieme quali obiettivi prioritari mettere a bilancio, come realizzarli e con quali risorse, portando tra la nostra gente quelle decisioni che per troppo tempo si sono prese tra quattro mura”.

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Ballottaggio: hanno vinto le liste civiche https://www.lavoce.it/ballottaggio-hanno-vinto-le-liste-civiche/ Sat, 14 Jun 2014 15:31:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25563 Stirati-e-famiglia-bnIl nuovo sindaco di Gubbio è Filippo Mario Stirati, sessantenne, laurea in Lettere, docente di Latino e greco al “Mazzatinti”, personalità di spicco della vita politico-amministrativa e culturale cittadina, con alle spalle esperienze di consigliere, assessore e vice sindaco, nonché di vice presidente della Provincia di Perugia. Alla testa della coalizione “Scelgo Gubbio”, “Liberi e democratici”, Psi e Sel, ha vinto alla grande il ballottaggio con Ennio Palazzari, sostenuto da Pd, “Impegno per Gubbio”, Popolari per Gubbio.

Un successo indiscusso. Alto, purtroppo l’astensionismo: su 28.017 aventi diritto hanno partecipato al voto in 15.062, il 53,76% (erano il 74.75% il 25 maggio, e il 66,87% nel 2006). Stirati ha ottenuto 10.383 voti (2.716 in più rispetto al 25 maggio), il 73,24%, contro i 3.793 di Palazzari (1.068 in meno della prima tornata), il 26,76%.

“Il successo – questa la prima dichiarazione del neo sindaco – è andato al di là di ogni previsione. Vorrei dire che ha vinto la città, che ci chiede un forte rilancio sotto tutti gli aspetti, e di riannodare il rapporto tra cittadini e istituzioni. Un risultato che ha il sapore della legittimazione, ma siamo consapevoli dei problemi e delle difficoltà che ci attendono”.

“Complimenti e auguri di buon lavoro al nuovo sindaco”, il commento di Palazzari, neofita della politica, che ha accettato il risultato con serenità, consapevole di aver affrontato la competizione elettorale con impegno e di essersi messo a disposizione della città con totale generosità.

Il risultato si presta a una lettura importante: la sfiducia nei partiti ufficiali. Protagonisti indiscussi del successo di Stirati, oltre alle sue indubbie qualità e capacità, sono i movimenti civici, che sono riusciti ad intercettare le attese dell’elettorato, con l’aspirazione a un “ritorno alla normalità” che manca da anni.

Basta leggere la composizione del Consiglio: maggioranza 15 consiglieri, di cui 10 per Liberi e democratici: Aldo Cacciamani, Giuseppe Biancarelli, Gianni Menichetti, Alessia Tasso, Gabriele Lepri, Valerio Piergentili, Moreno Zebi, Paola Biraschi, Letizia Bellucci, Mirko Pompei; 3 per “Scelgo Gubbio”: Mattia Martinelli, Giacomo Faramelli, Lorenzo Rughi, 1 Psi: Massimo Ceccarelli e 1 Sel: Stefano Ceccarelli. Minoranza 9 consiglieri, di cui 4 Pd: Ennio Palazzari, Virna Venerucci, Luca Barilari, Marco Cardile; 3 Movimento 5 stelle: Rodolfo Rughi, Mauro Salciarini, Sara Mariucci; 1 “Bene Comune”: Francesco Gagliardi, 1 Prc – Gubbio libera: Pavilio Lupini.

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Province. Anche Perugia “chiude” https://www.lavoce.it/province-anche-perugia-chiude/ Thu, 12 Jun 2014 18:23:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25542 I palazzi della Provincia di Terni e di Perugia
I palazzi della Provincia di Terni e di Perugia

Stop alle Province di Perugia e Terni. I due enti non saranno più eletti da cittadini: è entrata in vigore la legge 56 del 7 aprile 2014 (Delrio) che cambia le modalità di elezione e gli organi delle nuove Province italiane. I presidenti delle due Province umbre, Marco Vinicio Guasticchi e Feliciano Polli, resteranno in carica fino al 31 dicembre, a titolo non oneroso.

Alla Provincia di Perugia martedì si è tenuto l’ultimo Consiglio, preceduto dalla conferenza stampa della Giunta e del presidente Guasticchi per dire che “dopo 153 anni, la Provincia chiude storicamente, ma restano le funzioni” e per ringraziare i dipendenti tutti, assicurando che “nessuno sarà licenziato”.

Al momento, le questioni più impegnative da risolvere sono due: le funzioni che le Regioni potranno delegare alle Province, e il futuro del personale dipendente. A livello nazionale e locale è stato assicurato che nessuno perderà il proprio posto di lavoro, ma è indubbio che ci sarà da definire con chiarezza la possibilità mobilità dei dipendenti verso altri enti. E non sarà così semplice. Dopo 153 anni di storia, la Provincia di Perugia ‘passa la mano’. Il presidente Guasticchi ha sottolineato che “al momento di insediarci, pensavamo che dopo cinque anni avremmo chiuso la legislatura, non la Provincia. Finisce infatti una storia che ha visto la nostra Provincia punto di riferimento solido e importante”.

La nuova legge stabilisce che i nuovi organi della Provincia siano il presidente, il Consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci. Il presidente è eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della provincia, e dura in carica 4 anni.

Sono eleggibili a presidente della Provincia i sindaci del territorio provinciale il cui mandato scada non oltre diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni. L’elezione avviene sulla base di presentazione di candidature sottoscritte da almeno il 15 per cento degli aventi diritto al voto. Il presidente della Provincia può nominare un vice presidente, scelto tra i consiglieri provinciali, e può assegnare deleghe a consiglieri provinciali. Il Consiglio provinciale è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni della Provincia e dura in carica due anni. È composto dal presidente della Provincia e da 16 componenti nelle province con popolazione superiore a 700.000 abitanti, da 12 componenti nelle province con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti, da 10 componenti nelle province con popolazione fino a 300.000 abitanti. L’assemblea dei sindaci dà parere sul bilancio della Provincia e ha poteri propositivi, consultivi e di controllo secondo quanto disposto dallo Statuto. L’assemblea dei sindaci adotta o respinge lo Statuto proposto dal Consiglio e le sue successive modificazioni.

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TERNI. Parlano i due candidati sindaci, pronti al ballottaggio https://www.lavoce.it/terni-parlano-i-due-candidati-sindaci-pronti-al-ballottaggio/ Thu, 05 Jun 2014 18:32:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25318 Palazzo Spada sede del Comune di Terni
Palazzo Spada sede del Comune di Terni

Domenica di ballottaggio a Terni tra Leopoldo Di Girolamo, centrosinistra, e Paolo Crescimbeni, centrodestra. I quindici giorni dalle elezioni amministrative sono stati caratterizzati da scontri verbali a distanza e dai toni accesi tra i due contendenti, per spostare l’ago della bilancia, in questo caso affollato dalle tante liste civiche e dal Movimento 5 stelle, dall’una o dall’altra parte. L’esercito degli indecisi è piuttosto numeroso e quindi è inevitabile che si sia alzato il tono della propaganda, alimentato dal M5s che ha pungolato i due candidati con 10 quesiti.

“Terni può farcela – è stata la risposta di Paolo Crescimbeni – a condizione che la cosa pubblica sia amministrata da persone competenti e fortemente motivate al bene comune. Fare l’assessore non potrà più costituire motivo per rimediare uno stipendio a politici o sindacalisti disoccupati. Chi non è in grado di produrre risultati concreti, non potrà mai più scaldare la poltrona per cinque anni. Ho già parlato diffusamente della volontà di insediare un’authority comunale per la trasparenza e la legalità: intendo proporne la presidenza a un esponente di quella minoranza che non sia collegata alla precedente gestione amministrativa e con il cui programma ci siano piene convergenze.

Tra i principali obiettivi dell’Amministrazione che ci candidiamo a governare – obiettivo propedeutico e trasversale a tutti gli altri – è l’introduzione di autentici criteri di managerialità nella conduzione della cosa pubblica, all’insegna della più assoluta trasparenza amministrativa e con l’attenzione costante ad ottimizzare le risorse disponibili. Per raggiungerlo, porremo massima attenzione agli appalti, sin dalla fase preparatoria dei bandi; ai rinnovi senza gara; alle ‘inspiegabili’ spese inutili, agli sprechi e ai clientelismi dei quali è disseminato il bilancio comunale”.

“Il programma elaborato insieme alla coalizione che sostiene la mia candidatura – ha detto Leopoldo Di Girolamo – rappresenta il progetto del centrosinistra sugli assi fondamentali per il futuro della città: lavoro e sviluppo, ambiente, mobilità, decoro urbano, infrastrutture, welfare, cultura, commercio e turismo. Questi temi sono stati ampiamente dibattuti durante la campagna elettorale, insieme ai cittadini e attraverso i media. Le nostre posizioni in merito sono emerse in maniera chiara.

Ciò è avvenuto anche per alcune questioni specifiche sollevate dai 5 stelle – dalla formazione della Giunta al tema ambientale, dal futuro del Polo museale a quello degli Eventi valentiniani – già oggetto di ripetuti confronti e prese di posizione. Gran parte dei temi citati riguarderanno direttamente il rinnovato Consiglio comunale, dove il confronto sarà, da parte nostra, costruttivo e aperto ai contributi di tutte le forze politiche. Crediamo si tratti di un atteggiamento responsabile e pragmatico, diverso da quello tenuto da chi, dopo gli stracci (e che stracci) volati in campagna elettorale, scopre ora, folgorato sulla via del ballottaggio, inedite consonanze, figlie di pericolose ‘inversioni a U’. A ritirare la ‘patente’ politica ci penseranno, come sempre, gli elettori”.

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Votare. Eppure si deve! Alle urne nonostante tutto https://www.lavoce.it/votare-eppure-si-deve-alle-urne-nonostante-tutto/ Fri, 23 May 2014 13:37:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25087 Elezioni-votoMagari sarà più facile trovare le motivazioni nei 4.095 Comuni, o nelle due Regioni, che il 25 maggio sono chiamati al voto: una buona amministrazione fa la differenza competitiva e della qualità della vita, in tempi di risorse decrescenti, per cui non si può delegare a nessuno la scelta dei propri più diretti rappresentanti. Eppure, anche nella restante metà d’Italia, in cui i cittadini voteranno solo per il Parlamento europeo, votare si deve, nonostante tutto.

Votare si deve nonostante l’Unione europea faccia fatica e facciano fatica i cittadini a riconoscersi nelle dodici stelle gialle in cerchio in campo blu, anche se ormai non ne possono fare a meno. Così come dell’euro. Basta guardarsi nel borsellino: nessuno ormai può più trovare solo monete del proprio Stato: siamo tutti connessi e interdipendenti. Anche se ci sentiamo sempre più lontani. L’Unione è una realtà, che ha fatto del suo profilo, idealmente alto ma politicamente modesto, la propria identità: salvo scoprire, in anni recenti, dopo una serie di allargamenti che ora arrivano a 28, come questa apparente contraddizione generi problemi inediti, che questa tornata elettorale sembra amplificare.

Votare dunque si deve, proprio per accompagnare questo processo di adeguamento dell’idea al fatto, a livello di istituzioni dell’Unione. È un processo necessariamente lungo, ulteriormente complicato in questo momento di crisi.

E qui c’è il secondo punto. Votare si deve nonostante il clima di crisi della politica e della partecipazione, con il proporzionale sviluppo della protesta, che percorre tutti i 28 elettorati dell’Unione.

Ci sono cinque candidati per la guida della Commissione, espressione delle cinque famiglie politiche “ufficiali”: popolari, socialisti, liberal-democratici, verdi e sinistra. I partiti e i movimenti euroscettici tradizionali non si sono curati di presentare alcun candidato, così come i nuovi movimenti, non collegati a livello europeo, ma ciascuno espressione di singoli, diversi malesseri nei ventotto Stati dell’Unione. Anche questo significa pure qualcosa. Votare dunque si deve, nonostante tutto, anche per scegliere l’indirizzo politico. Necessariamente, infatti, il futuro dell’Europa passa per la costruzione di un sistema politico europeo. E per la sua coerenza con i principi di fondo, per cui in particolare proprio i cattolici, come ribadito in un bel documento dell’episcopato europeo dello scorso mese di marzo, devono impegnarsi, prima di tutto con la partecipazione.

In quel documento si sottolineava anche la cruciale questione della partecipazione dei giovani, che tutti i sondaggi segnalano tentati dalla protesta fine a se stessa. In effetti c’è oggi una grande questione sull’identità, che, se non ha risposte di alto profilo, rischia di essere risolta facendo ricorso a surrogati purchessia. E questo forse è il vero punto culturale e politico di questa tornata elettorale. Per l’Europa e anche per l’Italia.

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Politici, ascoltate il silenzio delle urne! https://www.lavoce.it/politici-ascoltate-il-silenzio-delle-urne/ Fri, 23 May 2014 13:33:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25085 Governare una nazione, più ancora, 28 nazioni, un Continente, non è un’opera possibile per un uomo solo, neppure se fosse un genio, un santo, un eroe. Quando qualcuno che si riteneva tale ha tentato di farlo, è stato un genio del male e della follia. Alla vigilia delle elezioni – per il sindaco e i consiglieri comunali e, allo stesso tempo, per i membri del Parlamento europeo – una riflessione sul senso del governare è più che mai necessaria. Questa è un’opera di intelligenza che sa vedere e conoscere quali siano le necessità di una società, le leggi che le sono proprie, le esigenze delle popolazioni, i criteri della giustizia e della solidarietà. Un lavoro molto delicato, impegnativo, che suppone grande sensibilità per la giustizia e il bene comune, capacità di organizzare le risorse sulla base delle richieste e urgenze, avere doti di prudenza, disponibilità, distacco da interessi particolari che offuscano la visione generale dell’insieme, capacità di lavoro. Insomma, una cosa che fa tremare le vene e i polsi, tanto più oggi che il mondo è in rapida trasformazione – “liquidata” con l’aggettivo “liquida” (la famosa “società liquida” di Bauman). Un’espressione che fa paura perché fa pensare a un fiume in piena che tutto travolge. Una crisi e una trasformazione del mondo che non si riesce a capire dove porti, e tanto meno a dominare con sicurezza. Ebbene, si dovrebbe pensare che, se è così, chi sarà mai così incosciente da prendersi la briga di diventare amministratore di una o dell’altra formazione sociale, che sia il quartiere, il Comune o lo Stato? Si dovrebbe pensare che i cittadini, desiderosi di essere ben governati per realizzare uno standard di vita “normale” con diritti e doveri ben congegnati, si attivino per scoprire la persona o, in una società democratica, le persone in grado di svolgere quest’opera meritoria per il bene di tutti. E invece no. Molti cittadini fanno a gara e competono aspramente per conquistare un seggio di consigliere, di sindaco, di deputato o senatore che sia. In questa tornata elettorale del 25 maggio, se uno va a vedere, si trova in difficoltà per l’enorme numero di liste e candidati. Questo fenomeno è il sintomo che il ruolo che si va ad assumere e per il quale si fa la battaglia elettorale è visto più come un beneficio che come un compito. Politici e amministratori pubblici traggono benefici che spesso non riuscirebbero a ottenere con un’altra professione. In qualche misura, è giusto, e proprio per quanto si diceva sopra: se il compito è gravoso, bisognerà pure incentivare con dei premi chi lo assume. Questo è il senso. Ma purtroppo, dalle esperienze del passato e dai molti casi conosciuti, si deve dire che spesso non risultano competenza, capacità e virtù necessarie… e non si vedono neppure i risultati, in senso locale e generale. La politica deve passare attraverso una purificazione interna, almeno sotto il vaglio della critica esplicita della massa silenziosa di cittadini delusi e sfiduciati che non sanno a quale simbolo o candidato attaccarsi. Il “silenzio delle urne” è più clamoroso degli urli di alcuni politici, e dovrebbe essere ascoltato con senso di responsabilità. Nel desolante quadro che ci si presenta, c’è da fare un attimo di attenzione per considerare se ci sono (e a mio avviso, ci sono) qua e là persone, uomini e donne – ricordiamoci delle donne in politica – che hanno le capacità e la volontà di operare per il bene. Più che le parole saranno convincenti le cose che si fanno, lo stile di vita e i criteri di azione che guidano le scelte politiche. Chi costruisce, lo si lasci lavorare. Chi distrugge o crea caos, lo si deve frenare. A meno che qualcuno farneticando pensi che sia giunto il momento di fare una “rivoluzione nichilista” per una presunta rinascita, radicalmente nuova e diversa dal presente e dal passato. Utopia.

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