Cattolici e politica Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cattolici/ Settimanale di informazione regionale Wed, 21 Aug 2024 15:53:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Cattolici e politica Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/cattolici/ 32 32 La profezia di Alcide De Gasperi: lectio del vescovo Ivan in Trentino https://www.lavoce.it/la-profezia-di-de-gasperi-lectio-del-vescovo-ivan/ https://www.lavoce.it/la-profezia-di-de-gasperi-lectio-del-vescovo-ivan/#respond Wed, 21 Aug 2024 07:43:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77366

Nei giorni scorsi, a Pieve Tesino (Tn), in occasione del 70esimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi (1954-2024), l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, è stato invitato dalla Fondazione intitolata allo statista trentino a tenere la lectio dal titolo: “Profezia degasperiana. Il deserto della democrazia e la rinascita della politica”.

Il video della lectio di mons. Maffeis

https://www.youtube.com/live/vdbxihKVV9U?si=lNZTdBtYAcf_z-XR

La fondazione dedicata a De Gasperi

La Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, istituita nel 2007 dalla Provincia autonoma di Trento e dall’Istituto Luigi Sturzo di Roma, ha voluto offrire una “Lectio degasperiana” dai risvolti originali, in cui l’analisi storica incontra le suggestioni della sapienza biblica nel delineare il carattere quasi profetico dell’esperienza degasperiana.

Il deserto e la rinascita

Con l’arcivescovo Maffeis sono stati definiti i tratti quasi biblici di una marcia attraverso il deserto della democrazia e della miseria in cui si trovava l’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale. Se il deserto di ieri è forse anche un po’ il deserto di oggi, la “Lectio degasperiana” di Maffeis racconta che proprio nel momento della prova l’impegno politico può tornare a essere ispirato dal desiderio di futuro e di felicità. Purché il «profeta» non venda illusioni, ma parli con parole di verità, anche a costo di dire cose scomode e scoprirsi incompreso.

Il testo integrale della lectio dell’arcivescovo Ivan

SCARICA QUI IL TESTO: www.degasperitn.it/162817/Lectio-degasperiana-2024-Ivan-Maffeis.pdf]]>

Nei giorni scorsi, a Pieve Tesino (Tn), in occasione del 70esimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi (1954-2024), l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, è stato invitato dalla Fondazione intitolata allo statista trentino a tenere la lectio dal titolo: “Profezia degasperiana. Il deserto della democrazia e la rinascita della politica”.

Il video della lectio di mons. Maffeis

https://www.youtube.com/live/vdbxihKVV9U?si=lNZTdBtYAcf_z-XR

La fondazione dedicata a De Gasperi

La Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, istituita nel 2007 dalla Provincia autonoma di Trento e dall’Istituto Luigi Sturzo di Roma, ha voluto offrire una “Lectio degasperiana” dai risvolti originali, in cui l’analisi storica incontra le suggestioni della sapienza biblica nel delineare il carattere quasi profetico dell’esperienza degasperiana.

Il deserto e la rinascita

Con l’arcivescovo Maffeis sono stati definiti i tratti quasi biblici di una marcia attraverso il deserto della democrazia e della miseria in cui si trovava l’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale. Se il deserto di ieri è forse anche un po’ il deserto di oggi, la “Lectio degasperiana” di Maffeis racconta che proprio nel momento della prova l’impegno politico può tornare a essere ispirato dal desiderio di futuro e di felicità. Purché il «profeta» non venda illusioni, ma parli con parole di verità, anche a costo di dire cose scomode e scoprirsi incompreso.

Il testo integrale della lectio dell’arcivescovo Ivan

SCARICA QUI IL TESTO: www.degasperitn.it/162817/Lectio-degasperiana-2024-Ivan-Maffeis.pdf]]>
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Settimana sociale dei cattolici a Trieste. Intervista a don Marco Rufini https://www.lavoce.it/settimana-sociale-dei-cattolici-a-trieste-intervista-a-don-marco-rufini/ https://www.lavoce.it/settimana-sociale-dei-cattolici-a-trieste-intervista-a-don-marco-rufini/#respond Thu, 27 Jun 2024 15:31:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76765

Sono cinque le tappe della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia. Dopo il primo lancio dell’evento, si è avuta la “lettura nei territori” fra autunno e inverno 2023; quindi lo svolgimento della settimana a Trieste adesso, il 3-7 luglio 2024. Seguiranno la “generazione nei territori” e infine un evento di sintesi nel maggio 2025.

Dal 3 al 7 luglio la Settimana sociale dei cattolici

Un percorso che incrocerà il Cammino sinodale. A Trieste sono attesi 1.500 delegati, con una significativa presenza giovanile, proveniente da diocesi, associazioni e movimenti, esperienze locali di buone pratiche.

I temi. Saranno presenti Mattarella e papa Francesco

Fra i temi che verranno toccati: giovani e formazione, welfare, convivenza, lavoro, ambiente, pace, cultura e informazione. A Trieste, dal 3 al 7 luglio, è prevista anche la presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che interverrà con un discorso alla cerimonia di apertura; nonché Papa Francesco nella giornata conclusiva. È possibile accedere a tutta la documentazione, il calendario, gli accrediti, vari approfondimenti e altro ancora tramite il sito ufficiale www.settimanesociali.it.

E alcuni vescovi umbri e responsabili uffici pastorali

Anche le diocesi dell’Umbria saranno presenti alla prossima Settimana sociale, i primi di luglio. A Trieste andranno alcuni dei vescovi umbri insieme a un gruppo di responsabili degli uffici diocesani per i problemi sociali, membri di équipe del Progetto Policoro e altri operatori pastorali che si occupano di questo ambito nelle loro Chiese locali.

Intervista a don Marco Rufini

Tra loro ci sarà anche don Marco Rufini, parroco della concattedrale di Santa Maria a Norcia. È lui, dalla Pasqua scorsa, il nuovo coordinatore della commissione per la Pastorale sociale e il Lavoro (Psl) della Conferenza episcopale umbra (Ceu).

Don Marco, è un tema impegnativo quello di Trieste, vedendo anche il calo consistente della partecipazione popolare alle ultime elezioni…

“Alla crisi di partecipazione che viene fatta coincidere con l’astensionismo elettorale non credo che corrisponda una crisi di idealità, quanto il fatto che le persone più che essere contate amerebbero contare. Vorrebbero che la propria voce e il proprio pensiero potessero avere un impatto. Molte persone non cercano qualcuno a cui delegare ogni cosa, l’uomo o la donna soli al comando che risolve i problemi di tutti. Credo che in questo nostro tempo, sia uno dei grandi equivoci. L’uomo solo al comando può solo far naufragio: se naufragasse da solo non sarebbe niente, ma spesso porta a naufragare intere comunità umane”.

Si dice spesso che i cattolici ormai sono una minoranza nelle nostre comunità. Ma sui temi sociali sembrano aver ritrovato una nuova vitalità e fecondità. È solo un’impressione o ci sono davvero cammini e orizzonti nuovi?

“Sinodalità e partecipazione sono due facce della stessa medaglia. Rappresentano la grande sfida sia per la società sia per la Chiesa, in questo nostro tempo. Una sfida che richiede di assumere dei rischi e che qua e là comincia a farci osservare dei germogli belli e significativi. Nella mia parrocchia c’è una grande quercia; dicono che abbia cinquecento anni, una sorta di monumento naturale, è la quercia di Nottoria; ebbene anche quella quercia un giorno era alta due centimetri. Ecco, forse questi germogli sono alti lo stesso, ma guai a non prendersene cura e a non farli crescere: sono un grande segno di speranza”.

Da qualche anno, grazie anche alle due assemblee regionali di Foligno 2019 e 2022, anche la Chiesa umbra sta cercando nuove strade di evangelizzazione e di presenza. Con quale spirito e quali idee sei arrivato alla guida della commissione Psl della Ceu?

“Dovremmo avere il coraggio di riconoscere che oggettivamente in questo tempo non sappiamo che pesci pigliare: si tratta di un salutare smarrimento. La pastorale sociale e del lavoro credo possa dare il suo contributo soprattutto per rigenerare una coscienza popolare. In questi anni, in un certo senso, siamo vissuti sotto la dittatura dell’esperto, che sapeva risolvere tutti i problemi. La storia ci insegna che non necessariamente va così. C’è bisogno di ritornare a riconoscere il valore del concetto di ‘popolare’, che nel nostro tempo decliniamo troppo come forma di fama riconosciuta da parte dei più".

Popolare vuol dire che una cosa appartiene a un popolo.

"Rigenerare una coscienza popolare sui temi di fondo e sui valori credo che sia una delle grandi sfide da raccogliere nel nostro tempo”.

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Sono cinque le tappe della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia. Dopo il primo lancio dell’evento, si è avuta la “lettura nei territori” fra autunno e inverno 2023; quindi lo svolgimento della settimana a Trieste adesso, il 3-7 luglio 2024. Seguiranno la “generazione nei territori” e infine un evento di sintesi nel maggio 2025.

Dal 3 al 7 luglio la Settimana sociale dei cattolici

Un percorso che incrocerà il Cammino sinodale. A Trieste sono attesi 1.500 delegati, con una significativa presenza giovanile, proveniente da diocesi, associazioni e movimenti, esperienze locali di buone pratiche.

I temi. Saranno presenti Mattarella e papa Francesco

Fra i temi che verranno toccati: giovani e formazione, welfare, convivenza, lavoro, ambiente, pace, cultura e informazione. A Trieste, dal 3 al 7 luglio, è prevista anche la presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che interverrà con un discorso alla cerimonia di apertura; nonché Papa Francesco nella giornata conclusiva. È possibile accedere a tutta la documentazione, il calendario, gli accrediti, vari approfondimenti e altro ancora tramite il sito ufficiale www.settimanesociali.it.

E alcuni vescovi umbri e responsabili uffici pastorali

Anche le diocesi dell’Umbria saranno presenti alla prossima Settimana sociale, i primi di luglio. A Trieste andranno alcuni dei vescovi umbri insieme a un gruppo di responsabili degli uffici diocesani per i problemi sociali, membri di équipe del Progetto Policoro e altri operatori pastorali che si occupano di questo ambito nelle loro Chiese locali.

Intervista a don Marco Rufini

Tra loro ci sarà anche don Marco Rufini, parroco della concattedrale di Santa Maria a Norcia. È lui, dalla Pasqua scorsa, il nuovo coordinatore della commissione per la Pastorale sociale e il Lavoro (Psl) della Conferenza episcopale umbra (Ceu).

Don Marco, è un tema impegnativo quello di Trieste, vedendo anche il calo consistente della partecipazione popolare alle ultime elezioni…

“Alla crisi di partecipazione che viene fatta coincidere con l’astensionismo elettorale non credo che corrisponda una crisi di idealità, quanto il fatto che le persone più che essere contate amerebbero contare. Vorrebbero che la propria voce e il proprio pensiero potessero avere un impatto. Molte persone non cercano qualcuno a cui delegare ogni cosa, l’uomo o la donna soli al comando che risolve i problemi di tutti. Credo che in questo nostro tempo, sia uno dei grandi equivoci. L’uomo solo al comando può solo far naufragio: se naufragasse da solo non sarebbe niente, ma spesso porta a naufragare intere comunità umane”.

Si dice spesso che i cattolici ormai sono una minoranza nelle nostre comunità. Ma sui temi sociali sembrano aver ritrovato una nuova vitalità e fecondità. È solo un’impressione o ci sono davvero cammini e orizzonti nuovi?

“Sinodalità e partecipazione sono due facce della stessa medaglia. Rappresentano la grande sfida sia per la società sia per la Chiesa, in questo nostro tempo. Una sfida che richiede di assumere dei rischi e che qua e là comincia a farci osservare dei germogli belli e significativi. Nella mia parrocchia c’è una grande quercia; dicono che abbia cinquecento anni, una sorta di monumento naturale, è la quercia di Nottoria; ebbene anche quella quercia un giorno era alta due centimetri. Ecco, forse questi germogli sono alti lo stesso, ma guai a non prendersene cura e a non farli crescere: sono un grande segno di speranza”.

Da qualche anno, grazie anche alle due assemblee regionali di Foligno 2019 e 2022, anche la Chiesa umbra sta cercando nuove strade di evangelizzazione e di presenza. Con quale spirito e quali idee sei arrivato alla guida della commissione Psl della Ceu?

“Dovremmo avere il coraggio di riconoscere che oggettivamente in questo tempo non sappiamo che pesci pigliare: si tratta di un salutare smarrimento. La pastorale sociale e del lavoro credo possa dare il suo contributo soprattutto per rigenerare una coscienza popolare. In questi anni, in un certo senso, siamo vissuti sotto la dittatura dell’esperto, che sapeva risolvere tutti i problemi. La storia ci insegna che non necessariamente va così. C’è bisogno di ritornare a riconoscere il valore del concetto di ‘popolare’, che nel nostro tempo decliniamo troppo come forma di fama riconosciuta da parte dei più".

Popolare vuol dire che una cosa appartiene a un popolo.

"Rigenerare una coscienza popolare sui temi di fondo e sui valori credo che sia una delle grandi sfide da raccogliere nel nostro tempo”.

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Convergenze parallele https://www.lavoce.it/convergenze-parallele-2/ https://www.lavoce.it/convergenze-parallele-2/#respond Thu, 27 Jun 2024 07:51:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76743

Con i risultati dei cinque ballottaggi umbri, archiviati ma ancora “freschi”, dalle elezioni comunali a quelle europee non si ferma la scia dei commenti, delle analisi e - a volte - anche dello scontro politico sul ruolo e sul posizionamento dei cattolici. Un dibattito che affiora spesso, provocando lacerazioni e ferite profonde.

Con uno sguardo attento sulle recenti amministrative, si nota come - in maniera più evidente o sotto traccia - la questione dei cattolici schierati da una parte o dall’altra non abbia riguardato solo il ballottaggio perugino, dove ci sono stati interventi e “manifesti” pubblici a favore delle due candidate di centrosinistra e centrodestra. La questione ha toccato molto da vicino anche Foligno e Gubbio, ad esempio, e altri Comuni ancora. In qualche caso le Curie diocesane e gli stessi Vescovi sono stati tirati per la giacchetta, tanto da dover diffondere messaggi di imparzialità, dialogo e richiamo alla responsabilità di elettori e candidati.

Tutto questo, alla vigilia della Settimana sociale di Trieste, chiamata a riflettere su cosa sia necessario ritrovare nel cuore della democrazia, riscoprendo una sana partecipazione popolare. Anche su queste pagine vorremmo fare la nostra parte, a cominciare dal riaprire un dialogo e un dibattito tra cattolici che possa contribuire a mettere da parte le divisioni, per riscoprire obiettivi e orizzonti comuni, pur nella differenza di schieramento.

Le nostre comunità locali, nazionale ed europea non possono permettersi il calo della partecipazione dei cittadini alle scelte che li toccano da vicino, manifestato dall’affluenza elettorale in continua flessione. Ci sono disuguaglianze sociali sempre più radicate e una povertà ormai troppo strutturale e cronica, arrivata ai massimi storici anche nella nostra Regione.

Frammentazione e polarizzazione tra gli schieramenti non aiutano la politica a risolvere i problemi reali e urgenti delle nostre comunità. Anzi, aumentano ancora di più il distacco delle persone dalla “cosa pubblica”, lasciando spazi incontrollati ai populismi di ogni specie.

Ecco, forse proprio da qui potrebbero e dovrebbero ripartire i cattolici, ritrovando l’unità nel favorire dialogo e convergenza tra schieramenti diversi sulle scelte davvero importanti per il Paese, per i Comuni e per tutti i cittadini.

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Con i risultati dei cinque ballottaggi umbri, archiviati ma ancora “freschi”, dalle elezioni comunali a quelle europee non si ferma la scia dei commenti, delle analisi e - a volte - anche dello scontro politico sul ruolo e sul posizionamento dei cattolici. Un dibattito che affiora spesso, provocando lacerazioni e ferite profonde.

Con uno sguardo attento sulle recenti amministrative, si nota come - in maniera più evidente o sotto traccia - la questione dei cattolici schierati da una parte o dall’altra non abbia riguardato solo il ballottaggio perugino, dove ci sono stati interventi e “manifesti” pubblici a favore delle due candidate di centrosinistra e centrodestra. La questione ha toccato molto da vicino anche Foligno e Gubbio, ad esempio, e altri Comuni ancora. In qualche caso le Curie diocesane e gli stessi Vescovi sono stati tirati per la giacchetta, tanto da dover diffondere messaggi di imparzialità, dialogo e richiamo alla responsabilità di elettori e candidati.

Tutto questo, alla vigilia della Settimana sociale di Trieste, chiamata a riflettere su cosa sia necessario ritrovare nel cuore della democrazia, riscoprendo una sana partecipazione popolare. Anche su queste pagine vorremmo fare la nostra parte, a cominciare dal riaprire un dialogo e un dibattito tra cattolici che possa contribuire a mettere da parte le divisioni, per riscoprire obiettivi e orizzonti comuni, pur nella differenza di schieramento.

Le nostre comunità locali, nazionale ed europea non possono permettersi il calo della partecipazione dei cittadini alle scelte che li toccano da vicino, manifestato dall’affluenza elettorale in continua flessione. Ci sono disuguaglianze sociali sempre più radicate e una povertà ormai troppo strutturale e cronica, arrivata ai massimi storici anche nella nostra Regione.

Frammentazione e polarizzazione tra gli schieramenti non aiutano la politica a risolvere i problemi reali e urgenti delle nostre comunità. Anzi, aumentano ancora di più il distacco delle persone dalla “cosa pubblica”, lasciando spazi incontrollati ai populismi di ogni specie.

Ecco, forse proprio da qui potrebbero e dovrebbero ripartire i cattolici, ritrovando l’unità nel favorire dialogo e convergenza tra schieramenti diversi sulle scelte davvero importanti per il Paese, per i Comuni e per tutti i cittadini.

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Il caso del sindaco Bandecchi: imbarazzante, ma non atipico https://www.lavoce.it/caso-bandecchi-sindaco/ https://www.lavoce.it/caso-bandecchi-sindaco/#comments Wed, 27 Sep 2023 06:30:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73444 bandecchi

Il problema non è Bandecchi, il problema è Terni (e forse l’Umbria). Se vogliamo tentare di riflettere seriamente su quello che è avvenuto e sta avvenendo nella politica ternana, che in questa o in altre forme potrebbe ripetersi altrove in Umbria, dobbiamo partire da un punto fisso: il problema, perlomeno il primo problema, non è il signor Bandecchi, il problema è Terni.

Non era uno sconosciuto a Terni

Il Bandecchi eletto sindaco di Terni la scorsa primavera non era affatto uno sconosciuto. Di lui si conoscevano - perfettamente e da tempo - stile (che nella vita civile è “sostanza”), interessi e valori. Il signor Bandecchi calcava la scena ternana da tempo. Nessuno avrebbe potuto dirsi all’oscuro dal modo “salivare” (rivendicato!) di rivolgersi in qualche caso agli interlocutori né alcuno avrebbe potuto dirsi sorpreso dell’offerta gratis di panini con la porchetta in campagna elettorale. A “questo” Bandecchi le forze politiche locali, destra e sinistra, avevano già regalato la cittadinanza onoraria. Segno della grande confusione, se non dell’opportunismo, gliela avevano regalata lo stesso giorno in cui l’avevano attribuita a Liliana Segre, persona che sotto qualsiasi punto di vista è distante mille miglia dal signor Bandecchi, quando non ne è l’esatto contrario. Di “questo” Bandecchi gli elettori ternani e le forze politiche ternane conoscevano perfettamente gli interessi (legittimi fino a prova contraria). Non poca parte delle forze politiche risultava essere stata appoggiata dal signor Bandecchi e dalle sue società, come dall’interessato più volte pubblicamente e a buon diritto rivendicato. Non è diventato sindaco di Terni per caso o per sorteggio, non ha rubato la poltrona di Palazzo Spada, è stato eletto sindaco dal voto libero e regolare dei ternani e delle ternane e ha sconfitto democraticamente forze politiche che lo avevano blandito.

Perché a Terni è stato eletto Bandecchi?

Anche per queste ragioni il punto dal quale partire non è “Bandecchi”, bensì: “come mai a Terni è stato eletto sindaco il signor Bandecchi?”. E questa non è una domanda da rivolgere a lui, ma da rivolgere a noi stessi, agli elettori e alle elettrici ternane. Se si tenta di rispondere a questo interrogativo (“come mai a Terni è stato eletto sindaco il signor Bandecchi?”), può essere d’aiuto un minimo di memoria storica. Il “caso Bandecchi”, ovvero l'elezione in ruoli amministrativi locali importanti di un outsider con determinati tratti di stile, non è affatto una novità.

Il “caso” Bandecchi non è l’unico

Al contrario, i casi per qualche verso analoghi sono numerosissimi e ben studiati. Vanno dall’elezione di Achille Lauro a sindaco di Napoli negli anni ‘50 a quella di Cateno De Luca sindaco di Messina dal 2018, passando per Giancarlo Cito eletto sindaco di Taranto nel 1993. Né sono da trascurare alcune ma importanti affinità stilistiche tra il signor Bandecchi e alcuni attuali presidenti di Regione come De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia. Naturalmente, se si parla di analogie e di affinità, è perché non mancano le differenze.

Bandecchi: esempio di “meridionalizzazione” della bassa Umbria

Le affinità e le analogie con i casi citati aiutano a inquadrare un aspetto decisivo della vicenda “Bandecchi sindaco”. I casi appena ricordati hanno una caratteristica evidente: riguardano tutti aree del Sud Italia e aree in profonda crisi. Questo dato aiuta a formulare una ipotesi che meriterebbe di essere approfondita e discussa. L'elezione di Bandecchi a sindaco di Terni potrebbe essere interpretata come l’ennesimo esempio di “meridionalizzazione” della bassa Umbria, e forse della regione. A partire dalla Banca d’Italia con riferimento all’economia, ma ci si potrebbe riferire anche a dati demografici e religiosi, scolastici e culturali e ad altro ancora, l’ipotesi di una “meridionalizzazione” progressiva del ternano, e in gradi diversi dell’intera Umbria, non è una ipotesi nuova né azzardata. Anzi, è vecchia di lustri e ben documentata, come vecchia e pervicace è l’esorcizzazione del problema da parte delle istituzioni locali, in primis politiche. Il signor Bandecchi (legittimamente sino a prova contraria) può aver colto le opportunità di questa situazione, ma certo di essa – sino a oggi – non porta alcuna responsabilità. L’ha sfruttata invece che contrastata, ma questa è una legittima opzione politica. Di questo processo di “meridionalizzazione” dell’area ternana fa parte anche il patetico “soccorso al vincitore” che è tempestivamente venuto al neosindaco Bandecchi dalle direzioni più disparate: da segmenti bassi della struttura ecclesiastica locale, da “civici girovaghi”, da settori importanti della sinistra (tradizionale o sedicente “nuova”) del “tanto peggio tanto meglio”. Anche in questo caso, nulla di nuovo.

Responsabilità della Sinistra …

Come si diceva, la “meridionalizzazione” della politica ternana (e forse non solo di questa in Umbria), non ha nel signor Bandecchi – sino ad oggi – il suo primo e principale responsabile. Semmai, il responsabile, o meglio i responsabili vanno cercati nelle forze politiche protagoniste degli ultimi decenni della politica locale. Innanzitutto e principalmente nella sinistra. Fu essa che – a partire dagli anni ‘70 – fece della Regione un sub-stato, con scopi di controllo e di premio discrezionale, di estrazione di energie dalla società civile invece che di crescita, di egemonia soffocante (perfino culturale) e di clientelismo. Tutto questo, per di più, era finalizzato (anche con il concorso del Pci ternano!) all'istituzione di una storicamente inedita signoria perugina su Terni. Il processo è continuato fino alle giunte comunali dei sindaci Raffaelli e Di Girolamo. Nonostante la evidente e crescente disfunzione e la “rapina” di cui era corresponsabile quel regime politico dell’“Umbria rossa” (mitizzato dagli intellettuali di complemento), i vassalli locali della Regione di Perugia sino agli anni 2008/2010 negarono l'evidenza del declino. Sono agli atti dei due volumi dedicati da Azione Cattolica e Chiese locali umbre alla bancarotta della “regione rossa” e al declino che essa assecondava e accelerava, soprattutto a Terni ma non solo qui, le peripezie linguistiche con cui si tentava di negare tale evidenza in cui periodicamente si lanciavano i sindaci Raffaelli e Di Girolamo e i presidenti di Regione Lorenzetti e Marini (in grande compagnia politica e para-politica).

… e della Destra

Il fatto interessante è che a nulla servì, come l'Azione Cattolica ternana per tempo aveva intuito e pubblicamente denunciato, l'alternanza alla sinistra da parte della destra e della coalizione alla cui guida è stato il sindaco Latini. Se platealmente diversi dai precedenti e sobri furono i modi di quest’ultimo, la continuità con la linea delle “giunte rosse”, negare il declino ternano, mantenere immutati i rapporti politica/società e quelli Terni/Perugia sono lì a mostrare un fatto tanto incredibile quanto vero: la sostanziale continuità Raffaelli/Di Girolamo/Latini e quella Lorenzetti/Marini/Tesei.

Intanto la rabbia dei ternani è cresciuta

Anche invertendo il punto di vista la scena non cambia. L’accomodarsi al declino della classe politica di qualsiasi colore, il puntare solo a scamparla individualmente, hanno generato una reazione precisa e “da manuale” nei comportamenti elettorali. La rabbia e le paure crescenti dei ternani di fronte alla codardia e alla fuga dalla realtà del ceto politico locale hanno prodotto punte record di volatilità del consenso elettorale, anche in un’Italia che da quella volatilità elettorale era attraversata e in un Centro Italia che vi primeggiava. In successione, Renzi, Grillo, Salvini e Meloni, direttamente o per interposta persona a seconda del tipo di elezione (primaria, comunale, regionale, nazionale o europea), hanno toccato e velocemente perso elevatissimi vertici di consenso.

I tratti della meridionalizzazione della società ternana

Sempre più deluso e “arrabbiato”, l’elettorato ternano da un decennio almeno cerca qualcuno di cui fidarsi e, se non lo trova, e di fatto non lo ha trovato, usa il voto per vendicarsi. Le evidenze cedono il passo alle apparenze, i ragionamenti sul futuro agli istinti di sopravvivenza. Che un tale genere di vendetta sia inefficace, e anzi si riveli autolesionista, è cosa tanto nota, quanto – incredibilmente – facile da dimenticare quando giunge l’appuntamento elettorale. Così però stanno le cose e questo è uno dei tratti della “meridionalizzazione” della politica ternana (e forse anche umbra). Tipicamente “meridionalizzato” è anche il dissolversi nella società ternana di quelle istituzioni e di quelle associazioni non politiche (ma economiche, culturali, sportive o religiose) che per funzione hanno quella di aiutare i cittadini a non perdere la memoria e a esercitare il calcolo bisogni-possibilità-risorse-scopi. La china di “meridionalizzazione” dell’area ternana non è cominciata con il signor Bandecchi. Come detto, lui l’ha trovata e sfruttata, ha colto la possibilità che gli è stata offerta di denunciare ciò di cui la città soffre e di cui i politici e gli amministratori locali hanno taciuto o fatto finta di occuparsi. E la denuncia è bastata a garantire la vittoria. Il resto non era un’alternativa credibile, bensì la negazione della verità di ciò che veniva denunciato.

Come sarà il dopo Bandecchi?

La “meridionalizzazione” della politica ternana finirà con il signor Bandecchi o proseguirà dopo di lui? La risposta a questa domanda dipende solo dall’elettorato ternano e dalle alternative che gli saranno offerte a partire dalle europee e dalle regionali del 2024. È solo dopo aver posto in chiaro tutto questo (ci sarebbe anche altro da dire) che ci si può chiedere se in questa vicenda di “meridionalizzazione” della politica ternana l’evento “elezione Bandecchi” abbia per ora costituito una svolta o invece sia per il momento null’altro che l’ennesimo atto della stessa tragedia. Ad oggi, nel poco tempo trascorso dall’inizio dell'avventura politica e poi amministrativa di Bandecchi, non si può dire molto di più di una sola cosa: lui non ha contrastato questa situazione, bensì l’ha sfruttata (legittimamente).

Il conflitto di interesse

Lo stato di cose che ne deriva ha già un costo per i ternani e le ternane. Vediamo alcuni di questi costi. Con il signor Bandecchi a Palazzo Spada, la politica e l'opinione pubblica locale stanno continuando a convivere con (legittimi sino a prova contraria) conflitti di interesse. Quando, ad esempio, l’amministrazione Bandecchi pone alla Regione di Perugia il problema sanità, e sarebbe grave che non lo facesse, a porlo è un sindaco che è anche un imprenditore che non fa mistero dei suoi interessi (legittimi fino a prova contraria) nel settore della sanità. In ciò non c’è nulla di nuovo rispetto a quello che avveniva quando passate giunte (rosse o nere) prendevano provvedimenti relativi a settori in cui operavano attori della stessa filiera politica o di recente acquisizione.

Nulla di illegale … ma opportuno?

Nulla di illecito in tutto ciò (finché un giudice non dice il contrario), ma non vi è alcun dubbio che la vita sociale ternana si svolgerebbe a un più elevato livello di qualità civile se tali conflitti di interesse non fossero neppure ipotizzabili. Ancora oggi non è chiaro se sussistono o no ragioni di incompatibilità tra gli interessi del signor Bandecchi e la carica e le funzioni di Sindaco che attualmente ricopre. Né è stato chiarito da chi di dovere se certe sue scelte (come il coinvolgimento di vigilanti privati nella tutela dell’ordine pubblico in città) o alcuni suoi comportamenti in Consiglio comunale costituiscano un problema dal punto di vista legale e giuridico oppure no. Nell’interesse di tutti, alla giustizia vanno assolutamente lasciati il suo corso e i suoi tempi, ma non credo dovrebbe essere difficile convenire sul giudizio che sarebbe stato saggio e leale evitare alla città momenti di incertezza come quelli che stiamo vivendo, per di più in una fase nella quale gravissimi motivi di incertezza e di preoccupazione già abbondano.

Dichiarazioni tante, programmi pochi

La situazione appena descritta inevitabilmente lascia in un cono d’ombra questioni di primaria grandezza, questioni a proposito delle quali la città avrebbe diritto e interesse a discutere programmi (cosa? come? con quali risorse? in quali tempi?) invece che le solite, roboanti e innocue, “dichiarazioni a caldo”. Si pensi solo al dramma che per Terni e le sue residue possibilità di futuro si è consumato nell’estate scorsa con la cancellazione del raddoppio della Orte-Falconara. Dramma cui si affianca il silenzio e lo stallo intorno all’accordo di programma su Ast, lo scarso sostegno alle chances ternane per il reshoring della chimica, per non parlare della desolazione in cui versa il sistema sanitario locale.

Bandecchi e l’illusione del “sovranismo municipale”

La maggioranza delle esternazioni del Sindaco evocano una sorta di sovranismo municipale (“faremo da soli”). Il carattere illusorio e ammaliante di una linea del genere, che non funzionerebbe neppure a New York o a Milano, distrae e illude ampie porzioni dell’opinione pubblica. Meno che mai a Terni il sovranismo municipale può essere all’altezza della gravità dei problemi a proposito dei quali è esibito dal Sindaco in carica. Il sovranismo municipale (come ogni sovranismo) serve solo a coprire (per poco tempo e a carissimo prezzo) la debolezza di ogni “uomo solo al comando”. Mentre vanno in onda le melodie infantili del sovranismo municipale, giacciono dimenticate le possibilità ben documentate della integrazione-unione dei diciotto comuni della potenziale “Grande Terni” e di una rete di città medie che intraprenda la causa dell’“Italia Centrale”.

Riepilogando: chi è Bandecchi?

Riepilogando, la domanda cui tornare e da cui partire non è “chi è Bandecchi?”. A questa domanda, la risposta è nota da anni. La domanda cui tornare e da cui ripartire è “come mai a Terni è stato eletto sindaco il signor Bandecchi?”, ovvero “cosa sono diventate realmente Terni e l’area ternana?”. Se poi altri in Umbria pensassero che la questione non li riguarda, rischierebbero solo di pagarne a breve gravi conseguenze.

Domande per i laici cattolici ternani e umbri

Un grave errore farebbero i laici cattolici ternani e umbri se lasciassero da parte il tema o se aspettassero che a occuparsene per primi fossero vescovi e preti. Decenni di “devozionismo protetto” - dal potere politico - hanno disabituato un pezzo di Chiesa umbra a rischiare la testimonianza della libertà per il bene comune. Il documento finale dell'Assemblea ecclesiale regionale del 2018 ci dimostra che i nostri pastori dovrebbero dare maggiore attenzione alle questioni precise e urgenti poste da laici e laiche (e per la verità anche da tanti preti, religiosi e religiose). In condizioni del genere, sarebbe forse anche il caso di ricordarci più spesso che il Vaticano II (dalla Lumen gentium alla Apostolicam actuositatem) toglie ogni alibi alla pigrizia del laicato. Come disse Papa Francesco ai laici del Forum internazionale di Azione Cattolica (il 27 aprile 2017): non aspettate il clero, fatevi inseguire, “siate audaci, non siete più fedeli alla Chiesa se aspettate a ogni passo che vi dicano che cosa dovete fare”. Un pezzo della “meridionalizzazione” dell’Umbria è fatto dalla “meridionalizzazione” di parte della Chiesa umbra ed è chiaro che con ciò non ci stiamo certamente riferendo alla Chiesa meridionale di don Puglisi e Rosario Livatino.]]>
bandecchi

Il problema non è Bandecchi, il problema è Terni (e forse l’Umbria). Se vogliamo tentare di riflettere seriamente su quello che è avvenuto e sta avvenendo nella politica ternana, che in questa o in altre forme potrebbe ripetersi altrove in Umbria, dobbiamo partire da un punto fisso: il problema, perlomeno il primo problema, non è il signor Bandecchi, il problema è Terni.

Non era uno sconosciuto a Terni

Il Bandecchi eletto sindaco di Terni la scorsa primavera non era affatto uno sconosciuto. Di lui si conoscevano - perfettamente e da tempo - stile (che nella vita civile è “sostanza”), interessi e valori. Il signor Bandecchi calcava la scena ternana da tempo. Nessuno avrebbe potuto dirsi all’oscuro dal modo “salivare” (rivendicato!) di rivolgersi in qualche caso agli interlocutori né alcuno avrebbe potuto dirsi sorpreso dell’offerta gratis di panini con la porchetta in campagna elettorale. A “questo” Bandecchi le forze politiche locali, destra e sinistra, avevano già regalato la cittadinanza onoraria. Segno della grande confusione, se non dell’opportunismo, gliela avevano regalata lo stesso giorno in cui l’avevano attribuita a Liliana Segre, persona che sotto qualsiasi punto di vista è distante mille miglia dal signor Bandecchi, quando non ne è l’esatto contrario. Di “questo” Bandecchi gli elettori ternani e le forze politiche ternane conoscevano perfettamente gli interessi (legittimi fino a prova contraria). Non poca parte delle forze politiche risultava essere stata appoggiata dal signor Bandecchi e dalle sue società, come dall’interessato più volte pubblicamente e a buon diritto rivendicato. Non è diventato sindaco di Terni per caso o per sorteggio, non ha rubato la poltrona di Palazzo Spada, è stato eletto sindaco dal voto libero e regolare dei ternani e delle ternane e ha sconfitto democraticamente forze politiche che lo avevano blandito.

Perché a Terni è stato eletto Bandecchi?

Anche per queste ragioni il punto dal quale partire non è “Bandecchi”, bensì: “come mai a Terni è stato eletto sindaco il signor Bandecchi?”. E questa non è una domanda da rivolgere a lui, ma da rivolgere a noi stessi, agli elettori e alle elettrici ternane. Se si tenta di rispondere a questo interrogativo (“come mai a Terni è stato eletto sindaco il signor Bandecchi?”), può essere d’aiuto un minimo di memoria storica. Il “caso Bandecchi”, ovvero l'elezione in ruoli amministrativi locali importanti di un outsider con determinati tratti di stile, non è affatto una novità.

Il “caso” Bandecchi non è l’unico

Al contrario, i casi per qualche verso analoghi sono numerosissimi e ben studiati. Vanno dall’elezione di Achille Lauro a sindaco di Napoli negli anni ‘50 a quella di Cateno De Luca sindaco di Messina dal 2018, passando per Giancarlo Cito eletto sindaco di Taranto nel 1993. Né sono da trascurare alcune ma importanti affinità stilistiche tra il signor Bandecchi e alcuni attuali presidenti di Regione come De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia. Naturalmente, se si parla di analogie e di affinità, è perché non mancano le differenze.

Bandecchi: esempio di “meridionalizzazione” della bassa Umbria

Le affinità e le analogie con i casi citati aiutano a inquadrare un aspetto decisivo della vicenda “Bandecchi sindaco”. I casi appena ricordati hanno una caratteristica evidente: riguardano tutti aree del Sud Italia e aree in profonda crisi. Questo dato aiuta a formulare una ipotesi che meriterebbe di essere approfondita e discussa. L'elezione di Bandecchi a sindaco di Terni potrebbe essere interpretata come l’ennesimo esempio di “meridionalizzazione” della bassa Umbria, e forse della regione. A partire dalla Banca d’Italia con riferimento all’economia, ma ci si potrebbe riferire anche a dati demografici e religiosi, scolastici e culturali e ad altro ancora, l’ipotesi di una “meridionalizzazione” progressiva del ternano, e in gradi diversi dell’intera Umbria, non è una ipotesi nuova né azzardata. Anzi, è vecchia di lustri e ben documentata, come vecchia e pervicace è l’esorcizzazione del problema da parte delle istituzioni locali, in primis politiche. Il signor Bandecchi (legittimamente sino a prova contraria) può aver colto le opportunità di questa situazione, ma certo di essa – sino a oggi – non porta alcuna responsabilità. L’ha sfruttata invece che contrastata, ma questa è una legittima opzione politica. Di questo processo di “meridionalizzazione” dell’area ternana fa parte anche il patetico “soccorso al vincitore” che è tempestivamente venuto al neosindaco Bandecchi dalle direzioni più disparate: da segmenti bassi della struttura ecclesiastica locale, da “civici girovaghi”, da settori importanti della sinistra (tradizionale o sedicente “nuova”) del “tanto peggio tanto meglio”. Anche in questo caso, nulla di nuovo.

Responsabilità della Sinistra …

Come si diceva, la “meridionalizzazione” della politica ternana (e forse non solo di questa in Umbria), non ha nel signor Bandecchi – sino ad oggi – il suo primo e principale responsabile. Semmai, il responsabile, o meglio i responsabili vanno cercati nelle forze politiche protagoniste degli ultimi decenni della politica locale. Innanzitutto e principalmente nella sinistra. Fu essa che – a partire dagli anni ‘70 – fece della Regione un sub-stato, con scopi di controllo e di premio discrezionale, di estrazione di energie dalla società civile invece che di crescita, di egemonia soffocante (perfino culturale) e di clientelismo. Tutto questo, per di più, era finalizzato (anche con il concorso del Pci ternano!) all'istituzione di una storicamente inedita signoria perugina su Terni. Il processo è continuato fino alle giunte comunali dei sindaci Raffaelli e Di Girolamo. Nonostante la evidente e crescente disfunzione e la “rapina” di cui era corresponsabile quel regime politico dell’“Umbria rossa” (mitizzato dagli intellettuali di complemento), i vassalli locali della Regione di Perugia sino agli anni 2008/2010 negarono l'evidenza del declino. Sono agli atti dei due volumi dedicati da Azione Cattolica e Chiese locali umbre alla bancarotta della “regione rossa” e al declino che essa assecondava e accelerava, soprattutto a Terni ma non solo qui, le peripezie linguistiche con cui si tentava di negare tale evidenza in cui periodicamente si lanciavano i sindaci Raffaelli e Di Girolamo e i presidenti di Regione Lorenzetti e Marini (in grande compagnia politica e para-politica).

… e della Destra

Il fatto interessante è che a nulla servì, come l'Azione Cattolica ternana per tempo aveva intuito e pubblicamente denunciato, l'alternanza alla sinistra da parte della destra e della coalizione alla cui guida è stato il sindaco Latini. Se platealmente diversi dai precedenti e sobri furono i modi di quest’ultimo, la continuità con la linea delle “giunte rosse”, negare il declino ternano, mantenere immutati i rapporti politica/società e quelli Terni/Perugia sono lì a mostrare un fatto tanto incredibile quanto vero: la sostanziale continuità Raffaelli/Di Girolamo/Latini e quella Lorenzetti/Marini/Tesei.

Intanto la rabbia dei ternani è cresciuta

Anche invertendo il punto di vista la scena non cambia. L’accomodarsi al declino della classe politica di qualsiasi colore, il puntare solo a scamparla individualmente, hanno generato una reazione precisa e “da manuale” nei comportamenti elettorali. La rabbia e le paure crescenti dei ternani di fronte alla codardia e alla fuga dalla realtà del ceto politico locale hanno prodotto punte record di volatilità del consenso elettorale, anche in un’Italia che da quella volatilità elettorale era attraversata e in un Centro Italia che vi primeggiava. In successione, Renzi, Grillo, Salvini e Meloni, direttamente o per interposta persona a seconda del tipo di elezione (primaria, comunale, regionale, nazionale o europea), hanno toccato e velocemente perso elevatissimi vertici di consenso.

I tratti della meridionalizzazione della società ternana

Sempre più deluso e “arrabbiato”, l’elettorato ternano da un decennio almeno cerca qualcuno di cui fidarsi e, se non lo trova, e di fatto non lo ha trovato, usa il voto per vendicarsi. Le evidenze cedono il passo alle apparenze, i ragionamenti sul futuro agli istinti di sopravvivenza. Che un tale genere di vendetta sia inefficace, e anzi si riveli autolesionista, è cosa tanto nota, quanto – incredibilmente – facile da dimenticare quando giunge l’appuntamento elettorale. Così però stanno le cose e questo è uno dei tratti della “meridionalizzazione” della politica ternana (e forse anche umbra). Tipicamente “meridionalizzato” è anche il dissolversi nella società ternana di quelle istituzioni e di quelle associazioni non politiche (ma economiche, culturali, sportive o religiose) che per funzione hanno quella di aiutare i cittadini a non perdere la memoria e a esercitare il calcolo bisogni-possibilità-risorse-scopi. La china di “meridionalizzazione” dell’area ternana non è cominciata con il signor Bandecchi. Come detto, lui l’ha trovata e sfruttata, ha colto la possibilità che gli è stata offerta di denunciare ciò di cui la città soffre e di cui i politici e gli amministratori locali hanno taciuto o fatto finta di occuparsi. E la denuncia è bastata a garantire la vittoria. Il resto non era un’alternativa credibile, bensì la negazione della verità di ciò che veniva denunciato.

Come sarà il dopo Bandecchi?

La “meridionalizzazione” della politica ternana finirà con il signor Bandecchi o proseguirà dopo di lui? La risposta a questa domanda dipende solo dall’elettorato ternano e dalle alternative che gli saranno offerte a partire dalle europee e dalle regionali del 2024. È solo dopo aver posto in chiaro tutto questo (ci sarebbe anche altro da dire) che ci si può chiedere se in questa vicenda di “meridionalizzazione” della politica ternana l’evento “elezione Bandecchi” abbia per ora costituito una svolta o invece sia per il momento null’altro che l’ennesimo atto della stessa tragedia. Ad oggi, nel poco tempo trascorso dall’inizio dell'avventura politica e poi amministrativa di Bandecchi, non si può dire molto di più di una sola cosa: lui non ha contrastato questa situazione, bensì l’ha sfruttata (legittimamente).

Il conflitto di interesse

Lo stato di cose che ne deriva ha già un costo per i ternani e le ternane. Vediamo alcuni di questi costi. Con il signor Bandecchi a Palazzo Spada, la politica e l'opinione pubblica locale stanno continuando a convivere con (legittimi sino a prova contraria) conflitti di interesse. Quando, ad esempio, l’amministrazione Bandecchi pone alla Regione di Perugia il problema sanità, e sarebbe grave che non lo facesse, a porlo è un sindaco che è anche un imprenditore che non fa mistero dei suoi interessi (legittimi fino a prova contraria) nel settore della sanità. In ciò non c’è nulla di nuovo rispetto a quello che avveniva quando passate giunte (rosse o nere) prendevano provvedimenti relativi a settori in cui operavano attori della stessa filiera politica o di recente acquisizione.

Nulla di illegale … ma opportuno?

Nulla di illecito in tutto ciò (finché un giudice non dice il contrario), ma non vi è alcun dubbio che la vita sociale ternana si svolgerebbe a un più elevato livello di qualità civile se tali conflitti di interesse non fossero neppure ipotizzabili. Ancora oggi non è chiaro se sussistono o no ragioni di incompatibilità tra gli interessi del signor Bandecchi e la carica e le funzioni di Sindaco che attualmente ricopre. Né è stato chiarito da chi di dovere se certe sue scelte (come il coinvolgimento di vigilanti privati nella tutela dell’ordine pubblico in città) o alcuni suoi comportamenti in Consiglio comunale costituiscano un problema dal punto di vista legale e giuridico oppure no. Nell’interesse di tutti, alla giustizia vanno assolutamente lasciati il suo corso e i suoi tempi, ma non credo dovrebbe essere difficile convenire sul giudizio che sarebbe stato saggio e leale evitare alla città momenti di incertezza come quelli che stiamo vivendo, per di più in una fase nella quale gravissimi motivi di incertezza e di preoccupazione già abbondano.

Dichiarazioni tante, programmi pochi

La situazione appena descritta inevitabilmente lascia in un cono d’ombra questioni di primaria grandezza, questioni a proposito delle quali la città avrebbe diritto e interesse a discutere programmi (cosa? come? con quali risorse? in quali tempi?) invece che le solite, roboanti e innocue, “dichiarazioni a caldo”. Si pensi solo al dramma che per Terni e le sue residue possibilità di futuro si è consumato nell’estate scorsa con la cancellazione del raddoppio della Orte-Falconara. Dramma cui si affianca il silenzio e lo stallo intorno all’accordo di programma su Ast, lo scarso sostegno alle chances ternane per il reshoring della chimica, per non parlare della desolazione in cui versa il sistema sanitario locale.

Bandecchi e l’illusione del “sovranismo municipale”

La maggioranza delle esternazioni del Sindaco evocano una sorta di sovranismo municipale (“faremo da soli”). Il carattere illusorio e ammaliante di una linea del genere, che non funzionerebbe neppure a New York o a Milano, distrae e illude ampie porzioni dell’opinione pubblica. Meno che mai a Terni il sovranismo municipale può essere all’altezza della gravità dei problemi a proposito dei quali è esibito dal Sindaco in carica. Il sovranismo municipale (come ogni sovranismo) serve solo a coprire (per poco tempo e a carissimo prezzo) la debolezza di ogni “uomo solo al comando”. Mentre vanno in onda le melodie infantili del sovranismo municipale, giacciono dimenticate le possibilità ben documentate della integrazione-unione dei diciotto comuni della potenziale “Grande Terni” e di una rete di città medie che intraprenda la causa dell’“Italia Centrale”.

Riepilogando: chi è Bandecchi?

Riepilogando, la domanda cui tornare e da cui partire non è “chi è Bandecchi?”. A questa domanda, la risposta è nota da anni. La domanda cui tornare e da cui ripartire è “come mai a Terni è stato eletto sindaco il signor Bandecchi?”, ovvero “cosa sono diventate realmente Terni e l’area ternana?”. Se poi altri in Umbria pensassero che la questione non li riguarda, rischierebbero solo di pagarne a breve gravi conseguenze.

Domande per i laici cattolici ternani e umbri

Un grave errore farebbero i laici cattolici ternani e umbri se lasciassero da parte il tema o se aspettassero che a occuparsene per primi fossero vescovi e preti. Decenni di “devozionismo protetto” - dal potere politico - hanno disabituato un pezzo di Chiesa umbra a rischiare la testimonianza della libertà per il bene comune. Il documento finale dell'Assemblea ecclesiale regionale del 2018 ci dimostra che i nostri pastori dovrebbero dare maggiore attenzione alle questioni precise e urgenti poste da laici e laiche (e per la verità anche da tanti preti, religiosi e religiose). In condizioni del genere, sarebbe forse anche il caso di ricordarci più spesso che il Vaticano II (dalla Lumen gentium alla Apostolicam actuositatem) toglie ogni alibi alla pigrizia del laicato. Come disse Papa Francesco ai laici del Forum internazionale di Azione Cattolica (il 27 aprile 2017): non aspettate il clero, fatevi inseguire, “siate audaci, non siete più fedeli alla Chiesa se aspettate a ogni passo che vi dicano che cosa dovete fare”. Un pezzo della “meridionalizzazione” dell’Umbria è fatto dalla “meridionalizzazione” di parte della Chiesa umbra ed è chiaro che con ciò non ci stiamo certamente riferendo alla Chiesa meridionale di don Puglisi e Rosario Livatino.]]>
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Mattarella: sotto il fascismo si pensava al futuro dell’Italia libera. I cattolici del “Codice di Camaldoli” https://www.lavoce.it/mattarella-sotto-il-fascismo-si-pensava-al-futuro-dellitalia-libera-i-cattolici-del-codice-di-camaldoli/ https://www.lavoce.it/mattarella-sotto-il-fascismo-si-pensava-al-futuro-dellitalia-libera-i-cattolici-del-codice-di-camaldoli/#respond Thu, 20 Jul 2023 17:19:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72366

di Sergio Mattarella Quando un regime dittatoriale, come quello fascista, giunge al suo disfacimento, a provocarlo non sono tanto le sconfitte militari, quanto la perdita definitiva di ogni fiducia da parte della popolazione, che misura sulla propria vita il divario tra la realtà e le dichiarazioni trionfalistiche. Si apre, in quei giorni, una transizione, a colmare la quale la tradizionale dirigenza monarchica palesa tutta la sua pochezza, dopo il colpevole tradimento delle libertà garantite dallo Statuto Albertino. In quel luglio 1943, nel momento in cui il suolo della Patria viene invaso dalle truppe ancora nemiche, mentre il Terzo Reich si trasforma rapidamente da alleato in potenza occupante, entrano in gioco le forze sane della nazione, oppresse nel ventennio della dittatura. La lunga vigilia coltivata da coloro che non si riconoscevano nel regime trova sbocco, anche intellettuale, nella preparazione del “dopo”, del momento in cui l’Italia sarebbe nuovamente risorta alla libertà, con la successiva scelta dell’ordinamento repubblicano. Trova radice in questo l’esercizio di Camaldoli, voluto dal Movimento laureati cattolici e dall’Icas, l’Istituto cattolico attività sociali. Siamo nel pieno di una svolta: nel maggio 1943 le truppe dell’Asse in Tunisia si arrendono, ponendo fine alla campagna dell’Africa del Nord; il 10 luglio avviene lo sbarco delle truppe Usa in Sicilia. Il 19 luglio l’aviazione alleata dà avvio al primo bombardamento su Roma per colpire lo scalo ferroviario di San Lorenzo, con migliaia le vittime. Il 24 luglio sarà lo stesso Gran Consiglio del fascismo a porre termine all’avventura di Mussolini. Il convegno di Camaldoli si conclude il giorno precedente, mostrando di aver saputo avvertire il momento cruciale della svolta della storia nazionale.

Il valore di una riflessione avviata sul futuro dell'Italia

Oggi possiamo cogliere il valore della riflessione avviata sul futuro dell’Italia e lo sforzo di elaborazione proposto in quei frangenti dai circoli intellettuali e politici che non si erano arresi alla dittatura. Dal cosidetto Codice di Camaldoli, al progetto di Costituzione confederale europea e interna di Duccio Galimberti e Antonino Repaci, all’abbozzo di Silvio Trentin per un’Italia federale nella Repubblica europea, alla Dichiarazione di Chivasso dei rappresentanti delle popolazioni alpine, al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, alle “idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”, che De Gasperi aveva appena fatto circolare, non mancano sogni e progetti lungimiranti per fare dell’Italia un Paese libero e prospero in un’Europa pacificata. A settantacinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica è compito prezioso tornare sulle riflessioni che hanno contribuito alla sua formazione e alle figure che hanno avuto ruolo propulsivo in quei frangenti. Ecco allora che il testo “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale”, dispiega tutta la sua forza, sia come tappa di maturazione di quello che sarà un impegno per la nuova Italia da parte del movimento cattolico, sia come ispirazione per il patto costituzionale che, di lì a poco, vedrà impegnati nella redazione le migliori energie del Paese, con il contributo, fra gli altri, non a caso, di alcuni fra i redattori di Camaldoli. Occorreva partire, anzitutto, dal ripristino della legalità, violentata dal fascismo, riconosciuta persino nell’ordine del giorno Grandi al Gran Consiglio, con l’esplicita indicazione dell’esigenza del “necessario immediato ripristino di tutte le funzioni statali”, dopo una guerra che il popolo italiano non aveva sentita “sua”, con aggravata “responsabilità fascista”.

Da Camaldoli un contributo di orientamento basilari

Da Camaldoli vengono orientamenti basilari, che riscontriamo oggi nel nostro ordinamento. Anzitutto la affermazione della dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato - con il rifiuto di ogni concezione assolutistica della politica - da cui deriva il rispetto del ruolo e delle responsabilità della società civile. Di più, sulla spinta di un organico aggiornamento della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, emerge la funzione della comunità politica come garante e promotrice dei valori basilari di uguaglianza fra i cittadini e di promozione della giustizia sociale fra di essi. Si identifica poi, con determinazione, il principio della pace: “deve abbandonarsi il funesto principio che i rapporti internazionali siano rapporti di forza, che la forza crei il diritto…”. Occorre “la creazione di un vero e non fittizio o formale ordine giuridico che subordini o conformi la politica degli Stati alla superiore esigenza della comune vita dei popoli”.

Orgogliosi dei padri fondatori del Codice di Camaldoli

Vi è ragione di essere ben orgogliosi, guardando ai Padri fondatori del Codice di Camaldoli, per il segno che hanno saputo imprimere al futuro della società italiana, anche sul terreno della libertà di coscienza per ogni persona, descritta, al paragrafo 15, come “esigenza da tutelare fino all’estremo limite delle compatibilità con il bene comune”.

La Lettera alla Costituzione, di Zuppi

Il Cardinale Matteo Zuppi, nella sua lettera alla Costituzione, due anni or sono, riprendendo una considerazione del costituente Giuseppe Dossetti, iniziava così: “Hai quasi 75 anni, ma li porti benissimo! Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare…”. Non vi sono parole migliori.]]>

di Sergio Mattarella Quando un regime dittatoriale, come quello fascista, giunge al suo disfacimento, a provocarlo non sono tanto le sconfitte militari, quanto la perdita definitiva di ogni fiducia da parte della popolazione, che misura sulla propria vita il divario tra la realtà e le dichiarazioni trionfalistiche. Si apre, in quei giorni, una transizione, a colmare la quale la tradizionale dirigenza monarchica palesa tutta la sua pochezza, dopo il colpevole tradimento delle libertà garantite dallo Statuto Albertino. In quel luglio 1943, nel momento in cui il suolo della Patria viene invaso dalle truppe ancora nemiche, mentre il Terzo Reich si trasforma rapidamente da alleato in potenza occupante, entrano in gioco le forze sane della nazione, oppresse nel ventennio della dittatura. La lunga vigilia coltivata da coloro che non si riconoscevano nel regime trova sbocco, anche intellettuale, nella preparazione del “dopo”, del momento in cui l’Italia sarebbe nuovamente risorta alla libertà, con la successiva scelta dell’ordinamento repubblicano. Trova radice in questo l’esercizio di Camaldoli, voluto dal Movimento laureati cattolici e dall’Icas, l’Istituto cattolico attività sociali. Siamo nel pieno di una svolta: nel maggio 1943 le truppe dell’Asse in Tunisia si arrendono, ponendo fine alla campagna dell’Africa del Nord; il 10 luglio avviene lo sbarco delle truppe Usa in Sicilia. Il 19 luglio l’aviazione alleata dà avvio al primo bombardamento su Roma per colpire lo scalo ferroviario di San Lorenzo, con migliaia le vittime. Il 24 luglio sarà lo stesso Gran Consiglio del fascismo a porre termine all’avventura di Mussolini. Il convegno di Camaldoli si conclude il giorno precedente, mostrando di aver saputo avvertire il momento cruciale della svolta della storia nazionale.

Il valore di una riflessione avviata sul futuro dell'Italia

Oggi possiamo cogliere il valore della riflessione avviata sul futuro dell’Italia e lo sforzo di elaborazione proposto in quei frangenti dai circoli intellettuali e politici che non si erano arresi alla dittatura. Dal cosidetto Codice di Camaldoli, al progetto di Costituzione confederale europea e interna di Duccio Galimberti e Antonino Repaci, all’abbozzo di Silvio Trentin per un’Italia federale nella Repubblica europea, alla Dichiarazione di Chivasso dei rappresentanti delle popolazioni alpine, al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, alle “idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”, che De Gasperi aveva appena fatto circolare, non mancano sogni e progetti lungimiranti per fare dell’Italia un Paese libero e prospero in un’Europa pacificata. A settantacinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica è compito prezioso tornare sulle riflessioni che hanno contribuito alla sua formazione e alle figure che hanno avuto ruolo propulsivo in quei frangenti. Ecco allora che il testo “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale”, dispiega tutta la sua forza, sia come tappa di maturazione di quello che sarà un impegno per la nuova Italia da parte del movimento cattolico, sia come ispirazione per il patto costituzionale che, di lì a poco, vedrà impegnati nella redazione le migliori energie del Paese, con il contributo, fra gli altri, non a caso, di alcuni fra i redattori di Camaldoli. Occorreva partire, anzitutto, dal ripristino della legalità, violentata dal fascismo, riconosciuta persino nell’ordine del giorno Grandi al Gran Consiglio, con l’esplicita indicazione dell’esigenza del “necessario immediato ripristino di tutte le funzioni statali”, dopo una guerra che il popolo italiano non aveva sentita “sua”, con aggravata “responsabilità fascista”.

Da Camaldoli un contributo di orientamento basilari

Da Camaldoli vengono orientamenti basilari, che riscontriamo oggi nel nostro ordinamento. Anzitutto la affermazione della dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato - con il rifiuto di ogni concezione assolutistica della politica - da cui deriva il rispetto del ruolo e delle responsabilità della società civile. Di più, sulla spinta di un organico aggiornamento della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, emerge la funzione della comunità politica come garante e promotrice dei valori basilari di uguaglianza fra i cittadini e di promozione della giustizia sociale fra di essi. Si identifica poi, con determinazione, il principio della pace: “deve abbandonarsi il funesto principio che i rapporti internazionali siano rapporti di forza, che la forza crei il diritto…”. Occorre “la creazione di un vero e non fittizio o formale ordine giuridico che subordini o conformi la politica degli Stati alla superiore esigenza della comune vita dei popoli”.

Orgogliosi dei padri fondatori del Codice di Camaldoli

Vi è ragione di essere ben orgogliosi, guardando ai Padri fondatori del Codice di Camaldoli, per il segno che hanno saputo imprimere al futuro della società italiana, anche sul terreno della libertà di coscienza per ogni persona, descritta, al paragrafo 15, come “esigenza da tutelare fino all’estremo limite delle compatibilità con il bene comune”.

La Lettera alla Costituzione, di Zuppi

Il Cardinale Matteo Zuppi, nella sua lettera alla Costituzione, due anni or sono, riprendendo una considerazione del costituente Giuseppe Dossetti, iniziava così: “Hai quasi 75 anni, ma li porti benissimo! Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare…”. Non vi sono parole migliori.]]>
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A 80 anni dal “Codice di Camaldoli”. Il contributo dei cattolici alla ricostruzione https://www.lavoce.it/a-80-anni-dal-codice-di-camaldoli-il-contributo-dei-cattolici-alla-ricostruzione/ https://www.lavoce.it/a-80-anni-dal-codice-di-camaldoli-il-contributo-dei-cattolici-alla-ricostruzione/#respond Thu, 20 Jul 2023 17:18:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72376 Codice di Camaldoli convegno 2023

Il cosiddetto “Codice di Camaldoli” è un documento di grande importanza nella storia del movimento cattolico italiano del Novecento. Esso cominciò a prendere forma, attraverso un’articolata serie di enunciati, nel luglio 1943, in singolare coincidenza con le drammatiche vicende che, dal bombardamento di Roma, portarono alla destituzione di Mussolini. Proprio in quelle giornate dense di storia, nel Cenobio di Camaldoli si svolse una riunione di teologi e di intellettuali cattolici che era stata preparata a lungo nei mesi precedenti, a partire dal celebre richiamo all’azione di Pio XII nel Radiomessaggio del Natale 1942. Le considerazioni condivise a Camaldoli vennero rielaborate nei mesi successivi da un gruppo di lavoro guidato da Sergio Paronetto, nel plumbeo scenario della Roma occupata, e, pronte nella primavera del 1944, furono infine condensate nel testo Per la comunità cristiana, pubblicato nell’aprile del 1945. Cominciò allora – per così dire – un’altra storia del Codice di Camaldoli. Dall’oblio in cui fu relegato – sebbene molte delle sue riflessioni e intuizioni si ritrovino nel contributo dei cattolici all’Assemblea costituente – esso riemerse solo a partire dagli anni Ottanta, divenendo oggetto di un’attenzione crescente ma anche di riletture agiografiche e parziali, ispirate più da un nostalgico interesse politico che da autentiche ragioni storiografiche. Nel progressivo declino dell’unità politica dei cattolici, i tentativi di “ritornare” al Codice hanno cercato di rispondere all’esigenza di riprendere un discorso comune sui fondamenti morali dell’impegno politico cristiano. Oggi si può guardare alla vicenda del luglio 1943 e alla sua lunga e complessa storia successiva con maggiore rigore scientifico. Gli studi offrono infatti un ampio spettro di considerazioni sulla carica progettuale del Codice, sull’originalità di alcuni suoi contenuti, sulla sensibilità dimostrata dagli estensori verso approcci metodologici differenti, dalla sociologia alla spiritualità, all’economia, al diritto. Sono stati chiariti molti aspetti della fase di preparazione del convegno del luglio 1943 e delle successive tappe della redazione romana del testo, pubblicato nell’altrettanto singolare coincidenza della Liberazione. Si è potuto così meglio comprendere come nelle aspirazioni comuni dei redattori ci sia stata la volontà di conciliare gli ideali della dottrina sociale cristiana e le mete concrete per avviare la ricostruzione del Paese dopo l’immane catastrofe bellica. Essi si posero con molta serietà il problema della propria autonomia rispetto a impostazioni di carattere politico. Ritenevano infatti che le opzioni politiche dovessero essere effettuate dai singoli senza coinvolgere la Chiesa. Ritenevano urgente contribuire a che i singoli cristiani potessero liberamente e responsabilmente assumere una loro posizione nei confronti dei valori irrinunciabili per la coscienza cristiana. Come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel magistrale discorso tenuto a Cuneo il 25 aprile scorso, 78° anniversario della Liberazione, essi erano mossi dall’intento “di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come ‘Codice di Camaldoli’, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini”. Osservato attraverso la scrupolosa lente degli storici, fuori dal fuoco della controversia politica, lo stile di questa presenza laicale e di questo impegno intellettuale dei cattolici italiani nel riflettere sul futuro resta dunque ancora oggi, a ottant’anni di distanza, esemplare e affascinante. Tiziano Torresi Promotore e coordinatore del convegno che si tiene a Camaldoli il 21-23 luglio 2023 (Scarica qui il pdf del programma)]]>
Codice di Camaldoli convegno 2023

Il cosiddetto “Codice di Camaldoli” è un documento di grande importanza nella storia del movimento cattolico italiano del Novecento. Esso cominciò a prendere forma, attraverso un’articolata serie di enunciati, nel luglio 1943, in singolare coincidenza con le drammatiche vicende che, dal bombardamento di Roma, portarono alla destituzione di Mussolini. Proprio in quelle giornate dense di storia, nel Cenobio di Camaldoli si svolse una riunione di teologi e di intellettuali cattolici che era stata preparata a lungo nei mesi precedenti, a partire dal celebre richiamo all’azione di Pio XII nel Radiomessaggio del Natale 1942. Le considerazioni condivise a Camaldoli vennero rielaborate nei mesi successivi da un gruppo di lavoro guidato da Sergio Paronetto, nel plumbeo scenario della Roma occupata, e, pronte nella primavera del 1944, furono infine condensate nel testo Per la comunità cristiana, pubblicato nell’aprile del 1945. Cominciò allora – per così dire – un’altra storia del Codice di Camaldoli. Dall’oblio in cui fu relegato – sebbene molte delle sue riflessioni e intuizioni si ritrovino nel contributo dei cattolici all’Assemblea costituente – esso riemerse solo a partire dagli anni Ottanta, divenendo oggetto di un’attenzione crescente ma anche di riletture agiografiche e parziali, ispirate più da un nostalgico interesse politico che da autentiche ragioni storiografiche. Nel progressivo declino dell’unità politica dei cattolici, i tentativi di “ritornare” al Codice hanno cercato di rispondere all’esigenza di riprendere un discorso comune sui fondamenti morali dell’impegno politico cristiano. Oggi si può guardare alla vicenda del luglio 1943 e alla sua lunga e complessa storia successiva con maggiore rigore scientifico. Gli studi offrono infatti un ampio spettro di considerazioni sulla carica progettuale del Codice, sull’originalità di alcuni suoi contenuti, sulla sensibilità dimostrata dagli estensori verso approcci metodologici differenti, dalla sociologia alla spiritualità, all’economia, al diritto. Sono stati chiariti molti aspetti della fase di preparazione del convegno del luglio 1943 e delle successive tappe della redazione romana del testo, pubblicato nell’altrettanto singolare coincidenza della Liberazione. Si è potuto così meglio comprendere come nelle aspirazioni comuni dei redattori ci sia stata la volontà di conciliare gli ideali della dottrina sociale cristiana e le mete concrete per avviare la ricostruzione del Paese dopo l’immane catastrofe bellica. Essi si posero con molta serietà il problema della propria autonomia rispetto a impostazioni di carattere politico. Ritenevano infatti che le opzioni politiche dovessero essere effettuate dai singoli senza coinvolgere la Chiesa. Ritenevano urgente contribuire a che i singoli cristiani potessero liberamente e responsabilmente assumere una loro posizione nei confronti dei valori irrinunciabili per la coscienza cristiana. Come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel magistrale discorso tenuto a Cuneo il 25 aprile scorso, 78° anniversario della Liberazione, essi erano mossi dall’intento “di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come ‘Codice di Camaldoli’, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini”. Osservato attraverso la scrupolosa lente degli storici, fuori dal fuoco della controversia politica, lo stile di questa presenza laicale e di questo impegno intellettuale dei cattolici italiani nel riflettere sul futuro resta dunque ancora oggi, a ottant’anni di distanza, esemplare e affascinante. Tiziano Torresi Promotore e coordinatore del convegno che si tiene a Camaldoli il 21-23 luglio 2023 (Scarica qui il pdf del programma)]]>
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Elezioni. Appello dei Vescovi ai giovani, ai disillusi e agli eletti: dipende da noi, impegnamoci!” https://www.lavoce.it/elezioni-appello-dei-vescovi-ai-giovani-ai-disillusi-e-agli-eletti-dipende-da-noi-impegnamoci/ Thu, 22 Sep 2022 17:29:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68747 giovani elezioni

Elezioni: i Vescovi invitano a partecipare. Pubblichiamo di seguito il testo “Osare la speranza: appello alle donne e agli uomini del nostro Paese” approvato dal Consiglio Episcopale Permanente che si è tenuto il 21 settembre a Matera, in occasione del Congresso eucaristico nazionale. _______ Dipende da noi: impegniamoci. È questo il messaggio che sentiamo di rivolgere a noi stessi, alle nostre comunità, a tutte le donne e gli uomini d’Italia. Stiamo attraversando una fase particolarmente delicata e complicata della storia: le nostre parole non sono un incoraggiamento ad andare avanti nonostante tutto, ma un invito a osare con speranza. Non semplice ottimismo, ma speranza e realismo cristiano. La guerra, la pandemia, la crisi ambientale e quella delle imprese, l’aumento generalizzato dei costi, il caro bollette… sono tutte questioni che ci addolorano terribilmente e ci preoccupano. Non possiamo mai abituarci a vedere la vita calpestata. Il nostro appello è motivato prima di tutto dalla nostra fede e dalla certezza che il Vangelo di Gesù continua ad essere una Buona Notizia per tutti. Ci sta a cuore il futuro di ogni persona umana. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Siamo fratelli e sorelle. “Impegniamoci”, tutti insieme, per non cedere al pessimismo e alla rabbia. Vogliamo essere spettatori o protagonisti del futuro? L’Italia ha bisogno dell’impegno di ciascuno, di responsabilità e di partecipazione. Vicini e solidali con chi soffre ed è in cerca di risposte ai tanti problemi quotidiani, rivolgiamo un appello agli elettori, ai giovani, a chi ha perso fiducia nelle Istituzioni e agli stessi rappresentanti che saranno eletti al Parlamento.

Agli elettori

Il voto è un diritto e un dovere da esercitare con consapevolezza. Siamo chiamati a fare discernimento fra le diverse proposte politiche alla luce del bene comune, liberi da qualsiasi tornaconto personale e attenti solo alla costruzione di una società più giusta, che riparte dagli “ultimi” e, per questo, possibile per tutti, e ospitale. Solo così può entrare il futuro! C’è un bisogno diffuso di comunità, da costruire e ricostruire sui territori in Italia e in Europa, con lo sguardo aperto al mondo, senza lasciare indietro nessuno. C’è urgenza di visioni ampie; di uno slancio culturale che sappia aprire orizzonti nuovi e nutrire un’educazione al bello, al vero e al giusto. Il voto è una espressione qualificata della vita democratica di un Paese, ma è opportuno continuare a sentirsene partecipi attraverso tutti gli strumenti che la società civile ha a disposizione.

Ai giovani

Ai giovani, che per la prima volta si recano a un seggio elettorale, diciamo di avere fiducia! Con il vostro voto lanciate a tutta l’Italia un forte messaggio di partecipazione alla costruzione del bene comune, nel rispetto della persona, di tutte le persone in ogni fase della vita. Questo è il vero criterio per orientarsi nelle scelte. Il vostro impegno per la cura del Creato è un esempio per tutti. Vedere che i giovani si pongono dalla parte di chi vuole affrontare e risolvere i problemi è un segno che fa ben sperare. E impegna, allo stesso tempo, noi adulti a non tradire i vostri sogni.

Ai disillusi

A chi, dopo molti anni, è tentato di pensare che nulla cambierà anche stavolta, ricordiamo che il contributo di tutti è molto prezioso. Comprendiamo la vostra preoccupazione: sarà possibile mettere da parte le divisioni e guardare al bene del Paese? Vi invitiamo, però, a non far prevalere la delusione: impegniamoci! La partecipazione democratica è amore per il nostro Paese. Invitiamo chi si trova ad affrontare gravi problemi e si sente ai margini della società a non scoraggiarsi e a dare il proprio irrinunciabile contributo.

Agli eletti

Chiediamo ai futuri eletti di non dimenticare mai l’alta responsabilità di cui sono investiti. Il loro servizio è per tutti, in particolare per chi è più fragile e per chi non ha modo di far sentire la sua voce. L’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale… È il tempo di scelte coraggiose e organiche. Non opportunismi, ma visioni. Vi invitiamo a vivere la responsabilità politica come “la forma più alta di carità”.

Elezioni. Prospettive

Ripartiamo dai luoghi di vita: qui abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia. Il Cammino sinodale che le Chiese in Italia stanno vivendo può costituire davvero un’opportunità per far progredire processi di corresponsabilità. È sempre nei luoghi di vita che abbiamo appreso l’arte del dialogo e dell’ascolto, ingredienti indispensabili per ricostruire le condizioni della partecipazione e del confronto. Riscopriamo e riproponiamo i principi della dottrina sociale della Chiesa: dignità delle persone, bene comune, solidarietà e sussidiarietà. Amiamo il nostro Paese. La Chiesa ricorderà sempre questo a tutti e continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità. Matera, 21 settembre 2022 Festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista]]>
giovani elezioni

Elezioni: i Vescovi invitano a partecipare. Pubblichiamo di seguito il testo “Osare la speranza: appello alle donne e agli uomini del nostro Paese” approvato dal Consiglio Episcopale Permanente che si è tenuto il 21 settembre a Matera, in occasione del Congresso eucaristico nazionale. _______ Dipende da noi: impegniamoci. È questo il messaggio che sentiamo di rivolgere a noi stessi, alle nostre comunità, a tutte le donne e gli uomini d’Italia. Stiamo attraversando una fase particolarmente delicata e complicata della storia: le nostre parole non sono un incoraggiamento ad andare avanti nonostante tutto, ma un invito a osare con speranza. Non semplice ottimismo, ma speranza e realismo cristiano. La guerra, la pandemia, la crisi ambientale e quella delle imprese, l’aumento generalizzato dei costi, il caro bollette… sono tutte questioni che ci addolorano terribilmente e ci preoccupano. Non possiamo mai abituarci a vedere la vita calpestata. Il nostro appello è motivato prima di tutto dalla nostra fede e dalla certezza che il Vangelo di Gesù continua ad essere una Buona Notizia per tutti. Ci sta a cuore il futuro di ogni persona umana. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Siamo fratelli e sorelle. “Impegniamoci”, tutti insieme, per non cedere al pessimismo e alla rabbia. Vogliamo essere spettatori o protagonisti del futuro? L’Italia ha bisogno dell’impegno di ciascuno, di responsabilità e di partecipazione. Vicini e solidali con chi soffre ed è in cerca di risposte ai tanti problemi quotidiani, rivolgiamo un appello agli elettori, ai giovani, a chi ha perso fiducia nelle Istituzioni e agli stessi rappresentanti che saranno eletti al Parlamento.

Agli elettori

Il voto è un diritto e un dovere da esercitare con consapevolezza. Siamo chiamati a fare discernimento fra le diverse proposte politiche alla luce del bene comune, liberi da qualsiasi tornaconto personale e attenti solo alla costruzione di una società più giusta, che riparte dagli “ultimi” e, per questo, possibile per tutti, e ospitale. Solo così può entrare il futuro! C’è un bisogno diffuso di comunità, da costruire e ricostruire sui territori in Italia e in Europa, con lo sguardo aperto al mondo, senza lasciare indietro nessuno. C’è urgenza di visioni ampie; di uno slancio culturale che sappia aprire orizzonti nuovi e nutrire un’educazione al bello, al vero e al giusto. Il voto è una espressione qualificata della vita democratica di un Paese, ma è opportuno continuare a sentirsene partecipi attraverso tutti gli strumenti che la società civile ha a disposizione.

Ai giovani

Ai giovani, che per la prima volta si recano a un seggio elettorale, diciamo di avere fiducia! Con il vostro voto lanciate a tutta l’Italia un forte messaggio di partecipazione alla costruzione del bene comune, nel rispetto della persona, di tutte le persone in ogni fase della vita. Questo è il vero criterio per orientarsi nelle scelte. Il vostro impegno per la cura del Creato è un esempio per tutti. Vedere che i giovani si pongono dalla parte di chi vuole affrontare e risolvere i problemi è un segno che fa ben sperare. E impegna, allo stesso tempo, noi adulti a non tradire i vostri sogni.

Ai disillusi

A chi, dopo molti anni, è tentato di pensare che nulla cambierà anche stavolta, ricordiamo che il contributo di tutti è molto prezioso. Comprendiamo la vostra preoccupazione: sarà possibile mettere da parte le divisioni e guardare al bene del Paese? Vi invitiamo, però, a non far prevalere la delusione: impegniamoci! La partecipazione democratica è amore per il nostro Paese. Invitiamo chi si trova ad affrontare gravi problemi e si sente ai margini della società a non scoraggiarsi e a dare il proprio irrinunciabile contributo.

Agli eletti

Chiediamo ai futuri eletti di non dimenticare mai l’alta responsabilità di cui sono investiti. Il loro servizio è per tutti, in particolare per chi è più fragile e per chi non ha modo di far sentire la sua voce. L’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale… È il tempo di scelte coraggiose e organiche. Non opportunismi, ma visioni. Vi invitiamo a vivere la responsabilità politica come “la forma più alta di carità”.

Elezioni. Prospettive

Ripartiamo dai luoghi di vita: qui abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia. Il Cammino sinodale che le Chiese in Italia stanno vivendo può costituire davvero un’opportunità per far progredire processi di corresponsabilità. È sempre nei luoghi di vita che abbiamo appreso l’arte del dialogo e dell’ascolto, ingredienti indispensabili per ricostruire le condizioni della partecipazione e del confronto. Riscopriamo e riproponiamo i principi della dottrina sociale della Chiesa: dignità delle persone, bene comune, solidarietà e sussidiarietà. Amiamo il nostro Paese. La Chiesa ricorderà sempre questo a tutti e continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità. Matera, 21 settembre 2022 Festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista]]>
Elezioni politiche 2022. Dove sono le idee … e i cattolici? https://www.lavoce.it/elezioni-politiche-2022-dove-sono-le-idee-e-i-cattolici/ Wed, 31 Aug 2022 01:31:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68133 Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
È più del “mare nostrum”. È il nostro mondo https://www.lavoce.it/mare-nostrum-nostro-mondo/ Wed, 12 Feb 2020 16:17:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56270 mare nostrum

di Andrea Possieri

Che cos’è il Mediterraneo? “Mille cose insieme - scriveva Fernand Braudel. - Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Il Mediterraneo, continuava lo storico francese, è “un crocevia antichissimo” in cui da “millenni tutto confluisce, complicandone e arricchendone la storia”.

Il Mediterraneo nell'immaginario comune

Un crocevia di umanità talmente complesso che non si può sintetizzare solamente con l’espressione mare nostrum, ma occorre far riferimento, come sottolineava Braudel, all’esistenza di un “mondo mediterraneo”, ovvero “un sistema in cui tuttosi fonde e si ricompone in un’unità originale”. Mai come oggi, per merito soprattutto della Chiesa italiana che ha promosso l’incontro di riflessione e spiritualità di Bari, questo “mondo mediterraneo” sembra aver riacquistato quella centralità perduta dopo decenni di marginalità.

Per troppo tempo il Mediterraneo è stato visto soltanto attraverso la lente deformante di un dépliant turistico, oppure come una frontiera politico-culturale tra mondi opposti e, infine, come un luogo di morte, in cui il conteggio dei migranti che avevano perso la vita in mare si accompagnava, drammaticamente, al numero degli “sbarchi” in Grecia o in Italia. Sole e mare, confini e guerre, miseria e disperazione.

Una miscela indigesta di immagini e paure senza alcun denominatore comune. Oggi, invece, la bellezza dei paesaggi si combina con la ricchezza di un pensiero antico e la virtù della speranza. Ci troviamo, infatti, alla vigilia di un evento di portata storica eccezionale. Per almeno tre motivi. Innanzitutto,per le ragioni che hanno portato all’organizzazione di questo incontro.

Unione di civiltà

Un incontro che affonda le sue radici culturali nel pensiero di Giorgio La Pira il quale, ben prima del Concilio Vaticano II, vedeva il Mediterraneo come il “grande lago di Tiberiade” che poteva unire – e non solo dividere – le civiltà che componevano la “triplice famiglia di Abramo”. All’ideologia dello scontro, il sindaco di Firenze contrapponeva, in questa visione profetica, la cultura dell’incontro e della pace. In secondo luogo, per il ruolo della Chiesa italiana.

Una Chiesa che oggi, grazie all’intuizione del Presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, si proietta al di fuori del territorio nazionale – facendosi concretamente “in uscita” –, sviluppa un “metodo sinodale” ed esercita una leadership morale, seppur in clima di comunione, sulle altre Chiese mediterranee.

L'incontro di Bari

L’incontro di Bari, dunque, già nelle sue premesse ha raggiunto un obiettivo storico: riunire e raccogliere i vescovi cattolici che si affacciano sul Mediterraneo e che provengono da tre diversi continenti, Africa, Europa e Asia. Un evento “unico nel suo genere”, ha affermato l’Arcivescovo di Perugia, che dunque merita di essere seguito con attenzione e fiducia.

In terzo luogo, infine, ci troviamo di fronte a un incontro di grande rilevanza per ciò che riguarda la geopolitica mediterranea, ovvero uno degli scacchieri più delicati e strategicamente più importanti nel mondo contemporaneo. Ovviamente, trattandosi di un’assemblea di vescovi e non di politici – sebbene saranno presenti alcune tra le più importanti cariche istituzionali del mondo contemporaneo –, emergerà soltanto lo sguardo e la premura dei Pastori, e non verranno certamente prodotti documenti vincolanti per le nazioni.

I temi

Ma come non sottolineare, però, l’enorme rilevanza pubblica – e quindi anche politica – che assumerà la voce dei Vescovi in questo contesto internazionale così frammentato e multipolare? È bene tenere a mente, infatti, alcune delle questioni cruciali che investono questa regione.

Innanzitutto le risorse energetiche: da un lato, la complessa situazione del gasdotto EastMed che divide in due campi opposti i cosiddetti Paesi della sponda nord e, dall’altro lato, il ruolo subalterno che, invece, svolgono i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

In secondo luogo, il complesso rapporto tra i processi di democratizzazione, lo sviluppo economico e il rispetto delle minoranze religiose – i cristiani in Medio Oriente, per esempio – che, dopo l’illusione suscitata dalle “primavere arabe”, necessita, oggi più che mai, di essere affrontato seriamente.

In terzo luogo, le migrazioni internazionali in cui si combinano le cosiddette opportunità politiche – che a volte si trasformano in minacciosi ricatti – con la doverosa e necessaria salvaguardia dei diritti umani dei migranti. E infine la questione delle comunicazioni: non tanto per riproporre il tema del digital divide tra Nord e Sud, ma per sottolineare la centralità del controllo dei dati dei flussi comunicativi che passano, inesorabilmente, attraverso i cavi sottomarini a fibra ottica.

Oggi il Mediterraneo è solcato da un’autostrada sottomarina a 10 corsie che ha un’importanza politicostrategica enorme. Nessuno può prevedere come si svilupperà il dibattito tra i vescovi. Se tutti o soltanto alcuni di questi temi saranno affrontati nei tavoli di discussione. Senza dubbio, però, la cornice simbolica in cui si svolgerà l’incontro sarà quella della conoscenza e del dialogo. Una cornice che permetterà di riscoprire finalmente l’appartenenza a un unico “mondo mediterraneo”.

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mare nostrum

di Andrea Possieri

Che cos’è il Mediterraneo? “Mille cose insieme - scriveva Fernand Braudel. - Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Il Mediterraneo, continuava lo storico francese, è “un crocevia antichissimo” in cui da “millenni tutto confluisce, complicandone e arricchendone la storia”.

Il Mediterraneo nell'immaginario comune

Un crocevia di umanità talmente complesso che non si può sintetizzare solamente con l’espressione mare nostrum, ma occorre far riferimento, come sottolineava Braudel, all’esistenza di un “mondo mediterraneo”, ovvero “un sistema in cui tuttosi fonde e si ricompone in un’unità originale”. Mai come oggi, per merito soprattutto della Chiesa italiana che ha promosso l’incontro di riflessione e spiritualità di Bari, questo “mondo mediterraneo” sembra aver riacquistato quella centralità perduta dopo decenni di marginalità.

Per troppo tempo il Mediterraneo è stato visto soltanto attraverso la lente deformante di un dépliant turistico, oppure come una frontiera politico-culturale tra mondi opposti e, infine, come un luogo di morte, in cui il conteggio dei migranti che avevano perso la vita in mare si accompagnava, drammaticamente, al numero degli “sbarchi” in Grecia o in Italia. Sole e mare, confini e guerre, miseria e disperazione.

Una miscela indigesta di immagini e paure senza alcun denominatore comune. Oggi, invece, la bellezza dei paesaggi si combina con la ricchezza di un pensiero antico e la virtù della speranza. Ci troviamo, infatti, alla vigilia di un evento di portata storica eccezionale. Per almeno tre motivi. Innanzitutto,per le ragioni che hanno portato all’organizzazione di questo incontro.

Unione di civiltà

Un incontro che affonda le sue radici culturali nel pensiero di Giorgio La Pira il quale, ben prima del Concilio Vaticano II, vedeva il Mediterraneo come il “grande lago di Tiberiade” che poteva unire – e non solo dividere – le civiltà che componevano la “triplice famiglia di Abramo”. All’ideologia dello scontro, il sindaco di Firenze contrapponeva, in questa visione profetica, la cultura dell’incontro e della pace. In secondo luogo, per il ruolo della Chiesa italiana.

Una Chiesa che oggi, grazie all’intuizione del Presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, si proietta al di fuori del territorio nazionale – facendosi concretamente “in uscita” –, sviluppa un “metodo sinodale” ed esercita una leadership morale, seppur in clima di comunione, sulle altre Chiese mediterranee.

L'incontro di Bari

L’incontro di Bari, dunque, già nelle sue premesse ha raggiunto un obiettivo storico: riunire e raccogliere i vescovi cattolici che si affacciano sul Mediterraneo e che provengono da tre diversi continenti, Africa, Europa e Asia. Un evento “unico nel suo genere”, ha affermato l’Arcivescovo di Perugia, che dunque merita di essere seguito con attenzione e fiducia.

In terzo luogo, infine, ci troviamo di fronte a un incontro di grande rilevanza per ciò che riguarda la geopolitica mediterranea, ovvero uno degli scacchieri più delicati e strategicamente più importanti nel mondo contemporaneo. Ovviamente, trattandosi di un’assemblea di vescovi e non di politici – sebbene saranno presenti alcune tra le più importanti cariche istituzionali del mondo contemporaneo –, emergerà soltanto lo sguardo e la premura dei Pastori, e non verranno certamente prodotti documenti vincolanti per le nazioni.

I temi

Ma come non sottolineare, però, l’enorme rilevanza pubblica – e quindi anche politica – che assumerà la voce dei Vescovi in questo contesto internazionale così frammentato e multipolare? È bene tenere a mente, infatti, alcune delle questioni cruciali che investono questa regione.

Innanzitutto le risorse energetiche: da un lato, la complessa situazione del gasdotto EastMed che divide in due campi opposti i cosiddetti Paesi della sponda nord e, dall’altro lato, il ruolo subalterno che, invece, svolgono i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

In secondo luogo, il complesso rapporto tra i processi di democratizzazione, lo sviluppo economico e il rispetto delle minoranze religiose – i cristiani in Medio Oriente, per esempio – che, dopo l’illusione suscitata dalle “primavere arabe”, necessita, oggi più che mai, di essere affrontato seriamente.

In terzo luogo, le migrazioni internazionali in cui si combinano le cosiddette opportunità politiche – che a volte si trasformano in minacciosi ricatti – con la doverosa e necessaria salvaguardia dei diritti umani dei migranti. E infine la questione delle comunicazioni: non tanto per riproporre il tema del digital divide tra Nord e Sud, ma per sottolineare la centralità del controllo dei dati dei flussi comunicativi che passano, inesorabilmente, attraverso i cavi sottomarini a fibra ottica.

Oggi il Mediterraneo è solcato da un’autostrada sottomarina a 10 corsie che ha un’importanza politicostrategica enorme. Nessuno può prevedere come si svilupperà il dibattito tra i vescovi. Se tutti o soltanto alcuni di questi temi saranno affrontati nei tavoli di discussione. Senza dubbio, però, la cornice simbolica in cui si svolgerà l’incontro sarà quella della conoscenza e del dialogo. Una cornice che permetterà di riscoprire finalmente l’appartenenza a un unico “mondo mediterraneo”.

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La nave dei folli https://www.lavoce.it/nave-folli/ Mon, 12 Aug 2019 08:46:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55101 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci Stultifera navis (“La nave dei folli”): così Michel Foucault, il più grande degli storici di settore,  intitola il primo capitolo della sua Storia della follia nell'età classica. Ed è stata effettivamente una prassi “medica” quella che nel Nord Europa, sei/settecento anni fa, allontanava i "matti" che in numero eccessivo pesavano sulla comunità dei "normali", affidandoli a gente di mare. E la gente di mare spesso li stipava in grossi natanti che partivano… verso dove? Nessuno era tenuto a saperlo. Un’incombenza della quale è documentato che volentieri si facevano carico i battellieri di Francoforte nel 1399, per intero, escluso il “verso dove”. Alla nave dei folli m’hanno fatto pensare i signori che oggi reggono i destini del nostro paese. Ogni minuto dal balcone della politica s’affacciano sui nostri schermi televisivi, a volta minacciosi, più spesso civettuoli, e ci dicono cose che meritano di essere dimenticate subito dopo. Che hanno abolito la povertà, che hanno messo in sicurezza il nostro paese, che quella che comincia con loro sarà l’epoca politicamente più felice dalla Guerra dei Cento Anni in qua. Li vedi, li ascolti, ti fai il segno della croce e ti chiedi da quale pianeta del sistema solare siano piovuti questi androidi e dove approderà quella loro nave nella quale tutti, dalla cambusa alla cima dell’albero maestro, litigano con tutti. La mia generazione politicamente è nata quando De Gasperi con la sua DC travolse il Fronte Popolare: avevamo dieci anni, vivemmo la vicenda come una vittoria calcistica. Poi però abbiamo imparato ad entrare nelle pieghe dei problemi e la politica è diventata una passione lucida e incontenibile. Ahimé! Tangentopoli insieme ai grandi corruttori ha travolto anche la nostra verginità politica, fresca dell’esaltante vicenda del “Compromesso storico” di Moro e Berlinguer. Poi è arrivato l’Omino di Ceralacca, che purtroppo ha detto di voler bene  al suo e nostro paese; in realtà, tirando fuori una cofena di soldi, è riuscito a farci vivacchiare nella ngosciante banalità di una gestione dello stato ricalcata sulla gestione di un’azienda privata. Lui, l’Omino di Ceralacca, aveva già in mente il momento in cui le sue idee sarebbero state predicate e corrette in TV non da un moderno, rude Giovanni Battista, ma da suffragette tutta panna, tipo Mara Carfagna o Anna Maria Bernini, che il loro tirocinio politico l’hanno fatto dal parrucchiere (ai-ai-ai! dove siete finite Marie Elette Martini, Nilde Iotti, Tina Anselmi, dove siete finite?!). E va, la nave dei folli, odorosa di Giòrgio Armani. (Giò, con la “o” stretta, please!). Sulla tolda medita Toninelli: ma Montalbano e Zingaretti come fanno ad essere fratelli?]]>
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di Angelo M. Fanucci Stultifera navis (“La nave dei folli”): così Michel Foucault, il più grande degli storici di settore,  intitola il primo capitolo della sua Storia della follia nell'età classica. Ed è stata effettivamente una prassi “medica” quella che nel Nord Europa, sei/settecento anni fa, allontanava i "matti" che in numero eccessivo pesavano sulla comunità dei "normali", affidandoli a gente di mare. E la gente di mare spesso li stipava in grossi natanti che partivano… verso dove? Nessuno era tenuto a saperlo. Un’incombenza della quale è documentato che volentieri si facevano carico i battellieri di Francoforte nel 1399, per intero, escluso il “verso dove”. Alla nave dei folli m’hanno fatto pensare i signori che oggi reggono i destini del nostro paese. Ogni minuto dal balcone della politica s’affacciano sui nostri schermi televisivi, a volta minacciosi, più spesso civettuoli, e ci dicono cose che meritano di essere dimenticate subito dopo. Che hanno abolito la povertà, che hanno messo in sicurezza il nostro paese, che quella che comincia con loro sarà l’epoca politicamente più felice dalla Guerra dei Cento Anni in qua. Li vedi, li ascolti, ti fai il segno della croce e ti chiedi da quale pianeta del sistema solare siano piovuti questi androidi e dove approderà quella loro nave nella quale tutti, dalla cambusa alla cima dell’albero maestro, litigano con tutti. La mia generazione politicamente è nata quando De Gasperi con la sua DC travolse il Fronte Popolare: avevamo dieci anni, vivemmo la vicenda come una vittoria calcistica. Poi però abbiamo imparato ad entrare nelle pieghe dei problemi e la politica è diventata una passione lucida e incontenibile. Ahimé! Tangentopoli insieme ai grandi corruttori ha travolto anche la nostra verginità politica, fresca dell’esaltante vicenda del “Compromesso storico” di Moro e Berlinguer. Poi è arrivato l’Omino di Ceralacca, che purtroppo ha detto di voler bene  al suo e nostro paese; in realtà, tirando fuori una cofena di soldi, è riuscito a farci vivacchiare nella ngosciante banalità di una gestione dello stato ricalcata sulla gestione di un’azienda privata. Lui, l’Omino di Ceralacca, aveva già in mente il momento in cui le sue idee sarebbero state predicate e corrette in TV non da un moderno, rude Giovanni Battista, ma da suffragette tutta panna, tipo Mara Carfagna o Anna Maria Bernini, che il loro tirocinio politico l’hanno fatto dal parrucchiere (ai-ai-ai! dove siete finite Marie Elette Martini, Nilde Iotti, Tina Anselmi, dove siete finite?!). E va, la nave dei folli, odorosa di Giòrgio Armani. (Giò, con la “o” stretta, please!). Sulla tolda medita Toninelli: ma Montalbano e Zingaretti come fanno ad essere fratelli?]]>
Cattolici e politica. Due netti schieramenti: difendere le frontiere o sfamare gli affamati? https://www.lavoce.it/cattolici-frontiere-affamati/ Fri, 12 Jul 2019 12:26:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54857 chiese orientali

di Daris Giancarlini

Cattolici al bivio: il Papa o Salvini , titolava perentoriamente Repubblica dell’8 luglio scorso. Fa gioco a un giornale interventista da sempre sotto il profilo politico qual è il quotidiano fondato da Scalfari - e attualmente schierato in modo aperto, a tratti viscerale, contro l’attuale compagine di governo - mettere l’accento su quella che, comunque la si voglia considerare, resta una questione aperta da sempre, oggi come in altre epoche: cioè dove e come si canalizza il consenso espresso da coloro che, almeno a parole, si richiamano in Italia ai princìpi del cattolicesimo.

Lo stesso giornale aveva ospitato, il 9 giugno scorso, un’intervista al presidente della Conferenza episcopale italiana, card. Gualtiero Bassetti, scegliendo come titolo una frase tra virgolette del porporato: “Non divideranno i cattolici dal Papa”. Insomma, stando a questi e altri interventi, la Chiesa, dai vertici fino alla base, sembra si stia ponendo seriamente, e a tratti drammaticamente, il problema del perché soprattutto la Lega di Salvini faccia tanta breccia anche tra i cattolici.

Le risposte a questo interrogativo finora fanno riferimento principalmente, se non esclusivamente, alla ormai assodata capacità inarrivabile del leader leghista di utilizzare tutti i mezzi possibili della comunicazione odierna per parlare più alla ‘pancia’ che al cuore o al cervello delle persone.

E lo fa in un momento storico ed economico in cui la crisi assorbe molti dei pensieri della maggioranza degli italiani, che percepiscono - questo il tema di maggior peso - come pericolosa per il loro futuro, sotto vari aspetti, l’accoglienza e la presenza delle popolazioni che migrano nel nostro territorio da Paesi più poveri e disagiati del nostro.

Insomma, il consenso alle ‘parole d’ordine’ salviniane su frontiere e porti chiusi viene vissuto, in alcuni settori della comunità cattolica italiana, come una limitazione alla possibilità di continuare, finché regnerà il Governo verdegiallo, a diffondere e praticare princìpi come, appunto, accoglienza, carità e parità di trattamento a prescindere dalle differenze di etnia, nazionalità o religione.

Sembra dunque porsi la cruda alternativa tra il consenso (in continua crescita) alla Lega e la professione di fede cristiana. Non è la prima volta nella storia dell’Italia del dopoguerra che questo accade; oggi però tutto è reso più lacerante dalla pressione mediatica (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

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chiese orientali

di Daris Giancarlini

Cattolici al bivio: il Papa o Salvini , titolava perentoriamente Repubblica dell’8 luglio scorso. Fa gioco a un giornale interventista da sempre sotto il profilo politico qual è il quotidiano fondato da Scalfari - e attualmente schierato in modo aperto, a tratti viscerale, contro l’attuale compagine di governo - mettere l’accento su quella che, comunque la si voglia considerare, resta una questione aperta da sempre, oggi come in altre epoche: cioè dove e come si canalizza il consenso espresso da coloro che, almeno a parole, si richiamano in Italia ai princìpi del cattolicesimo.

Lo stesso giornale aveva ospitato, il 9 giugno scorso, un’intervista al presidente della Conferenza episcopale italiana, card. Gualtiero Bassetti, scegliendo come titolo una frase tra virgolette del porporato: “Non divideranno i cattolici dal Papa”. Insomma, stando a questi e altri interventi, la Chiesa, dai vertici fino alla base, sembra si stia ponendo seriamente, e a tratti drammaticamente, il problema del perché soprattutto la Lega di Salvini faccia tanta breccia anche tra i cattolici.

Le risposte a questo interrogativo finora fanno riferimento principalmente, se non esclusivamente, alla ormai assodata capacità inarrivabile del leader leghista di utilizzare tutti i mezzi possibili della comunicazione odierna per parlare più alla ‘pancia’ che al cuore o al cervello delle persone.

E lo fa in un momento storico ed economico in cui la crisi assorbe molti dei pensieri della maggioranza degli italiani, che percepiscono - questo il tema di maggior peso - come pericolosa per il loro futuro, sotto vari aspetti, l’accoglienza e la presenza delle popolazioni che migrano nel nostro territorio da Paesi più poveri e disagiati del nostro.

Insomma, il consenso alle ‘parole d’ordine’ salviniane su frontiere e porti chiusi viene vissuto, in alcuni settori della comunità cattolica italiana, come una limitazione alla possibilità di continuare, finché regnerà il Governo verdegiallo, a diffondere e praticare princìpi come, appunto, accoglienza, carità e parità di trattamento a prescindere dalle differenze di etnia, nazionalità o religione.

Sembra dunque porsi la cruda alternativa tra il consenso (in continua crescita) alla Lega e la professione di fede cristiana. Non è la prima volta nella storia dell’Italia del dopoguerra che questo accade; oggi però tutto è reso più lacerante dalla pressione mediatica (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

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Per il bene comune del Paese. Il card. Bassetti lancia l’idea di un Forum civico https://www.lavoce.it/bassetti-forum-civico/ Fri, 22 Feb 2019 10:00:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54068 forum

In un articolo su Avvenire del 10 febbraio scorso, Giacomo Gambassi rilancia, nell’ampio dibattito in corso sull’impegno politico dei cattolici, la proposta del card. Bassetti dell’istituzione di un Forum civico che metta in rete esperienze di uomini e di donne che hanno a cuore il bene comune della nazione.

Tale richiamo al bene comune, che ho visto apparire con frequenza nel dibattito suddetto, mi offre l’occasione di tornare su questo tema, da me affrontato qualche anno fa. Secondo l’accezione proposta dal Magistero della Chiesa cattolica, per bene comune si intende l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono il perfezionamento sia delle singole persone che della collettività (GS, n. 26).

Qui mi limito a considerare una configurazione di bene comune costituita da componenti (relative all’assetto economico, sociale, istituzionale e ambientale) oggetto di attenzione e intervento delle organizzazioni sociali, con il concorso dei cittadini tutti - cattolici inclusi , a beneficio di ciascuno di questi, dando piena centralità al rispetto e alla promozione della persona.

Vivere bene insieme

Con queste precisazioni, faccio riferimento al tema della crescita equa e sostenibile che ho cercato di presentare negli ultimi numeri di questo settimanale, osservando come in corrispondenza si profili un orizzonte di finalità - da un’economia efficiente, equa e sostenibile a un assetto distributivo accettabile, a un’inclusione sociale diffusa, a un ambiente accuratamente tutelato - generativo di un’interessante configurazione di bene comune.

A questa può farsi corrispondere un “vivere bene insieme”, un Benessere equo e sostenibile (Bes), con un’architettura poggiante su un effettivo assetto democratico, su un ordine pubblico soddisfacente, sul rispetto della legalità, sulla protezione della libertà e dei diritti fondamentali (vedi Pontificio consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria editrice vaticana, 2004, n. 166).

Le molteplici componenti di tale configurazione possono essere oggetto di pubblico confronto, e di valutazione critica, nonché occasione per costruire insieme proposte unitarie di intervento, ai diversi livelli di governo del territorio considerato, quale ad es., nel contesto odierno, il governo regionale dell’Umbria.

Il contributo dei cattolici

In queste proposte il contributo dei cattolici (anche nell’ambito dell’eventuale Forum suddetto, e del connesso scambio di competenze ed esperienze) può riflettere la loro formazione nella fede, e l’adesione alle indicazioni della dottrina sociale della Chiesa.

Prendere a riferimento una configurazione di bene comune del tipo indicato ci permetterebbe di comprendere perché occorra tener conto simultaneamente di una molteplicità di fronti, e di corrispondenti obiettivi, e degli intrecci, e interdipendenze tra essi, superando l’approccio riduzionistico oggi prevalente, centrato sugli aspetti economici, per assicurare un più equo e sostenibile incremento di benessere.

E ci fa capire perché una vera crescita, che torni a vantaggio di tutti, si possa generare solo se si cresce insieme, secondo una dinamica pienamente inclusiva.

Non solo. Il confronto corretto e approfondito sulle modalità per conseguire i diversi obiettivi della configurazione porta a considerare la dignità e l’uguaglianza di tutte le persone nel quadro di una visione integrata (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce). 

Pierluigi Grasselli

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In un articolo su Avvenire del 10 febbraio scorso, Giacomo Gambassi rilancia, nell’ampio dibattito in corso sull’impegno politico dei cattolici, la proposta del card. Bassetti dell’istituzione di un Forum civico che metta in rete esperienze di uomini e di donne che hanno a cuore il bene comune della nazione.

Tale richiamo al bene comune, che ho visto apparire con frequenza nel dibattito suddetto, mi offre l’occasione di tornare su questo tema, da me affrontato qualche anno fa. Secondo l’accezione proposta dal Magistero della Chiesa cattolica, per bene comune si intende l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono il perfezionamento sia delle singole persone che della collettività (GS, n. 26).

Qui mi limito a considerare una configurazione di bene comune costituita da componenti (relative all’assetto economico, sociale, istituzionale e ambientale) oggetto di attenzione e intervento delle organizzazioni sociali, con il concorso dei cittadini tutti - cattolici inclusi , a beneficio di ciascuno di questi, dando piena centralità al rispetto e alla promozione della persona.

Vivere bene insieme

Con queste precisazioni, faccio riferimento al tema della crescita equa e sostenibile che ho cercato di presentare negli ultimi numeri di questo settimanale, osservando come in corrispondenza si profili un orizzonte di finalità - da un’economia efficiente, equa e sostenibile a un assetto distributivo accettabile, a un’inclusione sociale diffusa, a un ambiente accuratamente tutelato - generativo di un’interessante configurazione di bene comune.

A questa può farsi corrispondere un “vivere bene insieme”, un Benessere equo e sostenibile (Bes), con un’architettura poggiante su un effettivo assetto democratico, su un ordine pubblico soddisfacente, sul rispetto della legalità, sulla protezione della libertà e dei diritti fondamentali (vedi Pontificio consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria editrice vaticana, 2004, n. 166).

Le molteplici componenti di tale configurazione possono essere oggetto di pubblico confronto, e di valutazione critica, nonché occasione per costruire insieme proposte unitarie di intervento, ai diversi livelli di governo del territorio considerato, quale ad es., nel contesto odierno, il governo regionale dell’Umbria.

Il contributo dei cattolici

In queste proposte il contributo dei cattolici (anche nell’ambito dell’eventuale Forum suddetto, e del connesso scambio di competenze ed esperienze) può riflettere la loro formazione nella fede, e l’adesione alle indicazioni della dottrina sociale della Chiesa.

Prendere a riferimento una configurazione di bene comune del tipo indicato ci permetterebbe di comprendere perché occorra tener conto simultaneamente di una molteplicità di fronti, e di corrispondenti obiettivi, e degli intrecci, e interdipendenze tra essi, superando l’approccio riduzionistico oggi prevalente, centrato sugli aspetti economici, per assicurare un più equo e sostenibile incremento di benessere.

E ci fa capire perché una vera crescita, che torni a vantaggio di tutti, si possa generare solo se si cresce insieme, secondo una dinamica pienamente inclusiva.

Non solo. Il confronto corretto e approfondito sulle modalità per conseguire i diversi obiettivi della configurazione porta a considerare la dignità e l’uguaglianza di tutte le persone nel quadro di una visione integrata (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce). 

Pierluigi Grasselli

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Ai cattolici serve una regìa politica https://www.lavoce.it/cattolici-serve-regia-politica/ https://www.lavoce.it/cattolici-serve-regia-politica/#comments Wed, 21 Nov 2018 08:00:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53418

di Francesco Bonini

Un’Italia fragile, un Paese sospeso. Il cardinale Bassetti ha utilizzato, per descrivere sinteticamente la situazione italiana di oggi, due aggettivi efficaci. Ci dicono di un quadro preoccupante, pieno di contraddizioni, ma anche aperto. O, più esattamente, agonistico. Nel senso che nulla è inevitabile. Nessun processo è ad esito obbligato.

Anche se tutti si affannano a persuaderci del contrario. Ovvero ad arruolarci come spettatori o tifosi.

L’aria che tira suggerisce che stia andando in scena una sorta di recita collettiva, basata su un copione con ruoli precisi.

Un copione che tra l’altro di fatto non contempla un ruolo per i cattolici nella vita pubblica. Giustamente allora si legge nel comunicato finale dell’Assemblea della Cei la denuncia di una situazione bloccata caratterizzata da “un linguaggio corrente tante volte degradato e aggressivo”, per cui siamo precipitati in “un confronto umiliato dal ricorso a slogan che agitano le emozioni e impoveriscono la riflessione e l’approfondimento” segno di “una polarizzazione che divide e schiera l’opinione pubblica, frenando la disponibilità a un autentico dialogo”.

Si alza la temperatura dello scontro per impedire un confronto. Ma quello che vediamo all’interno non è che il riflesso di un quadro internazionale in cui l’Europa, ovvero l’Unione europea, rischia di essere la posta di uno scontro tra giganti mondiali. Una Europa, peraltro, che ci mette del suo, priva di appeal, di attrazione ideale e morale. Ma anche priva di alternative.

In realtà, se fallisce l’Italia, così come se fallisce l’Europa non ci sono un’Italia e un’Europa di riserva, ha ribadito Bassetti.

Dunque occorre reagire. Ciascuno secondo la sua responsabilità e le sue possibilità. Cosa che vale anche per quella comunità che è la Chiesa in Italia e che sono i cattolici, tanto come singoli che nelle molteplici forme associative che ancora sussistono e che rappresentano una grande ricchezza sociale. Il presidente della Cei ha ricordato due nomi, Toniolo e De Gasperi. A maggio aveva ricordato Sturzo. Rappresentano rispettivamente le stagioni dell’intransigenza e dell’azione sociale, quella della proposta politica e poi dell’impegno per il governo.

Oggi il copione di cui dicemmo prevede per la Chiesa e i cattolici italiani l’impegno per il sollievo alle emergenze, la povertà, gli immigrati, gli emarginati. E nulla più.

In realtà, al di là dei numeri, la Chiesa in Italia e i cattolici italiani hanno sempre avuto e non possono non avere una connotazione “popolare”. Perderla, anche solo nell’auto-consapevolezza, sarebbe imperdonabile. Al contrario è un principio di azione, per lanciare un’opera di ri-ordinamento. A cominciare da una azione critica, di denuncia delle propagande e delle falsità e di proposta a partire dai bisogni reali. Con grande franchezza e sguardo ampio. Serve però una regia discreta ma efficace, tale da valorizzare e dare voce a tutti i soggetti. Purtroppo, però, ancora non si profila all’orizzonte.

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Alle elezioni comunali di Terni hanno vinto i cattolici… ma si tratta degli “altri” cattolici https://www.lavoce.it/alle-elezioni-comunali-terni-vinto-cattolici-si-tratta-degli-altri-cattolici/ Sat, 14 Jul 2018 12:00:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52380 elezioni

Non è la prima volta che Terni ha un sindaco cattolico, ma è la prima volta che Terni ha un sindaco che brandisce la propria religione. A un osservatore intermittente delle cose ternane, questa vittoria potrebbe apparire una conseguenza prevedibile. A differenza di quanto era avvenuto per decenni, dalla fine degli anni ’80 alcune istituzioni ecclesiali avevano conquistato uno spazio importante nel dibattito pubblico cittadino: l’Azione cattolica e la Fuci, l’Istess, lo stesso Consiglio pastorale diocesano, infine la Chiesa locale nel suo insieme. Con il convegno del 2008 sul “futuro della città”, poi, questa presenza si era trasformata in una vera e propria leadership culturale.

Così, il nostro osservatore intermittente potrebbe immaginare che da un protagonismo culturale sia maturato un successo politico.

Però sbaglierebbe di grosso. Il cattolicesimo portato a palazzo Spada dalla maggioranza a controllo leghista è l’“altro” cattolicesimo ternano (o uno degli “altri”).

Politicamente non è di alcun interesse chiarire quale dei due sia quello “vero” o quello migliore. Si tratta invece di riconoscere che il crescente ruolo socio-culturale di una parte del cattolicesimo ternano è stato politicamente sterile, mentre un cattolicesimo senza Concilio, senza riunioni, senza programmi (nel senso proprio del termine), un cattolicesimo tutto umori e nostalgie ha avuto un ruolo politico importante e trovato spazio nella coalizione vincente. Questo cattolicesimo “altro” ha offerto una batteria di riferimenti simbolici e qualche slogan al disegno politico di Salvini (il rosario lo aveva già) e da Salvini questo cattolicesimo “altro” si è fatto scegliere come partner affidabile. Sotto questo profilo, le vittorie del centro-destra nelle due principali città umbre, quella di Romizi a Perugia e quella di Latini a Terni, non sono neppure lontane parenti. (E resterebbero tali anche se domani Romizi si accodasse a Salvini).

Cosa possiamo imparare da questa vicenda? (continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce)

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elezioni

Non è la prima volta che Terni ha un sindaco cattolico, ma è la prima volta che Terni ha un sindaco che brandisce la propria religione. A un osservatore intermittente delle cose ternane, questa vittoria potrebbe apparire una conseguenza prevedibile. A differenza di quanto era avvenuto per decenni, dalla fine degli anni ’80 alcune istituzioni ecclesiali avevano conquistato uno spazio importante nel dibattito pubblico cittadino: l’Azione cattolica e la Fuci, l’Istess, lo stesso Consiglio pastorale diocesano, infine la Chiesa locale nel suo insieme. Con il convegno del 2008 sul “futuro della città”, poi, questa presenza si era trasformata in una vera e propria leadership culturale.

Così, il nostro osservatore intermittente potrebbe immaginare che da un protagonismo culturale sia maturato un successo politico.

Però sbaglierebbe di grosso. Il cattolicesimo portato a palazzo Spada dalla maggioranza a controllo leghista è l’“altro” cattolicesimo ternano (o uno degli “altri”).

Politicamente non è di alcun interesse chiarire quale dei due sia quello “vero” o quello migliore. Si tratta invece di riconoscere che il crescente ruolo socio-culturale di una parte del cattolicesimo ternano è stato politicamente sterile, mentre un cattolicesimo senza Concilio, senza riunioni, senza programmi (nel senso proprio del termine), un cattolicesimo tutto umori e nostalgie ha avuto un ruolo politico importante e trovato spazio nella coalizione vincente. Questo cattolicesimo “altro” ha offerto una batteria di riferimenti simbolici e qualche slogan al disegno politico di Salvini (il rosario lo aveva già) e da Salvini questo cattolicesimo “altro” si è fatto scegliere come partner affidabile. Sotto questo profilo, le vittorie del centro-destra nelle due principali città umbre, quella di Romizi a Perugia e quella di Latini a Terni, non sono neppure lontane parenti. (E resterebbero tali anche se domani Romizi si accodasse a Salvini).

Cosa possiamo imparare da questa vicenda? (continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce)

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La Chiesa chiede alla politica un “progetto per il Paese” https://www.lavoce.it/la-chiesa-chiede-alla-politica-un-progetto-per-il-paese/ Thu, 22 Mar 2018 15:33:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51511

La Chiesa fa politica. La Chiesa non fa (più) politica. La prima di queste due affermazioni sembra datata, tanto che in molti, dopo l'esito del voto politico del 4 marzo scorso, con la sostanziale scomparsa delle forze moderate di centro e l'affermazione schiacciante di partiti e movimenti che non hanno, nel loro bagaglio valoriale, un richiamo che possa ricondursi in modo diretto ai valori della tradizione cattolica, hanno parlato di eclissi del cattolicesimo democratico dalla scena politica. Se per 'fare politica' si intende quella che per decenni nel dopoguerra è stata etichettata come 'ingerenza' vera e propria nell'azione dei partiti, certo questo, negli ultimi tempi, sembra essere venuto meno. Ma le prese di posizione dei vescovi italiani prima e dopo le ultime elezioni fanno invece ritenere la Chiesa di oggi una vera e propria protagonista della politica: quella alta, che ragiona del presente partendo dalle esigenze reali degli individui, e che non si esime dal tracciare prospettive di futuro. Ne è diretta conferma l'intervento con cui si è concluso, il 21 marzo scorso, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. I vescovi italiani, tutti (il documento, illustrato dal loro presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, è frutto del loro lavoro collegiale) hanno analizzato senza riserve o pregiudizi il risultato delle elezioni ed il quadro politico che ne è scaturito. "I partiti hanno il diritto e il dovere di governare", ha affermato Bassetti: nessuna preclusione o veto, dunque, verso questo o quell'altro partito, e neanche nessuna preferenza per questa o quell'altra soluzione di governo. Ma un paletto preciso: chi governa lo deve fare "nell'interesse del bene comune e dei territori". L'espressione "bene comune", il presidente dei vescovi l'aveva usata anche nel febbraio scorso, nella relazione conclusiva del consiglio direttivo della Cei. In quella stessa sede, Bassetti aveva sollecitato le forze politiche che si preparavano al voto a "ricucire, ricostruire e pacificare" il paese. Gli stessi verbi vengono riproposti nell'intervento del 21 marzo, nel quale non per caso si cita l'invito di Alcide De Gasperi, in occasione delle elezioni del 1953, ad agire "con più amore e fraternità", dopo che "troppi hanno predicato odio". Nell'intervento di Bassetti, poi, non si gira intorno alle cause della sconfitta "della politica tradizionale", di fronte alla cui "inadeguatezza" ha "avuto buon gioco una nuova forma di protagonismo e di consenso dal basso, attivo e diffuso, anche se non è ancora prova di autentica partecipazione democratica": sembra chiaro il riferimento al risultato del Movimento Cinquestelle, ancora più evidente in un altro passaggio dell'intervento, ovvero quando si parla della "scorciatoia di promesse di beni materiali da assicurare a tutti" (reddito di cittadinanza, ma anche la 'tassa piatta' della Lega). Infine, il punto più alto ed autenticamente politico dell'analisi dei vescovi: per la nuova maggioranza di governo, i presuli italiani bocciano una soluzione basata sulla "ricerca di volta in volta di un accordo sul singolo problema", privilegiando invece "una visione ampia, grande, condivisa, un progetto-Paese". Il tutto, avendo come faro la Costituzione. Se non è fare politica tutto ciò... Ma ben venga, in questo 'inverno' italiano in cui ogni anelito di futuro, ogni prospettiva di crescita umana e sociale sembra impantanarsi dentro le nebbie dei pregiudizi e delle chiusure aprioristiche. Daris Giancarlini]]>

La Chiesa fa politica. La Chiesa non fa (più) politica. La prima di queste due affermazioni sembra datata, tanto che in molti, dopo l'esito del voto politico del 4 marzo scorso, con la sostanziale scomparsa delle forze moderate di centro e l'affermazione schiacciante di partiti e movimenti che non hanno, nel loro bagaglio valoriale, un richiamo che possa ricondursi in modo diretto ai valori della tradizione cattolica, hanno parlato di eclissi del cattolicesimo democratico dalla scena politica. Se per 'fare politica' si intende quella che per decenni nel dopoguerra è stata etichettata come 'ingerenza' vera e propria nell'azione dei partiti, certo questo, negli ultimi tempi, sembra essere venuto meno. Ma le prese di posizione dei vescovi italiani prima e dopo le ultime elezioni fanno invece ritenere la Chiesa di oggi una vera e propria protagonista della politica: quella alta, che ragiona del presente partendo dalle esigenze reali degli individui, e che non si esime dal tracciare prospettive di futuro. Ne è diretta conferma l'intervento con cui si è concluso, il 21 marzo scorso, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. I vescovi italiani, tutti (il documento, illustrato dal loro presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, è frutto del loro lavoro collegiale) hanno analizzato senza riserve o pregiudizi il risultato delle elezioni ed il quadro politico che ne è scaturito. "I partiti hanno il diritto e il dovere di governare", ha affermato Bassetti: nessuna preclusione o veto, dunque, verso questo o quell'altro partito, e neanche nessuna preferenza per questa o quell'altra soluzione di governo. Ma un paletto preciso: chi governa lo deve fare "nell'interesse del bene comune e dei territori". L'espressione "bene comune", il presidente dei vescovi l'aveva usata anche nel febbraio scorso, nella relazione conclusiva del consiglio direttivo della Cei. In quella stessa sede, Bassetti aveva sollecitato le forze politiche che si preparavano al voto a "ricucire, ricostruire e pacificare" il paese. Gli stessi verbi vengono riproposti nell'intervento del 21 marzo, nel quale non per caso si cita l'invito di Alcide De Gasperi, in occasione delle elezioni del 1953, ad agire "con più amore e fraternità", dopo che "troppi hanno predicato odio". Nell'intervento di Bassetti, poi, non si gira intorno alle cause della sconfitta "della politica tradizionale", di fronte alla cui "inadeguatezza" ha "avuto buon gioco una nuova forma di protagonismo e di consenso dal basso, attivo e diffuso, anche se non è ancora prova di autentica partecipazione democratica": sembra chiaro il riferimento al risultato del Movimento Cinquestelle, ancora più evidente in un altro passaggio dell'intervento, ovvero quando si parla della "scorciatoia di promesse di beni materiali da assicurare a tutti" (reddito di cittadinanza, ma anche la 'tassa piatta' della Lega). Infine, il punto più alto ed autenticamente politico dell'analisi dei vescovi: per la nuova maggioranza di governo, i presuli italiani bocciano una soluzione basata sulla "ricerca di volta in volta di un accordo sul singolo problema", privilegiando invece "una visione ampia, grande, condivisa, un progetto-Paese". Il tutto, avendo come faro la Costituzione. Se non è fare politica tutto ciò... Ma ben venga, in questo 'inverno' italiano in cui ogni anelito di futuro, ogni prospettiva di crescita umana e sociale sembra impantanarsi dentro le nebbie dei pregiudizi e delle chiusure aprioristiche. Daris Giancarlini]]>
Quattro proposte all’Italia dal mondo cattolico https://www.lavoce.it/quattro-proposte-allitalia-dal-mondo-cattolico/ Thu, 26 Oct 2017 17:30:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50341 Quattro proposte concrete da “affidare al Paese” tramite la presenza del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. A farle al Governo è il mondo cattolico, a partire dagli impegni che la Chiesa italiana si assume in prima persona. Lo ha spiegato Sergio Gatti, vice presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, parlando della 48a edizione dell’evento ecclesiale in corso a Cagliari (dal 26 al 29 ottobre). “Si tratta di quattro proposte su quattro temi molto precisi, ma che potranno essere arricchite e probabilmente anche ampliate dal dibattito”, ha spiegato Gatti. Niente di già preconfezionato, dunque, ma “un cantiere aperto”, come ha precisato mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato. I temi delle quattro proposte concrete – ha spiegato Gatti rispondendo ai giornalisti che gli hanno chiesto di entrare nel dettaglio – sono tratte dall’Instrumentum laboris della Settimana di Cagliari, e riguarderanno quattro ambiti: la formazione; il nuovo lavoro, con riferimento alla cosiddetta gig economy e al pericolo del caporalato digitale, processi che “vanno governati, non subìti”. Poi, i nuovi modelli di vita, con la necessità di “suddividere il nostro tempo liquido, riconoscendo la distinzione tra lavoro tradizionale e lavoro di cura”; e l’Europa “come nostra casa comune, unica modalità con cui possiamo realmente affrontare le sfide di un mondo sempre più globalizzato”. Tra i temi sotto la lente d’ingrandimento, ha annunciato mons. Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro, anche l’alternanza scuola-lavoro, “tema su cui oggi si dibatte molto e per affrontare il quale bisogna proseguire sulla formazione duale, che in Germania ha già fruttato una riduzione consistente della disoccupazione giovanile”.

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Il lavoro illegale tema della Settimana sociale dei cattolici https://www.lavoce.it/lavoro-illegale-tema-della-settimana-sociale-dei-cattolici/ Thu, 26 Oct 2017 17:00:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50338

Il lavoro è anche sfida di legalità. Soprattutto in alcuni contesti - e non solo quelli ai quali farebbero pensare antichi luoghi comuni - il lavoro rappresenta un antidoto alle mafie, lo strumento di contrasto più efficace all’economia illegale, la risposta per uno sviluppo possibile “autoprodotto” e per tale ragione sostenibile nel tempo. L’Istat ha presentato pochi giorni fa i dati dell’economia illegale, quella costituita essenzialmente dal fenomeno della prostituzione, del contrabbando e soprattutto del traffico di droga. "Nel 2015, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali – informa l’Istat - hanno generato un valore aggiunto pari a 15,8 miliardi di euro ovvero 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente". Il “lavoro illegale” è uno dei temi dei quali si discuterà a Cagliari, la tappa nazionale del cammino della 48a Settimana sociale dei cattolici, che avrà anche un seguito, dopo la quattro-giorni dal 26 al 29 ottobre. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de "La Voce"]]>

Il lavoro è anche sfida di legalità. Soprattutto in alcuni contesti - e non solo quelli ai quali farebbero pensare antichi luoghi comuni - il lavoro rappresenta un antidoto alle mafie, lo strumento di contrasto più efficace all’economia illegale, la risposta per uno sviluppo possibile “autoprodotto” e per tale ragione sostenibile nel tempo. L’Istat ha presentato pochi giorni fa i dati dell’economia illegale, quella costituita essenzialmente dal fenomeno della prostituzione, del contrabbando e soprattutto del traffico di droga. "Nel 2015, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali – informa l’Istat - hanno generato un valore aggiunto pari a 15,8 miliardi di euro ovvero 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente". Il “lavoro illegale” è uno dei temi dei quali si discuterà a Cagliari, la tappa nazionale del cammino della 48a Settimana sociale dei cattolici, che avrà anche un seguito, dopo la quattro-giorni dal 26 al 29 ottobre. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de "La Voce"]]>
Dopo il Referendum. Voto cattolico: univoco allineato o pluralista divergente? https://www.lavoce.it/voto-cattolico-univoco-allineato-o-pluralista-divergente/ Fri, 16 Dec 2016 16:08:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48100

Potrà sembrare strano, ma ci sono ancora cattolici che si chiedono se il loro è un voto da “cristiani”. Ma cosa significa votare cristianamente o da cattolici? Abitualmente vi sono due linee di pensiero generiche, tra di loro contrastanti. C’è chi pensa che il voto di un cattolico debba esprimere uniformemente un pensiero univoco dominante. I sostenitori di questa posizione si appellano a una dottrina morale, fatta di princìpi e di valori, che, a loro dire, costituisce il pensiero stesso della Chiesa, al quale ci si deve sempre uniformare in ogni situazione, in particolare dove si richiede l’espressione di un voto politico. Essi infatti, sentono quasi il bisogno indispensabile che la “gerarchia ecclesiale” si schieri politicamente e indichi in modo netto una linea chiara, univoca alla quale tutti i cattolici poi devono uniformarsi. Questa posizione è stata presente soprattutto nel passato italiano, dagli anni ’30 fino agli anni ’70, in quella fase utopica, chiamata “nuova cristianità”, quando si pensava che potesse esistere un solo e univoco partito a rappresentare il pensiero ecclesiale e quindi il pensiero di tutti i cattolici italiani. Ancora oggi vi sono nostalgici di questa posizione, perché essa garantiva una certa sicurezza alle coscienze cristiane, le quali non dovevano far altro che uniformarsi al pensiero e ai desideri della “gerarchia ecclesiale” in ambito sociale e soprattutto politico. Purtroppo questi nostalgici non conoscono o hanno dimenticato che già il Concilio Vaticano II aveva preso le distanze da questa linea di pensiero ecclesiale, quando nella Gaudium et spes, n. 76, si dichiarava: “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori”. Il Concilio ribadiva la libertà e nello stesso tempo la responsabilità di una coscienza cristiana, che è chiamata ad agire “autonomamente”, certo non dai propri princìpi e valori cristiani, ma da qualsiasi sistema dottrinale che imponga una visione oligarchica e autoritaria. Infatti si ribadisce l’indipendenza o, se volete, l’autonomia della Chiesa da qualsiasi sistema politico: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”. Più recentemente il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al n. 573, ha ribadito con maggiore incisività: “Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche, che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo”. L’altra linea di pensiero, più recente, intende il voto politico dei cattolici come un voto totalmente sganciato da ogni riferimento alla fede, ai suoi princìpi morali e ai doveri morali a essa legati. I sostenitori di questa posizione vedono il cattolico fuori dalla Chiesa, cioè come un semplice cittadino, che deve lasciare in chiesa il suo vestito da cristiano e vestire gli abiti della “laicità”, rinunciando alla sua identità cristiana. Questa posizione chiaramente laicista è altrettanto nefasta della precedente, in quanto in modo evidente propone una vera e propria finzione alla coscienza, costringendola a una nevrosi intellettuale: essa scinde l’identità cristiana, che al contrario pervade non solo la vita spirituale dell’uomo, ma ogni espressione della sua vita sociale, compresa quella politica. In poche parole, non si può essere cristiani solo in chiesa, ma lo si è soprattutto fuori, se lo si è veramente dentro. Questa posizione è stata altrettanto criticata: “Questa negazione [dell’identità cristiana] non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 572). Come dovrà essere dunque il voto dei cattolici? Libero, consapevole e responsabile. Libero dai pregiudizi, dalle paure, dalle forzature ideologiche; ma non potrà ignorare o dimenticare i princìpi morali della fede, ribaditi dal Magistero ecclesiale, in particolare quando i valori cristiani sono minacciati o totalmente sovvertiti da scelte politiche e legislative. “Consapevole” significa che il cristiano deve formarsi una coscienza critica, informata attentamente sulle questioni politiche, anche le più complesse. Questo richiede che la scelta politica del cristiano, anche se è individuale e personale, non può prescindere - per avere una piena consapevolezza - da quel proficuo dialogo con gli altri cattolici all’interno delle singole comunità cristiane (parrocchie, movimenti, associazioni). Responsabile, infine: si intende che l’espressione libera e consapevole del proprio voto non può essere un semplice subire la moda del momento, o un adempiere asetticamente a un dovere morale, ma deve esprimere la presa di coscienza responsabile della propria partecipazione attiva alla costruzione di una società migliore, fondata sul bene comune e sul rispetto della dignità di ogni essere umano, princìpi e valori fondamentali della fede e di una società civile. Infine, rispondendo alla domanda del titolo, un sano pluralismo è l’anima stessa della Chiesa; dove le divergenze sono ricchezza e opportunità di crescita, se ricondotte all’unità dei princìpi e dei valori morali contenuti nel Vangelo ed espressi nell’unica fede in Cristo.  ]]>

Potrà sembrare strano, ma ci sono ancora cattolici che si chiedono se il loro è un voto da “cristiani”. Ma cosa significa votare cristianamente o da cattolici? Abitualmente vi sono due linee di pensiero generiche, tra di loro contrastanti. C’è chi pensa che il voto di un cattolico debba esprimere uniformemente un pensiero univoco dominante. I sostenitori di questa posizione si appellano a una dottrina morale, fatta di princìpi e di valori, che, a loro dire, costituisce il pensiero stesso della Chiesa, al quale ci si deve sempre uniformare in ogni situazione, in particolare dove si richiede l’espressione di un voto politico. Essi infatti, sentono quasi il bisogno indispensabile che la “gerarchia ecclesiale” si schieri politicamente e indichi in modo netto una linea chiara, univoca alla quale tutti i cattolici poi devono uniformarsi. Questa posizione è stata presente soprattutto nel passato italiano, dagli anni ’30 fino agli anni ’70, in quella fase utopica, chiamata “nuova cristianità”, quando si pensava che potesse esistere un solo e univoco partito a rappresentare il pensiero ecclesiale e quindi il pensiero di tutti i cattolici italiani. Ancora oggi vi sono nostalgici di questa posizione, perché essa garantiva una certa sicurezza alle coscienze cristiane, le quali non dovevano far altro che uniformarsi al pensiero e ai desideri della “gerarchia ecclesiale” in ambito sociale e soprattutto politico. Purtroppo questi nostalgici non conoscono o hanno dimenticato che già il Concilio Vaticano II aveva preso le distanze da questa linea di pensiero ecclesiale, quando nella Gaudium et spes, n. 76, si dichiarava: “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori”. Il Concilio ribadiva la libertà e nello stesso tempo la responsabilità di una coscienza cristiana, che è chiamata ad agire “autonomamente”, certo non dai propri princìpi e valori cristiani, ma da qualsiasi sistema dottrinale che imponga una visione oligarchica e autoritaria. Infatti si ribadisce l’indipendenza o, se volete, l’autonomia della Chiesa da qualsiasi sistema politico: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”. Più recentemente il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al n. 573, ha ribadito con maggiore incisività: “Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche, che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo”. L’altra linea di pensiero, più recente, intende il voto politico dei cattolici come un voto totalmente sganciato da ogni riferimento alla fede, ai suoi princìpi morali e ai doveri morali a essa legati. I sostenitori di questa posizione vedono il cattolico fuori dalla Chiesa, cioè come un semplice cittadino, che deve lasciare in chiesa il suo vestito da cristiano e vestire gli abiti della “laicità”, rinunciando alla sua identità cristiana. Questa posizione chiaramente laicista è altrettanto nefasta della precedente, in quanto in modo evidente propone una vera e propria finzione alla coscienza, costringendola a una nevrosi intellettuale: essa scinde l’identità cristiana, che al contrario pervade non solo la vita spirituale dell’uomo, ma ogni espressione della sua vita sociale, compresa quella politica. In poche parole, non si può essere cristiani solo in chiesa, ma lo si è soprattutto fuori, se lo si è veramente dentro. Questa posizione è stata altrettanto criticata: “Questa negazione [dell’identità cristiana] non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 572). Come dovrà essere dunque il voto dei cattolici? Libero, consapevole e responsabile. Libero dai pregiudizi, dalle paure, dalle forzature ideologiche; ma non potrà ignorare o dimenticare i princìpi morali della fede, ribaditi dal Magistero ecclesiale, in particolare quando i valori cristiani sono minacciati o totalmente sovvertiti da scelte politiche e legislative. “Consapevole” significa che il cristiano deve formarsi una coscienza critica, informata attentamente sulle questioni politiche, anche le più complesse. Questo richiede che la scelta politica del cristiano, anche se è individuale e personale, non può prescindere - per avere una piena consapevolezza - da quel proficuo dialogo con gli altri cattolici all’interno delle singole comunità cristiane (parrocchie, movimenti, associazioni). Responsabile, infine: si intende che l’espressione libera e consapevole del proprio voto non può essere un semplice subire la moda del momento, o un adempiere asetticamente a un dovere morale, ma deve esprimere la presa di coscienza responsabile della propria partecipazione attiva alla costruzione di una società migliore, fondata sul bene comune e sul rispetto della dignità di ogni essere umano, princìpi e valori fondamentali della fede e di una società civile. Infine, rispondendo alla domanda del titolo, un sano pluralismo è l’anima stessa della Chiesa; dove le divergenze sono ricchezza e opportunità di crescita, se ricondotte all’unità dei princìpi e dei valori morali contenuti nel Vangelo ed espressi nell’unica fede in Cristo.  ]]>
Dopo il Referendum. Nuovo attivismo dei cattolici in politica? Non proprio https://www.lavoce.it/macche-nuovo-attivismo-dei-cattolici-in-politica/ Fri, 16 Dec 2016 15:34:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48098

Con il movimento di Todi (2011-2013), supporto superfluo allo strapotere quirinalizio (agito nel caso da Giorgio Napolitano e incarnato – maluccio – da Monti), il rapporto tra cattolici e politica è tornato ai tempi del “patto Gentiloni”. Le autorità ecclesiastiche promettono appoggio al potente di turno prestando qualche volto - ricompensato da una buona prebenda - in cambio di legislazioni o elargizioni. Non funzionò né nel 1913 né nel ’23-24, ma la coazione a ripetere è un male pressoché incurabile. Con Renzi (2013-2016) la figura dell’“indipendente” di successo ha raggiunto i suoi massimi. Renzi, giurando laicità, ha posto il giusto sigillo sull’annichilimento di ogni possibilità di “cattolicesimo politico”. “Neoclericali” o “indipendenti”, la formula è la stessa: massimo di visibilità, minimo di rilevanza. Massimo di visibilità dei cattolici in politica, minimo di rilevanza del cattolicesimo per la politica. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. Di questa formula esiste una declinazione movimentista e una da salotto, una declinazione di destra (i “valori non negoziabili”) e una di sinistra (oggi in salsa “peronista”), ma la sostanza non cambia. Dalla vita della Chiesa è stato cancellato anche il nome dell’apostolato dei laici; e nonostante i formali ossequi al Concilio, i Pastori preferiscono indeterminate aggregazioni laicali. Così il laico crede di essere impegnato quando si impegna in “pastorale”, che invece è l’apostolato dei Pastori, e quando fa il cittadino si affida ai dogmi della laicità. Ma con la laicità il laicato cattolico evapora. Ne restano solo fumi, vaghi ricordi e cartacce come il giorno dopo sui prati che hanno ospitato i grandi raduni religiosi. Se tagli la radice, l’albero si secca. Le radici della rilevanza politica del cattolicesimo per la verità erano due. L’altra era quella del cattolicesimo politico italiano: cattolici organizzati politicamente (corrente, gruppo, partito: poco importa), autonomi da poteri ecclesiastici e da altri poteri, politici e non politici. Cattolici che fanno politica con alcuni (anche non cattolici) e in competizione con altri (anche cattolici), che hanno scopi e non hanno orrore del compromesso, ma che, sotto una certa soglia, non accettano compromessi. Liberi nella politica perché liberi dalla politica. Senza autonomia organizzativa e ideale, non si dà né autonomia in politica né selezione di gruppi dirigenti politici; insomma, non si dà rilevanza politica. Si badi, per essere rilevanti in politica non è assolutamente necessario che i cattolici siano uniti. Tanti sono stati i cattolicesimi politici. L’unico che ha sfiorato l’unità politica dei cattolici è stato il “popolare” De Gasperi (minoranza anche nella Dc) che considerò l’unità politica dei cattolici un effetto del programma, e non viceversa. Le condizioni interne e internazionali lo aiutarono non poco, ma questa è la lezione della Storia (se mai la Storia dà lezioni). Il referendum del 4 dicembre, e il suo esito - sciagurato, per chi scrive -, non è altro che la tappa più recente della irrilevanza politica del cattolicesimo italiano. La riforma era brutta e l’Italicum tutt’altro che buono, ma insieme avrebbero tenuto aperta una strada che oggi i “no” hanno sbarrato. Prima del referendum la Cei ha detto “informatevi”: che sforzo di immaginazione! La civiltà cattolica ha chiamato “discernimento” una cosa che è meglio non qualificare. Le parrocchie hanno ospitato confronti come affittano il campo da calcetto. Le “aggregazioni” hanno seguito ciascuna i propri istinti, o le rabbie, o le convenienze. Riflessioni nel merito? Zero. Iniziativa? Meno che zero. Un po’ voyerismo, un po’ opportunismo. Il risultato? Una vita ecclesiale più disincarnata, sempre più ridotta a intrattenimento religioso. Una vita politica nazionale sempre più affetta da involuzione. Venticinque anni fa, con Scoppola e Ruffilli, con la Fuci e tanta parte delle Acli e dell’Azione cattolica, con la Cisl, il cattolicesimo italiano aveva aperto e guidato la via delle riforme istituzionali, e all’inizio con successo. Il suo senso era avere meno politica e migliore politica. Il suo scopo era restituire lo scettro politico all’elettore (alternanza, competizione politica, primarie, ecc.). La resistenza della “repubblica dei partiti” si è arroccata intorno al Quirinale: dai ribaltoni di Scalfaro ai governi di Napolitano, all’attuale melina di Mattarella. Era legittimo che si difendessero, era necessario che fossero combattuti meglio. Segni, Berlusconi, Bossi, Prodi (poco), Veltroni (per un attimo) e Renzi ci hanno provato. Renzi è stato il migliore (giudizio relativo, ovviamente), ma neppure lui è stato all’altezza della prova. Ha perso. (Gli è servito recidere ogni legame con il cattolicesimo politico?). In questi venticinque anni tanti cattolici italiani si sono schierati dietro o “sotto” il Quirinale (senza pretese di rilevanza), tanti altri hanno ispirato e guidato la battaglia per le riforme. Oggi quelli stanno vincendo e questi perdendo; e così siamo tornati alla Prima Repubblica. La lezione è chiara, e per nulla nuova. In un Paese come l’Italia, senza cattolicesimo politico è difficile che si affermi una prospettiva riformista. E senza cattolicesimo politico è difficile che la ecclesia non si riduca a tempio, a intrattenimento religioso. Solo se c’è apostololato laicale c’è ecclesia.]]>

Con il movimento di Todi (2011-2013), supporto superfluo allo strapotere quirinalizio (agito nel caso da Giorgio Napolitano e incarnato – maluccio – da Monti), il rapporto tra cattolici e politica è tornato ai tempi del “patto Gentiloni”. Le autorità ecclesiastiche promettono appoggio al potente di turno prestando qualche volto - ricompensato da una buona prebenda - in cambio di legislazioni o elargizioni. Non funzionò né nel 1913 né nel ’23-24, ma la coazione a ripetere è un male pressoché incurabile. Con Renzi (2013-2016) la figura dell’“indipendente” di successo ha raggiunto i suoi massimi. Renzi, giurando laicità, ha posto il giusto sigillo sull’annichilimento di ogni possibilità di “cattolicesimo politico”. “Neoclericali” o “indipendenti”, la formula è la stessa: massimo di visibilità, minimo di rilevanza. Massimo di visibilità dei cattolici in politica, minimo di rilevanza del cattolicesimo per la politica. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. Di questa formula esiste una declinazione movimentista e una da salotto, una declinazione di destra (i “valori non negoziabili”) e una di sinistra (oggi in salsa “peronista”), ma la sostanza non cambia. Dalla vita della Chiesa è stato cancellato anche il nome dell’apostolato dei laici; e nonostante i formali ossequi al Concilio, i Pastori preferiscono indeterminate aggregazioni laicali. Così il laico crede di essere impegnato quando si impegna in “pastorale”, che invece è l’apostolato dei Pastori, e quando fa il cittadino si affida ai dogmi della laicità. Ma con la laicità il laicato cattolico evapora. Ne restano solo fumi, vaghi ricordi e cartacce come il giorno dopo sui prati che hanno ospitato i grandi raduni religiosi. Se tagli la radice, l’albero si secca. Le radici della rilevanza politica del cattolicesimo per la verità erano due. L’altra era quella del cattolicesimo politico italiano: cattolici organizzati politicamente (corrente, gruppo, partito: poco importa), autonomi da poteri ecclesiastici e da altri poteri, politici e non politici. Cattolici che fanno politica con alcuni (anche non cattolici) e in competizione con altri (anche cattolici), che hanno scopi e non hanno orrore del compromesso, ma che, sotto una certa soglia, non accettano compromessi. Liberi nella politica perché liberi dalla politica. Senza autonomia organizzativa e ideale, non si dà né autonomia in politica né selezione di gruppi dirigenti politici; insomma, non si dà rilevanza politica. Si badi, per essere rilevanti in politica non è assolutamente necessario che i cattolici siano uniti. Tanti sono stati i cattolicesimi politici. L’unico che ha sfiorato l’unità politica dei cattolici è stato il “popolare” De Gasperi (minoranza anche nella Dc) che considerò l’unità politica dei cattolici un effetto del programma, e non viceversa. Le condizioni interne e internazionali lo aiutarono non poco, ma questa è la lezione della Storia (se mai la Storia dà lezioni). Il referendum del 4 dicembre, e il suo esito - sciagurato, per chi scrive -, non è altro che la tappa più recente della irrilevanza politica del cattolicesimo italiano. La riforma era brutta e l’Italicum tutt’altro che buono, ma insieme avrebbero tenuto aperta una strada che oggi i “no” hanno sbarrato. Prima del referendum la Cei ha detto “informatevi”: che sforzo di immaginazione! La civiltà cattolica ha chiamato “discernimento” una cosa che è meglio non qualificare. Le parrocchie hanno ospitato confronti come affittano il campo da calcetto. Le “aggregazioni” hanno seguito ciascuna i propri istinti, o le rabbie, o le convenienze. Riflessioni nel merito? Zero. Iniziativa? Meno che zero. Un po’ voyerismo, un po’ opportunismo. Il risultato? Una vita ecclesiale più disincarnata, sempre più ridotta a intrattenimento religioso. Una vita politica nazionale sempre più affetta da involuzione. Venticinque anni fa, con Scoppola e Ruffilli, con la Fuci e tanta parte delle Acli e dell’Azione cattolica, con la Cisl, il cattolicesimo italiano aveva aperto e guidato la via delle riforme istituzionali, e all’inizio con successo. Il suo senso era avere meno politica e migliore politica. Il suo scopo era restituire lo scettro politico all’elettore (alternanza, competizione politica, primarie, ecc.). La resistenza della “repubblica dei partiti” si è arroccata intorno al Quirinale: dai ribaltoni di Scalfaro ai governi di Napolitano, all’attuale melina di Mattarella. Era legittimo che si difendessero, era necessario che fossero combattuti meglio. Segni, Berlusconi, Bossi, Prodi (poco), Veltroni (per un attimo) e Renzi ci hanno provato. Renzi è stato il migliore (giudizio relativo, ovviamente), ma neppure lui è stato all’altezza della prova. Ha perso. (Gli è servito recidere ogni legame con il cattolicesimo politico?). In questi venticinque anni tanti cattolici italiani si sono schierati dietro o “sotto” il Quirinale (senza pretese di rilevanza), tanti altri hanno ispirato e guidato la battaglia per le riforme. Oggi quelli stanno vincendo e questi perdendo; e così siamo tornati alla Prima Repubblica. La lezione è chiara, e per nulla nuova. In un Paese come l’Italia, senza cattolicesimo politico è difficile che si affermi una prospettiva riformista. E senza cattolicesimo politico è difficile che la ecclesia non si riduca a tempio, a intrattenimento religioso. Solo se c’è apostololato laicale c’è ecclesia.]]>
I cattolici in Italia e il lavoro: denuncia, racconto, proposta https://www.lavoce.it/i-cattolici-in-italia-e-il-lavoro-denuncia-racconto-proposta/ Thu, 01 Dec 2016 09:00:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47967 lavoro-CMYKE’ stata diffusa il 22 novembre la lettera-invito alla 48a Settimana sociale dei cattolici italiani (Cagliari, 26-29 ottobre 2017). Quattro i “registri comunicativi” che accompagneranno l’evento e la sua preparazione: “Denunciare le situazioni più gravi e inaccettabili”, “raccontare il lavoro nelle sue profonde trasformazioni”, “raccogliere e diffondere le tante buone pratiche” esistenti, “costruire alcune proposte” per sciogliere nodi “che ci stanno a cuore”.

Il lavoro come vocazione, opportunità, valore, fondamento di comunità e promotore di legalità. Sono le cinque “prospettive” verso cui sono chiamati a guardare i cattolici italiani, in vista della prossima Settimana sociale a partire dal tema “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”. A declinarle è la lettera-invito, scritta dal Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali e a firma del suo presidente, il vescovo di Taranto mons. Filippo Santoro, indirizzata – per tramite dei rispettivi Vescovi diocesani – a tutti i cattolici in Italia.

“Il paradigma del lavoro come ‘impiego’ – riporta la missiva – si sta esaurendo con una progressiva perdita dei diritti lavorativi e sociali, in un contesto di perdurante crisi economica che coinvolge fasce sempre più ampie della popolazione”.

“È forte la necessità che quel modello di ‘lavoro degno’ affermato dal Magistero sociale della Chiesa e dalla Costituzione italiana trovi un’effettiva attuazione nel rispetto e nella promozione della dignità della persona umana”.

Di qui le cinque prospettive, a partire dalla vocazione al lavoro, che “va formata e coltivata attraverso un percorso di crescita ricco e articolato, capace di coinvolgere l’integralità della persona”. In secondo luogo, “il lavoro è opportunità, che nasce dall’incontro tra impegno personale e innovazione in campo istituzionale e produttivo”. “La creazione di lavoro – sottolinea il documento al riguardo – non avviene per caso né per decreto, ma è conseguenza di uno sforzo individuale e di un impegno politico serio e solidale”. Poi, il riconoscimento del lavoro come valore, “in quanto ha a che fare con la dignità della persona, è base della giustizia e della solidarietà sociale e genera la vera ricchezza”.

Ancora, “è fondamento di comunità, perché valorizza la persona all’interno di un gruppo, sostiene l’interazione tra soggetti, sviluppa il senso di un’identità aperta alla conoscenza e all’integrazione con nuove culture, generatrice di responsabilità per il bene comune”. Infine, “rispetto a un contesto in cui l’illegalità rischia di apparire come l’unica occasione di mantenimento per se stessi e la propria famiglia”, il lavoro degno deve promuovere la legalità, e quindi “diventa indispensabile creare luoghi trasparenti affinché le relazioni siano autentiche e basate sul senso di giustizia e di eguaglianza nelle opportunità”.

La prossima Settimana sociale, che si propone di “realizzare un incontro partecipativo” e rinnovare “l’impegno delle comunità cristiane” sul tema del lavoro, andrà preparata con un “percorso diocesano” per portare a Cagliari un contributo “partecipato”, seguendo “quattro registri comunicativi”. In primo luogo la denuncia. Scrive al riguardo il Comitato:

“Vogliamo assumere la responsabilità di denunciare le situazioni più gravi e inaccettabili: sfruttamento, lavoro nero, insicurezza, disuguaglianza, disoccupazione – specie al Sud e tra i giovani – e problematiche legate al mondo dei migranti”.

Poi, il racconto del lavoro “nelle sue profonde trasformazioni, dando voce ai lavoratori e alle lavoratrici, interrogandoci sul suo senso nel contesto attuale”. E, per andare oltre la denuncia, vi è pure la volontà di far emergere “le tante buone pratiche che, a livello aziendale, territoriale e istituzionale, stanno già offrendo nuove soluzioni ai problemi del lavoro e dell’occupazione”. Infine, “costruire alcune proposte che, sul piano istituzionale, aiutino a sciogliere alcuni dei nodi che ci stanno più a cuore”.

Nell’ottica della concretezza va pure l’impegno, enunciato nel documento, di proporre nel corso dell’anno “a tutte le comunità cristiane un’iniziativa di solidarietà nei confronti di chi non ha lavoro”.

 

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