Cesare Pagani Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cesare-pagani/ Settimanale di informazione regionale Thu, 02 Dec 2021 16:43:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Cesare Pagani Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cesare-pagani/ 32 32 Il “grumo di potere” ha una lunga storia in Umbria https://www.lavoce.it/grumo-potere-storia-umbria/ Fri, 24 May 2019 12:02:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54591 grumo

di Daris Giancarlini

“Grumo” è termine dai rimandi nefasti, sia usato in gastronomia sia facendo riferimento alla circolazione sanguigna. Hanno scelto questa parola, “grumo”, i giudici del Tribunale del riesame di Perugia per descrivere, nelle motivazioni con cui hanno respinto la richiesta di libertà per alcuni indagati nella maxi inchiesta sulla gestione della sanità a Perugia, “il coacervo di poteri - legali e illegali, visibili e occulti - che ha condizionato”, secondo gli stessi magistrati, la vita dell’azienda ospedaliera perugina.

I giudici fanno soprattutto riferimento, nel parlare di ‘grumo di potere’, a una delle frasi intercettate nel corso dell’inchiesta: “Tra la massoneria, la Curia e la Giunta, non me danno tregua. E la Calabria unita”, avrebbe affermato il direttore generale dell’azienda.

Un’estrema sintesi, quella del dirigente sanitario perugino, che presa in sé dice tutto e nulla. Saranno le indagini, tuttora in corso, a stabilire nomi e cognomi e responsabilità di chi, a vari livelli - secondo l’ipotesi degli inquirenti - avrebbe operato al di fuori delle regole per ottenere vantaggi di vario tipo.

Quello che interessa in questa sede è il rimando che i magistrati del Riesame, parlando di ‘grumo di potere’, hanno voluto ribadire nel descrivere entità o soggetti capaci di manovrare a loro piacimento certe procedure in ambito sanitario. La definizione, di carattere sociologico più che giuridico, di ‘grumo di potere’, rimanda a quella sensazione che in Umbria è databile da alcuni decenni e che fa riferimento - nelle chiacchiere da bar ma anche in sedi più qualificate - a poteri operanti ‘dietro le quinte’ della trasparenza. Se n’è discusso, con toni sovente concitati, in alcuni particolari momenti della storia regionale.

Gli interventi di mons. Cesare Pagani

Gli articoli e gli interventi radiofonici di mons. Cesare Pagani, vescovo di Perugia nel 1985, che avevano come tema specifico la inconciliabilità tra fede cristiana e appartenenza alla massoneria, scossero non soltanto le trenta Logge cittadine, ma l’intera città e tutta la regione. All’affermazione del presule secondo cui “la massoneria vive sotto il pelo dell’acqua delle cose che si possono vedere e combattere”, i diretti interessati risposero con un manifesto durissimo, apostrofando Pagani come “falso profeta”.

Le parole di mons. Chiaretti

Nel 2006 nuovamente un vescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, dichiarò che “in Umbria da 60 anni c’è un regime che affievolisce le coscienze, dentro il quale il mondo del laicato cattolico patisce una subalternità politica e culturale”. La frase provocò reazioni politiche immediate da parte soprattutto della sinistra, alla guida della regione dal dopoguerra.

Studiosi come il sociologo Roberto Segatori scrissero che “a Perugia comandano due Chiese, ma nessuna delle due è cattolica: la prima si chiama massoneria, la seconda ieri si chiamava Pci e oggi Ds”. Lo stesso docente definì il potere massonico e quello comunista “poteri strutturati e capillari, che spesso e volentieri si intrecciano e saldano assieme”.

Sull’onda della presa di posizione di Chiaretti, si tenne un dibattito a novembre dello stesso 2006, protagonisti il giornalista Sandro Petrollini, lo storico e politologo Ernesto Galli della Loggia e il docente di storia Alberto Stramaccioni, per anni impegnato ad alti livelli dirigenziali nel Pci-Pds-Ds dell’Umbria.

L'opinione di Stramaccioni

Lo stesso Stramaccioni, nel pamphlet che riporta il confronto a tre, offre una lettura che tende ad allargare l’analisi al di là dei confini della politica. Stramaccioni parla di “logiche di tipo oligarchico di poteri trasversali agli schieramenti politicosociali, che si muovono nell’interesse particolare e non certo nell’interesse generale”. Questo, per il docente perugino, “finisce con il ridurre e il delegittimare gli spazi stessi della politica e il ruolo delle istituzioni democratico-rappresentative”.

Dunque non la sola sinistra - per Stramaccioni - né soltanto una singola associazione, ma “oligarchie trasversali” avrebbero operato nel tempo in Umbria dando vita a un ‘sistema’ che, giocoforza, ha tra i suoi effetti principali, in ogni settore della vita politica, economica, imprenditoriale e sociale, la sensazione che a godere delle ricadute positive siano soltanto coloro che del sistema fanno parte. Per chi sta fuori, nessuna speranza. Neanche se nel suo curriculum può esibire preparazione, impegno, voglia di lavorare, idee originali, onestà e trasparenza.

Non rincuora il fatto che, nonostante in questi anni si siano succedute inchieste giudiziarie e prese di posizione che hanno segnalato il problema, tutto - a giudicare dall’inchiesta sulla sanità - sia rimasto più o meno come prima. Come sempre. Ma all’idea che la politica non possa operare in modo trasparente nell’interesse generale, non ci si dovrebbe rassegnare. Specialmente per chi si professa cattolico.

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grumo

di Daris Giancarlini

“Grumo” è termine dai rimandi nefasti, sia usato in gastronomia sia facendo riferimento alla circolazione sanguigna. Hanno scelto questa parola, “grumo”, i giudici del Tribunale del riesame di Perugia per descrivere, nelle motivazioni con cui hanno respinto la richiesta di libertà per alcuni indagati nella maxi inchiesta sulla gestione della sanità a Perugia, “il coacervo di poteri - legali e illegali, visibili e occulti - che ha condizionato”, secondo gli stessi magistrati, la vita dell’azienda ospedaliera perugina.

I giudici fanno soprattutto riferimento, nel parlare di ‘grumo di potere’, a una delle frasi intercettate nel corso dell’inchiesta: “Tra la massoneria, la Curia e la Giunta, non me danno tregua. E la Calabria unita”, avrebbe affermato il direttore generale dell’azienda.

Un’estrema sintesi, quella del dirigente sanitario perugino, che presa in sé dice tutto e nulla. Saranno le indagini, tuttora in corso, a stabilire nomi e cognomi e responsabilità di chi, a vari livelli - secondo l’ipotesi degli inquirenti - avrebbe operato al di fuori delle regole per ottenere vantaggi di vario tipo.

Quello che interessa in questa sede è il rimando che i magistrati del Riesame, parlando di ‘grumo di potere’, hanno voluto ribadire nel descrivere entità o soggetti capaci di manovrare a loro piacimento certe procedure in ambito sanitario. La definizione, di carattere sociologico più che giuridico, di ‘grumo di potere’, rimanda a quella sensazione che in Umbria è databile da alcuni decenni e che fa riferimento - nelle chiacchiere da bar ma anche in sedi più qualificate - a poteri operanti ‘dietro le quinte’ della trasparenza. Se n’è discusso, con toni sovente concitati, in alcuni particolari momenti della storia regionale.

Gli interventi di mons. Cesare Pagani

Gli articoli e gli interventi radiofonici di mons. Cesare Pagani, vescovo di Perugia nel 1985, che avevano come tema specifico la inconciliabilità tra fede cristiana e appartenenza alla massoneria, scossero non soltanto le trenta Logge cittadine, ma l’intera città e tutta la regione. All’affermazione del presule secondo cui “la massoneria vive sotto il pelo dell’acqua delle cose che si possono vedere e combattere”, i diretti interessati risposero con un manifesto durissimo, apostrofando Pagani come “falso profeta”.

Le parole di mons. Chiaretti

Nel 2006 nuovamente un vescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, dichiarò che “in Umbria da 60 anni c’è un regime che affievolisce le coscienze, dentro il quale il mondo del laicato cattolico patisce una subalternità politica e culturale”. La frase provocò reazioni politiche immediate da parte soprattutto della sinistra, alla guida della regione dal dopoguerra.

Studiosi come il sociologo Roberto Segatori scrissero che “a Perugia comandano due Chiese, ma nessuna delle due è cattolica: la prima si chiama massoneria, la seconda ieri si chiamava Pci e oggi Ds”. Lo stesso docente definì il potere massonico e quello comunista “poteri strutturati e capillari, che spesso e volentieri si intrecciano e saldano assieme”.

Sull’onda della presa di posizione di Chiaretti, si tenne un dibattito a novembre dello stesso 2006, protagonisti il giornalista Sandro Petrollini, lo storico e politologo Ernesto Galli della Loggia e il docente di storia Alberto Stramaccioni, per anni impegnato ad alti livelli dirigenziali nel Pci-Pds-Ds dell’Umbria.

L'opinione di Stramaccioni

Lo stesso Stramaccioni, nel pamphlet che riporta il confronto a tre, offre una lettura che tende ad allargare l’analisi al di là dei confini della politica. Stramaccioni parla di “logiche di tipo oligarchico di poteri trasversali agli schieramenti politicosociali, che si muovono nell’interesse particolare e non certo nell’interesse generale”. Questo, per il docente perugino, “finisce con il ridurre e il delegittimare gli spazi stessi della politica e il ruolo delle istituzioni democratico-rappresentative”.

Dunque non la sola sinistra - per Stramaccioni - né soltanto una singola associazione, ma “oligarchie trasversali” avrebbero operato nel tempo in Umbria dando vita a un ‘sistema’ che, giocoforza, ha tra i suoi effetti principali, in ogni settore della vita politica, economica, imprenditoriale e sociale, la sensazione che a godere delle ricadute positive siano soltanto coloro che del sistema fanno parte. Per chi sta fuori, nessuna speranza. Neanche se nel suo curriculum può esibire preparazione, impegno, voglia di lavorare, idee originali, onestà e trasparenza.

Non rincuora il fatto che, nonostante in questi anni si siano succedute inchieste giudiziarie e prese di posizione che hanno segnalato il problema, tutto - a giudicare dall’inchiesta sulla sanità - sia rimasto più o meno come prima. Come sempre. Ma all’idea che la politica non possa operare in modo trasparente nell’interesse generale, non ci si dovrebbe rassegnare. Specialmente per chi si professa cattolico.

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Incontrare Gesù https://www.lavoce.it/incontrare-gesu/ Thu, 15 Oct 2015 14:06:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43900 Don Romano Piccinelli e mons. Cancian (immagine di repertorio)
Don Romano Piccinelli e mons. Cancian (immagine di repertorio)

Giovedì 8 ottobre sono iniziati gli incontri della Scuola di formazione teologica “Cesare Pagani” presso il seminario diocesano. Il direttore don Romano Piccinelli nella relazione introduttiva ha citato il biblista Romano Penna e il suo riferimento ai valori cristiani che rappresentano le radici cristiane dell’Europa, valori imprescindibili e fondanti comuni anche alla società civile. Ricorda inoltre l’invito di Papa Francesco a fare attenzione a non essere “cristiani senza Cristo”, a tenere quindi presenti i valori cristiani nella vita quotidiana. “La Scuola è un’ottima occasione formativa – continua il direttore -, che ci offre l’opportunità di prendere consapevolezza di essere cristiani per ‘rendere ragione della speranza che è in noi’ a noi stessi, nella misura in cui la formazione ricevuta abbia bisogno di supporti, ma anche a chi incontriamo nel nostro cammino, secondo dinamiche di attenzione all’altro e di condivisione, testimoniando ciò che per grazia abbiamo ricevuto. Non solo quindi pensiero e teoretica, ma testimonianza attiva: su questa strada delineata dal Pontefice è necessario camminare con consapevolezza e adeguata formazione come religiosi, laici e persone attive a vario livello in parrocchia e diocesi, ma anche come semplici credenti”.

Rimodulato varie volte nel corso del tempo, il cosiddetto quarto anno, ovvero l’occasione in più rivolta a chi ha già frequentato il triennio di base, è strutturato per questo 2015-2016 come un programma unitario su temi di attualità ritenuti meritevoli di approfondimento e di riflessione, in collaborazione con i vari Uffici diocesani. Il programma, in linea con gli orientamenti pastorali Cei Educare alla vita buona del Vangelo, si articola su otto incontri con cadenza mensile tenuti da relatori di eccellenza e ritmati da tre elementi guida: il Giubileo straordinario della Misericordia, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium e l’enciclica Laudato si’. Saranno affrontati nello specifico il tema della misericordia, dell’ecologia integrale e dell’“ideologia gender” con evidente interesse del mondo religioso e laico. Prossimo appuntamento della Scuola di formazione teologica è previsto per giovedì 22 ottobre alle ore 21 presso la stessa sede. Il prof. Romano Piccinelli terrà la lezione di teologia dogmatica “Incontrare Gesù Cristo nella Chiesa” per il triennio di base. Il prof. Francesco Testaferri guiderà una riflessione su “Misericordia: la via da un umanesimo fallito a un umanesimo ‘nuovo’ e oltre” per coloro che frequentano il quarto anno.

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Riunione degli “Amici de La Voce” https://www.lavoce.it/riunione-degli-amici-de-la-voce/ Fri, 05 Dec 2014 12:32:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29351 La-VoceVenti anni fa, tra giugno e luglio del 1994 veniva costituita formalmente l’“Associazione degli amici de La Voce”. Di amici oltre che di lettori e collaboratori il settimanale ne ha sempre avuti in questi oltre sessant’anni di vita, altrimenti non sarebbe sopravvissuto ai tanti cambiamenti e alle molteplici crisi che sono sopravvenute nel tempo. I primi amici sono quelli che hanno direttamente operato nei vari ruoli e servizi di cui necessita un giornale, molti dei quali, a cominciare dai direttori, a titolo totalmente gratuito, ma altri amici sono coloro che si sono sentiti rappresentati da La Voce, come espressione pubblica ed evidente di appartenenza ad un determinato mondo culturale e sociale con i suoi valori e principi di vita. Dieci anni dopo la ri-fondazione de La Voce voluta e realizzata dai vescovi umbri guidati nell’impresa dal vescovo di Perugia Cesare Pagani e dal vescovo di Città di Castello Carlo Urru si è pensato di costituire un’Associazione formalmente definita in modo da poter svolgere attività a carattere culturale e promozione di iniziative. In questo ambito sono state organizzate conferenze e dibattiti, si è dato sostegno anche economico al Progetto Gemma e al Centro aiuto per la vita (Cav). Ma l’intento prevalente dell’associazione è quello di avere una comunità di persone che si prendono cura del settimanale come di una propria creatura e ne portano avanti le finalità e il messaggio. Il rischio, infatti, che corre un organo d’informazione è di rimanare chiuso nelle stanze dove si compone, di essere voce solo dei pochi della redazione, di non avere interlocutori, di non rispecchiare la realtà del territorio e di cadere nell’ambiente senza lasciare traccia. Gli amici dovrebbero essere gli ispiratori e i diffusori dei modi concreti ed efficaci con cui legare insieme e porre a confronto e in dialogo Chiesa e territorio. Una caratteristica che rende unica in Italia La Voce (c’è di simile Toscana oggi, ma in modo diverso) è la sua dimensione regionale. La regione Umbria, una delle più piccole del nostro Paese, ha il vantaggio di usufruire della regionalità come valore di più facile sinergia, collaborazione e comunione. Obbligati in qualche modo a fare insieme molte cose che le singole entità locali e le otto diocesi non possono avere la forza di fare da soli, alla fine risulta un vantaggio per realizzare un risparmio di energie e di risorse, favorire un ordinato sviluppo e facilitare quella fraternità che per il senso cristiano della vita è il frutto maturo più importante da perseguire e da coltivare.

l’INCONTRO

GIOVEDÌ 11 DICEMBRE, alle ore 16, alla sala del Dottorato presso le Logge di San Lorenzo, a Perugia, incontro degli “Amici de La Voce” vecchi e sono i benvenuti i nuovi. Alle 18 messa in cattedrale in ricordo di tutti gli operatori de “La Voce” che nei sessant’anni sono passati alla casa del Padre, tra cui don Remo Bistoni e il primo Vescovo del rilancio del settimanale nel 1984 mons. Cesare Pagani.

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Marconi Vescovo. Vocazione giovane https://www.lavoce.it/marconi-vescovo-vocazione-giovane/ Thu, 10 Jul 2014 20:21:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26631 Nazzareno-Marconi-web3 gennaio 1977, ore 11. La data è scolpita nella memoria di mons. Nazzareno Marconi. È di quelle che non si dimenticano perchè segna la svolta della sua vita, quella della vocazione. In realtà don Nazzareno fin da piccolo diceva di voler diventare prete. Sarà stata la vicinanza con lo zio don Edoardo, ma quel desiderio lo espresse poi anche da adolescente al punto da far parte di un gruppo di giovani che lo stesso vescovo Cesare Pagani seguiva nel loro discernimento vocazionale. Aveva 19 anni e quell’anno doveva dare la maturità al Liceo scientifico della città, e poi scegliere “cosa fare da grande”. “Quella mattina mons. Pagani mi chiamò e mi disse ‘ho già capito che tu dici di volerti far prete, ma non ne hai il coraggio, quindi è meglio cambiare strada’. E io con tono di sfida gli risposi ‘Sì che ce l’ho!’. E lui ‘No che non ce l’hai!’, per più volte, finchè mi disse ‘Se davvero hai il coraggio di fare questo per il Signore parti e vai in seminario!’”. Don Nazzareno pensava al Seminario di Assisi, vicino a casa, tanto da poter tornare spesso. Ma Pagani no. Gli disse che sarebbe andato a Roma e non sarebbe tornato fino a Natale. La sua, commenta don Nazzareno, è una vocazione nata “per tigna”, per testardaggine”, a conferma che “il Signore per condurci a lui si serve anche delle nostre debolezze quando non può servirsi delle nostre virtù”.

Così don Nazzareno è entrato al Pontificio Seminario Romano Maggiore e ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia alla Pontificia Università Lateranense e in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e il 2 luglio 1983 è stato ordinato prete. Dopo l’ordinazione ha completato gli studi con la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e il Dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Urbaniana. Durante il periodo degli studi è stato scelto per alcuni anni come educatore al Seminario Romano.

Dopo l’esperienza di viceparroco a San Giustino, nel settembre 1988 è stato nominato parroco della parrocchia di San Michele Arcangelo a Citerna, rimanendovi fino al 2004. Dal 1988 insegna Esegesi dell’Antico Testamento all’Istituto Teologico di Assisi. Dal 2004 al 2012 è stato Rettore del Seminario regionale umbro “Pio XI”. Dal settembre 2013 è stato parroco della parrocchia di San Donato in Trestina.

In diocesi ha ricoperto numerosi incarichi, tra i quali quello di direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, e ha collaborato a lungo con il Servizio diocesano di pastorale giovani e la Scuola diocesana di formazione teologica “Cesare Pagani”. Contemporaneamente viene scelto come consulente religioso e biblico per produzioni cinematografiche e multimediali della Rai-Radiotelevisone italiana.

Come rettore del Pontificio seminario regionale umbro di Assisi ha portato avanti uno stile formativo basato su quattro elementi fondamentali: lo sviluppo di uno stile di preghiera personale basato sulla liturgia e la Parola di Dio; l’attenzione allo studio e all’aggiornamento; la maturazione di uno stile di servizio, anche attraverso esperienze nella Caritas o in missione; la dimensione regionale quale orizzonte della pastorale.

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Festival del giornalismo: il ruolo dell’informazione cattolica https://www.lavoce.it/festival-del-giornalismo-il-ruolo-dellinformazione-cattolica/ Fri, 09 May 2014 12:31:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24839 convegno-60-anni-voceHa ancora senso parlare di giornalismo del territorio? E come si racconta la realtà nell’Era della comunicazione digitale? Sono queste le domande su cui La Voce e Umbria Radio hanno voluto riflettere in occasione del dibattito organizzato sabato scorso per i 60 anni del settimanale e i 30 anni della radio all’interno del Festival internazionale del giornalismo di Perugia.

Un momento di incontro e confronto, volto non tanto e non soltanto a celebrare queste due lunghe storie, ma soprattutto a riflettere sulle sfide del futuro. “Qual è il senso della nostra dimensione e del nostro legame con il territorio? E quale quello della svolta digitale che stiamo vivendo? – ha sottolineato, aprendo l’incontro, il direttore de La Voce, don Elio Bromuri -. Vogliamo essere un laboratorio locale di crescita e formazione, perché la qualità del modo di comunicare dipende dalla qualità del modo di essere, che dipende dalla formazione”.

A ragionare insieme a don Bromuri, il direttore di Umbria Radio, don Paolo Giulietti, il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, e il coordinatore di Eurocom – Giornalisti per l’Europa, Paolo Bustaffa.

Una trentina di anni fa, Tarquinio mosse i primi passi nella professione giornalistica proprio nella redazione de La Voce. Un periodo formativo che l’attuale direttore di Avvenire ricorda con affetto e riconoscenza: “Devo a La Voce – racconta – parte della mia formazione professionale. Quello che ho imparato lavorando in un settimanale regionale è che il territorio ti obbliga tutti i giorni a fare i conti con la tua professionalità e onestà intellettuale, in quanto l’effetto e la correttezza del proprio lavoro lo si tasta ‘dal vivo’, incontrando fisicamente le persone di cui si parla e dovendo dar loro conto del proprio operato”.

A maggior ragione, sottolinea ancora Tarquinio, l’informazione cattolica continua ad avere un ruolo fondamentale nel panorama della comunicazione digitalizzata e globalizzata. “L’informazione cattolica – spiega – non è mai un’informazione ‘del grido’, ma una parola che, con rispetto e chiarezza, non ha paura di dire la verità”.

Alle sue parole si uniscono quelle di Paolo Bustaffa, che parla di “riscoprire il magistero della comunicazione per tutti coloro che fanno cultura e informazione” proprio e soprattutto nel territorio, “il luogo dove è garantita l’identità senza rinunciare alla capacità del dialogo”.

Guardare al futuro, però, non significa dimenticare il passato. Ed è per questo che don Paolo Giulietti ha concluso l’incontro facendo memoria di tutti coloro che negli anni hanno reso possibile le attività del settimanale e della radio, strumenti di servizio e dialogo di tutta la comunità. Della radio ha sottolineato le caratteristiche per le quali la volle l’arcivescovo mons. Cesare Pagani e che ne orientano tutt’ora il servizio: radio di comunità, ed anche per questo la si volle di proprietà di una cooperativa; radio per il dialogo, per un confronto alla pari con tutte le realtà locali; radio di servizio, anzitutto ai malati, ma in gradi di comunicare con i giovani e con le famiglie “La parola che voglio sottolineare – ha concluso – è gratitudine: nei confronti di coloro che negli anni hanno dato il proprio contributo, spesso in maniera volontaria, per la sopravvivenza di questi ‘piccoli miracoli’ che sono i nostri media”.

Il saluto del Cardinale Bassetti al 60 del nostro settimanale: “La Voce è uno strumento della Provvidenza”

«Devo confessare che come tutti non leggo per intero “La Voce”, ma i fondi di don Elio Bromuri, io settimanalmente li esamino, e se si rimette insieme tutti gli anni in cui è stato direttore e ha scritto questi fondi viene fuori un tracciato della vita della cultura dell’Umbria interessantissima, e anche direi della nostra nazione. Bisognerebbe davvero raccoglierli tutti questi fondi de “La Voce”! E con lui ringrazio la redazione, tutti i suoi collaboratori, coloro che scrivono, coloro che cooperano.

È importante un settimanale diocesano e ancora più importante un settimanale regionale.

Credo che in Umbria non ci sia niente di paragonabile al nostro settimanale dove come in una sinossi tu vedi la vitalità di tutte le diocesi dell’Umbria. Per me ad esempio, per la missione che svolgo, è importantissimo. Prima ancora di andare a cercare le pagine di Perugia – Città della Pieve, vado a vedere ciò che si vive, ciò che si pensa, ciò che si riflette non solo nel mondo cattolico ma in tutta la società dell’Umbria, attraverso il nostro settimanale.

Vi invito perciò ad apprezzarlo, ad amarlo, a diffonderlo, perché credo che sia uno strumento della provvidenza di cui soprattutto oggi, nel rispetto di tutti i mezzi della comunicazione, non si possa fare a meno.

Voglio concludere soltanto con una parola. L’esecuzione tra poco della Messa in Sì minore Johann Sebastian Bach, un capolavoro sicuramente della musica universale, ci aiuti davvero stasera ad entrare in quella straordinaria dimensione dello Spirito che unisce tutti gli uomini, attorno al grande ideale della bellezza e per i credenti della contemplazione dell’assoluto. E voglio fare un saluto al direttore di Avvenire Tarquinio, noi lo ricordiamo perché è stato giornalista e collaboratore de La Voce. Grazie ancora per questa numerosa e affettuosa presenza».

Gualtiero Cardinale Bassetti
Arcivescovo diPerugia – Città della Pieve

Guarda la fotogallery del concerto

 

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Umbria Radio, 30 anni sulla cresta delle onde https://www.lavoce.it/umbria-radio-30-anni-sulla-cresta-delle-onde/ Thu, 13 Mar 2014 14:16:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23602 Mons. Giulio Giommini nel suo ufficio nella sede di “Radio Augusta Perusia”
Mons. Giulio Giommini nel suo ufficio nella sede di “Radio Augusta Perusia”

7 marzo 1984 – 7 marzo 2014: trent’anni vissuti in mezzo alla gente, trent’anni di programmi, notiziari, approfondimenti non solo a livello regionale, ma anche nazionale e internazionale. Oggi Umbria Radio è una delle principali emittenti radiofoniche della regione, segnalandosi nel panorama generale non solo per l’attenzione ai contenuti più chiaramente confessionali, ma per lo spazio dato all’informazione e alla cultura, tanto da venire scelta come media partner di importanti manifestazioni locali. L’intrattenimento non manca, ma anche la proposta musicale e di svago viene pensata con intelligenza e con finalità “educative”. Umbria Radio, anche nelle sue trasmissioni più leggere, cerca di aiutare i suoi ascoltatori a pensare, non a smettere di farlo: vuol divertire senza distrarre.

A trent’anni dall’inizio delle trasmissioni, l’emittente perugina ha quindi molti motivi per celebrare con gioia e gratitudine, insieme a suoi ascoltatori, tale importante anniversario. Non mancano, come per tante altre realtà della regione, motivi di preoccupazione legati alla crisi economica, in cui all’aumento dei costi si accompagnano una seria contrazione degli introiti pubblicitari e l’incertezza dei contributi pubblici. Festeggiare i trent’anni significa quindi riaffermare la validità del percorso compiuto e la necessità di sostenerne la continuazione, nella consapevolezza che, nonostante il generalizzato calo di interesse verso i media tradizionali, la radio conosce invece una significativa crescita, anche nell’ambito delle nuove generazioni.

Il 7 marzo 1984 l’arcivescovo mons. Cesare Pagani, dopo un primo “esperimento” tecnico condotto la notte di Natale precedente, inaugurava le trasmissioni di Radio Augusta Perusia, affidata alla direzione di mons. Giulio Giommini: l’aveva chiamato per questo, togliendolo dalla parrocchia di Castiglione del Lago, dove aveva avviato una pionieristica esperienza radiofonica parrocchiale. Nel suo discorso inaugurale, mons. Pagani sottolineava la duplice funzione dell’emittente, che da allora ne ha caratterizzato costantemente l’azione: da una parte essere, per le persone sole e malate, un’opportunità di vicinanza e di coinvolgimento; per tutti gli altri – credenti e non – rappresentare la proposta di una visione cristianamente ispirata della realtà. Non solo, quindi, preghiere e catechesi, ma informazione, cultura, musica, intrattenimento… A mons. Giommini veniva affidata una “parrocchia virtuale” potenzialmente assai numerosa: la “grande assemblea” menzionata nel Salmo 39, significativamente citato in occasione della sua scomparsa avvenuta nell’aprile 2008. Il logo azzurro del campanile-antenna (disegnato da mons. Nello Palloni) rappresentava bene l’identità e le aspettative della nuova emittente.

Nei primi anni di vita, Radio Augusta Perusia si è largamente affidata al volontariato, acquisendo la chiara identità di “radio comunitaria”: un gran numero di giovani e adulti, espressione di parrocchie, gruppi e movimenti, si sono avvicendati negli studi, collocati sin dall’inizio al primo piano del chiostro della cattedrale di Perugia. Nonostante un certo dilettantismo, la mole di contenuti autoprodotti e la loro capacità di rispecchiare la vita e la ricchezza della comunità cristiana di Perugia ne hanno fatto ben presto un’emittente di assoluto rilievo nel panorama locale.

Nel 2000, la svolta: la Radio ha assunto una dimensione marcatamente regionale, prendendo il nome di Umbria Radio e mettendosi in sinergia con altre emittenti cattoliche. Il bacino di utenza si è notevolmente ampliato, andando a comprendere l’intera regione (e anche i territori limitrofi). Anche la quantità e la qualità dei servizi si è accresciuta, segnatamente in direzione dell’ambito sportivo, grazie all’acquisizione dei diritti per la trasmissione in diretta delle partite del Perugia Calcio (allora in serie A). La situazione generale ha consentito di operare significative migliorie tecniche e di ampliare l’organico nel senso di una maggiore professionalità, con l’apporto del circuito InBlu che proprio in quegli anni prendeva vita.

Il trentennale di Umbria Radio sarà celebrato con adeguato rilievo nel contesto del Festival internazionale del giornalismo, che si terrà a Perugia dal 30 aprile al 4 maggio.

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Mons. Radossi, da Tito all’Umbria. Qui, vescovo di Spoleto, fondò “Il Risveglio” https://www.lavoce.it/mons-radossi-da-tito-allumbria-qui-vescovo-di-spoleto-fondo-il-risveglio/ Fri, 07 Mar 2014 15:24:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23343 Quando La Voce iniziò il suo cammino, cioè sessant’anni fa, io ero giovane parroco in un antico castello longobardo del Leonessano, a 1100 metri d’altezza, e La Voce mi aiutò a non sentirmi solo né isolato. Recava notizie delle varie diocesi dell’Umbria, ma diceva anche parole chiare sul comunismo, che in quegli anni era esaltato in regione come un regime di libertà e di giustizia sociale.

Il vescovo del tempo, mons. Raffaele Radossi, che era stato vescovo di Pola e Parenzo, aveva vissuto sulla sua pelle il dramma della epurazione dei 300.000 esuli giuliano-dalmati da parte di Tito e dei suoi miliziani slavi, assistendo impotente alle orrende stragi delle foibe, un vero genocidio, e a tutte le vessazioni di quegli anni bui, compreso un attentato fatto a lui stesso scavando nella strada una profonda buca dove il Vescovo finì con la sua macchina, salvandosi fortuitamente. Il regime comunista lo processò e lo condannò a morte. A quel punto la Santa Sede decise di trasferirlo in luogo più sicuro, e il 7 luglio 1948 lo mandò vescovo a Spoleto, ove è rimasto 19 anni fino al 23 giugno 1967.

A Spoleto lo seguirono, profughi, preti e seminaristi con le loro famiglie, che furono dislocati soprattutto nelle parrocchie di montagna, scarse di clero. Un seminarista, compagno di scuola al Regionale di Assisi, Eugenio Ravignani, fu poi vescovo di Vittorio Veneto, quindi arcivescovo a Trieste. A Spoleto mons. Radossi diede subito vita il 20 maggio 1949 a un vivace settimanale, Il Risveglio, che non aveva timore di affrontare anche i comunisti, allora forte maggioranza nella città e nel suo territorio.

Con l’avvento de La Voce nel 1953, Il Risveglio confluì, come richiesto dai Vescovi, nel nuovo strumento di comunicazione regionale. Una maggiore vivacità anche polemica già era stata sollecitata con lettera dell’ 8 novembre 1952, com’è noto, anche dalla Segreteria di Stato (mons. Montini), che non gradiva il comportamento un po’ rinunciatario dei vescovi umbri.

Il nuovo direttore de La Voce, perciò, don Antonio Berardi, parroco di Fossato di Vico, diede al settimanale una impronta piuttosto battagliera per più anni, sino al 1972, quando morì d’improvviso. I Vescovi dell’Umbria, sotto la presidenza del nuovo vescovo di Perugia mons. Cesare Pagani, tornarono alla stretta regionalità del settimanale e alla rimodulazione dei suoi contenuti.

Oggi il settimanale s’è fatto ricco di rubriche pastorali, anche se ha ridimensionato l’antico smalto polemico, facendo crescere nuovi interessi per accompagnare il cammino pastorale della Chiesa, chiamata anche in Umbria a una “nuova evangelizzazione”, della quale Papa Francesco ha dato chiara definizione nella sua esortazione Evangelii gaudium (nn. 160-175), aprendo anche ai movimenti ecclesiali, che sono definiti “una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori, in costante uscita verso le periferie”.

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Don Agostino è stato un “vero prete di Dio” https://www.lavoce.it/don-agostino-e-stato-un-vero-prete-di-dio/ Thu, 06 Feb 2014 14:03:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22000 Don Agostino Rossi in una foto di qualche anno fa
Don Agostino Rossi in una foto di qualche anno fa

Sei uomini vestiti di nero hanno attraversato la stupenda piazza del duomo di Spoleto portando a spalla la bara con i resti mortali di don Agostino Rossi, consegnato alla comunità raccolta in preghiera. Non c’era una grande folla e non si è visto nessuno versare una lacrima. Non c’erano neppure le autorità. Don Agostino da qualche anno era entrato nel cono d’ombra e l’arcivescovo Boccardo al termine dell’omelia, non ha mancato di notare che la riconoscenza non è una virtù di questo mondo. Eppure, ha detto l’arcivescovo, don Agostino, definito un “vero prete di Dio”, ha dato esempio di fede e di amore alla Chiesa spendendo le sue elevate doti naturali e di grazia in una multiforme e indefessa attività pastorale.

Ricordarlo in queste pagine del settimanale La Voce, al quale era molto legato e per il quale molto si è speso, significa esprimere gratitudine e dare testimonianza della ricchezza di doti umane e di virtù cristiane che gli conferivano un’autorevolezza ed una credibilità indiscusse in ogni ambito della sua attività. Ricordiamo in particolare che la svolta operata nel 1984 in questo settimanale ha un particolare legame con Spoleto e il suo vescovo Ottorino Alberti, il suo avvocato Giuliano Salvatori del Prato, che si sono affiancati agli altri vescovi umbri, in primo luogo a Cesare Pagani, vescovo di Perugia, per dare un nuovo inizio, una nuova nascita, a La Voce.

Don Agostino che era presente e attivo fin dall’inizio della fondazione de La Voce, sessanta anni fa si era dato molto da fare per le comunicazioni sociali della sua diocesi con grandi fatiche e dispendio di energie, comprese e volle offrire la sua opera al nuovo cammino che stava iniziando. Si è impegnato nella stesura di articoli, nella diffusione e nel sostengo al giornale fino all’ultimo. Qualche prete di Spoleto nota che era diventato persino ripetitivo nel ricordare in ogni occasione la necessità di diffondere La Voce. Uomo di cultura e di scuola, egli sapeva quanto sia importante la comunicazione e se ne serviva per favorire la crescita di una comunità ecclesiale matura e operosa soprattutto di laici ben formati. Rileggendo alcuni suoi articoli c’è da rallegrarsi per il suo “spirito” , la sua interiorità, la sua serenità e acutezza, la sua semplicità e franchezza, la sua immediatezza di comunicazione, la sua disponibilità ad aiutare gli altri e la sincerità di un’amicizia di cui ci sentiamo veramente gratificati. Chi ha la raccolta de La Voce vada a rileggere alcuni suoi articoli degli anni passati così come quanto scritto su di lui in occasione del suo 90° anniversario nel n. del 19 dicembre del 2008. Ne vale la pena.

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60 anni di informazione al passo con i tempi https://www.lavoce.it/60-anni-di-informazione-al-passo-con-i-tempi/ Thu, 09 Jan 2014 18:00:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21431 Senza-titolo-1La storia de La Voce potrebbe essere raccontata come una successione di scelte che segnano dei passaggi – delle svolte, scrive il direttore nella pagina accanto – nella vita della comunità ecclesiale dell’Umbria. Fin dalla nascita, e non solo successivamente. Nel 1953, infatti, la scelta delle 14 diocesi umbre di unirsi per realizzare un comune settimanale diocesano matura all’interno di una strategia di impegno pastorale più vasta che porta alla decisione di chiudere le testate diocesane esistenti (tra queste Il Segno di Perugia e la stessa Voce Cattolica di Città di Castello della quale resta, in parte, il nome).

Fu una scelta decisamente in controtendenza rispetto ai campanilismi allora come oggi fortemente radicati nella cultura umbra, e l’unica diocesi a non aderire al progetto fu Foligno che non se la sentì di abbandonare la Gazzetta regolarmente pubblicata dal 1886 e il più antico dei settimanali diocesani.

La “svolta”, prima di tutto pastorale, non fu decisa a cuor leggero. Sollecitata da papa Pio XII preoccupato della penetrazione dell’ateismo comunista nelle masse contadine e operaie del tempo, maturò in un grande convegno ecclesiale regionale in cui si decise di unire le forze e i propri mezzi di comunicazione. Il primo numero del nuovo settimanale comune La Voce uscì il 13 dicembre 1953. Sotto la direzione di mons. Pietro Fiordelli fa subito sentire il suo peso, ma appena un anno dopo con la sua nomina a vescovo di Prato, si profila una nuova svolta con il cambio del direttore. Gli succede mons. Antonio Berardi, parroco di Fossato di Vico e collaboratore della prima ora, che negli anni estende la diffusione del giornale in molte diocesi italiane con la formula delle “edizioni separate”, fino al giorno della sua morte, giunta improvvisa l’8 novembre 1972.

Il 1972 è anche l’anno in cui arriva nella Chiesa umbra mons. Cesare Pagani artefice della seconda “fondazione” del giornale e della nascita della radio diocesana Radio Augusta Perusia, oggi Umbria Radio, che giungerà in porto nel 1983 quando i vescovi umbri decidono di tornare alla formula originaria dell’unico settimanale per le diocesi umbre. Anche l’assetto proprietario segna una svolta innovatrice: i vescovi decidono di dare vita ad una società per azioni lanciando una campagna di azionariato popolare il cui scopo è sì di raccogliere fondi ma ha di fare de La Voce il giornale della comunità.

Mons. Elio Bromuri, sacerdote della diocesi perugina all’epoca insegnante di Filosofia al Liceo cittadino, è chiamato alla direzione del giornale. Il primo numero del nuovo corso esce con la data del 1 gennaio 1984 ed è stampato sulla rotativa acquistata appositamente, la prima e per diversi anni l’unica in regione. Il giornale ha 16 pagine delle quali 7 sono affidate ai corrispondenti diocesani (1 per ogni diocesi esclusa Foligno) mentre la redazione regionale è composta da giovani laici (Luca Diotallevi di Terni oggi docente universitario di sociologia, Marco Tarquinio di Assisi oggi direttore di Avvenire, e Maurizio Maio di Città di Castello ai quali ben presto si aggiunge Daris Giancarlini affermato giornalista all’Ansa di Perugia) e da don Antonio Santantoni.

Il nuovo direttore non è ancora iscritto all’albo dei giornalisti e così, per i primi due anni necessari per l’iscrizione, è direttore responsabile un’altra firma nota del giornalismo cattolico, mons. Remo Bistoni.

Negli anni che seguono cambiano sia gli assetti societari che le collaborazioni ma il settimanale prosegue sulla linea editoriale indicata sulla prima pagina del primo numero del 1984 negli editoriali dell’editore, a firma del vescovo Carlo Urru, e del direttore.

Nel 1993 La Voce celebra i 40 anni della fondazione ospitando il convegno nazionale della Federazione dei settimanali cattolici. È un grande evento che ha eco sulla stampa nazionale per il dibattito dei direttori dei settimanali cattolici con il segretario del Partito Popolare Mino Martinazzoli.

Un anniversario che coincide con la “svolta” politica e sociale di un’Italia e di un mondo cattolico “orfani” della Dc.

Molte sono le firme che negli anni arricchiscono il settimanale e grandi sono i cambiamenti tecnologici che hanno portato tra l’altro La Voce ad essere, nel 1994, tra i primissimi giornali in Italia ad essere presenti in internet con il proprio sito web www.lavoce.it, e il webmaster Massimo Cecconi riceve, via e-mail, le congratulazioni del direttore dell’Unità Valter Veltroni.

Gli anni ’90 sono gli anni dell’evoluzione tecnologica che cambia anche il modo di fare il giornale: entrano in redazione i primi personal computer a sostituire le macchine da scrivere e ben presto anche la fotocomposizione passa dalla tiporafia alla redazione, gli articoli dei corrispondenti arrivano sempre meno con i “fuori sacco” postali e sempre più con il fax e infine con le e-mail.

Il processo si conclude nel 2003, in occasione del 50° de La Voce con il passaggio alla stampa a colori di alcune pagine.

Con la produzione del giornale in sede inizia anche la produzione editoriale come casa editrice con la pubblicazione di libri di vario genere di autori locali. Nel 1994 inizia la pubblicazione degli opuscoli proposti ai parroci quale segno da portare nelle famiglie nelle benedizioni pasquali.

La Voce si fa presente nei più importanti eventi ecclesiali (dalle visite dei Papi agli ingressi dei nuovi vescovi ai convegni pastorali regionali) con edizioni speciali a grande diffusione.

Trenta anni dopo La Voce ha mantenuto la struttura di fondo fatta di una redazione centrale e redazioni diocesane.

Tra i collaboratori ci sono state e ci sono firme che offrono la loro collaborazione in spirito di volontariato e infine, ma non ultimo, gli stessi vescovi dal 2003 sono presenti settimanalmente in pagina con un loro intervento che sul sito web abbiamo chiamato “Parola di vescovo”.

Infine nel 2012 si rinnova anche il sito web www.lavoce.it che diventa multimediale e interattivo. È la nuova “svolta” di una comunicazione che negli ultimi trent’anni è cambiata radicalmente ponendo ai media tradizionali come il giornale, la radio e la televisione, la grande sfida dell’integrazione con il web e il digitale. È la “svolta” tecnologica e culturale non ancora risolta.

La Voce è entrata nel futuro con tutto il patrimonio che viene dalla sua storia e dal suo essere il giornale della comunità cristiana dell’Umbria.

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1984, l’anno della svolta https://www.lavoce.it/1984-lanno-della-svolta/ Fri, 13 Dec 2013 09:18:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21047 composizione-2013Per una felice e del tutto fortuita circostanza, nel 1983, a trent’anni di distanza dalla fondazione, il settimanale La Voce sale all’attenzione di mons. Cesare Pagani divenuto arcivescovo di Perugia (1981-1988), personaggio aperto alla dimensione sociale e in particolare alla problematica delle comunicazioni sociali. Egli si propose di rimettere in mano ai Vescovi la proprietà e la gestione del settimanale, che dalla morte di don Antonio Berardi (1972) aveva preso una direzione diversa, divenendo un giornale cattolico generalista che non rappresentava più l’originaria dimensione regionale umbra.

In quel periodo era in atto nel Paese un’aspra lotta tra i due “blocchi” della destra e della sinistra, nel mondo e in Italia, e quindi anche il giornale era divenuto un organo di forte polemica anticomunista, che per alcuni, anche vescovi, era eccessivamente aspra. Mons. Giuliano Agresti, arcivescovo di Spoleto (1969-1973), giunse a consigliare ai preti di non diffondere il giornale in diocesi. Pagani, com’era suo stile, decise di “voltare pagina” e ridare a La Voce il carattere regionale e la finalità pastorale che erano state all’origine della sua fondazione. Per questo mise in piedi una struttura amministrativa e una redazionale che potessero garantire al settimanale una diffusione capillare e un continuità nel futuro per il bene religioso e sociale dell’Umbria. Fu una scelta coraggiosa, perfino rischiosa, perché si dovette rinunciare alla diffusione fuori regione, che garantiva una tiratura molto maggiore. Pagani sapeva che l’Umbria è piccola e povera di mezzi, ma era convinto che il criterio economico non fosse quello decisivo per fare le scelte pastorali.

È sciocco infatti dire che il gioco non vale la candela quando si ha a che fare con la predicazione del Vangelo o con la formazione di una opinione pubblica favorevole alla Chiesa e alla sua predicazione. Sulla base di queste premesse, il 1° gennaio 1984 uscì il primo numero firmato a nome dei Vescovi dal vescovo di Città di Castello mons. Carlo Urru, segretario della Conferenza episcopale umbra, e dal novello diettore don Elio Bromuri per la redazione. Non essendo quest’ultimo ancora nell’Albo dei giornalisti – proveniendo dal mondo della scuola, in quanto insegnante di Storia e filosofia al liceo Galilei, poi comandato presso il Provveditorato agli studi -, la firma ufficiale era quella di don Remo Bistoni, il quale non solo era giornalista iscritto all’Albo, ma uno dei primi fondatori del settimanale insieme a don Pietro Fiordelli e altri.

Nella foto una delle prime riunioni di redazione agli inizi del 1984 nella prima sede di via della Gabbia a Perugia
Nella foto una delle prime riunioni di redazione agli inizi del 1984 nella prima sede di via della Gabbia a Perugia

La prima redazione era formata da rappresentanti delle diocesi, personaggi che poi hanno fatto la loro vita altrove in posti di responsabilità. Queste storie sono note e ormai narrate più volte. Quello che forse è da sottolineare consiste nella stabilità in cui si è assestato questo strumento di comunicazione sociale, che a trent’anni da questa rinascita rappresenta un elemento costitutivo dell’identità della nostra regione. Vi sono infatti realtà che scorrono come un ruscello nelle pagine del settimanale, che senza clamori racconta le gioie e le tristezze, soprattutto le promesse e le speranze, e anche le sofferenze che serpeggiano o si manifestano in modo eclatante nel tessuto sociale del nostro popolo umbro.

Un docente di Storia, esperto anche di storia locale, Stramaccioni, mi diceva pochi giorni fa che nessuno potrà fare a meno de La Voce se vuole scrivere o conoscere la storia dell’Umbria di questi decenni trascorsi. Ciò vale soprattutto per la storia religiosa, la pietà popolare, la successione e l’opera pastorale dei vescovi e di molti parroci, le visite dei Papi in terra umbra. Ciò vale anche per il modo di accostarsi al Testo sacro, con i commenti che hanno visto succedersi molte firme, tutte di alta competenza. Voglio ricordare la teologa Lilia Sebastiani, i vescovi Benedetti, Chiaretti, Paglia, i biblisti Oscar Battaglia, Giulio Michelini, Bruno Pennacchini, fino alle famiglie che ci accompagnano in questi mesi. Ma quello che soprattutto conta è la stima di credibilità e affidabilità – e lo stile di dialogo e di rispetto nell’affermazione delle verità e delle convinzioni di un popolo credente – che La Voce si è conquistata nel tempo. Il futuro che si presenta offre novità di carattere tecnico (il digitale e il Web), con una mentalità in rapido cambiamento con la quale si devono fare i conti per non essere una “voce che grida nel deserto”, ma poter incrociare le sfide che stanno di fronte agli uomini e alle donne del nostro tempo.

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Esce il volume che raccoglie tutte le lettere pastorali di mons. Pagani https://www.lavoce.it/esce-il-volume-che-raccoglie-tutte-le-lettere-pastorali-di-mons-pagani/ Fri, 15 Mar 2013 14:35:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15614 libroPaganiLettere“Nessuno deve sottrarsi ai doveri sociali, in questa ora di generale difficoltà e di austerità… Certamente auspichiamo una politica economica più adeguata; giustamente dobbiamo pretendere sanzioni contro coloro che sfruttano perfino le difficili congiunture per moltiplicare i propri lauti guadagni; ma è necessario che ciascuno di noi sappia condividere i doveri di questo periodo, nell’ambito delle sue possibilità… È giusto che veniamo contestati; è provvidenziale per la Chiesa di Dio la presenza di chi protesta contro il tradimento del comando di Cristo. Certo, non si può accettare la pseudo-contestazione di chi farisaicamente chiede agli altri senza prima imporre a se stesso il superamento dell’egoismo… Ma io credo che meriti attenzione la contestazione che alcuni giovani, con la franchezza tipica della loro età, talvolta suscitano all’interno delle nostre comunità… Essi hanno il dovere-diritto di desiderare e di attuare una società civile e una comunità ecclesiale meglio corrispondente agli ideali espressi dallo stesso cristianesimo”. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono parole di oggi, ma hanno quasi quarant’anni: Cesare Pagani le scriveva nella lettera pastorale Saremo giudicati sull’amore per gli altri rivolgendosi, nella Quaresima 1974, “ai sacerdoti e ai fedeli delle diocesi di Città di Castello e di Gubbio”, di cui era vescovo da un anno appena. A consacrarlo era stato Paolo VI, in San Pietro, il 13 febbraio 1972; veniva da Milano e dal mondo del lavoro, e in quelle frasi condensava questo e molti altri amori, precisati ancora meglio in seguito: i giovani per esempio, le famiglie, la cura della vita interiore e spirituale, lo smascheramento di tutti gli egoismi, sia quelli individuali sia quelli sociali.

Non sono parole di oggi, quelle citate, anche perché, potremmo dire, sono parole rivolte al domani, al futuro, come quasi tutto ciò che è contenuto nelle venti lettere pastorali di mons. Pagani: dieci nell’episcopato tifernate ed eugubino, dieci in quello successivo, che lo vede vescovo di Perugia e di Città della Pieve (prima riunite nella sua persona e poi anche giuridicamente) dal 1981 (l’ingresso solenne agli inizi del 1982) fino alla prematura morte nel 1988. Venti lettere pastorali che la diocesi di Perugia, e in particolare il vicario generale mons.

Paolo Giulietti con un nutrito e agguerrito gruppo di lavoro, ha ritenuto opportuno “rilanciare” in questo 25° anniversario, non solo e non tanto con finalità celebrativa ma anche e soprattutto per la loro carica profetica e per la loro sorprendente attualità. Mons. Pagani ha ancora molto da dire, alle generazioni attuali e nelle attuali congiunture. Ne sa qualcosa chi ha collaborato all’attuazione del volume – innamorandosene – e ha avuto la grazia di centellinarne, si può dire, virgola per virgola, perché nel periodare di questo Pastore non c’è nulla che non sia significativo, essenziale, concreto e, al tempo stesso, spiritualissimo.

Un profeta – s’è detto – “interattivo”, per usare un termine contemporaneo che probabilmente lo stesso Pagani avrebbe amato e usato, come faceva con quelli del suo tempo. “Dal conoscersi può venire l’amarsi; dalla comunicazione può essere favorita la comunione”, scrive nel 1982 ai perugini nella lettera intitolata Io sono con voi tutti i giorni: fermo restando che la sostanza dell’una e dell’altra è Cristo, nella centralità della eucaristia e nell’insostituibile mediazione della Chiesa. Per questa ecclesialità creduta e vissuta, la forma dei suoi documenti (spesso ciclostilati per essere diffusi in modo più informale e capillare) non è quella assertiva di un trattato ma vi prevale la funzione di “appello”: interrogativi, domande, provocazioni per coinvolgere il lettore-fedele-ascoltatore. Né si trattava di quesiti retorici: erano domande vere, sollecitavano risposte scritte e soprattutto operative, di cui il Pastore teneva debito conto nella pastorale, nei gesti concreti di condivisione, nei documenti successivi. Il volume intitolato Cesare Pagani: Lettere pastorali. Il magistero episcopale dal 1973 al 1988, edito da La Voce in veste semplice e curatissima, è corredato da saggi e testimonianze di Gualtiero Sigismondi, figlio spirituale di mons. Pagani e oggi vescovo di Foligno; di Giuseppe Chiaretti, arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve; e di Giancarlo Pellegrini, docente di Storia contemporanea all’Università di Perugia. Lo impreziosisce l’introduzione di mons. Paolo Giulietti, che chiarisce il senso di questa e di tutte le altre iniziative.

Si prevede di inserire il libro in una trilogia, racchiusa in cofanetto, insieme ad altri due volumi che completano il ritratto e il messaggio di mons. Cesare Pagani. Il primo è la riedizione del trattato di ecclesiologia Spero perché credo la Chiesa, di mons. Sigismondi, per i tipi della Porziuncola, la stessa che lo pubblicò nel 2002. La frase che dà il titolo a questo libro, rielaborata da elementi del Credo, è tratta da un’altra delle lettere di Pagani: “Dare senso alla vita”, del 1980, incentrata sui giovani ma rivolta a tutti. A tutti e a ciascuno, come amava sottolineare l’autore. È appena il caso di sottolineare, dal canto nostro, che il capitolo precedente della stessa lettera si intitolava Spero perché credo l’amore. Non si trattava mai di parole vuote, di cui si potesse sospettare che a Pagani piacesse solo il suono. Chi vuol approfondire alle radici la vita di quest’uomo venuto dal Nord e innestatosi perfettamente nella nostra realtà concreta, oggi purtroppo non sempre ricordato come meriterebbe, può leggere il terzo volume (uscito nel 2008 a Milano, a cura del Gruppo amici ambrosiani di monsignor Cesare Pagani) intitolato Cesare Pagani: la passione e il coraggio, che ripercorre i suoi passi fin dalle origini della famiglia nell’hinterland milanese, il seminario, l’ordinazione nel duomo di Milano da parte del card. Alfredo Ildefonso Schuster (oggi beato), i primi passi nelle parrocchie “sotto le bombe” (nel 1944, come lui amava dire; anche sua madre morì di spavento a causa di uno scoppio), i passi da gigante con le Acli, l’amicizia e la profonda consonanza di interessi con il card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano e poi papa Paolo VI, che lo inviò in Umbria come vescovo.

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Perugia ricorda mons. Cesare Pagani https://www.lavoce.it/perugia-ricorda-mons-cesare-pagani/ Tue, 12 Mar 2013 17:17:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15503 cesare-paganiL’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti ha presieduto la celebrazione eucaristica di suffragio per mons. Cesare Pagani, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve dal 1981 al 1988, tenutasi nella cattedrale di San Lorenzo nel pomeriggio del 12 marzo, giorno del 25° anniversario della morte. Alla celebrazione hanno partecipato anche l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e i vescovi di Città di Castello, mons. Domenico Cancian, e di Foligno, mons. Gualtiero Sigismondi primo sacerdote ad essere ordinato da mons. Pagani a Perugia.

Mons. Bassetti, ha ricordato il dovere di ogni vescovo di celebrare una volta all’anno la messa in suffragio per i suoi predecessori, ed ha sottolineando il fatto che i successori di Pagani sono ancora con noi ha rivolto iun pensiero particolare al cardinale Ennio Antonelli in queste ore in conclave per l’elezione del Papa.

Invitato dall’arcivescovo Bassetti, mons. Sigismondi ha poi tenuto l’omelia nella quale ha ricordato la missione episcopale dell’ arcivescovo Pagani.

Dopo aver commentato le letture della liturgia del giorno mons. Sigismondi ha così ricordato il vescovo che per lui “è stato come un padre”.

«Nel meditare questa pagina evangelica, pensando alla sollecitudine di mons. Pagani per i poveri e gli ammalati, sono affiorati alla mia mente alcuni ricordi; l’archivio del cuore fa fatica a lasciare sigillati diversi faldoni e, tuttavia, non cedo alla tentazione di aprirne qualcuno. Piuttosto, avverto l’esigenza di riascoltare quel colloquio confidenziale, di impareggiabile profondità, che egli ci ha lasciato nel suo testamento spirituale: “Adesso sì, posso portare a perfezione i grandi amori che mi hanno stimolato e sorretto lungo l’esperienza terrena”. A queste parole segue un elenco in cui egli riserva il primo posto alla Chiesa, “tanto più meravigliosa e venerata – egli dice –, quanto più ne andavo scoprendo anche qualche ruga, in alto e nel suo intimo”. L’accenno alle rughe l’ho compreso pienamente diventando vescovo. Prima dell’ordinazione episcopale ho sempre guardato la Chiesa con l’occhio del figlio che riposa nelle braccia di sua madre; adesso, da vescovo, ho scoperto nella Chiesa la Sposa: i sentimenti sono molto diversi! Quando si guarda il volto della propria madre le rughe si notano, ma non si osservano, poiché ne modellano la bellezza; quando invece si ammira il volto della sposa le rughe si notano, si osservano e, addirittura, si contano!

Quanto le “viscere episcopali” di mons. Cesare Pagani fossero percorse da un amore devoto e appassionato per la Chiesa lo lascia intendere un brano tra i più luminosi dei suoi discorsi. È bene riascoltarlo – sine glossa – osservando soltanto che si tratta di un passaggio dell’omelia tenuta nella Cattedrale di Città di Castello, il 19 marzo 1972, all’inizio del suo servizio episcopale. “Il Magnificat del ringraziamento, si effonde per naturale impulso alla Chiesa; alla mia e vostra Chiesa; a questa Madre e Maestra dalla quale e nella quale riceviamo, momento per momento, la sostanza della nostra vita. Che cosa sono, che cosa sarei, fuori di essa? Che cosa saprei di me stesso, del mio destino, del mondo, della storia umana senza i suoi insegnamenti? Che cosa potrei fare di buono, di valido, di sicuro, senza l’energia divina che la Chiesa genera dentro il mio spirito? Amici, chiedetemi tutto, ma non l’accondiscendenza ad un minimo gesto che possa recare sofferenza alla Madre comune, che ne possa intaccare la carità, l’unità, la comunione, che possa far deviare verso confusi sentieri l’energia che tutta deve essere spesa per il Regno di Dio e per la Sposa intemerata di Cristo. Mettiamoci pure sulle prime frontiere della vita ecclesiale: ne sarei orgoglioso. Ma badiamo bene che queste frontiere passino all’interno della vita spirituale, dove ognuno deve innanzitutto combattere le proprie concupiscenze, l’orgoglio, la pigrizia, l’egoismo, l’autosufficienza”.

Rileggere con la memoria della gratitudine l’insegnamento magisteriale di mons. Cesare Pagani, lasciato in eredità a quanti hanno avuto la grazia di incontrarlo, significa impegnarsi a imitarne la fede, che lo ha portato a compiere una “sintesi progressiva tra configurazione a Cristo e dedizione alla Chiesa”. A lui si addice l’antifona che la Liturgia ambrosiana ha coniato per la festa di san Carlo Borromeo: “Questi è il vero amico dei fratelli: il Signore gli ha dato la latitudine del cuore, come la sabbia sulla spiaggia del mare”.

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Mons. Pagani, “combattente” e uomo di Dio https://www.lavoce.it/mons-pagani-combattente-e-uomo-di-dio/ Thu, 07 Mar 2013 13:46:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15379 cesare-paganiProprio in uno di questi giorni di marzo di 25 anni fa, esattamente il 12, quando la stagione cominciava a sorridere di nuovo per la primavera ormai vicina, moriva l’arcivescovo Cesare Pagani. Non era stato male, non era debilitato. Aveva 66 anni, nel pieno della maturità. È caduto come cade in battaglia un soldato. Anzi, un generale di un esercito ben proteso alla battaglia.

Era certamente un combattente. Fin da quando era giovane prete impegnato con la gente semplice della parrocchia, e poi con i lavoratori in difesa dei diritti delle persone bisognose, e per svolgere un’azione di educazione e formazione di una classe operaia in grado di competere, non con la forza materiale ma con la capacità di dare ragione della propria dignità e dei propri diritti.

La sua morte ha qualcosa di particolare. Lucidamente ha percepito che era giunta l’ora. Non era rassegnato, ma consenziente e disposto a compiere la volontà di Dio. “È il momento di partire” ha detto, e ai suoi amici che gli stavano accanto ha suggerito con dolcezza: “Non piangete, su, su, siate contenti che vado al Padre”. Così mi hanno raccontato i medici che lo avevano in cura, Pasquale Solinas e Maurizio Cocchieri, non senza lacrime agli occhi: “Non ho visto mai nessuno morire in quel modo”.

La sua fede lo rendeva forte e convincente anche di fronte a situazioni difficili. Senza alzare mai la voce, penetrava nell’intimo dell’interlocutore fissandolo negli occhi e trascinandolo con fermezza dalla sua parte, la parte di Dio, di Cristo, della Chiesa. Questa sua azione era mirata soprattutto verso i giovani, che egli valorizzava e rispettava nella loro libertà, valorizzando le doti e le energie e catalizzando i loro sforzi per dare una testimonianza cristiana credibile, carica di entusiasmo.

Pagani è riuscito a convincere anche Papa Giovanni Paolo II: lo ha invitato a Perugia, coinvolgendo così la nostra città e la nostra storia in quella del grande evento di Assisi dove si svolse, il giorno dopo la visita a Perugia, la famosa Giornata di preghiera per la pace di tutte le religioni del mondo. Il Papa è andato ad Assisi partendo da Perugia dopo aver pregato nella cappella della casa Sacro Cuore quello stesso 27 ottobre 1986.

Pagani era un uomo di Dio capace di entrare in comunicazione con Lui nella preghiera dopo un lungo silenzio di preparazione interiore. Una volta ha detto che servivano due ore di preghiera silenziosa per poter giungere a un contatto mistico con Dio.

Un ricordo personale che ancora mi lascia sorpreso è quando venne a cercarmi senza preavviso nell’ufficio Studi e ricerche del Provveditorato – dove allora ero impegnato – insieme al suo segretario per propormi di assumere la direzione del settimanale regionale La Voce che intendeva rilanciare, d’accordo con tutti i Vescovi dell’Umbria.

Era la fine del 1983. Il 1° gennaio 1984 firmavo il primo numero della nuova serie, sotto la tutela di don Remo Bistoni, non avendo io ancora il titolo di giornalista. Sono ancora qui. Molti sono ancora ai loro posti da quando Pagani li ha scelti e ha dato loro un ruolo oppure una vocazione, comunque un impegno cristiano assunto con uno slancio che il tempo non ha spento né frenato.

Ciò detto, ci si spiega perché, dopo 25 anni, di mons Cesare Pagani ci sia ancora un ricordo particolarmente vivo.

Dall’impegno nelle Acli agli episcopati in Umbria

Cesare Pagani nacque a Dergano, periferia nord di Milano, il 10 maggio 1921, figlio di operai, Carlo e Adele Novati. Fin da seminarista coltivò la passione di evangelizzare il mondo del lavoro. Ordinato sacerdote dal beato card. Alfredo Ildefonso Schuster il 3 giugno 1944 – “sotto le bombe” come diceva -, l’anno dopo perdeva la madre per uno spavento causato da uno scoppio. Il suo primo incarico fu quello di vice rettore del collegio Rotondi di Gorla, fino al bombardamento dell’ottobre 1944; poi ricevette la nomina di coadiutore a Milano nella chiesa parrocchiale di Santa Maria di Caravaggio. Già qui si dedicò con particolare impegno alla pastorale giovanile e sociale e al laicato cattolico. L’11 giugno 1949 diventava coadiutore nella parrocchia di Saronno e assistente delle Acli per tutta la zona; l’8 ottobre 1952 veniva nominato assistente provinciale per le Acli di Varese, dove si trasferì nel 1956. Nel 1958 è assistente diocesano della Gioventù femminile di Azione cattolica. Il 10 agosto 1961 l’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, affida a don Cesare la creazione dell’ufficio di Pastorale sociale della diocesi; l’anno seguente nasceva il Cedim, Centro diocesano immigrati, che Pagani fu chiamato a dirigere. Il 21 giugno 1963 il card. Montini, legato a Pagani da una forte amicizia e consonanza di interessi, diventava Paolo VI. Nominato delegato vescovile ad interim per l’Azione cattolica, l’anno successivo Pagani venne chiamato a Roma dal nuovo Papa come assistente centrale delle Acli. È il tempo del Concilio Vaticano II. Con la costituzione in sede Cei del nuovo ufficio centrale per la Pastorale del lavoro, Pagani riceve da Paolo VI la nomina a vescovo di Città di Castello e Gubbio; è lo stesso Pontefice a consacrarlo, in San Pietro, il 13 febbraio 1972. Tra le due diocesi, egli si dividerà anche fisicamente alternandovi la residenza, finché, il 21 novembre 1981, Giovanni Paolo II lo invia alla sede perugina, vacante per la morte di Ferdinando Lambruschini. Presidente della Conferenza episcopale umbra fin dal 26 maggio 1976, mons. Pagani diventa così arcivescovo di Perugia e vescovo di Città della Pieve, riunite nella sua persona finché non lo saranno anche per decreto nel 1986. In quello stesso anno, il 26 ottobre, Perugia ricevette la visita di Giovanni Paolo II, alla vigilia dello storico incontro interreligioso di Assisi. Una gioia e un ulteriore impegno che il presule avrebbe avuto tempo di vivere ancora per poco, prodigandosi senza risparmio fino alla morte, a soli 66 anni, il 12 marzo 1988. Il suo Testamento spirituale è una luminosa sintesi di tutta la sua vita.

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