case famiglia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/case-famiglia/ Settimanale di informazione regionale Thu, 01 Jun 2023 15:00:34 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg case famiglia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/case-famiglia/ 32 32 Associazione Nuova vita, per bambini in situazioni di disagio https://www.lavoce.it/associazione-nuova-vita-per-bambini-in-situazioni-di-disagio/ Thu, 11 Jul 2013 11:35:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18003 casa-del-bambinoIl clima è quello di una grande famiglia, dove bambini e ragazzi vivono sereni e in armonia, e trovano nelle persone adulte e anziane che gli sono accanto delle seconde mamme e delle nonne. Da oltre 10 anni l’associazione “Nuova vita” accoglie nelle sue tre strutture bambini da 0 a 14 anni che vivono in situazioni di disagio o di abbandono. A loro ha fatto visita il Vescovo amministratore apostolico, che ha salutato con un plauso tutti gli operatori, associati e i tanti bambini. “È una bella realtà quella avviata dall’associazione Nuova vita a favore dei tanti bambini per aiutarli a crescere sul piano intellettuale, sviluppare le loro doti e raggiungere felicemente la maturità umana e cristiana – ha detto il vescovo Ernesto Vecchi -. Occuparsi dei bambini significa occuparsi della parte più debole della nostra esistenza umana, ma anche della nostra eredità. Loro sono il futuro, e dobbiamo dare loro la capacità di guardare il prossimo con gli occhi stessi di Dio che è amore. Sono queste realtà importanti che dobbiamo accogliere e incoraggiare. Dove c’è la carità c’è sempre la Provvidenza. La carità è fatta del concorso di tutti nel mettere a disposizione ciò che si ha per il bene dell’altro. La carità deve essere il motore del mondo, quella carità che rende capaci di vedere le persone come le vede Dio, cioè con amore. C’è bisogno di iniettare la carità nel mondo, e non solo per quanto riguarda l’aspetto sociale, che è spesso animato da tante persone che si spendono in un volontariato lodevole. Anche questo deve essere sempre fatto ad imitazione di Gesù, se vogliamo che la carità esprima il meglio di sé”.

L’associazione “Nuova vita” onlus è nata nel 2001 per volontà di un gruppo di persone sensibili alle problematiche dell’infanzia e determinate a dar vita a un progetto di case famiglia che potesse rispondere ai bisogni dei minori in accoglienza, ricreando, per quanto possibile, un ambiente sereno e stimolante. La prima struttura avviata è la “Casa del bambino”, dove si accolgono minori da 6 a 13 anni e spesso anche neonati, per periodi determinati in quanto risulta particolarmente idonea anche per questa fascia d’età. Una seconda struttura è la “Casa amica”, con la quale non solo è stato possibile aumentare il numero dei posti in accoglienza ma anche suddividere omogeneamente gli ospiti per sesso ed età. Nel 2005 è stata aperta una terza struttura denominata “Piccolo Principe” che è rivolta all’accoglienza dei minori fino a 11 anni. Oggi l’associazione è in grado di fornire un servizio, attraverso le tre strutture, per 18 minori in accoglienza residenziale e circa 6 in semi-residenziale ed emergenza. L’équipe educativa coordina tutti i progetti educativi, elaborati in stretta collaborazione con le istituzioni di indirizzo e di controllo: sono costantemente monitorati, ed eventualmente modificati a fronte di specifiche esigenze. Ai minori dai 6 ai 18 anni, residenti nel Comune di Terni, si rivolge il Centro diurno, un servizio che, per uno stato di bisogno certificato dai Servizi sociali, aiuta il nucleo famigliare a svolgere la funzione educativa con un intervento di sostegno. Tutti in un punto nasce dal felice incontro delle esperienze dell’associazione Nuova vita, da anni impegnata nel sostegno di minori, genitori e famiglie in difficoltà, con quelle di un gruppo di professionisti dell’ambito socio-sanitario, esperienze che hanno portato alla comune convinzione che solo l’integrazione di diverse competenze specifiche può dare una risposta completa ed adeguata alle difficoltà umane.

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Lo “stile” fa la differenza https://www.lavoce.it/lo-stile-fa-la-differenza/ Fri, 22 Oct 2010 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8827 Mentre la politica fa fatica a combattere la povertà, per le strade del mondo si muovono samaritani, persone semplici, famiglie, associazioni che con le loro scelte quotidiane, con il loro stile di vita, rendono concreto l’appello dell’Anno europeo “Zero poverty agisci ora”. I “samaritani” sono anche tra noi, tra le case e le vie delle città e paesi dell’Umbria, e alcune esperienze sono state presentate al convegno regionale delle Caritas dell’Umbria, il 9 ottobre scorso. Nel pomeriggio le risposte della chiesa hanno reso possibile vedere che al di là della campagna “Zero povertà” c’è un impegno, una vita spesa per una carità capace di andare oltre gli slogan e di agganciarsi alla quotidianità attraverso proposte diverse.

Oltre al fondo di solidarietà che ha accompagnato le 8 chiese nel dare una risposta alle famiglie colpite dalla crisi economica, sono emerse le testimonianze su stili educativi capaci di andare incontro alla povertà con speranza, confidando in Dio più che sui potenti, proprio come aveva ricordato mons. Nazzareno Marconi nella meditazione biblica della mattina. Da Assisi è stata portata l’esperienza del Gruppo di acquisto solidale (Gas) tra famiglie, promosso dal “Circolo dell’amicizia” della Caritas diocesana. L’idea è “costruire un futuro di solidarietà e giustizia” attraverso l’acquisto direttamente da produttori che rispettano alcuni requisiti quali il rispetto per la persona (il lavoratore) e per l’ambiente. A Perugia un gruppo di famiglie hanno deciso di mettere in comune “la decima” parte dello stipendio (chi può anche più e chi non può anche meno). Da due anni sono fedeli all’impegno mensile che si sono assunti accogliendo l’invito dei Vescovi umbri a riprendere questa antica tradizione in solidarietà con le famiglie colpite dalla crisi.

E sono sempre famiglie a dare vita alla “comunità di tipo familiare” di Passignano sul Trasimeno impegnata a tempo pieno nell’accoglienza di bambini in affido. A Foligno con la “Bibliomediateca multilingue” ai giovani è proposto uno stile di vita aperto alle persone di altre culture e religioni che vivono nelle nostre città, spesso emarginati e guardati con sospetto. A Terni è nato il “Gruppo delle famiglie solidali” che hanno scelto di essere “insieme” aperti e accoglienti verso i poveri, i senza dimora, i disagiati. In 6 anni di esperienza hanno aperto due case di accoglienza (una per uomini e una per donne) e una comunità residenziale. Famiglie protagoniste anche a Gubbio. Dopo essere stati alcuni anni in Perù una missione dell’Operazione Mato Grosso una famiglia, ora con ciqnue figli, ha coinvolto altre dieci famiglie nell’“Oratorio familiare”, un’esperienza di educazione alla solidarietà e ad uno stile di vita fatto di semplicità e condivisione. Hanno coinvolto altre 200 famiglie nell’iniziativa “1 kg al giorno” con la quale riescono a spedire in Perù tre o quattro container di cibo l’anno. Nuovi stili di vita solidali sono queli proposti a Città di Castello dai soci della “Altotevere senza frontiere Onlus” nata dal desiderio di alcuni giovani di continuare il lavoro svolto a L’Aquila nel 2009 e andare oltre: a Castello come in Kossovo nella missione della Caritas Umbria. Da Spoleto sono state presentate le testimonianze sulle esperienze formative nelle Case regionali della Carità e da Orvieto nelle case famiglia e comunità giovani cristiani.

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Solidarietà concreta https://www.lavoce.it/solidarieta-concreta/ Thu, 15 Nov 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6275 La Fiaccola pro pace, un tempo “pro Europa una”, pellegrina in Europa in nome di Benedetto da Norcia, si rivela non solo un semplice simbolo ma anche portatrice di solidarietà concreta. Nella spedizione del luglio 2006 infatti, quando la fiaccola è partita da Tbilisi, in Georgia, l’Amministrazione comunale nursina promise alla Caritas locale di donare una falegnameria, gesto che si sta concretizzando. In questi giorni infatti è in Italia il direttore della Caritas della Georgia, padre Witold Szulcynski che in visita alla diocesi di Spoleto-Norcia, ha avuto l’opportunità di visitare proprio la falegnameria promessa. “Quando siamo stati in Georgia” ricorda mons. Mario Curini, parroco di Norcia “abbiamo visto le opere già presenti sul territorio realizzate proprio ad opera della Caritas, come la mensa che distribuisce oltre 800 pasti al giorno ed è sostenuta anche grazie alla solidarietà del popolo spoletano-nursino. Poi, ci sono scuole e case famiglia – continua – atte a togliere dalla strada bambini e ragazzi ai margini della società, insegnando loro un mestiere e inserendoli nelle varie attività proposte di arti e mestieri”. In questo ambito sarà inserita la falegnameria il cui utilizzo è già iniziato: basti pensare che con i suoi futuri ‘scarti’ è stata già messa in piedi una fabbrica per il pellets, ottimizzandone così l’utilizzo. Un regalo dunque assai gradito, che può contribuire alla formazione pratica e all’istruzione dei molti ragazzi ospiti, facendo sì che imparando un nuovo mestiere magari possano garantirsi un futuro economico più sereno.

Durante la giornata trascorsa a Norcia, inoltre, padre Witold ha ricevuto il saluto delle autorità locali e tre missive del sindaco Alemanno da consegnare al nunzio apostolico in Georgia mons. Gugerotti, al patriarca ortodosso Elia II e al Sindaco di Tbilisi, in cui è espressa particolare vicinanza in questi giorni che lo “stato di emergenz” georgiano è alla ribalta delle cronache. Chissà che la luce di san Benedetto e il suo messaggio di pace universale tra i popoli non aiuti a superare la crisi di questi giorni. Padre Witold, giovedì 8 novembre nell’oratorio del Sacro Cuore a Spoleto, ha incontrato le persone che sostengono un’adozione a distanza di bambini georgiani. È stato proiettato un video che brevemente ha illustrato la storia della Georgia e ha dato la possibilità ai presenti di vedere i vari centri gestiti dalla Caritas. Durante l’incontro don Vito Stramaccia, direttore della Caritas di Spoleto-Norcia, ha annunciato che dalla prima domenica di Avvento – 2 dicembre 2007 – fino alla solennità di San Ponziano – 14 gennaio 2008 – sarà possibile nelle parrocchie raccogliere alimenti da inviare in Georgia.

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Residenze per anziani: tre punti ineludibili https://www.lavoce.it/residenze-per-anziani-tre-punti-ineludibili/ Fri, 13 Apr 2007 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5809 L’Umbria è la regione più vecchia d’Italia dopo la Liguria. Gli anziani sopra i 65 anni rappresentano il 23% della popolazione, di cui circa 21.000 sono non autosufficienti e 8.000 sono malati di Alzheimer. Per cui la questione “anziani” rappresenta un fatto di forte rilevanza sociale, che deve essere affrontato con determinazione in occasione della definizione del nuovo Piano sociale regionale, fermo al 2002, e del nuovo Piano sanitario regionale, scaduto nel 2005.

In primo luogo occorre attivare in modo completo e omogeneo su tutto il territorio regionale l’Assistenza domiciliare integrata (Adi) e i servizi innovativi comunitari, come le Case famiglia, i Centri diurni e le Case di quartiere. Occorre poi dare risposte nuove ai servizi socio – sanitari come le Residenze sanitarie assistite (Rsa) e le Residenze protette (Rp). A riguardo di quest’ultime, occorre aprire un nuovo capitolo. Si può, infatti, considerare esaurito il percorso di riqualificazione dell’offerta residenziale (autorizzazione e convenzione) attivato con il Psr 1999 – 2001. Questo percorso richiede ora di essere verificato sotto alcuni aspetti. In primo luogo occorre migliorare il sistema amministrativo, autorizzativo e di controllo. È necessario superare tutte quelle situazioni di irregolarità che ancora permangono, escludendo decisamente il ricovero e la presenza di anziani non autosufficienti in strutture comunitarie, che sono esclusivamente sociali, come è avvenuto nell’Orvietano per precise responsabilità dei Comuni interessati, e controllando costantemente il rispetto degli standard strutturali, di personale e della qualità dei servizi forniti da parte delle Residenze pubbliche e di quelle private convenzionate. Questa vigilanza non può essere lasciata solo ai carabinieri dei Nas. Spetta anzitutto alle Asl che, invece, sono decisamente carenti.

In secondo luogo occorre una nuova programmazione della residenzialità socio – sanitaria. In sede di definizione del nuovo Piano sanitario regionale, il numero dei posti autorizzati e convenzionati in Residenza protetta deve essere incrementato dagli attuali 1.200 ad almeno 2.000 (già oggi sono ospitati nelle Rp oltre 1.900 anziani). È opportuno anche prevedere un numero di posti solo autorizzati (non più del 20% di quelli convenzionati). Vi è, poi, la necessità di una nuova classificazione delle Strutture residenziali che tenga conto delle diverse tipologie e delle diverse intensità assistenziali. Infine, in considerazione del maggior carico assistenziale e sanitario richiesto dagli anziani ospiti nelle Rp, ormai in gran parte allettati o in carrozzella, occorre pervenire al superamento della tariffa unica (83,08 euro) e alla differenziazione delle tariffe praticate in base alla tipologia dell’anziano ospite.

Tutte problematiche di grande rilievo che, recentemente, sono state oggetto di specifiche interrogazioni alla Giunta regionale (come quella del capogruppo dello Sdi Ada Girolamini che ha lamentato come un’analoga mozione presentata nell’ottobre 2005 non abbia avuto risposta). Tematiche affrontate in questi ultime settimane anche nell’ambito del Patto regionale per il Benessere degli anziani; quanto prima ci sarà la firma tra gli assessori regionali Rosi e Stufara e i rappresentanti dei gestori privati delle Residenze protette, tra cui l’Acradu. Dopo la firma si dovrà procedere all’immediata attivazione di un Tavolo permanente di concertazione regionale che veda coinvolti anche i sindacati dei pensionati, le Asl e l’Anci in rappresentanza dei Comuni umbri.

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Progetto “Rainbow”: non per carità ma per giustizia https://www.lavoce.it/progetto-rainbow-non-per-carita-ma-per-giustizia/ Fri, 11 Jul 2003 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3258 Si incarna nel servizio all’interno del “Progetto Rainbow” (arcobaleno) la vocazione di Nadia Bizzotto, vicentina da quattro anni residente a Bastia Umbra. A una carriera di successo accompagnata da un profondo vuoto interiore e da un grave incidente d’auto che – come dice lei stessa – le ha fatto “meritare la carrozzina”, è seguito l’incontro con don Oreste Benzi e la comunità Papa Giovanni XXIII prima e con la città serafica poi. Il Progetto nasce dall’amara constatazione di un disastro umanitario in atto: nel mondo 40 milioni di persone sono affette da Aids.

Tra i paesi africani lo Zambia detiene un duplice triste primato: il 30% della popolazione ha contratto il virus; la nazione ha il più alto numero di orfani dell’Hiv, con 1.600.000 minorenni su 9 milioni e mezzo di abitanti senza padre, madre o privi di entrambi i genitori (dati del 2001).L’Africa tutta, sconvolta dal colonialismo cui ha fatto seguito la colonizzazione economica e una globalizzazione che non tende a un’equa ridistribuzione delle risorse ma si concretizza nel più grave atto di pirateria internazionale mettendo al centro la massimizzazione del profitto detenuto nelle mani dei pochi al potere, muore. Di fame. Di Aids. “Dare una mano è possibile!”.

È così sintetizzabile lo spirito che anima il progetto il cui modello di intervento multisettoriale sperimentato in Zambia viene ora impiantato anche in Tanzania, Kenia e Romania. Ci si muove verso il potenziamento di ciò che già è presente nel territorio e verso la creazione di ciò che manca: 44 organizzazioni zambiane costituiscono attualmente il veicolo dell’azione di Rainbow. Due gli aspetti inscindibili di qualsivoglia intervento: la risposta al bisogno e la rimozione delle cause che lo determinano.

Secondo queste finalità vengono impostati i centri nutrizionali e quelli di ascolto, i gruppi di sostegno e di autosviluppo, il supporto scolastico, le case famiglia di pronto soccorso, l’info team (per l’azione di sensibilizzazione e di informazione sia a livello dei media che a livello politico). “Help us to help” (Aiutaci ad aiutarli) è il nome dell’associazione costituitasi in Umbria e che vede l’affiancarsi, nel territorio nazionale, di numerosi gruppi di supporto al progetto con finalità di sensibilizzazione e di raccolta fondi. Sono circa una trentina le persone che, accanto a Nadia e a Padre Emidio Alessandrini ofm, ne fanno parte nel nostro circondario. Chi volesse saperne di più può consultare il sito internet www.rainbowprojectinternational.org all’interno del quale può iscriversi anche alla mailing list per essere informato di iniziative ed eventi.

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Anche a Bastia l’aiuto del “Movimento per la vita” alle mamme in difficoltà https://www.lavoce.it/anche-a-bastia-laiuto-del-movimento-per-la-vita-alle-mamme-in-difficolta/ Fri, 07 Feb 2003 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2950 La vita si definisce solo con la vita: e va difesa; di essa “non si fa mercato, ma per essa si offre e si ringrazia”. Così il vescovo mons. Sergio Goretti durante l’omelia della messa nella giornata di domenica, dedicata alla vita. Riflettendo sulla tematica presentata dal Vangelo della presentazione di Gesù al tempio, il Vescovo ha sostenuto con convinzione la sacralità della vita come pensiero e gratificazione di Dio e come “tutte le cose create appartengano all’Altissimo, in particolare l’esistenza, che si plasma a sua immagine e somiglianza”. Il brano biblico della presentazione richiama sia l’offerta della primogenitura voluta da Mosè, simbolo della vita consacrata, sia la maternità e il destino di Maria, sia lo stupore dei genitori di Gesù di fronte alle parole di Simeone per il figlio. Sui genitori e sul loro essere “strumenti di creazione scelti da Dio, stupiti di fronte al miracolo-mistero della vita” il Vescovo si è soffermato, incoraggiandoli a perseguire una “battaglia contro corrente” schierata in contrapposizione alla presunzione di una scienza che “progredisce senza interrogativi morali”, di una storia che pretende di fare a meno di Dio, di scelte egoiste che “umiliano e offendono la vita facendone un uso cinico e disperato; questo ci fa vergognare del nostro presente: concepire un figlio che non abbia genitori, eliminare una nascita imperfetta geneticamente, rifiutare una nascita”.

Richiamando la distribuzione di candele all’inizio della celebrazione mons. Goretti ha invece ricordato la fedeltà della Chiesa al suo Signore, nel momento in cui “prende in mano la luce che è il Cristo, il segno di contraddizione incurante del mondo che travolge, umilia, distrugge”. Alla testimonianza del vescovo si è affiancata quella del locale “Movimento per la vita” nella persona della responsabile, Daniela Morettoni, che ha presentato la situazione del giovane gruppo. L’associazione, nata tre anni fa, ha come sede il consultorio “La famiglia” a Palazzo d’Assisi. Potendo già contare su una quindicina di volontari, presta servizio di soccorso e di assistenza a nuclei familiari in difficoltà e a donne che si trovano a vivere gravidanze difficili, affidandosi per questo anche all’aiuto di medici specialisti del settore, ad insegnanti, educatori.

Il sostegno non si limita nemmeno di fronte ad esigenze economiche, assicurando attraverso il “progetto Gemma” un aiuto mensile di 50 euro per 18 mesi alle famiglie in difficoltà, oppure offrendo la possibilità alle mamme di essere accolte nelle case famiglia. Di fronte a situazioni difficili di madri che hanno ormai perso il loro bambino, bisognose di sostegno psichico e umano, si affianca però al Movimento la gioia di una prima nascita, una bambina, resa possibile grazie al progetto Gemma. Chiunque sia interessato al Movimento può rivolgersi alla segreteria della parrocchia, direttamente a Daniela Morettoni, alla sede a Palazzo (075-8038197) oppure incontrare i componenti il primo martedì di ogni mese presso la cappella dell’ospedale di Assisi, ricordando che il Movimento pur d’ispirazione cristiana è composto da laici. Al termine della messa, all’uscita della chiesa “il Movimento per la vita” ha regalato dei bulbi di fiore non identificati nel nome e nel colore, a simboleggiare una vita continuamente da scoprire, rinnovabile sempre, per essere resa degna di essere vissuta.

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Quando sta male “l’anima”: viaggio nella psichiatria umbra https://www.lavoce.it/quando-sta-male-lanima-viaggio-nella-psichiatria-umbra/ Fri, 30 Mar 2001 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1163 Vi è mai capitato di sostare nell’anticamera di un Centro di salute mentale (ex Cim)? No? Ebbene avreste la sorpresa di trovarvi in compagnia di giovani. Più di quanto pensiate. Giovani che non hanno l’aria di essere pazienti ma lo sono. Perché si curano? Quale malessere li porta fin lì, vincendo la vergogna di essere etichettati come “uno che va al Cim”? Sempre in quell’anticamera oltre ai giovani vedreste anche adulti di diverse età, anche loro lontani dal cliché/pregiudizio del matto in cura dallo psichiatra. Persone che nulla hanno a che vedere con le storie atroci di violenza inspiegabile che solo per il fatto di essere raccontate per giorni e giorni da giornali e tv, sembrano essere tanti. Troppi lo sono certamente. Ma molto più numerosi sono giovani e adulti, che pur non avendo disturbi psichiatrici evidenti soffrono di un profondo malessere che può manifestarsi in attacchi di panico, ansia, depressione anoressia o bulimia, fino al suicidio (l’Umbria è al quarto posto tra le regioni italiane per tasso di suicidi: 963 persone dal 1984 al 1995 delle quali più del 40% sopra i 65 anni) e dovremmo aggiungere anche la droga.

Non è un elenco completo dei motivi per cui circa 23.000 persone nello scorso anno si sono rivolte almeno una volta ai servizi psichiatrici territoriali della regione, ma è più che sufficiente a far nascere la domanda: perché tutta questa gente soffre così tanto con se stessa? Una realtà difficile da raccontare, forse anche perché chiama in causa tutti, e non solo quando accadono fatti come quello di Novi Ligure che lascia sgomenti ancor più perché accaduto in una famiglia “normale”. In questi giorni la domanda che emerge più o meno esplicita è proprio questa: è mai possibile che tante tragedie come sono l’omicidio dei genitori, ma anche la violenza a un bambino o morire per uno stupido droga party possano consumarsi tra persone normali? O sono tutti matti?

La domanda l’abbiamo rivolta a degli psichiatri che hanno a che fare giornalmente con il dolore profondo degli uomini. Abbiamo parlato con Giampaolo Bottaccioli, direttore del Dipartimento di salute mentale del perugino, e con Francesco Scotti, responsabile del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Perugia. Interviste che rilanciano le domande fuori dal dominio della psichiatria per essere proposte a pedagogisti, a chi fa informazione, cultura, spettacolo ed anche alla Chiesa. Ovvero a tutti coloro che si interessano per amore o per professione, delle persone concrete.

Francesco Scotti è primario del Servizio psichiatrico diagnosi e cura di Perugia, il cosìdetto “repartino” di Villa Massari per malati psichiatrici, dotato di 24 posti letto (14 uomini al piano terra e 10 donne al primo piano) più 4 posti nel day hospital. Ha vissuto tutta la storia della psichiatria umbra, dall’apertura del manicomio di Perugia agli inizi degli anni ’60 (anticipata rispetto alla legge Basaglia del 1978) a oggi.

C’è chi dice che al mondo d’oggi, ai giovani, manca la speranza. Lei dott. Scotti è d’accordo? “Non proprio. Piuttosto direi che oggi la vita è molto più complicata. Ricordo un’assemblea a San Sisto, negli anni 70. Il quartiere era pieno di immigrati dalle campagne il cui problema era se trasferire anche i defunti oppure lasciarli nel paese d’origine, magari a cinquanta chilometri, rinunciando però alla tradizionale visita al cimitero”.

Quali sono i problemi d’oggi? “Sono gli extracomunitari. Faccio un esempio. In tre anni abbiamo avuto più prostitute immigrate che prostitute italiane in trent’anni, e ciò significa che le italiane anche se vivevano in situazioni marginali erano più integrate delle immigrate. Quando un immigrato sta male non si sa come aiutarlo perché anche se conosciamo la lingua non siamo in grado di capire il loro mondo culturale”.

Per gli italiani cosa è cambiato? “Anzitutto quella italiana è diventata una società opulenta, e questo cambia i rapporti familiari e tra le persone. Al margine di questa società ci sono i tossicodipendenti che hanno un doppio stigma…”

Un doppia malattia? “Lascerei da parte il concetto di malattia. Non so se la tossicodipendenza lo è. So che è caratterizzata da uno stile di vita, amicizie, abitazione molto degradati. In queste situazioni, come anche nella malattia psichiatrica, è difficile distinguere quello che è legato alla sostanza, alla vita, o al carattere delle persone”.

Un esempio? “Un ragazzo che ha una “crisi di crescenza” non si distingue in niente da un paziente psichiatrico acuto in un’altra fase della vita, tuttavia può avere un destino molto diverso. Ricordo un ragazzo che è stato molto male per un anno, poi è guarito ma ha dovuto lasciare l’Umbria, ricominciare daccapo in un altro posto perché per la gente una volta ‘matto’ lo sei per sempre”.

Da ciò che dice sembra difficilissimo per un genitore capire che il figlio ha dei comportamenti di cui preoccuparsi. “Infatti. Queste storie sulle responsabilità dei genitori mi sembrano un moralismo fuori misura perché o i genitori sono incapaci perché anche loro sono condizionati o ce l’hanno messa tutta. In entrambi i casi non gli si può chiedere di più. Non è questo il modo di dire che la famiglia deve cambiare perché la famiglia non nasce da decisioni individuali ma da storie di decenni e per fare un famiglia buona o cattiva occorrono generazioni”.

C’è comunque un malessere dei giovani che sempre più si rivolgono ai servizi psichiatrici? “Diciamo che sono cambiate molte cose. Ad esempio, la solitudine, il tempo che i bambini passano davanti a tv e computer: pensare che basterebbe eliminarli per risolvere il problema è illusorio. No, bisogna invece aiutare le persone a non sentirsi sole nonostante tv e computer”.

La solitudine sembra essere uno dei problemi delle società opulente. “Sarà perché mi occupo di persone ‘selezionate’ le cui storie sono andate male ma credo sia un problema di sempre, solo che adesso la riconosciamo come problema perché sembra che i rapporti tra persone siano più facili”.

Torniamo alle emergenze di oggi abbiamo parlato di immigrati…“Aggiungo lo sfruttamento dei bambini. Il fatto nuovo è che persone normali fanno viaggi per andare a sfruttare bambini! Come gli ufficiali di Hitler che ammazzavano gli ebrei, sono normali, non patologici. Questo è quello che io chiamo il fatto”.

Quindi secondo lei non è cresciuto il disagio psichiatrico? “Direi che è marginale rispetto al resto. C’è il rischio di prendere per malattia mentale quello che non lo è “.

Qui al Servizio psichiatrico diagnosi e cura quale tipo di malati arrivano? “Quasi sempre persone già con un programma di cura che sono in crisi: non vogliono più curarsi o presentano sintomi particolari. Stamane ho avuto una ragazza che ha già provato il suicidio quattro volte”.

Cosa dice ad una persona così? “E’ inutile dirle che la vita è bella. L’unico ragionamento che posso proporre è che se ci riprova e le va bene poi non potrà più pentirsi di quello che ha fatto. Poche settimane fa in un giorno solo ho ricoverato quattro donne per tentato suicidio con la varichina”.

I pazienti possono ricevere visite di amici e familiari? “Dipende dalle situazioni. Uno dei problemi delle persone che arrivano qui è la notevole conflittualità familiare. Difficile che la famiglia non abbia difficoltà se un suo componente ha disturbi psichiatrici”.

Le famiglie vengono aiutate? “La maggior parte dei pazienti ha dei problemi che si risolvono in breve tempo. A volte il disinserimento dalla famiglia è fondamentale e capita che non solo non voglia il supporto ma non vorrebbe neppure mollare il congiunto malato. Le situazioni sono particolarmente complicate quando bisogna ‘rapire’ il paziente alla famiglia che non lo fa evolvere. Ricordo un ragazzo che stava andando molto bene. La madre lo aveva sottratto alla cura perché non andava bene sufficientemente in fretta e perché vedeva che acquistando autonomia si allontanava da lei. Il bello è che non lo voleva in casa con sé ma voleva mandarlo dal padre che si era fatto una propria famiglia”.

Le è capitata qualche richiesta particolare? “Volevano mandarci un vecchietto perché non voleva farsi operare.Pensavano fosse matto perché preferiva morire di cancrena piuttosto che operarsi. Per i medici è incomprensibile che qualcuno possa voler evitare il miracolo dell’operazione e rifiutare il loro impegno terapeutico”. Troppo poco per dire che era matto, eppure anche quei medici hanno ceduto alla tentazione di spiegare ciò che per loro era inaccettabile, con la pazzia. Tentazione in cui spesso ci si rifugia, perché se le persone sono pazze allora il problema non ci riguarda. Ma non è così.

Il Servizio psichiatrico diagnosi e cura

Negli ultimi dieci anni nel “Servizio psichiatrico diagnosi e cura” della Asl del Perugino sono stai ricoverati una media di 450 persone all’anno, di cui un terzo circa con “Trattamento sanitario obbligatorio”, provenienti dalle tre Usl della provincia di Perugia. I ricoverati hanno più di diciotto anni (rari i casi di minori) e più della metà sono sotto i 45 anni. Il 4,22% dei pazienti nel 2000 erano stranieri. Tra i ricoverati anche anziani sopra i 65 anni, spesso con problematiche psichiatriche legate a malattie tipiche dell’età che dovrebbero trovare accoglienza in altre strutture come le residenze sanitarie assistite per anziani, inesistenti in regione.

Il reparto è sotto organico, vi lavorano quattro psichiatri (più uno part time) mentre ne occorrerebbero sette. Gli infermieri non hanno una formazione specifica, la acquisiscono “sul campo”. Solo in questi ultimi anni le università hanno attivato diplomi universitari per la loro formazione, ma non a Perugia. Molte cose sono cambiate da quando l’ospedale psichiatrico di Perugia, con i suoi 1500 posti letto, (più di quanti ne abbiano oggi il Policlinico di Monteluce e il Silvestrini) aprì le porte alla cittadinanza. Con un lavoro all’epoca pionieristico gli operatori dello Psichiatrico diedero la possibilità di tornare nelle comunità di origine e nelle famiglie, a tutti i ricoverati per cui era possibile. Si passò dai 1164 ricoverati del 1964 ai 252 del 1980.

Con molti incontri prepararono i familiari, le comunità del paese o del quartiere, i servizi sociali del territorio, ad accogliere gli oramai ex ricoverati costruendo una “rete” di servizi e di solidarietà, secondo un modello che ancora oggi viene utilizzato, pur se con mezzi diversi e soprattutto con mentalità diversa. Oggi il ricovero in strutture protette come il “repartino” è una eccezione temporanea.

Disagio e sofferenza psichica in crescita

A vent’anni dopo che incidente le toglie temporaneamente l’autonomia, si chiude sempre più in casa finché delira. Genitori e fratelli (altri 4) cercano di aiutarla. Visite da uno psichiatra privato per tenere la cosa in famiglia, finché la ragazza ha una grave crisi e sono costretti al ricovero coatto. Genitori d’accordo anche se, ovviamente non entusiasti. Dopo cinque anni di crescente isolamento e chiusura alla realtà che la circonda entra in rapporto con il Centro di salute mentale della sua zona. Inizia un lento recupero di vita anche con il sostegno dei genitori che aiutano la figlia anche quando il Centro propone di allontanarla dalla famiglia per inserirla in un pensionato nel capoluogo umbro. Per questa ragazza è un po’ come rinascere, reimparare ad affrontare le banalità di ogni giorno: uscire, fare la spesa, cucinare, avere amicizie. Una volontaria la accompagna come un’amica e dopo sette anni la ragazza può andare a vivere da sola in un piccolo appartamento e tra poco avrà un lavoro, per ora un part -time. Una storia, con lieto fine, anche se avrebbe potuto avere un esito migliore se fossimo potuti intervenire prima. La conclusione è di Giampaolo Bottaccioli, psichiatra responsabile del Dipartimento di salute mentale della Asl n.2 di Perugia.

Non tutte le storie però hanno un esito positivo, perché se è vero che c’è minore vergogna a rivolgersi allo psicologo o allo psichiatra quando si ha la percezione di non farcela da soli e di avere bisogno di aiuto, è anche vero che c’è chi resiste, fino a negarla, di fronte all’evidenza di una malattia mentale. E’ il caso di un’altra storia, di una giovane con grave disagio mentale alimentato da un rapporto con il padre che pur senza arrivare all’incontro fisico è fatto di relazioni incestuose (tra l’altro quotidianamente violente). La via obbligata per aiutare la ragazza sarebbe l’allontanamento dal genitore, forzato visto che la ragazza arriva persino a buttarsi dalla finestra pur di evitare il ricovero in ospedale, ma il Servizio non riesce ad ottenere dal Tribunale il provvedimento necessario. Il risultato è che pur giornalmente seguita per anni dal Servizio, la ragazza avrà dei miglioramenti solo dopo la morte del padre.

Due storie che Bottaccioli racconta mentre cerca di spiegare che il mondo della salute mentale non si può capire solo con cifre, dati statistici, burocrazia. Cose che possono dire come sono organizzati i servizi psichiatrici sul territorio, ma insufficienti a far comprendere il fatto che a differenza di tutti gli altri ambiti della sanità qui più che altrove si lavora con le persone, potremmo dire con la loro “anima” e che medicine, terapie e strutture hanno tutte a che fare in modo determinante con l’elemento umano.

I dati disponibili a livello nazionale indicano una crescita dei disturbi mentali, del disagio e della sofferenza psichica delle persone ed una parte consistente del “carico di malattia della popolazione” è dovuto proprio ai disturbi mentali. Preoccupante, aggiunge Bottaccioli, inoltre, è l’aumento che si registra nella fascia giovanile: circa il 50% dei disturbi si manifesta e viene riconosciuto come tale sotto i 22 anni ed una quota maggiore si registra precocemente in forme non immediatamente riconosciute come tali. Una tendenza di cui tenere conto ed alla quale va aggiunto il dato dell’effetto devastante (spesso con danni cerebrali irrecuperabili) delle “nuove” droghe sul sistema nervoso dei giovani che le consumano.

Le strutture di assistenza nella Asl N.2

Da gennaio a settembre 2000 nel Dipartimento di salute mentale della Asl N.2 del Perugino, i 6 Centri di salute mentale hanno seguito 7.105 persone, delle quali circa il 40% a domicilio. Nello stesso periodo circa 118 pazienti hanno frequentato i 5 Centri semiresidenziali di assistenza psichiatrica (centri in cui i pazienti si recano durante il giorno, con orari e frequenza variabile, ed in cui si svolgono attività diverse) gestiti da operatori di cooperative convenzionate con la Asl. “Servirebbero strutture per il tempo libero” osservano gli operatori. Infine il capitolo della Assistenza psichiatrica residenziale, ovvero le cosidette “case famiglia” o “comunità” in cui i pazienti vivono con o anche senza l’assistenza di operatori. Nei primi dieci mesi del 2000 nelle 12 strutture sono stati occupati tutti i 112 posti disponibili. E’ in questo servizio che si registrano liste d’attesa.

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Cresce la disponibilità a essere la “seconda famiglia” https://www.lavoce.it/cresce-la-disponibilita-ad-essere-la-seconda-famiglia/ Thu, 23 Nov 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1094 Sono 130 i minori che nella provincia di Perugia sono stati dati in affidamento familiare: un numero che rispetto a quello registrato alla fine del 1994 è nettamente raddoppiato. Questo è il dato principale che è scaturito da una ricerca condotta dalla Provincia di Perugia nell’ambito del “Progetto affidi” e presentata mercoledì scorso presso la sede dell’Ente.I 468 minorenni temporaneamente allontanati dalle proprie famiglie (questo il totale degli affidamenti a famiglie, istituti, case famiglia e varie) sono sintomo di una minore cura da parte delle famiglie nei confronti dei loro figli, oppure di un’aumentata difficoltà dei genitori di prendersi cura materialmente o affettivamente dei propri figli, di comprenderne e seguirne lo sviluppo adolescenziale? Sono domande cui è difficile dare una risposta univoca, è stato detto dalla prof.ssa Pierangela Benvenuti, curatrice della ricerca e docente del Duss (Diploma universitario in servizio sociale) di Perugia e confermato dalla dott.ssa Stefania Gatti, responsabile del Servizio promozione sociale e politiche giovanili.

Il dato rilevante è che rispetto ad alcuni anni fa, oltre che una recrudescenza del fenomeno venuto sempre più evidenziandosi nel corso degli anni, c’è oggi anche una maggiore attenzione da parte dei servizi sociali verso il fenomeno, che nel caso specifico vedono la Provincia di Perugia coordinatrice del lavoro condotto dai servizi dei singoli comuni, dai quali generalmente partono le segnalazioni.

Di positivo c’è l’aumento delle famiglie disponibili ad accogliere minori in affidamento: ad oggi sono 75 quelle iscritte nella banca dati della Provincia, famiglie ma anche persone singole. Il dato positivo però – è stato sottolineato a più voci dagli intervenuti alla conferenza stampa, tra cui anche il prof. Roberto Segatori direttore del Duss e l’assessore provinciale Alfredo Andreani – non esonera la Provincia dal continuare l’opera di sensibilizzazione di altre famiglie verso l’affido. Un dato nuovo e confortante è che rispetto all’ultima rilevazione del 1994, circa un terzo degli affidi sono stati effettuati direttamente dai servizi, senza ricorrere alla Banca famiglie, utilizzando risorse presenti nella rete parentale o amicale della famiglia di origine.

È da segnalare, inoltre, che nel numero totale dei minori dati in affido l’eta prevalente è quella della scuola dell’obbligo: per il resto il dato è abbastanza diversificato ma dimostra comunque un certo aumento dell’età minima del disagio, per cui si hanno bambini in affidamento anche di pochi mesi, addirittura sin dalla nascita.Per quanto riguarda la durata dell’affidamento, prevalente è quello a tempo pieno, di cui vengono evidenziate alcune punte massime che vanno dai 4 ai 5 anni, tra i quali si collocano quelli che durano mediamente dai due mesi ad un anno fino a tre anni.Per quanto attiene ai luoghi di accoglienza (istituti), sono cinque le strutture educativo-assistenziali censiti dall’indagine: il numero dei minori ospitati è aumentato a 371 unità, ma si tratta per più del 60% dei casi (226) di ospiti provenienti da altre regioni (nel 1994 la proporzione era inversa) e soprattutto dal Sud: di questi la percentuale più alta di dimessi interessa soprattutto giovani che hanno raggiunto la maggiore età e che quindi non possono più usufruire dell’istituto. Negli ultimi anni sono aumentate le cosiddette strutture intermedie (cioè gruppi appartamento, casa famiglia, case di accoglienza) che hanno raggiunto il numero di 11: vi sono ospitati 97 minori, di cui 66 umbri. Una scelta che vede attore principale la Provincia di Perugia che ha tra gli obiettivi la deistituzionalizzazione del minore in affido.

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