carcere Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/carcere/ Settimanale di informazione regionale Mon, 21 Oct 2024 07:59:47 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg carcere Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/carcere/ 32 32 Carcere. Il portavoce dei Garanti: è piena emergenza umanitaria https://www.lavoce.it/carcere-il-portavoce-dei-garanti-e-piena-emergenza-umanitaria/ https://www.lavoce.it/carcere-il-portavoce-dei-garanti-e-piena-emergenza-umanitaria/#respond Fri, 18 Oct 2024 12:00:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78087 Un agente della polizia penitenziaria di spalle mentree spinge un carrello in un corridoio del carcere con a destra delle finestre

“Il carcere è al collasso. Siamo in piena emergenza umanitaria, sia sulle problematiche carcerarie degli adulti sia sul tema della giustizia minorile”. L’allarme arriva dal portavoce dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello.

Da settimane si susseguono accesi dibattiti politici e sociali ma sui quali la politica, purtroppo non dà risposte concrete. In uno sforzo di sintesi e di chiarezza il Garante elenca: oltre i suicidi anche le forme di autolesionismo, la mancanza di figure di ascolto come psicologi, assistenti sociali, psichiatri, mediatori linguistici, carenza di opportunità lavorative e professionalizzanti.

Il decreto “Carcere sicuro" è una scatola vuota

“Il decreto legge sul carcere – prosegue il Garante – varato dal Governo e comunicato con il nome di ‘Carcere sicuro’, in vigore dal 4 luglio 2024, è una vera e propria scatola vuota, non in grado di porre un argine immediato alle drammatiche condizioni in cui versano gli istituti di pena italiani”.

Il sovraffollamento è pari al 130%

Preoccupante l’indice di sovraffollamento che, ad oggi, è arrivato a essere pari al 130%. Ci sono 7.027 persone detenute che devono scontare meno di un anno di carcere. Dati allarmanti, conseguenti anche a scelte di politica penale che, in un’ottica puramente repressiva e securitaria, hanno portato all’introduzione di nuove fattispecie di reato, all’innalzamento della durata di pene detentive per alcune fattispecie di reato, all’inasprimento dell’applicazione di misure cautelari, anche per reati di lieve entità. Le misure previste promuovono una politica tutta ‘ordine e disciplina’ con conseguenze drammatiche: sottrazione di risorse a discapito delle esigenze dell’area educativa, del trattamento o dell’Ufficio esecuzione penale esterna, e introducendo modifiche all’istituto della liberazione anticipata.

Continuano decessi e tentativi di suicidio

Se non bastano gli allarmi, restano i numeri a fotografare la sostanziale indifferenza della politica. Al macabro quadro che emerge vanno aggiunti una cinquantina di decessi di reclusi, le cui cause sono ancora da accertare, e i tentati suicidi che sono stati 1.022; in diverse centinaia di casi è stato solo l’immediato intervento degli agenti a scongiurare altre vittime. 

... tentativi di fuga e aggressioni ai poliziotti

Nello stesso periodo le evasioni e i tentativi di fuga sono aumentati del 700% mentre le aggressioni ai poliziotti hanno raggiunto quota 1.950. Il numero degli agenti di polizia penitenziaria è fortemente sotto organico, considerando la condizione di estremo disagio della categoria, che ha portato al suicidio di 7 addetti alla sicurezza nei 192 istituti di pena italiani. L’emergenza dunque si aggrava con l’aumento dei casi di autolesionismo e il dilagare di fenomeni di violenza e di tortura che si consumano nelle carceri italiane.

Un po' di percentuali

Il 64% delle persone che si sono tolte la vita negli ultimi due anni aveva commesso reati contro il patrimonio; il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione; il 40% degli stessi si è consumato oltre i primi sei mesi, con una percentuale elevata nell’ultimo periodo di detenzione e l’interessamento di molti detenuti senza fissa dimora.

Carenza di personale

La situazione di promiscuità e difficile convivenza tra detenuti con storie diverse alle spalle fa poi il paio con la cronica mancanza di personale. Se si vuole il carcere come luogo di riscatto, rieducazione e speranza, bisognerà favorire la formazione e il lavoro intramurario, investire in importanti opere di ristrutturazione degli istituti penitenziari per migliorare le condizioni di abitabilità e igienico-sanitarie degli ambienti, assumere più personale esperto nel prevenire e gestire il disagio psicologico troppo diffuso in carcere.

Luca Verdolini
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Un agente della polizia penitenziaria di spalle mentree spinge un carrello in un corridoio del carcere con a destra delle finestre

“Il carcere è al collasso. Siamo in piena emergenza umanitaria, sia sulle problematiche carcerarie degli adulti sia sul tema della giustizia minorile”. L’allarme arriva dal portavoce dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello.

Da settimane si susseguono accesi dibattiti politici e sociali ma sui quali la politica, purtroppo non dà risposte concrete. In uno sforzo di sintesi e di chiarezza il Garante elenca: oltre i suicidi anche le forme di autolesionismo, la mancanza di figure di ascolto come psicologi, assistenti sociali, psichiatri, mediatori linguistici, carenza di opportunità lavorative e professionalizzanti.

Il decreto “Carcere sicuro" è una scatola vuota

“Il decreto legge sul carcere – prosegue il Garante – varato dal Governo e comunicato con il nome di ‘Carcere sicuro’, in vigore dal 4 luglio 2024, è una vera e propria scatola vuota, non in grado di porre un argine immediato alle drammatiche condizioni in cui versano gli istituti di pena italiani”.

Il sovraffollamento è pari al 130%

Preoccupante l’indice di sovraffollamento che, ad oggi, è arrivato a essere pari al 130%. Ci sono 7.027 persone detenute che devono scontare meno di un anno di carcere. Dati allarmanti, conseguenti anche a scelte di politica penale che, in un’ottica puramente repressiva e securitaria, hanno portato all’introduzione di nuove fattispecie di reato, all’innalzamento della durata di pene detentive per alcune fattispecie di reato, all’inasprimento dell’applicazione di misure cautelari, anche per reati di lieve entità. Le misure previste promuovono una politica tutta ‘ordine e disciplina’ con conseguenze drammatiche: sottrazione di risorse a discapito delle esigenze dell’area educativa, del trattamento o dell’Ufficio esecuzione penale esterna, e introducendo modifiche all’istituto della liberazione anticipata.

Continuano decessi e tentativi di suicidio

Se non bastano gli allarmi, restano i numeri a fotografare la sostanziale indifferenza della politica. Al macabro quadro che emerge vanno aggiunti una cinquantina di decessi di reclusi, le cui cause sono ancora da accertare, e i tentati suicidi che sono stati 1.022; in diverse centinaia di casi è stato solo l’immediato intervento degli agenti a scongiurare altre vittime. 

... tentativi di fuga e aggressioni ai poliziotti

Nello stesso periodo le evasioni e i tentativi di fuga sono aumentati del 700% mentre le aggressioni ai poliziotti hanno raggiunto quota 1.950. Il numero degli agenti di polizia penitenziaria è fortemente sotto organico, considerando la condizione di estremo disagio della categoria, che ha portato al suicidio di 7 addetti alla sicurezza nei 192 istituti di pena italiani. L’emergenza dunque si aggrava con l’aumento dei casi di autolesionismo e il dilagare di fenomeni di violenza e di tortura che si consumano nelle carceri italiane.

Un po' di percentuali

Il 64% delle persone che si sono tolte la vita negli ultimi due anni aveva commesso reati contro il patrimonio; il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione; il 40% degli stessi si è consumato oltre i primi sei mesi, con una percentuale elevata nell’ultimo periodo di detenzione e l’interessamento di molti detenuti senza fissa dimora.

Carenza di personale

La situazione di promiscuità e difficile convivenza tra detenuti con storie diverse alle spalle fa poi il paio con la cronica mancanza di personale. Se si vuole il carcere come luogo di riscatto, rieducazione e speranza, bisognerà favorire la formazione e il lavoro intramurario, investire in importanti opere di ristrutturazione degli istituti penitenziari per migliorare le condizioni di abitabilità e igienico-sanitarie degli ambienti, assumere più personale esperto nel prevenire e gestire il disagio psicologico troppo diffuso in carcere.

Luca Verdolini
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Corso di cucina per un futuro reinserimento fuori dal carcere https://www.lavoce.it/corso-di-cucina-per-un-futuro-reinserimento-fuori-dal-carcere/ https://www.lavoce.it/corso-di-cucina-per-un-futuro-reinserimento-fuori-dal-carcere/#respond Fri, 18 Oct 2024 08:26:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78106

Cibo e sbarre si riconciliano grazie a un progetto ambizioso e concreto. Un corso di cucina, previsto nell’ambito del progetto “Opportunità lavorative professionalizzanti” finanziato dal ministero della Giustizia e riservato a 10 detenuti, organizzato all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Perugia dalla cooperativa sociale Frontiera lavoro, per dare un futuro a quanti, tra i circa quattrocento detenuti ospiti della struttura, hanno ancora voglia di coltivarlo.

Le testimonianze di Vladislav, dello chef Stifani e di Satur

Accade così che – nel “carcere dei paradossi” – Vladislav, 24 anni, molti dei quali trascorsi in diversi istituti penitenziari tra piccoli e grandi reati, quasi senza alternative, ritrovi un progetto di vita tra mestoli e padelle. Lo vedi impegnato a sminuzzare le verdure, farcire le carni, condire una fragrante pizza.  Una passione che diventa un sogno, magari un proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Quel tempo passato dietro le sbarre che diventa momento formativo, per imparare a fare e a essere qualcosa di diverso, grazie a un’opportunità per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina, una volta “fuori”.

Sono 215 le ore di lezione, al termine della quali è previsto l’esame di qualifica; coordinate da chef di comprovata esperienza e competenza: Catia Ciofo, Addolorata Stifani, Donatella Aquili, Paolo Staiano e Daniele Guerra.

“Gli allievi – spiega la chef Stifani – vengono suddivisi in piccoli gruppi, lavorando in cucina con materiali e prodotti di qualità. Al termine di ogni lezione monotematica la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati vengono consumati insieme”. Il corso di cucina è non solo un’esperienza professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture.

Nell’istituto penitenziario di Perugia sono presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra. Come Satur, 32 anni, albanese: “Sto imparando tante cose nuove, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”.

L'esperienza formativa per ricominciare a vivere

L’esperienza formativa aumenta il grado di stima dei detenuti, consentendo una riscoperta della loro dignità, favorendo una rinnovata socialità e incidendo sulla recidiva, migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità.

La cena di gala “Golose evasioni"

“Il progetto – dichiara Roberta Veltrini, presidente di Frontiera lavoro – ha l’obiettivo di fornire le competenze base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo propedeutico a un successivo reinserimento sociale della persona detenuta”. Gli allievi daranno un saggio delle competenze acquisite durante la cena di gala “Golose evasioni”, giunta all’ottava edizione, che si svolgerà giovedì 21 novembre proprio all’interno della struttura penitenziaria di Capanne, e sarà aperta anche alla cittadinanza, che potrà gustare un menù d’autore.

Luca Verdolini

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Cibo e sbarre si riconciliano grazie a un progetto ambizioso e concreto. Un corso di cucina, previsto nell’ambito del progetto “Opportunità lavorative professionalizzanti” finanziato dal ministero della Giustizia e riservato a 10 detenuti, organizzato all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Perugia dalla cooperativa sociale Frontiera lavoro, per dare un futuro a quanti, tra i circa quattrocento detenuti ospiti della struttura, hanno ancora voglia di coltivarlo.

Le testimonianze di Vladislav, dello chef Stifani e di Satur

Accade così che – nel “carcere dei paradossi” – Vladislav, 24 anni, molti dei quali trascorsi in diversi istituti penitenziari tra piccoli e grandi reati, quasi senza alternative, ritrovi un progetto di vita tra mestoli e padelle. Lo vedi impegnato a sminuzzare le verdure, farcire le carni, condire una fragrante pizza.  Una passione che diventa un sogno, magari un proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Quel tempo passato dietro le sbarre che diventa momento formativo, per imparare a fare e a essere qualcosa di diverso, grazie a un’opportunità per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina, una volta “fuori”.

Sono 215 le ore di lezione, al termine della quali è previsto l’esame di qualifica; coordinate da chef di comprovata esperienza e competenza: Catia Ciofo, Addolorata Stifani, Donatella Aquili, Paolo Staiano e Daniele Guerra.

“Gli allievi – spiega la chef Stifani – vengono suddivisi in piccoli gruppi, lavorando in cucina con materiali e prodotti di qualità. Al termine di ogni lezione monotematica la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati vengono consumati insieme”. Il corso di cucina è non solo un’esperienza professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture.

Nell’istituto penitenziario di Perugia sono presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra. Come Satur, 32 anni, albanese: “Sto imparando tante cose nuove, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”.

L'esperienza formativa per ricominciare a vivere

L’esperienza formativa aumenta il grado di stima dei detenuti, consentendo una riscoperta della loro dignità, favorendo una rinnovata socialità e incidendo sulla recidiva, migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità.

La cena di gala “Golose evasioni"

“Il progetto – dichiara Roberta Veltrini, presidente di Frontiera lavoro – ha l’obiettivo di fornire le competenze base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo propedeutico a un successivo reinserimento sociale della persona detenuta”. Gli allievi daranno un saggio delle competenze acquisite durante la cena di gala “Golose evasioni”, giunta all’ottava edizione, che si svolgerà giovedì 21 novembre proprio all’interno della struttura penitenziaria di Capanne, e sarà aperta anche alla cittadinanza, che potrà gustare un menù d’autore.

Luca Verdolini

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Vi chiedo di superare i confini (mentali) e “entrare” nelle carceri https://www.lavoce.it/vi-chiedo-di-superare-i-confini-mentali-e-entrare-nelle-carceri/ https://www.lavoce.it/vi-chiedo-di-superare-i-confini-mentali-e-entrare-nelle-carceri/#respond Wed, 16 Oct 2024 17:00:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78002

Pasquale Del Mastro 44 anni, fine pena provvisorio fissato al 2027, il 9 ottobre scorso si è strozzato utilizzando i lacci delle scarpe nel suo letto in una cella dell’infermeria del carcere di San Vittore. Si tratta del 75esimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno in Italia. I confini che chiedo ai lettori di attraversare in questo numero, non sono geografici ma mentali perché quel mondo ci riguarda, non è un altro mondo! La qualità del carcere è uno degli indici da considerare per fissare lo stato di una civiltà, una democrazia, una comunità nazionale. A San Vittore sono stipati 1.022 detenuti, a fronte di 447 posti disponibili con un sovraffollamento di oltre il 229%. A sorvegliare vi sono 580 appartenenti al corpo di polizia penitenziaria (120 in meno del minimo necessario), e con una scopertura del 17%. In tutta Italia, le nostre carceri possono ospitare 47mila detenuti ma in realtà sono 62mila. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo fissa in tre metri quadri lo spazio vitale che deve essere garantito ad ogni persona detenuta. Secondo il rapporto della Fondazione Antigone, che si occupa delle condizioni e dei diritti dei carcerati, nelle 88 visite effettuate dall’inizio dell’anno almeno il 27% dei nostri istituti non garantisce tale obbligo. È una questione di dignità. Da riconoscere e da garantire.]]>

Pasquale Del Mastro 44 anni, fine pena provvisorio fissato al 2027, il 9 ottobre scorso si è strozzato utilizzando i lacci delle scarpe nel suo letto in una cella dell’infermeria del carcere di San Vittore. Si tratta del 75esimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno in Italia. I confini che chiedo ai lettori di attraversare in questo numero, non sono geografici ma mentali perché quel mondo ci riguarda, non è un altro mondo! La qualità del carcere è uno degli indici da considerare per fissare lo stato di una civiltà, una democrazia, una comunità nazionale. A San Vittore sono stipati 1.022 detenuti, a fronte di 447 posti disponibili con un sovraffollamento di oltre il 229%. A sorvegliare vi sono 580 appartenenti al corpo di polizia penitenziaria (120 in meno del minimo necessario), e con una scopertura del 17%. In tutta Italia, le nostre carceri possono ospitare 47mila detenuti ma in realtà sono 62mila. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo fissa in tre metri quadri lo spazio vitale che deve essere garantito ad ogni persona detenuta. Secondo il rapporto della Fondazione Antigone, che si occupa delle condizioni e dei diritti dei carcerati, nelle 88 visite effettuate dall’inizio dell’anno almeno il 27% dei nostri istituti non garantisce tale obbligo. È una questione di dignità. Da riconoscere e da garantire.]]>
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Donati ventilatori per dare un po’ di respiro a chi è in carcere https://www.lavoce.it/donati-ventilatori-dare-po-respiro-chi-e-in-carcere/ https://www.lavoce.it/donati-ventilatori-dare-po-respiro-chi-e-in-carcere/#respond Wed, 03 Jul 2024 16:51:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76903

Tutti sbagliamo, “ma l’importante è non rimanere sbagliati”: rialzarsi anche grazie a chi aiuta a risollevarsi, senza mai guardare dall’alto in basso chi è caduto. Così Papa Francesco si era rivolto a un gruppo di detenuti a Santa Marta.

Donati 2000 ventilatori a 30 istituti penitenziari

Proprio quelle parole di Bergoglio hanno ispirato il progetto “Semi di tarassaco volano nell’aria” che dimostra come ci sia ancora chi si ricorda dei detenuti. In particolare, il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica - in collaborazione con l’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri e il sostegno della Presidenza della Conferenza episcopale italiana - , ha deciso di donare oltre 2.000 ventilatori a 30 istituti penitenziari per affrontare il caldo estivo con un minor disagio.

Il carcere di Capanne a Perugia e di Sabbione a Terni

In Umbria sono coinvolti il carcere di Capanne a Perugia e quello di Sabbione a Terni. Qui, i ventilatori sono stati consegnati direttamente dal vescovo Francesco Antonio Soddu venerdì 28 giugno in occasione della cresima di nove detenuti.

La testimonianza di padre Massimo, cappellano di Terni

“Il carcere - ha dichiarato padre Massimo Lelli, cappellano a Terni - è luogo di pena, nel duplice senso di punizione e di sofferenza, e ha molto bisogno di attenzione e di umanità. È un luogo dove tutti sono chiamati al difficile compito di curare le ferite di coloro che, per errori fatti, si trovano privati della libertà personale”. Pur nelle numerose complessità - “in questi ultimi mesi l’istituto di Terni ha dovuto affrontare non pochi problemi tra rivolte, suicidi, carenza di personale e le tante difficoltà giornaliere - , l’iniziativa è stata accolta positivamente: i 70 ventilatori donati, insieme ad altre attività e iniziative estive, “sicuramente aiuteranno i detenuti e chi qui lavora ad affrontare meglio il caldo” sottolinea il francescano, ricordando chele carceri hanno bisogno di essere sempre più umanizzate: l’esperienza dimostra che possono diventare veramente luogo di riscatto, di risurrezione e di cambiamento di vita. Tutto concorre al bene di coloro che sono chiamati a camminare in un’unica direzione per aiutare a rialzarsi e a crescere nella speranza di quanti sono, purtroppo, caduti nella trappola del male”.

...e di padre Francesco, cappellano di Perugia

“Il periodo estivo in carcere è sempre molto delicato: le attività trattamentali sono praticamente sospese, il sole e l’alta temperatura rendono difficile anche l’ora d’aria. La struttura, completamente al sole, si surriscalda e rende difficile il soggiorno dentro le celle, prive non solo del condizionatore ma anche di un semplice ventilatore. Chi ha possibilità economiche se ne procura uno pagando il consumo di elettricità supplementare”. A spiegare quella che è la vita nel carcere di Perugia è il cappellano padre Francesco Bonucci, che vede nel dono dei ventilatori “un intelligente atto di carità, che interviene in una situazione particolarmente difficile, con un gesto concreto e visibile a indicare ancora una volta l’attenzione e la vicinanza della Chiesa a questi nostri fratelli. Possono sembrare piccoli gesti - conclude il francescano - ma in realtà agli occhi della popolazione carceraria e dell’Amministrazione dicono di come la Parola annunciata dalla Chiesa si incarna concretamente, evidenziando la cura che, come comunità cristiana, esprimiamo anche verso chi ha commesso gravi reati”.

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Tutti sbagliamo, “ma l’importante è non rimanere sbagliati”: rialzarsi anche grazie a chi aiuta a risollevarsi, senza mai guardare dall’alto in basso chi è caduto. Così Papa Francesco si era rivolto a un gruppo di detenuti a Santa Marta.

Donati 2000 ventilatori a 30 istituti penitenziari

Proprio quelle parole di Bergoglio hanno ispirato il progetto “Semi di tarassaco volano nell’aria” che dimostra come ci sia ancora chi si ricorda dei detenuti. In particolare, il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica - in collaborazione con l’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri e il sostegno della Presidenza della Conferenza episcopale italiana - , ha deciso di donare oltre 2.000 ventilatori a 30 istituti penitenziari per affrontare il caldo estivo con un minor disagio.

Il carcere di Capanne a Perugia e di Sabbione a Terni

In Umbria sono coinvolti il carcere di Capanne a Perugia e quello di Sabbione a Terni. Qui, i ventilatori sono stati consegnati direttamente dal vescovo Francesco Antonio Soddu venerdì 28 giugno in occasione della cresima di nove detenuti.

La testimonianza di padre Massimo, cappellano di Terni

“Il carcere - ha dichiarato padre Massimo Lelli, cappellano a Terni - è luogo di pena, nel duplice senso di punizione e di sofferenza, e ha molto bisogno di attenzione e di umanità. È un luogo dove tutti sono chiamati al difficile compito di curare le ferite di coloro che, per errori fatti, si trovano privati della libertà personale”. Pur nelle numerose complessità - “in questi ultimi mesi l’istituto di Terni ha dovuto affrontare non pochi problemi tra rivolte, suicidi, carenza di personale e le tante difficoltà giornaliere - , l’iniziativa è stata accolta positivamente: i 70 ventilatori donati, insieme ad altre attività e iniziative estive, “sicuramente aiuteranno i detenuti e chi qui lavora ad affrontare meglio il caldo” sottolinea il francescano, ricordando chele carceri hanno bisogno di essere sempre più umanizzate: l’esperienza dimostra che possono diventare veramente luogo di riscatto, di risurrezione e di cambiamento di vita. Tutto concorre al bene di coloro che sono chiamati a camminare in un’unica direzione per aiutare a rialzarsi e a crescere nella speranza di quanti sono, purtroppo, caduti nella trappola del male”.

...e di padre Francesco, cappellano di Perugia

“Il periodo estivo in carcere è sempre molto delicato: le attività trattamentali sono praticamente sospese, il sole e l’alta temperatura rendono difficile anche l’ora d’aria. La struttura, completamente al sole, si surriscalda e rende difficile il soggiorno dentro le celle, prive non solo del condizionatore ma anche di un semplice ventilatore. Chi ha possibilità economiche se ne procura uno pagando il consumo di elettricità supplementare”. A spiegare quella che è la vita nel carcere di Perugia è il cappellano padre Francesco Bonucci, che vede nel dono dei ventilatori “un intelligente atto di carità, che interviene in una situazione particolarmente difficile, con un gesto concreto e visibile a indicare ancora una volta l’attenzione e la vicinanza della Chiesa a questi nostri fratelli. Possono sembrare piccoli gesti - conclude il francescano - ma in realtà agli occhi della popolazione carceraria e dell’Amministrazione dicono di come la Parola annunciata dalla Chiesa si incarna concretamente, evidenziando la cura che, come comunità cristiana, esprimiamo anche verso chi ha commesso gravi reati”.

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Dalla vendetta alla giustizia. E oltre https://www.lavoce.it/dalla-vendetta-alla-giustizia-e-oltre/ https://www.lavoce.it/dalla-vendetta-alla-giustizia-e-oltre/#respond Fri, 10 May 2024 08:10:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76087

A dispetto delle sue difficoltà di movimento, papa Francesco ha fatto una visita lampo a Venezia, dedicata principalmente al carcere femminile e ad un incontro con quelle detenute. La storia di quella visita, e il suo perché, meriterebbero un commento a parte; ma oggi voglio concentrare l’attenzione su un episodio marginale. Come d’uso in questi casi, una detenuta era stata scelta (ovviamente non dal Papa) per rivolgere all’ospite un saluto e un omaggio a nome di tutte; e il Papa aveva risposto con toni di incoraggiamento e di speranza. Tutto normale, da quando a Natale del 1958 Giovanni XXIII, a sorpresa, fece visita a un carcere, la prima volta per un Papa.

Ma qualche giornalista si è chiesto chi fosse quella donna, ha scoperto che sta scontando una condanna per omicidio volontario, e ha pensato bene di andare ad intervistare i parenti della vittima. Ha trovato un signore il quale ha detto che, con tutto il rispetto per il Papa, lui però non è disposto a perdonare quella detenuta, e che la giustizia non è stata abbastanza severa con lei.

Un classico: ormai non c’è cronaca del processo per un grave delitto che non sia accompagnata dall’intervista ai parenti della vittima e che non dia risonanza alla loro rituale indignazione perché avrebbero voluto pene più pesanti. I giornali in genere sposano questi atteggiamenti, e lasciano intendere al lettore che il compito dei giudici sarebbe quello di dare soddisfazione ai familiari del morto, i quali dunque hanno ragione di protestare se così non è stato. A volte viene il sospetto che qualche giudice si sia lasciato influenzare dal timore di questi commenti.

Invece si dovrebbe ricordare il vecchio detto che la civiltà umana è cominciata il giorno in cui si è stabilito che non spetta ai parenti del morto decidere la pena per l’uccisore; insomma, quando si è imparato a distinguere fra giustizia e vendetta. Nei nostri giorni, però, c’è anche chi va oltre tutto questo; parlo delle iniziative di “giustizia riparativa” (recepite da una legge voluta da Marta Cartabia quando era ministro della giustizia) che consistono nel promuovere l’incontro e la pacificazione, in privato, fra l’autore del reato e la sua vittima (o i parenti di questa), ferme restando le sanzioni legali. In concreto, questo percorso è possibile in casi molto rari, ma qualche volta il risultato si ottiene.

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A dispetto delle sue difficoltà di movimento, papa Francesco ha fatto una visita lampo a Venezia, dedicata principalmente al carcere femminile e ad un incontro con quelle detenute. La storia di quella visita, e il suo perché, meriterebbero un commento a parte; ma oggi voglio concentrare l’attenzione su un episodio marginale. Come d’uso in questi casi, una detenuta era stata scelta (ovviamente non dal Papa) per rivolgere all’ospite un saluto e un omaggio a nome di tutte; e il Papa aveva risposto con toni di incoraggiamento e di speranza. Tutto normale, da quando a Natale del 1958 Giovanni XXIII, a sorpresa, fece visita a un carcere, la prima volta per un Papa.

Ma qualche giornalista si è chiesto chi fosse quella donna, ha scoperto che sta scontando una condanna per omicidio volontario, e ha pensato bene di andare ad intervistare i parenti della vittima. Ha trovato un signore il quale ha detto che, con tutto il rispetto per il Papa, lui però non è disposto a perdonare quella detenuta, e che la giustizia non è stata abbastanza severa con lei.

Un classico: ormai non c’è cronaca del processo per un grave delitto che non sia accompagnata dall’intervista ai parenti della vittima e che non dia risonanza alla loro rituale indignazione perché avrebbero voluto pene più pesanti. I giornali in genere sposano questi atteggiamenti, e lasciano intendere al lettore che il compito dei giudici sarebbe quello di dare soddisfazione ai familiari del morto, i quali dunque hanno ragione di protestare se così non è stato. A volte viene il sospetto che qualche giudice si sia lasciato influenzare dal timore di questi commenti.

Invece si dovrebbe ricordare il vecchio detto che la civiltà umana è cominciata il giorno in cui si è stabilito che non spetta ai parenti del morto decidere la pena per l’uccisore; insomma, quando si è imparato a distinguere fra giustizia e vendetta. Nei nostri giorni, però, c’è anche chi va oltre tutto questo; parlo delle iniziative di “giustizia riparativa” (recepite da una legge voluta da Marta Cartabia quando era ministro della giustizia) che consistono nel promuovere l’incontro e la pacificazione, in privato, fra l’autore del reato e la sua vittima (o i parenti di questa), ferme restando le sanzioni legali. In concreto, questo percorso è possibile in casi molto rari, ma qualche volta il risultato si ottiene.

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Il carcere che offende i detenuti e non difende i cittadini https://www.lavoce.it/carcere-offende-detenuti-non-difende-cittadini/ https://www.lavoce.it/carcere-offende-detenuti-non-difende-cittadini/#respond Thu, 02 May 2024 11:22:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75937

A che serve lo Stato? Se ce lo chiediamo oggi, siamo pronti a rispondere indicando una quantità di servizi, dall’istruzione alla sanità ai trasporti all’assistenza agli anziani e molto altro. Ma duecento anni fa (l’altro ieri, di fronte alla storia) nessuno avrebbe esitato a dire che i compiti dello Stato erano essenzialmente due: la difesa del territorio e della popolazione dai nemici esterni (inclusa, si capisce, la promozione della pace con i trattati); e, all’interno, la difesa dei cittadini onesti dai delinquenti. I nuovi compiti si sono aggiunti a quelli antichi, ma questi naturalmente sono rimasti. Ma come funziona veramente la difesa degli onesti dai malfattori? Le statistiche sono impietose.

In Italia, solo per i reati di furto, rapina, estorsione e truffa, si registrano ogni anno non meno di un milione di denunce; poi ci sono tutti gli altri (e anche tantissimi non denunciati e non calcolati). I detenuti in carcere, da quelli che sono in attesa di giudizio a quelli che scontano condanne di lunga durata, sono quasi 60.000. Pochi? Troppi?

Ci sono filoni della politica (più di uno, non sto a dire quali) che vorrebbero più condanne, e condanne più gravi; inseriscono nuovi reati nel codice e aumentano le pene di quelli che già ci sono. Ma sono comunque troppi, perché le celle sono sovraffollate, ben oltre il massimo consentito dal senso comune e dalle convenzioni internazionali. Per questa ragione la Corte europea dei diritti umani dichiara l’Italia colpevole di trattamento inumano e degradante verso i detenuti.

Se un carcerato fa causa denunciando di essere stato tenuto in quelle condizioni, deve essere risarcito con uno sconto di pena o con una somma di denaro. Per evitare queste denunce, il legislatore italiano ha ideato rimedi come le (cosiddette) pene alternative e i benefici per buona condotta, l’invenzione dell’anno di nove mesi (non stupitevi) per tutti quelli che non si sono comportati proprio male, e così via.

Con una mano si aggravano le pene e con l’altra si alleggeriscono anche di più. In questi giorni si sta discutendo di un nuovo sconto, sempre per lo stesso motivo. Forse invece di buttare i soldi nel superbonus se ne dovevano investire un po’ nelle carceri: per rispettare la dignità umana dei detenuti oltre che per rendere un po’ più efficace il sistema penale a protezione degli onesti.

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A che serve lo Stato? Se ce lo chiediamo oggi, siamo pronti a rispondere indicando una quantità di servizi, dall’istruzione alla sanità ai trasporti all’assistenza agli anziani e molto altro. Ma duecento anni fa (l’altro ieri, di fronte alla storia) nessuno avrebbe esitato a dire che i compiti dello Stato erano essenzialmente due: la difesa del territorio e della popolazione dai nemici esterni (inclusa, si capisce, la promozione della pace con i trattati); e, all’interno, la difesa dei cittadini onesti dai delinquenti. I nuovi compiti si sono aggiunti a quelli antichi, ma questi naturalmente sono rimasti. Ma come funziona veramente la difesa degli onesti dai malfattori? Le statistiche sono impietose.

In Italia, solo per i reati di furto, rapina, estorsione e truffa, si registrano ogni anno non meno di un milione di denunce; poi ci sono tutti gli altri (e anche tantissimi non denunciati e non calcolati). I detenuti in carcere, da quelli che sono in attesa di giudizio a quelli che scontano condanne di lunga durata, sono quasi 60.000. Pochi? Troppi?

Ci sono filoni della politica (più di uno, non sto a dire quali) che vorrebbero più condanne, e condanne più gravi; inseriscono nuovi reati nel codice e aumentano le pene di quelli che già ci sono. Ma sono comunque troppi, perché le celle sono sovraffollate, ben oltre il massimo consentito dal senso comune e dalle convenzioni internazionali. Per questa ragione la Corte europea dei diritti umani dichiara l’Italia colpevole di trattamento inumano e degradante verso i detenuti.

Se un carcerato fa causa denunciando di essere stato tenuto in quelle condizioni, deve essere risarcito con uno sconto di pena o con una somma di denaro. Per evitare queste denunce, il legislatore italiano ha ideato rimedi come le (cosiddette) pene alternative e i benefici per buona condotta, l’invenzione dell’anno di nove mesi (non stupitevi) per tutti quelli che non si sono comportati proprio male, e così via.

Con una mano si aggravano le pene e con l’altra si alleggeriscono anche di più. In questi giorni si sta discutendo di un nuovo sconto, sempre per lo stesso motivo. Forse invece di buttare i soldi nel superbonus se ne dovevano investire un po’ nelle carceri: per rispettare la dignità umana dei detenuti oltre che per rendere un po’ più efficace il sistema penale a protezione degli onesti.

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Celebrazione del vescovo Soddu nella Casa Circondariale https://www.lavoce.it/celebrazione-del-vescovo-soddu-nella-casa-circondariale/ https://www.lavoce.it/celebrazione-del-vescovo-soddu-nella-casa-circondariale/#respond Tue, 19 Dec 2023 14:17:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74339 casa circondariale terni

In preparazione al Natale, il 18 dicembre presso la Casa Circondariale di Terni, il vescovo Francesco Antonio Soddu ha presieduto la celebrazione prenatalizia con detenuti e operatori del carcere, alla presenza del direttore della Casa circondariale di Terni Luca Sardella, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, dell’assessore alle politiche sociali e welfare del Comune di Terni Viviana Altamura, del direttore della Caritas diocesana don Giuseppe Zen, del cappellano del carcere padre Massimo Lelli, di padre Danilo Cruciani, padre Luca Atzeni, del diacono Ideale Piantoni, di Martina Tessicini presidente dell’associazione di volontariato San Martino, della responsabile del settore carcere della Caritas Nadia Agostini, di altri volontari e operatori.

All’ingresso del carcere, il vescovo ha ammirato il grande presepe realizzato da un detenuto Alta Sicurezza 3 (O.A.le sue iniziali), in collaborazione con altri detenuti dello stesso circuito. Il presepe è ambientato nella Roma antica, rappresentata dal Colosseo, e nella Roma cristiana rappresentata dalla Basilica di San Pietro, con la natività sospesa su una nuvola che domina dall’alto il paesaggio sottostante. Un presepe interamente artigianale, frutto di un lavoro iniziato da mesi, con i vari pezzi realizzati all’interno delle camere detentive.

"Sono contento di essere qui -ha detto il vescovo- e di poter augurare a voi un felice Natale. Il Natale ci ricorda la nascita di Gesù che si è fatto uomo, segno di speranza, che scaccia le tenebre che affliggono le persone. Lui si dona a noi, perchè possiamo essere liberi; quella libertà interiore, che nessuno potrà mai togliere: non può esserci un detenuto che non vive la libertà dei figli di Dio, come molti altri che, al di fuori di qui, in libertà, vivono però in schiavitù, perchè sono incatenati dal proprio egoismo. Gesù si fa piccolo ed entra nella storia del mondo e nella storia di ciascuno di noi, è un incontro con una persona viva da cui imparare il senso autentico della vita".

Al vescovo sono stati donati, da parte dell’amministrazione penitenziaria, una bottiglia di essenza di lavanda prodotta in carcere e dei biscotti realizzati dalla panetteria all’interno della Casa Circondariale.

In segno di solidarietà con i detenuti, come gli scorsi anni, la Caritas diocesana e l’associazione di volontariato San Martino, in occasione del Natale, hanno donato 250 panettoni per i detenuti per il pranzo di Natale.

Nel periodo di Natale il cappellano padre Massimo Lelli, celebrerà le messe all’interno dei vari padiglioni, mentre i volontari della Caritas organizzano momenti di festa insieme con le tombolate nei giorni del 21 e 27 dicembre e 3 gennaio prossimo.

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casa circondariale terni

In preparazione al Natale, il 18 dicembre presso la Casa Circondariale di Terni, il vescovo Francesco Antonio Soddu ha presieduto la celebrazione prenatalizia con detenuti e operatori del carcere, alla presenza del direttore della Casa circondariale di Terni Luca Sardella, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, dell’assessore alle politiche sociali e welfare del Comune di Terni Viviana Altamura, del direttore della Caritas diocesana don Giuseppe Zen, del cappellano del carcere padre Massimo Lelli, di padre Danilo Cruciani, padre Luca Atzeni, del diacono Ideale Piantoni, di Martina Tessicini presidente dell’associazione di volontariato San Martino, della responsabile del settore carcere della Caritas Nadia Agostini, di altri volontari e operatori.

All’ingresso del carcere, il vescovo ha ammirato il grande presepe realizzato da un detenuto Alta Sicurezza 3 (O.A.le sue iniziali), in collaborazione con altri detenuti dello stesso circuito. Il presepe è ambientato nella Roma antica, rappresentata dal Colosseo, e nella Roma cristiana rappresentata dalla Basilica di San Pietro, con la natività sospesa su una nuvola che domina dall’alto il paesaggio sottostante. Un presepe interamente artigianale, frutto di un lavoro iniziato da mesi, con i vari pezzi realizzati all’interno delle camere detentive.

"Sono contento di essere qui -ha detto il vescovo- e di poter augurare a voi un felice Natale. Il Natale ci ricorda la nascita di Gesù che si è fatto uomo, segno di speranza, che scaccia le tenebre che affliggono le persone. Lui si dona a noi, perchè possiamo essere liberi; quella libertà interiore, che nessuno potrà mai togliere: non può esserci un detenuto che non vive la libertà dei figli di Dio, come molti altri che, al di fuori di qui, in libertà, vivono però in schiavitù, perchè sono incatenati dal proprio egoismo. Gesù si fa piccolo ed entra nella storia del mondo e nella storia di ciascuno di noi, è un incontro con una persona viva da cui imparare il senso autentico della vita".

Al vescovo sono stati donati, da parte dell’amministrazione penitenziaria, una bottiglia di essenza di lavanda prodotta in carcere e dei biscotti realizzati dalla panetteria all’interno della Casa Circondariale.

In segno di solidarietà con i detenuti, come gli scorsi anni, la Caritas diocesana e l’associazione di volontariato San Martino, in occasione del Natale, hanno donato 250 panettoni per i detenuti per il pranzo di Natale.

Nel periodo di Natale il cappellano padre Massimo Lelli, celebrerà le messe all’interno dei vari padiglioni, mentre i volontari della Caritas organizzano momenti di festa insieme con le tombolate nei giorni del 21 e 27 dicembre e 3 gennaio prossimo.

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Tra ergastolo e 41-bis, un po’ di chiarezza https://www.lavoce.it/tra-ergastolo-e-41-bis-un-po-di-chiarezza/ Fri, 17 Feb 2023 17:25:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70552

“Ergastolo” è un termine tecnico che indica il carcere a vita; la pena più grave prevista dall’ordinamento, da quando è stata abolita la pena di morte. Ma ormai in tutti o quasi i Paesi più avanzati (non contando fra questi gli Stati Uniti) hanno abolito anche l’ergastolo, oppure, come l’Italia, lo hanno mantenuto ma cambiandone le regole.

In Italia questo è avvenuto con una riforma del 1986: la durata di tutte le pene detentive, previste dal codice per i vari reati, è rimasta nominalmente invariata, ma è stata introdotta una serie di benefìci cui vengono ammessi, dopo tempi più o meno lunghi a seconda dei casi, i detenuti che dentro il carcere si comportano bene (di fatto quasi tutti): sconti di pena, permessi-premio, la cosiddetta semilibertà (che consiste nell’uscire dal carcere la mattina per andare a lavorare fuori, e rientrarvi la sera), infine la liberazione anticipata.

Anche chi è condannato all’ergastolo può usufruirne, e quindi può nutrire la speranza di tornare, un giorno, pienamente libero. Tutto questo in applicazione di quell’articolo della Costituzione che dice: “Le pene [dei reati] non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Sono state previste alcune eccezioni: in particolare gli sconti di pena, di ogni genere, sono esclusi per i colpevoli di gravissimi reati di mafia che, per di più, si siano rifiutati di dissociarsi dall’organizzazione criminale e collaborare con la giustizia.

È questo il cosiddetto “ergastolo ostativo”, che però viene giudicato illegittimo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Tutt’altra cosa è l’articolo 41-bis della legge sull’ordinamento carcerario: esso non riguarda la durata della pena, ma il potere del Ministro della giustizia di disporre che un soggetto, condannato per reati di notevole gravità, sia tenuto in un regime carcerario speciale di massimo isolamento, per evitare che abbia qualsiasi comunicazione con i suoi antichi complici e con l’organizzazione criminale cui appartiene. Di fatto, un regime che può risultare – al di là dei suoi scopi – molto duro per chi vi è sottoposto per anni. Si capisce quindi perché si discuta tanto dell’ergastolo e del 41-bis. Il rispetto dell’umanità del carcerato è doveroso; ma come nascondersi che qualche criminale può essere pericoloso anche all’interno di un carcere?.

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“Ergastolo” è un termine tecnico che indica il carcere a vita; la pena più grave prevista dall’ordinamento, da quando è stata abolita la pena di morte. Ma ormai in tutti o quasi i Paesi più avanzati (non contando fra questi gli Stati Uniti) hanno abolito anche l’ergastolo, oppure, come l’Italia, lo hanno mantenuto ma cambiandone le regole.

In Italia questo è avvenuto con una riforma del 1986: la durata di tutte le pene detentive, previste dal codice per i vari reati, è rimasta nominalmente invariata, ma è stata introdotta una serie di benefìci cui vengono ammessi, dopo tempi più o meno lunghi a seconda dei casi, i detenuti che dentro il carcere si comportano bene (di fatto quasi tutti): sconti di pena, permessi-premio, la cosiddetta semilibertà (che consiste nell’uscire dal carcere la mattina per andare a lavorare fuori, e rientrarvi la sera), infine la liberazione anticipata.

Anche chi è condannato all’ergastolo può usufruirne, e quindi può nutrire la speranza di tornare, un giorno, pienamente libero. Tutto questo in applicazione di quell’articolo della Costituzione che dice: “Le pene [dei reati] non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Sono state previste alcune eccezioni: in particolare gli sconti di pena, di ogni genere, sono esclusi per i colpevoli di gravissimi reati di mafia che, per di più, si siano rifiutati di dissociarsi dall’organizzazione criminale e collaborare con la giustizia.

È questo il cosiddetto “ergastolo ostativo”, che però viene giudicato illegittimo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Tutt’altra cosa è l’articolo 41-bis della legge sull’ordinamento carcerario: esso non riguarda la durata della pena, ma il potere del Ministro della giustizia di disporre che un soggetto, condannato per reati di notevole gravità, sia tenuto in un regime carcerario speciale di massimo isolamento, per evitare che abbia qualsiasi comunicazione con i suoi antichi complici e con l’organizzazione criminale cui appartiene. Di fatto, un regime che può risultare – al di là dei suoi scopi – molto duro per chi vi è sottoposto per anni. Si capisce quindi perché si discuta tanto dell’ergastolo e del 41-bis. Il rispetto dell’umanità del carcerato è doveroso; ma come nascondersi che qualche criminale può essere pericoloso anche all’interno di un carcere?.

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Santa Messa in carcere celebrata dall’arcivescovo Renato Boccardo https://www.lavoce.it/santa-messa-in-carcere-celebrata-dallarcivescovo-renato-boccardo/ Thu, 29 Dec 2022 13:56:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69787 messa nel carcere di spoleto

"Nessuno è estraneo al Natale". Così l’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo si è rivolto ai detenuti nella Messa di Natale celebrata nel carcere di Spoleto mercoledì 28 dicembre. Col Presule hanno concelebrato il cappellano monsignor Eugenio Bartoli e il direttore della Caritas diocesana don Edoardo Rossi. Erano presenti anche il direttore della struttura Chiara Pellegrini e il comandate del corpo di Polizia Penitenziaria, Marco Piersigilli.

L' omelia dell'arcivescovo

"Gesù -ha proseguito l'arcivescovo nell’omelia- è venuto alla luce dalle tenebre per dirci che il bene è più forte del male. Tutti abbiamo desideri di bene, di pienezza e di bontà. Questi, però, devono fare anche i conti con l’inclinazione al male dell’uomo. Ma il Signore viene a mettere un germe di luce.

Tocca a noi, là dove siamo, anche a voi che vivete in carcere, prendersene cura e farlo crescere. Ciò richiede sacrificio, costanza e determinazione, ma abbiamo una grande certezza: Cristo viene per tutti, senza condizioni. Anche per voi, cari amici, con la vostra storia fatta di luci e di tante ombre".

Al termine della Messa un detenuto, a nome di tutti gli altri, ha rivolto un saluto a monsignor Boccardo, e un altro ha consegnato al presule un quadro della Madonna col Bambino da lui dipinto. E l’arcivescovo ha ripreso la parola:

"È sempre difficile fare gli auguri di buone feste in questa casa dove state scontando la vostra pena e che vi tiene lontani dagli affetti delle persone care. Vi lascio un compito: provate a trovare il bene anche qui nel carcere, senza sognare quello che ancora non c'è. Non permettete che le tenebre abbiano il sopravvento, ricordate sempre che il bene è più forte del male: così anche le vostre giornate avranno un senso di pienezza.

Ricordate che non siete soli

Come Chiesa vi siamo vicini e ringrazio don Eugenio per il suo servizio di cappellano e la Caritas diocesana per i tanti gesti di prossimità. Quel poco che possiamo, lo facciamo davvero con il cuore. Ricordate -ha concluso- che non siete soli".

Monsignor Boccardo si era già recato in carcere il 21 dicembre scorso, insieme a don Edoardo Rossi e ad alcuni volontari della Caritas, per consegnare personalmente, cella per cella, un dono di Natale preparato dalla Caritas per i detenuti.

L'impegno della Caritas di Spoleto-Norcia all'interno del carcere

All’interno del carcere di Spoleto la Caritas di Spoleto-Norcia, grazie alla sensibilità della direzione, ha avviato un centro di ascolto aperto due volte al mese per rendere più forti e solidali le relazioni fra i detenuti e le persone libere.

Accanto al dialogo, i volontari consegnano anche dei beni di prima necessità, frutto della solidarietà dei fedeli dell’Archidiocesi. Al 31 agosto di quest'anno, sono stati consegnati: duecentosettantanove prodotti per l’igiene personale; settantadue indumenti intimi; cinquantadue indumenti sportivi; ventisette paia di scarpe.

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messa nel carcere di spoleto

"Nessuno è estraneo al Natale". Così l’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo si è rivolto ai detenuti nella Messa di Natale celebrata nel carcere di Spoleto mercoledì 28 dicembre. Col Presule hanno concelebrato il cappellano monsignor Eugenio Bartoli e il direttore della Caritas diocesana don Edoardo Rossi. Erano presenti anche il direttore della struttura Chiara Pellegrini e il comandate del corpo di Polizia Penitenziaria, Marco Piersigilli.

L' omelia dell'arcivescovo

"Gesù -ha proseguito l'arcivescovo nell’omelia- è venuto alla luce dalle tenebre per dirci che il bene è più forte del male. Tutti abbiamo desideri di bene, di pienezza e di bontà. Questi, però, devono fare anche i conti con l’inclinazione al male dell’uomo. Ma il Signore viene a mettere un germe di luce.

Tocca a noi, là dove siamo, anche a voi che vivete in carcere, prendersene cura e farlo crescere. Ciò richiede sacrificio, costanza e determinazione, ma abbiamo una grande certezza: Cristo viene per tutti, senza condizioni. Anche per voi, cari amici, con la vostra storia fatta di luci e di tante ombre".

Al termine della Messa un detenuto, a nome di tutti gli altri, ha rivolto un saluto a monsignor Boccardo, e un altro ha consegnato al presule un quadro della Madonna col Bambino da lui dipinto. E l’arcivescovo ha ripreso la parola:

"È sempre difficile fare gli auguri di buone feste in questa casa dove state scontando la vostra pena e che vi tiene lontani dagli affetti delle persone care. Vi lascio un compito: provate a trovare il bene anche qui nel carcere, senza sognare quello che ancora non c'è. Non permettete che le tenebre abbiano il sopravvento, ricordate sempre che il bene è più forte del male: così anche le vostre giornate avranno un senso di pienezza.

Ricordate che non siete soli

Come Chiesa vi siamo vicini e ringrazio don Eugenio per il suo servizio di cappellano e la Caritas diocesana per i tanti gesti di prossimità. Quel poco che possiamo, lo facciamo davvero con il cuore. Ricordate -ha concluso- che non siete soli".

Monsignor Boccardo si era già recato in carcere il 21 dicembre scorso, insieme a don Edoardo Rossi e ad alcuni volontari della Caritas, per consegnare personalmente, cella per cella, un dono di Natale preparato dalla Caritas per i detenuti.

L'impegno della Caritas di Spoleto-Norcia all'interno del carcere

All’interno del carcere di Spoleto la Caritas di Spoleto-Norcia, grazie alla sensibilità della direzione, ha avviato un centro di ascolto aperto due volte al mese per rendere più forti e solidali le relazioni fra i detenuti e le persone libere.

Accanto al dialogo, i volontari consegnano anche dei beni di prima necessità, frutto della solidarietà dei fedeli dell’Archidiocesi. Al 31 agosto di quest'anno, sono stati consegnati: duecentosettantanove prodotti per l’igiene personale; settantadue indumenti intimi; cinquantadue indumenti sportivi; ventisette paia di scarpe.

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Monsignor Soddu in visita alla Casa Circondariale di Terni https://www.lavoce.it/monsignor-soddu-in-visita-alla-casa-circondariale-di-terni/ Thu, 10 Mar 2022 16:07:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65487 monsignor soddu

Prima visita del vescovo Francesco Antonio Soddu alla Casa Circondariale di Terni,  mercoledì 9 marzo, dove ha presieduto la celebrazione eucaristica nel teatro del carcere, concelebrata da don Raffaele Grimaldi ispettore generale dei Cappellani delle carceri italiane, il vicario generale della diocesi monsignor Salvatore Ferdinandi, il cappellano della Casa Circondariale di Terni padre Massimo Lelli, il direttore della Caritas diocesana padre Stefano Tondelli, il vicario episcopale per la Carità monsignor Paolo Carloni. Presenti il magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, il direttore del carcere di Terni Luca Sardella, il comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Terni Fabio Gallo, operatori e assistenti del dipartimento amministrazione penitenziaria, alcuni detenuti e volontari della Caritas che operano in vari ambiti all’interno della Casa Circondariale.

"In questo tempo di quaresima e di penitenza -ha detto monsignor Soddu- è richiesta una conversione del cuore che porti a Dio per ricevere da lui un abbraccio, un cambiamento di vita, perchè ci si è allontanati da lui. Gesù sulla croce è morto per i nostri peccati, ma in questo segno si rivela il suo abbraccio per tutti e il suo perdono per tutti.

È questo il segno più grande non altri che servono ad accontentare i nostri desideri. Dio è amore e dobbiamo pregare per avere segni di amore, per la pace interiore che si riverbera poi nelle famiglie, nella comunità e nel Mondo".

Prima della benedizione finale sono stati letti alcuni pensieri scritti dai detenuti sulla fede, la pace e l’uguaglianza.

Un detenuto di nazionalità ucraina ha donato al vescovo un cofanetto in legno, da lui realizzato, contenente una coccarda con i colori della bandiera del suo paese. Il vescovo lo ha ringraziato e abbracciato, esprimendo vicinanza e solidarietà a tutte le persone che stanno soffrendo a causa della guerra, quella in Ucraina e nelle altre parti del Mondo.

Da parte della direzione e operatori del carcere e della polizia penitenziaria è stata donata una bottiglia di olio e una di essenza di lavanda, prodotte all’interno del carcere. Al termine della celebrazione il vescovo ha visitato la falegnameria e l’officina dove vengono realizzati manufatti in ferro tra cui il monumento che sarà collocato nel cimitero civico di Terni a ricordo dei caduti della Polizia Penitenziaria.

Ha poi visitato alcune sezioni del carcere, le sale colloqui, l’infermeria con il personale medico e ausiliario in servizio, la ludoteca per i bambini che fanno visita ai genitori detenuti, le aule per la didattica e l’aula artistica del progetto Caritas Arte in carcere.

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monsignor soddu

Prima visita del vescovo Francesco Antonio Soddu alla Casa Circondariale di Terni,  mercoledì 9 marzo, dove ha presieduto la celebrazione eucaristica nel teatro del carcere, concelebrata da don Raffaele Grimaldi ispettore generale dei Cappellani delle carceri italiane, il vicario generale della diocesi monsignor Salvatore Ferdinandi, il cappellano della Casa Circondariale di Terni padre Massimo Lelli, il direttore della Caritas diocesana padre Stefano Tondelli, il vicario episcopale per la Carità monsignor Paolo Carloni. Presenti il magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, il direttore del carcere di Terni Luca Sardella, il comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Terni Fabio Gallo, operatori e assistenti del dipartimento amministrazione penitenziaria, alcuni detenuti e volontari della Caritas che operano in vari ambiti all’interno della Casa Circondariale.

"In questo tempo di quaresima e di penitenza -ha detto monsignor Soddu- è richiesta una conversione del cuore che porti a Dio per ricevere da lui un abbraccio, un cambiamento di vita, perchè ci si è allontanati da lui. Gesù sulla croce è morto per i nostri peccati, ma in questo segno si rivela il suo abbraccio per tutti e il suo perdono per tutti.

È questo il segno più grande non altri che servono ad accontentare i nostri desideri. Dio è amore e dobbiamo pregare per avere segni di amore, per la pace interiore che si riverbera poi nelle famiglie, nella comunità e nel Mondo".

Prima della benedizione finale sono stati letti alcuni pensieri scritti dai detenuti sulla fede, la pace e l’uguaglianza.

Un detenuto di nazionalità ucraina ha donato al vescovo un cofanetto in legno, da lui realizzato, contenente una coccarda con i colori della bandiera del suo paese. Il vescovo lo ha ringraziato e abbracciato, esprimendo vicinanza e solidarietà a tutte le persone che stanno soffrendo a causa della guerra, quella in Ucraina e nelle altre parti del Mondo.

Da parte della direzione e operatori del carcere e della polizia penitenziaria è stata donata una bottiglia di olio e una di essenza di lavanda, prodotte all’interno del carcere. Al termine della celebrazione il vescovo ha visitato la falegnameria e l’officina dove vengono realizzati manufatti in ferro tra cui il monumento che sarà collocato nel cimitero civico di Terni a ricordo dei caduti della Polizia Penitenziaria.

Ha poi visitato alcune sezioni del carcere, le sale colloqui, l’infermeria con il personale medico e ausiliario in servizio, la ludoteca per i bambini che fanno visita ai genitori detenuti, le aule per la didattica e l’aula artistica del progetto Caritas Arte in carcere.

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Santa Messa dell’arcivescovo Boccardo in Carcere https://www.lavoce.it/santa-messa-dellarcivescovo-boccardo-in-carcere/ Wed, 29 Dec 2021 14:35:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64295 carcere spoleto (s.messa)

Santa Messa dell’arcivescovo di Spoleto-Norcia in Carcere. Martedì 28 dicembre, monsignor Renato Boccardo si è recato nella Casa di Reclusione di Spoleto per la celebrazione eucaristica con i detenuti. Col presule hanno concelebrato monsignor Eugenio Bartoli, cappellano del carcere, e don Edoardo Rossi, direttore della Caritas diocesana. Monsignor Boccardo è stato accolto dal direttore della struttura Chiara Pellegrini e dal comandante della Polizia penitenziaria Marco Piersigilli. "Sono lieto di essere con voi a celebrare la memoria del Natale -ha detto all’inizio della Messa l’arcivescovo- Il sacrificio che ciascuno di voi prova, lo deponiamo sull'altare del Signore, amico fedele che non ci tradisce, consolatore delle nostre ferite".

Poi, nell’omelia monsignor Boccardo si è soffermato sul fatto che nel cuore dell’uomo abita una nostalgia del bene, ricchezza che nessuno ci può togliere.

"A volte, però, questa ricchezza -ha detto il Presule- è toccata dalla notte del male che ci fa compiere anche delle scelte sbagliate. E tutti ne facciamo esperienza, nessuno è indenne. Ma il Signore non rifiuta nessuno, ognuno è prezioso ai suoi occhi. Dio vede riflessa la sua immagine in ciascuno di noi. E non si è stancato degli uomini: per questo ci manda il suo Figlio, nonostante il nostro cuore a volte è violento, duro, meschino. É al nostro fianco anche quando ci allontaniamo da lui. In questa casa -detto ancora mons. Boccardo- pene e sofferenze creano atmosfere di ombra: ricordate però che Dio viene per tutti e vuole annullare l'ombra che ci avvolge. Nulla è perduto per chi si affida alla bontà del Signore".

Collaborazione tra Caritas e Carcere

 Nella celebrazione della Messa è stato anche ricordato il piccolo gesto che la Caritas diocesana ha compiuto prima di Natale: il 23 dicembre scorso, don Edoardo Rossi, la vice direttrice Paola Piermarini e il volontario Massimo Succhielli hanno consegnato un pacco natalizio ai detenuti. I referenti della Caritas sono personalmente entrati ni vari reparti, incontrando e salutando i carcerati nelle loro stanze. In alcuni reparti, come il 41 bis, i pacchi sono stati consegnati dalla Polizia penitenziaria. Un funzionario al termine della celebrazione ha preso la parola per ringraziare la Caritas.

"Non potete immaginare gli sguardi di gratitudine e stupore che abbiamo colto nei detenuti del 41 bis. È stata un’iniziativa davvero commovente. Grazie di cuore".

Il grazie dei detenuti e la riposta di monsignor Boccardo

Prima della benedizione finale un detenuto, ha preso la parola per ringraziare.

"Eccellenza, la accogliamo con amore. Grazie per il suo costante interesse alle nostre storie e per la puntuale vicinanza. Grazie alla Caritas per i momenti di gioia che ci ha regalato".

Monsignor Boccardo ha preso nuovamente la parola

"So che attendevate degli auguri che io non posso portarvi -ha aggiunto-ossia l’abbraccio dei vostri familiari, in particolare dei vostri figli. Ma una cosa voglio dirvi: non siete dimenticati, non siete soli, c'è qualcuno che pensa a voi. Vi vogliamo bene e guardiamo a voi con fiducia. Quello che è stato, anche di brutto e violento, appartiene al passato. I rimpianti non servono: vi esorto a vivere bene il presente.

E noi cerchiamo di accompagnarvi in ciò. La Chiesa di Spoleto-Norcia che vive al di là di questi muri e di queste sbarre, vi vuole bene".

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carcere spoleto (s.messa)

Santa Messa dell’arcivescovo di Spoleto-Norcia in Carcere. Martedì 28 dicembre, monsignor Renato Boccardo si è recato nella Casa di Reclusione di Spoleto per la celebrazione eucaristica con i detenuti. Col presule hanno concelebrato monsignor Eugenio Bartoli, cappellano del carcere, e don Edoardo Rossi, direttore della Caritas diocesana. Monsignor Boccardo è stato accolto dal direttore della struttura Chiara Pellegrini e dal comandante della Polizia penitenziaria Marco Piersigilli. "Sono lieto di essere con voi a celebrare la memoria del Natale -ha detto all’inizio della Messa l’arcivescovo- Il sacrificio che ciascuno di voi prova, lo deponiamo sull'altare del Signore, amico fedele che non ci tradisce, consolatore delle nostre ferite".

Poi, nell’omelia monsignor Boccardo si è soffermato sul fatto che nel cuore dell’uomo abita una nostalgia del bene, ricchezza che nessuno ci può togliere.

"A volte, però, questa ricchezza -ha detto il Presule- è toccata dalla notte del male che ci fa compiere anche delle scelte sbagliate. E tutti ne facciamo esperienza, nessuno è indenne. Ma il Signore non rifiuta nessuno, ognuno è prezioso ai suoi occhi. Dio vede riflessa la sua immagine in ciascuno di noi. E non si è stancato degli uomini: per questo ci manda il suo Figlio, nonostante il nostro cuore a volte è violento, duro, meschino. É al nostro fianco anche quando ci allontaniamo da lui. In questa casa -detto ancora mons. Boccardo- pene e sofferenze creano atmosfere di ombra: ricordate però che Dio viene per tutti e vuole annullare l'ombra che ci avvolge. Nulla è perduto per chi si affida alla bontà del Signore".

Collaborazione tra Caritas e Carcere

 Nella celebrazione della Messa è stato anche ricordato il piccolo gesto che la Caritas diocesana ha compiuto prima di Natale: il 23 dicembre scorso, don Edoardo Rossi, la vice direttrice Paola Piermarini e il volontario Massimo Succhielli hanno consegnato un pacco natalizio ai detenuti. I referenti della Caritas sono personalmente entrati ni vari reparti, incontrando e salutando i carcerati nelle loro stanze. In alcuni reparti, come il 41 bis, i pacchi sono stati consegnati dalla Polizia penitenziaria. Un funzionario al termine della celebrazione ha preso la parola per ringraziare la Caritas.

"Non potete immaginare gli sguardi di gratitudine e stupore che abbiamo colto nei detenuti del 41 bis. È stata un’iniziativa davvero commovente. Grazie di cuore".

Il grazie dei detenuti e la riposta di monsignor Boccardo

Prima della benedizione finale un detenuto, ha preso la parola per ringraziare.

"Eccellenza, la accogliamo con amore. Grazie per il suo costante interesse alle nostre storie e per la puntuale vicinanza. Grazie alla Caritas per i momenti di gioia che ci ha regalato".

Monsignor Boccardo ha preso nuovamente la parola

"So che attendevate degli auguri che io non posso portarvi -ha aggiunto-ossia l’abbraccio dei vostri familiari, in particolare dei vostri figli. Ma una cosa voglio dirvi: non siete dimenticati, non siete soli, c'è qualcuno che pensa a voi. Vi vogliamo bene e guardiamo a voi con fiducia. Quello che è stato, anche di brutto e violento, appartiene al passato. I rimpianti non servono: vi esorto a vivere bene il presente.

E noi cerchiamo di accompagnarvi in ciò. La Chiesa di Spoleto-Norcia che vive al di là di questi muri e di queste sbarre, vi vuole bene".

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Il panettone: provalo prodotto in carcere! https://www.lavoce.it/il-panettone-provalo-prodotto-in-carcere/ Wed, 22 Dec 2021 11:18:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64190 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Ci sono confini che sembrano barriere fortificate dal pregiudizio, e che impediscono l’incontro e la conoscenza serena di situazioni e, soprattutto, di persone. Invalicabile sembra essere la frontiera del carcere, che in molti vorrebbero “discarica sociale” delimitata e chiusa. Al contrario, le persone detenute sono parte della nostra comunità sociale e, talvolta, ne sono il prodotto, la conseguenza, il risultato meno riuscito. La Costituzione assegna al carcere una finalità rieducativa: quelle stesse persone ritorneranno a far parte a pieno titolo del mondo dei liberi. A tenere in vita quella speranza ci provano le tantissime iniziative di giustizia riparativa, esecuzione alternativa e inserimento lavorativo. Tra le cooperative e le realtà che accompagnano progetti di questo tipo, in carcere e fuori, ce ne sono alcune impegnate nella produzione di alimenti e hanno nomi evocativi. Provo a elencarne qualcuno nella speranza di stimolare la curiosità di conoscerle e – chissà – acquistare qualcosa di buono da mangiare: Panettone Maskalzone (Idee in fuga, Alessandria), SemiLiberi (L’Ovile, Reggio Emilia), Semi di libertà (Orto, Viterbo), A mano libera (Senza sbarre, Andria), Cotti in fragranza (istituto minorile Malaspina, Palermo). Tutti rigorosamente “made in carcere” e dintorni.]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Ci sono confini che sembrano barriere fortificate dal pregiudizio, e che impediscono l’incontro e la conoscenza serena di situazioni e, soprattutto, di persone. Invalicabile sembra essere la frontiera del carcere, che in molti vorrebbero “discarica sociale” delimitata e chiusa. Al contrario, le persone detenute sono parte della nostra comunità sociale e, talvolta, ne sono il prodotto, la conseguenza, il risultato meno riuscito. La Costituzione assegna al carcere una finalità rieducativa: quelle stesse persone ritorneranno a far parte a pieno titolo del mondo dei liberi. A tenere in vita quella speranza ci provano le tantissime iniziative di giustizia riparativa, esecuzione alternativa e inserimento lavorativo. Tra le cooperative e le realtà che accompagnano progetti di questo tipo, in carcere e fuori, ce ne sono alcune impegnate nella produzione di alimenti e hanno nomi evocativi. Provo a elencarne qualcuno nella speranza di stimolare la curiosità di conoscerle e – chissà – acquistare qualcosa di buono da mangiare: Panettone Maskalzone (Idee in fuga, Alessandria), SemiLiberi (L’Ovile, Reggio Emilia), Semi di libertà (Orto, Viterbo), A mano libera (Senza sbarre, Andria), Cotti in fragranza (istituto minorile Malaspina, Palermo). Tutti rigorosamente “made in carcere” e dintorni.]]>
Concluse attività di formazione per 48 detenuti della casa circondariale di Terni https://www.lavoce.it/concluse-attivita-formazione-settore-ristorazione-48-detenuti-casa-circondariale-terni/ Fri, 03 Sep 2021 16:26:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=62054

Si è concluso con la consegna degli attestati, il progetto Filar - Formazione per l’Inclusione socio Lavorativa nel settore della Ristorazione, svoltosi presso la Casa Circondariale di Terni sotto la guida di Università dei Sapori scarl, assieme all’Associazione di Volontariato San Martino - Caritas di Terni Narni e Amelia e ITER scarl impresa sociale. Il progetto nasce con l’intento di favorire il miglioramento della condizione sociale e lavorativa di 48 detenuti della Casa circondariale di Terni, attraverso percorsi di formazione specifici nel settore della ristorazione. Anche nell’espressione della partnership creata, l’attività ha voluto mettere a disposizione dei detenuti un’esperienza formativa qualificante, strumenti e supporti dedicati ed espressamente tarati sulle esigenze del singolo, sulle caratteristiche e la durata della pena da scontare, in modo da inserire la persona ristretta in attività occupazionali capaci di aiutarla e ridefinire il proprio recupero sociale.

Obiettivo del progetto

Obiettivo del progetto, inoltre, è stato quello di creare un modello condiviso di lavoro tra tutti i soggetti coinvolti (Soggetti proponenti, Istituto penitenziario, mondo del lavoro, mondo del volontariato, Istituzioni pubbliche), favorendo la predisposizione di percorsi didattici attivi e motivanti, fondati sui bisogni reali dei detenuti e finalizzati ad orientarli ad un progetto di vita futuro, coniugando il sapere ed il saper fare verso l’acquisizione di competenze coerenti con le esigenze del mercato del lavoro per implementare il reinserimento e contrastare il fenomeno della recidiva.

Le attività laboratoriali erogate dall'Università dei sapori

Le attività laboratoriali, precedute da momenti di Orientamento tra gli operatori dell’Associazione di volontariato San Martino e i detenuti, sono iniziate a gennaio 2020 e terminate, con non molte difficoltà causa Covid, lo scorso 31 agosto. Sono stati erogate, sotto il coordinamento di Marilena Liccardo di Università dei Sapori e sotto la guida degli Chef esperti Simone Minelli, Edi Dottori, Daniele Guerra e Donatella Aquili, 2 edizioni del percorso di cucina dedicato alle Preparazioni gastronomiche della durata di 120 ore e 2 edizioni del corso di Pizzeria, sempre della durata di 120 ore totali.

Presidente UniSapori Lupi: "ripristinato il laboratorio di panificazione allestito all'interno della casa circondariale"

Riteniamo questa esperienza per i detenuti del carcere di Terni estremamente utile per le professionalità formate e per i contenuti valoriali espressi” dice Stefano Lupi presidente di Università dei Sapori. “Grazie ai due corsi di Pizzeria è stato recuperato e ripristinato il laboratorio di panificazione allestito all'interno della casa circondariale, che era in disuso da anni. Il laboratorio, in virtù delle competenze tecniche acquisite da 27 detenuti (15 nella prima edizione e 12 nella seconda) potrebbe essere riavviato permanentemente per la produzione del pane, biscotti ed altri prodotti ai fini del consumo interno per i detenuti della casa circondariale. Ciò costituirebbe un elemento importante e concreto di integrazione dando, attraverso il lavoro, dignità e gratificazione alle persone. Avanzeremo tale proposta alla direzione del carcere, offrendo la nostra disponibilità come Università dei Sapori”.

Vescovo Piemontese: "la conclusione del progetto è motivo di speranza"

“La conclusione di questo progetto con la consegna degli attestati – ha detto il vescovo Piemontese ai detenuti – è motivo di speranza, perché l’attività, l’impegno, il lavoro competente e la formazione sono fondamentali nella vita della persona. Vi auguro che queste competenze si traducano in un lavoro che sia di sostegno alla vostra realizzazione. Il pane per i cristiani è l’elemento fondamentale dell’Eucarestia e riconoscimento della presenza del Signore e dono del corpo di Cristo per la nostra redenzione”. [gallery ids="62063,62064,62065,62066,62067,62068"]]]>

Si è concluso con la consegna degli attestati, il progetto Filar - Formazione per l’Inclusione socio Lavorativa nel settore della Ristorazione, svoltosi presso la Casa Circondariale di Terni sotto la guida di Università dei Sapori scarl, assieme all’Associazione di Volontariato San Martino - Caritas di Terni Narni e Amelia e ITER scarl impresa sociale. Il progetto nasce con l’intento di favorire il miglioramento della condizione sociale e lavorativa di 48 detenuti della Casa circondariale di Terni, attraverso percorsi di formazione specifici nel settore della ristorazione. Anche nell’espressione della partnership creata, l’attività ha voluto mettere a disposizione dei detenuti un’esperienza formativa qualificante, strumenti e supporti dedicati ed espressamente tarati sulle esigenze del singolo, sulle caratteristiche e la durata della pena da scontare, in modo da inserire la persona ristretta in attività occupazionali capaci di aiutarla e ridefinire il proprio recupero sociale.

Obiettivo del progetto

Obiettivo del progetto, inoltre, è stato quello di creare un modello condiviso di lavoro tra tutti i soggetti coinvolti (Soggetti proponenti, Istituto penitenziario, mondo del lavoro, mondo del volontariato, Istituzioni pubbliche), favorendo la predisposizione di percorsi didattici attivi e motivanti, fondati sui bisogni reali dei detenuti e finalizzati ad orientarli ad un progetto di vita futuro, coniugando il sapere ed il saper fare verso l’acquisizione di competenze coerenti con le esigenze del mercato del lavoro per implementare il reinserimento e contrastare il fenomeno della recidiva.

Le attività laboratoriali erogate dall'Università dei sapori

Le attività laboratoriali, precedute da momenti di Orientamento tra gli operatori dell’Associazione di volontariato San Martino e i detenuti, sono iniziate a gennaio 2020 e terminate, con non molte difficoltà causa Covid, lo scorso 31 agosto. Sono stati erogate, sotto il coordinamento di Marilena Liccardo di Università dei Sapori e sotto la guida degli Chef esperti Simone Minelli, Edi Dottori, Daniele Guerra e Donatella Aquili, 2 edizioni del percorso di cucina dedicato alle Preparazioni gastronomiche della durata di 120 ore e 2 edizioni del corso di Pizzeria, sempre della durata di 120 ore totali.

Presidente UniSapori Lupi: "ripristinato il laboratorio di panificazione allestito all'interno della casa circondariale"

Riteniamo questa esperienza per i detenuti del carcere di Terni estremamente utile per le professionalità formate e per i contenuti valoriali espressi” dice Stefano Lupi presidente di Università dei Sapori. “Grazie ai due corsi di Pizzeria è stato recuperato e ripristinato il laboratorio di panificazione allestito all'interno della casa circondariale, che era in disuso da anni. Il laboratorio, in virtù delle competenze tecniche acquisite da 27 detenuti (15 nella prima edizione e 12 nella seconda) potrebbe essere riavviato permanentemente per la produzione del pane, biscotti ed altri prodotti ai fini del consumo interno per i detenuti della casa circondariale. Ciò costituirebbe un elemento importante e concreto di integrazione dando, attraverso il lavoro, dignità e gratificazione alle persone. Avanzeremo tale proposta alla direzione del carcere, offrendo la nostra disponibilità come Università dei Sapori”.

Vescovo Piemontese: "la conclusione del progetto è motivo di speranza"

“La conclusione di questo progetto con la consegna degli attestati – ha detto il vescovo Piemontese ai detenuti – è motivo di speranza, perché l’attività, l’impegno, il lavoro competente e la formazione sono fondamentali nella vita della persona. Vi auguro che queste competenze si traducano in un lavoro che sia di sostegno alla vostra realizzazione. Il pane per i cristiani è l’elemento fondamentale dell’Eucarestia e riconoscimento della presenza del Signore e dono del corpo di Cristo per la nostra redenzione”. [gallery ids="62063,62064,62065,62066,62067,62068"]]]>
Angelo, dal carcere alla cucina grazie a Frontiera lavoro https://www.lavoce.it/angelo-dal-carcere-alla-cucina-grazie-a-frontiera-lavoro/ Thu, 08 Apr 2021 16:16:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60114 volontari capanne

Dal concorso in omicidio, al carcere, al lavoro nel settore ristorazione. Ingredienti: fiducia. Una storia di riscatto che passa per la speranza: la speranza di poter di nuovo credere in te stesso perché qualcuno ha creduto in te.

Una nuova occasione per Angelo

Da qui parte la nuova vita di Angelo, arrestato a soli 23 anni a Salerno, condannato a una pena per concorso in omicidio, passando dal carcere di Benevento, Avellino, e arrivando infine a Capanne a Perugia. Non una vita semplice per Angelo, un passato turbolento con risse e aggressioni - e in un Paese in cui gli istituti di pena sono sinonimo di marginalità e non di reinserimento, il suo destino sembrava segnato per sempre. Poi l’occasione di una rinascita all’interno del nuovo complesso penitenziario di Perugia, dove partecipa al progetto “Intra” realizzato da Frontiera lavoro, cooperativa che da vent’anni si occupa di favorire processi di integrazione sociale.

Con “Frontiera lavoro” offerta fromazione professionale a 420 detenuti

Tra i tanti progetti, che hanno permesso di formare 420 detenuti, l’ultimo solo in ordine di tempo è “Io riesco”, applicato in quattro istituti penitenziari dell’Umbria, che darà modo a 30 detenuti di scontare gli ultimi 18 mesi di detenzione in una struttura ricettiva di Perugia. Dopo 300 ore in aula e cinque mesi di pratica previsti dal corso per addetto alla cucina, Angelo, grazie al suo impegno, si guadagna un contratto a tempo indeterminato in un prestigioso ristorante di Perugia.

Le giornate …

Tutte le mattine esce dall’istituto alle 6.30 per farvi rientro alle 20.30, essendo in regime di “articolo 21”, legge sull’ordinamento penitenziario. “Sono stato selezionato tra i detenuti per partecipare al corso, imparando tante cose nuove anche grazie all’aiuto di chef bravissimi - racconta Angelo. - Quando ho iniziato, non sapevo fare nemmeno una frittata. Imparare un mestiere mi ha fatto crescere e ho iniziato a dare il giusto valore alle cose”. Poter assecondare le sue passioni ha permesso ad Angelo di comprendere che si può sbagliare, ma che ci si può anche rialzare. “Tutte le persone che mi hanno aiutato, da Luca Verdolini [responsabile dell’area Giustizia di Frontiera lavoro] agli chef e agli educatori del carcere, mi hanno sempre trattato come una persona, prima ancora che come un carcerato. Hanno creduto in me prima ancora che lo facessi io. Non mi sono più sentito solo e abbandonato”.

… e le emozioni di Angelo

Dopo il corso inizia l’esperienza  fuori Capanne. “Ho iniziato con una borsa lavoro nel ristorante, dove sono stato accolto con grande umanità anche dal mio capo (che non vuole che lo chiami così, una volta mi ha detto ‘il Capo sta in cielo, io sono solo Marco’). Mi sono emozionato”. Una possibilità che lo riporta a una parvenza di normalità. “La prima volta che sono uscito dall’istituto per andare a lavoro, ho pianto, un pianto liberatorio. Uscito dal cancello ho visto la realtà oltre le sbarre, le macchine che passano in strada, la gente che viveva una vita normale: mi sono sentito uno di loro”. L’impegno e la passione fanno guadagnare ad Angelo la stima dei suoi colleghi e del titolare del ristorante, che gli offre un lavoro stabile. “Non ci potevo credere. Non credevo davvero che potesse succedere a me, ma tutti mi dicevano ‘te lo meriti’. Da quel momento ho iniziato a crederci anche io. Ho continuato, e continuo, a impegnarmi perché mi piace quello che faccio, e la fiducia che ripongono in me mi dà forza”. Inizia così una nuova vita per Angelo, anche se, una volta finito il turno, è il momento di tornare in carcere.

Nuova vita fuori dal carcere

“Non mi sono ancora abituato a questa nuova vita - commenta - , anche perché la sera torno sempre in istituto. Però questa esperienza mi permette di tornare, in parte, a una vita normale. Tutti nella vita possono sbagliare: io ho sbagliato, e sto giustamente pagando per i miei errori. Prima del carcere, non avevo sentito questa stessa fiducia nella mie potenzialità. Grazie a questo progetto ho sentito, per la prima volta, di non essere solo. Mi sentivo vuoto, non avevo speranza, non avevo consolazione, poi ho incontrato tante persone che hanno saputo valorizzarmi. Solo quando capisci di non essere più solo, trovi la forza di cambiare vita, anche se hai fatto tanti sbagli, anche gravi. Finalmente ho ritrovato il sorriso”. Un percorso che non è ancora finito per Angelo. “Non ho ancora scontato la mia pena, però so che non voglio la vita di prima. Se potessi tornare indietro, non rifarei gli stessi errori. Ogni giorno non vedo l’ora di aprire gli occhi al mattino per venire a lavorare. È facile sbagliare, ma è anche difficile rimediare, e io pian piano ce la sto facendo. Ce la sto facendo perché ho visto che c’è un mondo diverso fuori dal carcere, e ho trovato una nuova speranza”.]]>
volontari capanne

Dal concorso in omicidio, al carcere, al lavoro nel settore ristorazione. Ingredienti: fiducia. Una storia di riscatto che passa per la speranza: la speranza di poter di nuovo credere in te stesso perché qualcuno ha creduto in te.

Una nuova occasione per Angelo

Da qui parte la nuova vita di Angelo, arrestato a soli 23 anni a Salerno, condannato a una pena per concorso in omicidio, passando dal carcere di Benevento, Avellino, e arrivando infine a Capanne a Perugia. Non una vita semplice per Angelo, un passato turbolento con risse e aggressioni - e in un Paese in cui gli istituti di pena sono sinonimo di marginalità e non di reinserimento, il suo destino sembrava segnato per sempre. Poi l’occasione di una rinascita all’interno del nuovo complesso penitenziario di Perugia, dove partecipa al progetto “Intra” realizzato da Frontiera lavoro, cooperativa che da vent’anni si occupa di favorire processi di integrazione sociale.

Con “Frontiera lavoro” offerta fromazione professionale a 420 detenuti

Tra i tanti progetti, che hanno permesso di formare 420 detenuti, l’ultimo solo in ordine di tempo è “Io riesco”, applicato in quattro istituti penitenziari dell’Umbria, che darà modo a 30 detenuti di scontare gli ultimi 18 mesi di detenzione in una struttura ricettiva di Perugia. Dopo 300 ore in aula e cinque mesi di pratica previsti dal corso per addetto alla cucina, Angelo, grazie al suo impegno, si guadagna un contratto a tempo indeterminato in un prestigioso ristorante di Perugia.

Le giornate …

Tutte le mattine esce dall’istituto alle 6.30 per farvi rientro alle 20.30, essendo in regime di “articolo 21”, legge sull’ordinamento penitenziario. “Sono stato selezionato tra i detenuti per partecipare al corso, imparando tante cose nuove anche grazie all’aiuto di chef bravissimi - racconta Angelo. - Quando ho iniziato, non sapevo fare nemmeno una frittata. Imparare un mestiere mi ha fatto crescere e ho iniziato a dare il giusto valore alle cose”. Poter assecondare le sue passioni ha permesso ad Angelo di comprendere che si può sbagliare, ma che ci si può anche rialzare. “Tutte le persone che mi hanno aiutato, da Luca Verdolini [responsabile dell’area Giustizia di Frontiera lavoro] agli chef e agli educatori del carcere, mi hanno sempre trattato come una persona, prima ancora che come un carcerato. Hanno creduto in me prima ancora che lo facessi io. Non mi sono più sentito solo e abbandonato”.

… e le emozioni di Angelo

Dopo il corso inizia l’esperienza  fuori Capanne. “Ho iniziato con una borsa lavoro nel ristorante, dove sono stato accolto con grande umanità anche dal mio capo (che non vuole che lo chiami così, una volta mi ha detto ‘il Capo sta in cielo, io sono solo Marco’). Mi sono emozionato”. Una possibilità che lo riporta a una parvenza di normalità. “La prima volta che sono uscito dall’istituto per andare a lavoro, ho pianto, un pianto liberatorio. Uscito dal cancello ho visto la realtà oltre le sbarre, le macchine che passano in strada, la gente che viveva una vita normale: mi sono sentito uno di loro”. L’impegno e la passione fanno guadagnare ad Angelo la stima dei suoi colleghi e del titolare del ristorante, che gli offre un lavoro stabile. “Non ci potevo credere. Non credevo davvero che potesse succedere a me, ma tutti mi dicevano ‘te lo meriti’. Da quel momento ho iniziato a crederci anche io. Ho continuato, e continuo, a impegnarmi perché mi piace quello che faccio, e la fiducia che ripongono in me mi dà forza”. Inizia così una nuova vita per Angelo, anche se, una volta finito il turno, è il momento di tornare in carcere.

Nuova vita fuori dal carcere

“Non mi sono ancora abituato a questa nuova vita - commenta - , anche perché la sera torno sempre in istituto. Però questa esperienza mi permette di tornare, in parte, a una vita normale. Tutti nella vita possono sbagliare: io ho sbagliato, e sto giustamente pagando per i miei errori. Prima del carcere, non avevo sentito questa stessa fiducia nella mie potenzialità. Grazie a questo progetto ho sentito, per la prima volta, di non essere solo. Mi sentivo vuoto, non avevo speranza, non avevo consolazione, poi ho incontrato tante persone che hanno saputo valorizzarmi. Solo quando capisci di non essere più solo, trovi la forza di cambiare vita, anche se hai fatto tanti sbagli, anche gravi. Finalmente ho ritrovato il sorriso”. Un percorso che non è ancora finito per Angelo. “Non ho ancora scontato la mia pena, però so che non voglio la vita di prima. Se potessi tornare indietro, non rifarei gli stessi errori. Ogni giorno non vedo l’ora di aprire gli occhi al mattino per venire a lavorare. È facile sbagliare, ma è anche difficile rimediare, e io pian piano ce la sto facendo. Ce la sto facendo perché ho visto che c’è un mondo diverso fuori dal carcere, e ho trovato una nuova speranza”.]]>
Visita pasquale del cardinale Gualtiero Bassetti al Carcere di Capanne https://www.lavoce.it/visita-pasquale-del-cardinale-gualtiero-bassetti-al-carcere-di-capanne/ Wed, 07 Apr 2021 14:21:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60108 il cardinale bassetti nella cappella interna al carcere di capanne

"Il nostro pastore Gualtiero mancava dal Carcere di Capanne dal pranzo di Natale del 2019, da lui offerto alle detenute attraverso gli operatori della Caritas diocesana; un tempo lunghissimo di assenza per lui che era abituato, prima della pandemia, a recarsi spesso in questo luogo dove è più tangibile la sofferenza umana. Sin dal suo arrivo a Perugia, il nostro pastore ha instaurato un profondo legame con il mondo del Carcere anche con segni concreti di vicinanza, ad iniziare dall’incoraggiare la presenza di più volontari e favorire nuovi progetti volti al reinserimento sociale di chi è al termine della detenzione"

A raccontarlo è suor Carla Casadei (Sfp), della congregazione delle Francescane dei poveri, coordinatrice dei volontari dell’Associazione perugina di volontariato (istituita dalla Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve); associazione che attualmente vede impegnati nel mondo del volontariato carcerario una quindicina di soci.

Bisogno di vicinanza

Il cardinale Gualtiero Bassetti, accompagnato dal cappellano padre Francesco Bonucci (Ofm), si è recato in visita pasquale al Carcere di Capanne di Perugia il 5 aprile, Lunedì dell’Angelo, intrattenendosi nella struttura per circa due ore.

Accolto dalla direttrice Bernardina Di Mario e dal comandante della Polizia penitenziaria Fulvio Brillo, il presule ha avuto modo di incontrare da padre, i detenuti delle sezioni del circondariale, penale e semiliberi e le detenute del femminile, intrattenendosi anche con il personale di sorveglianza.

"Nell’augurare una serena Santa Pasqua a tutti -prosegue il suo racconto suor Carla Casadei- il nostro pastore ha avuto parole di speranza ad andare avanti, esortando tutti a fidarsi dell’amore di Dio, raccontando anche la sua recente esperienza di malato Covid. Soprattutto, il cardinale si è messo in ascolto di quanti gli hanno rivolto una parola in privato o un discorso augurale e di benvenuto in pubblico. E’ stato un incontro importante, perché sono persone che hanno bisogno di vicinanza umana e spirituale".

Il paradosso del carcere

Significativo è quanto ha detto una detenuta portavoce della sezione femminile.

"Eminenza, è un brutto momento. Stiamo vivendo nella confusione, disorientati e sgomenti. La fede cammina di pari passo con la scienza. Ma l'incertezza, la selva oscura di oggi, può e deve diventare la dritta via che era smarrita. La pandemia coinvolge il mondo come mai era avvenuto, tante vittime, tante sofferenze. Sofferenza che anche lei ha conosciuto. Tutti dobbiamo fare la nostra parte e imparare a convivere con questo virus, dobbiamo fare squadra, contare l'uno sull'altro. Paradossalmente proprio il carcere ci sta proteggendo. Siamo privilegiati seppure nella solitudine. Ancor più isolati di sempre. Nella sofferenza, come Giobbe, siamo portati a protestare, ma Dio ci fa riconoscere i nostri limiti, ci invita alla preghiera… La fede non è una strada facile, abbiamo a che fare con un Dio nascosto che può anche non rispondere alle nostre domande. Lui cerca il nostro amore ed è così che ci è vicino nei momenti difficili. Solo l'amore ci dona forza, speranza, pace. Che la nostra preghiera diventi un grido come quello di Gesù in croce. Ritroviamo la fede, non perdiamo la speranza. La serenità e la bellezza nascono dal volersi bene e noi, eminenza le vogliamo bene, un gran bene. Lei il nostro pastore. Grazie per essere qui".

La via larga e la via stretta

 Significativa è anche la testimonianza personale di una detenuta che ha rivolto alle altre

"Gesù è accanto a chi attraversa delle sofferenze –scrive– posa il suo sguardo su di noi, sa che soffriamo e conosce la nostra storia, ad ognuno di noi si rivolge in modo personale, ci guarisce, lenisce le nostre ferite. Lui ci è accanto, ci conosce, ci parla attraverso la sua Parola, si prende cura di ognuno di noi nel modo che lui riterrà migliore per la nostra vita. Gesù ci parla di un bivio dove da un lato c'è una via larga dove si può fare ciò che si vuole, dall'altro una via stretta, rappresenta la volontà di Dio, e sono pochi coloro che la scelgono, perché non è sempre facile seguire Cristo. Ma mentre la via larga porta la maledizione ed infine alla punizione eterna, la via stretta porta alla benedizione e termina nel Paradiso.  Allora, a noi la scelta care amiche, sorelle!".

Pasqua di rinascita

Al termine di ogni incontro il cardinale ha consegnato ai presenti dei piccoli doni (un sacchetto con ramoscello d’ulivo benedetto, ovetti di cioccolato e un disegno con frase augurale) preparati dai volontari. Un particolare: i disegni sono stati realizzati da un centinaio di bambini di famiglie di alcuni movimenti ecclesiali e gruppi parrocchiali, che nel disegnare e nello scrivere la frase augurale si sono ispirati al messaggio pasquale che più di altri è rivolto a chi è carcerato: Tanti auguri per una Pasqua di rinascita. 

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il cardinale bassetti nella cappella interna al carcere di capanne

"Il nostro pastore Gualtiero mancava dal Carcere di Capanne dal pranzo di Natale del 2019, da lui offerto alle detenute attraverso gli operatori della Caritas diocesana; un tempo lunghissimo di assenza per lui che era abituato, prima della pandemia, a recarsi spesso in questo luogo dove è più tangibile la sofferenza umana. Sin dal suo arrivo a Perugia, il nostro pastore ha instaurato un profondo legame con il mondo del Carcere anche con segni concreti di vicinanza, ad iniziare dall’incoraggiare la presenza di più volontari e favorire nuovi progetti volti al reinserimento sociale di chi è al termine della detenzione"

A raccontarlo è suor Carla Casadei (Sfp), della congregazione delle Francescane dei poveri, coordinatrice dei volontari dell’Associazione perugina di volontariato (istituita dalla Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve); associazione che attualmente vede impegnati nel mondo del volontariato carcerario una quindicina di soci.

Bisogno di vicinanza

Il cardinale Gualtiero Bassetti, accompagnato dal cappellano padre Francesco Bonucci (Ofm), si è recato in visita pasquale al Carcere di Capanne di Perugia il 5 aprile, Lunedì dell’Angelo, intrattenendosi nella struttura per circa due ore.

Accolto dalla direttrice Bernardina Di Mario e dal comandante della Polizia penitenziaria Fulvio Brillo, il presule ha avuto modo di incontrare da padre, i detenuti delle sezioni del circondariale, penale e semiliberi e le detenute del femminile, intrattenendosi anche con il personale di sorveglianza.

"Nell’augurare una serena Santa Pasqua a tutti -prosegue il suo racconto suor Carla Casadei- il nostro pastore ha avuto parole di speranza ad andare avanti, esortando tutti a fidarsi dell’amore di Dio, raccontando anche la sua recente esperienza di malato Covid. Soprattutto, il cardinale si è messo in ascolto di quanti gli hanno rivolto una parola in privato o un discorso augurale e di benvenuto in pubblico. E’ stato un incontro importante, perché sono persone che hanno bisogno di vicinanza umana e spirituale".

Il paradosso del carcere

Significativo è quanto ha detto una detenuta portavoce della sezione femminile.

"Eminenza, è un brutto momento. Stiamo vivendo nella confusione, disorientati e sgomenti. La fede cammina di pari passo con la scienza. Ma l'incertezza, la selva oscura di oggi, può e deve diventare la dritta via che era smarrita. La pandemia coinvolge il mondo come mai era avvenuto, tante vittime, tante sofferenze. Sofferenza che anche lei ha conosciuto. Tutti dobbiamo fare la nostra parte e imparare a convivere con questo virus, dobbiamo fare squadra, contare l'uno sull'altro. Paradossalmente proprio il carcere ci sta proteggendo. Siamo privilegiati seppure nella solitudine. Ancor più isolati di sempre. Nella sofferenza, come Giobbe, siamo portati a protestare, ma Dio ci fa riconoscere i nostri limiti, ci invita alla preghiera… La fede non è una strada facile, abbiamo a che fare con un Dio nascosto che può anche non rispondere alle nostre domande. Lui cerca il nostro amore ed è così che ci è vicino nei momenti difficili. Solo l'amore ci dona forza, speranza, pace. Che la nostra preghiera diventi un grido come quello di Gesù in croce. Ritroviamo la fede, non perdiamo la speranza. La serenità e la bellezza nascono dal volersi bene e noi, eminenza le vogliamo bene, un gran bene. Lei il nostro pastore. Grazie per essere qui".

La via larga e la via stretta

 Significativa è anche la testimonianza personale di una detenuta che ha rivolto alle altre

"Gesù è accanto a chi attraversa delle sofferenze –scrive– posa il suo sguardo su di noi, sa che soffriamo e conosce la nostra storia, ad ognuno di noi si rivolge in modo personale, ci guarisce, lenisce le nostre ferite. Lui ci è accanto, ci conosce, ci parla attraverso la sua Parola, si prende cura di ognuno di noi nel modo che lui riterrà migliore per la nostra vita. Gesù ci parla di un bivio dove da un lato c'è una via larga dove si può fare ciò che si vuole, dall'altro una via stretta, rappresenta la volontà di Dio, e sono pochi coloro che la scelgono, perché non è sempre facile seguire Cristo. Ma mentre la via larga porta la maledizione ed infine alla punizione eterna, la via stretta porta alla benedizione e termina nel Paradiso.  Allora, a noi la scelta care amiche, sorelle!".

Pasqua di rinascita

Al termine di ogni incontro il cardinale ha consegnato ai presenti dei piccoli doni (un sacchetto con ramoscello d’ulivo benedetto, ovetti di cioccolato e un disegno con frase augurale) preparati dai volontari. Un particolare: i disegni sono stati realizzati da un centinaio di bambini di famiglie di alcuni movimenti ecclesiali e gruppi parrocchiali, che nel disegnare e nello scrivere la frase augurale si sono ispirati al messaggio pasquale che più di altri è rivolto a chi è carcerato: Tanti auguri per una Pasqua di rinascita. 

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Questa settimana su La Voce: Pasqua e storie di rinascita https://www.lavoce.it/questa-settimana-su-la-voce-pasqua-e-storie-di-rinascita/ Tue, 06 Apr 2021 17:00:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59956

Cari lettori,Buona Pasqua! Il giornale fa una pausa e con questo numero pasquale. Vi diamo appuntamento al 16 aprile e vi facciamo i nostri auguri. Continuate a seguirci sul nostro sito! _____

Questa settimana le pagine de La Voce sono ricche di notizie, con focus sulla Pasqua, con storie di rinascita dal carcere, vicinanza ai malati di Covid, e con i giovani dell'Agesci di Foligno che ha preparato la Via Crucis del Venerdì Santo per il Papa. E tanto altro. Leggi tutto nell'edizione digitale.

l’editoriale

Pasqua. La morte… poi ecco che fa irruzione la Luce

Tutto tace! Nulla è andato come speravamo, almeno per quello che siamo riusciti a comprendere! L’ingresso del Messia a Gerusalemme è stato quasi trionfale, seppur su un’umile cavalcatura: chi stendeva vesti per farne dei tappeti, chi osannava con fronde d’alberi, chi invece acclamava al figlio di Davide. …

Nel giornale

... ma ora, vivo, trionfa!

L’unico dato positivo è che quest’anno le celebrazioni non avverranno solo in streaming? Certo, questo periodo del 2021 lascerà un brutto ricordo. Però la dinamica di morte e risurrezione è parte integrante proprio della Pasqua: non solo nella liturgia e devozione (Via crucis) ma anche nel vissuto quotidiano. Noi come Colui che ci fa strada.

Conferenza episcopale italiana

Pandemia, economia, Chiesa e sinodalità, riforma di scuole e Seminari, il messaggio per il Primo Maggio

Società

“Agrisocial”, mettendo insieme strutture e competenze, dà valore educativo e riabilitativo al lavoro agricolo

Cultura

Anche in Umbria, al via tante iniziative per il settimo centenario di Dante. Con un fan d’eccezione: Papa Francesco  ]]>

Cari lettori,Buona Pasqua! Il giornale fa una pausa e con questo numero pasquale. Vi diamo appuntamento al 16 aprile e vi facciamo i nostri auguri. Continuate a seguirci sul nostro sito! _____

Questa settimana le pagine de La Voce sono ricche di notizie, con focus sulla Pasqua, con storie di rinascita dal carcere, vicinanza ai malati di Covid, e con i giovani dell'Agesci di Foligno che ha preparato la Via Crucis del Venerdì Santo per il Papa. E tanto altro. Leggi tutto nell'edizione digitale.

l’editoriale

Pasqua. La morte… poi ecco che fa irruzione la Luce

Tutto tace! Nulla è andato come speravamo, almeno per quello che siamo riusciti a comprendere! L’ingresso del Messia a Gerusalemme è stato quasi trionfale, seppur su un’umile cavalcatura: chi stendeva vesti per farne dei tappeti, chi osannava con fronde d’alberi, chi invece acclamava al figlio di Davide. …

Nel giornale

... ma ora, vivo, trionfa!

L’unico dato positivo è che quest’anno le celebrazioni non avverranno solo in streaming? Certo, questo periodo del 2021 lascerà un brutto ricordo. Però la dinamica di morte e risurrezione è parte integrante proprio della Pasqua: non solo nella liturgia e devozione (Via crucis) ma anche nel vissuto quotidiano. Noi come Colui che ci fa strada.

Conferenza episcopale italiana

Pandemia, economia, Chiesa e sinodalità, riforma di scuole e Seminari, il messaggio per il Primo Maggio

Società

“Agrisocial”, mettendo insieme strutture e competenze, dà valore educativo e riabilitativo al lavoro agricolo

Cultura

Anche in Umbria, al via tante iniziative per il settimo centenario di Dante. Con un fan d’eccezione: Papa Francesco  ]]>
Terni. FILAR, progetto di formazione e inclusione sociale per 48 detenuti https://www.lavoce.it/filar-formazione-detenuti/ Wed, 15 Jan 2020 17:32:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56021 filar

Ha preso il via lunedì 13 gennaio, presso la Casa Circondariale di Terni, il progetto FILAR - Formazione per l’Inclusione socio Lavorativa nel settore della Ristorazione riservato a 48 detenuti in regime di massima e media sicurezza.

Cuochi e pizzaioli

L’iniziativa, unica nel suo genere, prevede il coinvolgimento diretto dei detenuti in due percorsi formativi, nel settore della ristorazione commerciale/collettiva, uno in ambito culinario, «Preparazioni gastronomiche - Addetto alla Cucina», in due edizioni della durata di 120 ore ciascuna, ed uno riservato alla «Pizzeria», sempre in due edizioni della medesima durata).

I promotori

Oltre ai Soggetti proponenti, alla Regione Umbria e all'Istituto penitenziario, partecipano al progetto esponenti del mondo del lavoro, del volontariato (Caritas diocesana e Associazione San Martino), Istituzioni pubbliche (fra cui i Comuni di Terni, Narni ed Amelia), Confcommercio Umbria e Stakeholders che hanno ritenuto di voler unire le proprie specifiche competenze e rete di relazioni per raggiungere obiettivi comuni. FILAR è stato finanziato dalla Regione Umbria -Servizio Programmazione Socio Sanitaria dell'Assistenza distrettuale- Inclusione sociale, economia sociale e terzo settore, nell'ambito dell'Avviso Pubblico in regime di concessione ex art. 12 L.241/190 per la presentazione di proposte progettuali per l'inclusione socio lavorativa di persone in esecuzione penale -POR FSE 2014-2020 Regione Umbria -Asse 2_Inclusione sociale e lotta alla povertà e vede come soggetto attuatore l’ATS tra Università dei Sapori scarl (Soggetto Capofila), l’Associazione di Volontariato San Martino ed ITER scarl Impresa Sociale. In coerenza con gli obiettivi del POR, il progetto intende costruire e sostenere un percorso umano e formativo di riscatto sociale nel segno di una grande attenzione alla dignità umana. A tal fine il progetto ha inteso costruire un nuovo modello di lavoro che prevede una partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nelle attività per una maggior efficacia nell’uso delle opportunità e degli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento penitenziario e dall’Avviso stesso. I detenuti, attraverso la partecipazione a percorsi didattici attivi e motivanti, avranno l’opportunità di prepararsi ad un progetto di vita futuro capace di coniugare sapere e saper fare verso l’acquisizione di competenze coerenti con le esigenze del mercato del lavoro.

Gli obiettivi del progetto

D’altro canto, sia i soggetti proponenti, che gli stakeholders e i soggetti a vario titolo portatori di interessi nel territorio regionale, avranno il compito di sensibilizzare la comunità esterna alle problematiche del carcere attraverso azioni di osmosi e di sensibilizzazione così da contrastare il fenomeno della recidiva da un lato e veicolare dall’altro il fine rieducativo della pena e un’idea del carcere come luogo positivo, propedeutico al reinserimento civile e sociale dei detenuti. Valutazioni che nascono da analisi dell’attuale contesto lavorativo e della carenza di opportunità lavorative per i detenuti, una volta scontato il periodo di pena.

Uniti contro la recidiva

Alla base del progetto FILAR ci sono poi anche altre valutazioni: ad oggi i ristretti sono infatti occupati, quando possibile, soprattutto nelle attività correlate alla gestione quotidiana degli istituti penitenziari stessi (servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato ecc.), ma il sovraffollamento, la turnazione continua e la riduzione dell’orario di lavoro pro capite, necessarie per garantire un minimo livello occupazionale e una fonte di sostentamento, non consentono lo sviluppo di competenze professionali spendibili nel mondo del lavoro (inframurario e/o extramurario) ne’ tanto meno possibilità formative. Ciò porta, come rilevato dal DAP, ad un incremento esponenziale del tasso di recidiva, pari al 68%. All’uscita dal carcere, poi, riuscire a lavorare è, per gli ex detenuti, una sfida spesso proibitiva resa più complicata dai pregiudizi sociali verso gli ex detenuti, ma anche dal basso livello di educazione/istruzione ed ovviamente di esperienze lavorative pregresse. La forza di FILAR consiste proprio nell’unione di più forze, competenze e volontà, così da mettere a sistema un modello inclusivo (formazione - imprese -sistema del terzo settore) in grado di prendere in carico i vari bisogni dei destinatari diretti del progetto e organizzare, con flessibilità, adeguate risposte dal punto di vista formativo (acquisizione di competenze tecnico professionali nel settore ristorativo) e di opportunità di futuro inserimento lavorativo sia inframurario che extramurario. La Formazione, posta al centro del progetto, ed il Lavoro, come alternativa concreta alla recidiva ed al reato, sono i due obiettivi principali di FILAR che tiene conto, nel suo sviluppo, sia delle prospettive occupazionali offerte dal settore, secondo l’ultimo rapporto FIPE, sono infatti oltre 1.252.260 gli occupati, sia di nuove attività ristorative inframurarie sorte in tempi recenti anche a livello nazionale: iniziative di ristorazione, attività di catering, pizzerie aperte al pubblico pagante o gestite interamente da detenuti.]]>
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Ha preso il via lunedì 13 gennaio, presso la Casa Circondariale di Terni, il progetto FILAR - Formazione per l’Inclusione socio Lavorativa nel settore della Ristorazione riservato a 48 detenuti in regime di massima e media sicurezza.

Cuochi e pizzaioli

L’iniziativa, unica nel suo genere, prevede il coinvolgimento diretto dei detenuti in due percorsi formativi, nel settore della ristorazione commerciale/collettiva, uno in ambito culinario, «Preparazioni gastronomiche - Addetto alla Cucina», in due edizioni della durata di 120 ore ciascuna, ed uno riservato alla «Pizzeria», sempre in due edizioni della medesima durata).

I promotori

Oltre ai Soggetti proponenti, alla Regione Umbria e all'Istituto penitenziario, partecipano al progetto esponenti del mondo del lavoro, del volontariato (Caritas diocesana e Associazione San Martino), Istituzioni pubbliche (fra cui i Comuni di Terni, Narni ed Amelia), Confcommercio Umbria e Stakeholders che hanno ritenuto di voler unire le proprie specifiche competenze e rete di relazioni per raggiungere obiettivi comuni. FILAR è stato finanziato dalla Regione Umbria -Servizio Programmazione Socio Sanitaria dell'Assistenza distrettuale- Inclusione sociale, economia sociale e terzo settore, nell'ambito dell'Avviso Pubblico in regime di concessione ex art. 12 L.241/190 per la presentazione di proposte progettuali per l'inclusione socio lavorativa di persone in esecuzione penale -POR FSE 2014-2020 Regione Umbria -Asse 2_Inclusione sociale e lotta alla povertà e vede come soggetto attuatore l’ATS tra Università dei Sapori scarl (Soggetto Capofila), l’Associazione di Volontariato San Martino ed ITER scarl Impresa Sociale. In coerenza con gli obiettivi del POR, il progetto intende costruire e sostenere un percorso umano e formativo di riscatto sociale nel segno di una grande attenzione alla dignità umana. A tal fine il progetto ha inteso costruire un nuovo modello di lavoro che prevede una partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nelle attività per una maggior efficacia nell’uso delle opportunità e degli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento penitenziario e dall’Avviso stesso. I detenuti, attraverso la partecipazione a percorsi didattici attivi e motivanti, avranno l’opportunità di prepararsi ad un progetto di vita futuro capace di coniugare sapere e saper fare verso l’acquisizione di competenze coerenti con le esigenze del mercato del lavoro.

Gli obiettivi del progetto

D’altro canto, sia i soggetti proponenti, che gli stakeholders e i soggetti a vario titolo portatori di interessi nel territorio regionale, avranno il compito di sensibilizzare la comunità esterna alle problematiche del carcere attraverso azioni di osmosi e di sensibilizzazione così da contrastare il fenomeno della recidiva da un lato e veicolare dall’altro il fine rieducativo della pena e un’idea del carcere come luogo positivo, propedeutico al reinserimento civile e sociale dei detenuti. Valutazioni che nascono da analisi dell’attuale contesto lavorativo e della carenza di opportunità lavorative per i detenuti, una volta scontato il periodo di pena.

Uniti contro la recidiva

Alla base del progetto FILAR ci sono poi anche altre valutazioni: ad oggi i ristretti sono infatti occupati, quando possibile, soprattutto nelle attività correlate alla gestione quotidiana degli istituti penitenziari stessi (servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato ecc.), ma il sovraffollamento, la turnazione continua e la riduzione dell’orario di lavoro pro capite, necessarie per garantire un minimo livello occupazionale e una fonte di sostentamento, non consentono lo sviluppo di competenze professionali spendibili nel mondo del lavoro (inframurario e/o extramurario) ne’ tanto meno possibilità formative. Ciò porta, come rilevato dal DAP, ad un incremento esponenziale del tasso di recidiva, pari al 68%. All’uscita dal carcere, poi, riuscire a lavorare è, per gli ex detenuti, una sfida spesso proibitiva resa più complicata dai pregiudizi sociali verso gli ex detenuti, ma anche dal basso livello di educazione/istruzione ed ovviamente di esperienze lavorative pregresse. La forza di FILAR consiste proprio nell’unione di più forze, competenze e volontà, così da mettere a sistema un modello inclusivo (formazione - imprese -sistema del terzo settore) in grado di prendere in carico i vari bisogni dei destinatari diretti del progetto e organizzare, con flessibilità, adeguate risposte dal punto di vista formativo (acquisizione di competenze tecnico professionali nel settore ristorativo) e di opportunità di futuro inserimento lavorativo sia inframurario che extramurario. La Formazione, posta al centro del progetto, ed il Lavoro, come alternativa concreta alla recidiva ed al reato, sono i due obiettivi principali di FILAR che tiene conto, nel suo sviluppo, sia delle prospettive occupazionali offerte dal settore, secondo l’ultimo rapporto FIPE, sono infatti oltre 1.252.260 gli occupati, sia di nuove attività ristorative inframurarie sorte in tempi recenti anche a livello nazionale: iniziative di ristorazione, attività di catering, pizzerie aperte al pubblico pagante o gestite interamente da detenuti.]]>
Carcere. La mostra Fotografica “Scatti in Libertà” https://www.lavoce.it/carcere-mostra-scatti-liberta/ Wed, 25 Sep 2019 13:51:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55279 carcere

Si inaugurerà il prossimo 3 ottobre, presso il “Centro Servizi Camerali Galeazzo Alessi”, la mostra fotografica “Scatti in Libertà”, patrocinata dal Comune di Perugia, che resterà aperta fino a domenica 6.

Gli scatti

L'esposizione propone 25 scatti d'autore realizzati sia durante le lezioni del corso per "Addetto alla cucina", svolte dai rinomati chef "Moschettieri del Gusto" Catia Ciofo, Andrea Mastriforti, Antonella Pagoni e Cristiano Venturi, sia in occasione della cena di gala "Golose Evasioni", giunta alla sua quinta edizione. Eventi promossi e gestiti dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro presso il Nuovo Complesso Penitenziario di Perugia.

I fotografi

Si tratta di un'esperienza raccontata con bravura e delicatezza da quattro straordinari fotografi, Martina Mencarelli, Luca Michetti, Rita Paltracca e Matteo Vicarelli. Il loro reportage coglie i diversi aspetti “degli attori” di un istituto di pena: insieme ai detenuti, che sono comunque, il soggetto predominante, gli agenti di Polizia Penitenziaria, gli educatori e i volontari.

Il senso della mostra

Il percorso fotografico descrive le numerose iniziative che tali soggetti hanno posto in essere per riempire di contenuto il transito verso il pieno reinserimento nella società. Un passaggio che non è un privilegio, ma al contrario una doppia fatica: quella di condividere con gli altri, nel reciproco rispetto, luoghi, spazi, regole, insieme a quella di fare i conti con il proprio passato e con la possibilità di un cambiamento. Per arrivare a crederci. Fino in fondo. La fotografia riesce così a rendere percepibile, al di là della retorica e del pregiudizio, qualcosa di intangibile, stimolando uno sguardo diverso su uno spaccato di realtà tanto complesso da decifrare per chi non vi è mai entrato in contatto. Nella splendida cornice dell’ex Borsa Merci nel cuore storico della città,  si apre, quindi, per il visitatore un mondo apparentemente lontano che l’esperienza della mostra “Scatti in Libertà” può contribuire a rendere più vicino. I quattro fotografi hanno frequentato la struttura penitenziaria, hanno conosciuto i detenuti, si sono confrontati con loro e li hanno fotografati, immortalandone la volontà e la speranza di un passaggio verso una vita migliore per sé e per la società che saprà accoglierli.

L'amore per il lavoro

[gallery ids="55281,55282,55283"] “Ci siamo avvicinati con grande discrezione al mondo penitenziario, dichiarano i quattro fotografi, e abbiamo lentamente maturato il desiderio di realizzare un percorso fotografico che raccontasse quello che avviene dentro. Ci hanno colpito molto questi percorsi in transito, verso una nuova vita. Ragazzi disposti a metterci la faccia. A ripartire dai propri errori. Siamo rimasti colpiti molto dalla disponibilità di questi allievi speciali. In un tempo in cui la gente si fotografa per spirito puramente edonistico, loro hanno accettato di comunicare la loro vita in transito, cogliendo in questo un sincero amore per il lavoro che viene fatto all’interno del laboratorio di cucina del carcere perugino”. Guardando le foto esposte nella mostra si avverte la serenità dei semplici momenti di vita quotidiana, si respirano la sofferenza, la speranza di chi è costretto a vivere in quella dimensione, il rispetto di chi prova a rinascere e a riscattarsi. "Scatti in Libertà" è un'occasione per conoscere il carcere, capirlo, guardarlo con occhi diversi, lontano da pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni.  Le porte del carcere si aprono. La speranza viaggia sulle immagini.

Luca Verdolini

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carcere

Si inaugurerà il prossimo 3 ottobre, presso il “Centro Servizi Camerali Galeazzo Alessi”, la mostra fotografica “Scatti in Libertà”, patrocinata dal Comune di Perugia, che resterà aperta fino a domenica 6.

Gli scatti

L'esposizione propone 25 scatti d'autore realizzati sia durante le lezioni del corso per "Addetto alla cucina", svolte dai rinomati chef "Moschettieri del Gusto" Catia Ciofo, Andrea Mastriforti, Antonella Pagoni e Cristiano Venturi, sia in occasione della cena di gala "Golose Evasioni", giunta alla sua quinta edizione. Eventi promossi e gestiti dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro presso il Nuovo Complesso Penitenziario di Perugia.

I fotografi

Si tratta di un'esperienza raccontata con bravura e delicatezza da quattro straordinari fotografi, Martina Mencarelli, Luca Michetti, Rita Paltracca e Matteo Vicarelli. Il loro reportage coglie i diversi aspetti “degli attori” di un istituto di pena: insieme ai detenuti, che sono comunque, il soggetto predominante, gli agenti di Polizia Penitenziaria, gli educatori e i volontari.

Il senso della mostra

Il percorso fotografico descrive le numerose iniziative che tali soggetti hanno posto in essere per riempire di contenuto il transito verso il pieno reinserimento nella società. Un passaggio che non è un privilegio, ma al contrario una doppia fatica: quella di condividere con gli altri, nel reciproco rispetto, luoghi, spazi, regole, insieme a quella di fare i conti con il proprio passato e con la possibilità di un cambiamento. Per arrivare a crederci. Fino in fondo. La fotografia riesce così a rendere percepibile, al di là della retorica e del pregiudizio, qualcosa di intangibile, stimolando uno sguardo diverso su uno spaccato di realtà tanto complesso da decifrare per chi non vi è mai entrato in contatto. Nella splendida cornice dell’ex Borsa Merci nel cuore storico della città,  si apre, quindi, per il visitatore un mondo apparentemente lontano che l’esperienza della mostra “Scatti in Libertà” può contribuire a rendere più vicino. I quattro fotografi hanno frequentato la struttura penitenziaria, hanno conosciuto i detenuti, si sono confrontati con loro e li hanno fotografati, immortalandone la volontà e la speranza di un passaggio verso una vita migliore per sé e per la società che saprà accoglierli.

L'amore per il lavoro

[gallery ids="55281,55282,55283"] “Ci siamo avvicinati con grande discrezione al mondo penitenziario, dichiarano i quattro fotografi, e abbiamo lentamente maturato il desiderio di realizzare un percorso fotografico che raccontasse quello che avviene dentro. Ci hanno colpito molto questi percorsi in transito, verso una nuova vita. Ragazzi disposti a metterci la faccia. A ripartire dai propri errori. Siamo rimasti colpiti molto dalla disponibilità di questi allievi speciali. In un tempo in cui la gente si fotografa per spirito puramente edonistico, loro hanno accettato di comunicare la loro vita in transito, cogliendo in questo un sincero amore per il lavoro che viene fatto all’interno del laboratorio di cucina del carcere perugino”. Guardando le foto esposte nella mostra si avverte la serenità dei semplici momenti di vita quotidiana, si respirano la sofferenza, la speranza di chi è costretto a vivere in quella dimensione, il rispetto di chi prova a rinascere e a riscattarsi. "Scatti in Libertà" è un'occasione per conoscere il carcere, capirlo, guardarlo con occhi diversi, lontano da pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni.  Le porte del carcere si aprono. La speranza viaggia sulle immagini.

Luca Verdolini

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Rivolte al carcere di Capanne. Le cause secondo chi vi svolge volontariato https://www.lavoce.it/rivolte-carcere-capanne-cause-volontari/ Thu, 05 Sep 2019 10:41:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55177 volontari capanne

Nell’aprile scorso il Garante dei detenuti Stefano Anastasia, in una relazione alla Terza commissione consiliare della Regione Umbria, aveva già evidenziato le principali criticità delle carceri umbre: la crescita della popolazione penitenziaria abbinata alla scarsità delle risorse pubbliche disponibili; condizioni di vita e di salute dei detenuti contrassegnate dalla difficoltà di accedere alle visite specialistiche e agli esami diagnostici; la mancanza lamentata dai detenuti di attività di reinserimento e di un adeguato sostegno alle iniziative culturali.

È in questo clima che si sono venuti a creare, nei giorni scorsi, due gravi episodi di rivolta all’interno della casa circondariale di Capanne a Perugia.

“Il problema è che i detenuti non hanno molte possibilità di lavorare. Se non lavorano, non hanno quei 50/100 euro al mese per pagarsi delle piccole cose che vogliono comperarsi: un caffè, una pasta in più, le sigarette, i vestiti. Non essendo autonomi economicamente si sentono sempre nel bisogno. In più va aggiunto il sovraffollamento, la reclusione, il caldo. Quindi, in queste condizioni, basta poco per provocare il caos”.

Questo il commento sulla vicenda di suor Carla Casadeiche da anni presta il suo servizio in carcere con con l’Associazione perugina di volontariato. Nei mesi invernali suor Carla si reca nella sezione femminile per un laboratorio di cucito insieme ad un’altra volontaria che è modellista.

“Andiamo per due ore alla settimana e facciamo fare alle detenute dei piccoli lavoretti”. Durante tutto l’anno poi si reca nella sezione maschile per i colloqui personali. “Le attività lavorative – continua Casadei - vengono concesse solo ad alcuni tipi di detenuti, nel fine pena o per pene lunghe. Però non sono organizzate in maniera continuativa, ma per turni.

Ecco quindi che per 2 mesi svolgono la mansione di scopini, portavitto (coloro che portano il cibo nelle celle), bibliotecari, cuochi. Però su circa 300 detenuti, a lavorare saranno una ventina e per un tempo limitato. Bisognerebbe poi coinvolgere più aziende esterne. Dentro il carcere di Perugia c’è una piccola attività aziendale che viene dall’esterno, la Plurima, che fa fascicolazione di documenti, ma sono coinvolti solo 3 detenuti”.

È dello stesso parere padre Francesco Bonuccicappellano del carcere di Capanne, intervistato da Umbriaoggi.news. “Penso che queste persone hanno bisogno di essere più impegnate durante la giornata perché passano la maggior parte del tempo senza far nulla e questa è la cosa più urgente. Dopo tanto tempo senza avere niente da fare anche la persona più normale impazzisce” ha dichiarato Bonucci.

Cosa ne pensano invece politici ed istituzioni? “La soluzione è costruire nuovi carceri e non certo far uscire i delinquenti, sia chiaro” ha detto Emanuele Prisco (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Valentina Russo

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volontari capanne

Nell’aprile scorso il Garante dei detenuti Stefano Anastasia, in una relazione alla Terza commissione consiliare della Regione Umbria, aveva già evidenziato le principali criticità delle carceri umbre: la crescita della popolazione penitenziaria abbinata alla scarsità delle risorse pubbliche disponibili; condizioni di vita e di salute dei detenuti contrassegnate dalla difficoltà di accedere alle visite specialistiche e agli esami diagnostici; la mancanza lamentata dai detenuti di attività di reinserimento e di un adeguato sostegno alle iniziative culturali.

È in questo clima che si sono venuti a creare, nei giorni scorsi, due gravi episodi di rivolta all’interno della casa circondariale di Capanne a Perugia.

“Il problema è che i detenuti non hanno molte possibilità di lavorare. Se non lavorano, non hanno quei 50/100 euro al mese per pagarsi delle piccole cose che vogliono comperarsi: un caffè, una pasta in più, le sigarette, i vestiti. Non essendo autonomi economicamente si sentono sempre nel bisogno. In più va aggiunto il sovraffollamento, la reclusione, il caldo. Quindi, in queste condizioni, basta poco per provocare il caos”.

Questo il commento sulla vicenda di suor Carla Casadeiche da anni presta il suo servizio in carcere con con l’Associazione perugina di volontariato. Nei mesi invernali suor Carla si reca nella sezione femminile per un laboratorio di cucito insieme ad un’altra volontaria che è modellista.

“Andiamo per due ore alla settimana e facciamo fare alle detenute dei piccoli lavoretti”. Durante tutto l’anno poi si reca nella sezione maschile per i colloqui personali. “Le attività lavorative – continua Casadei - vengono concesse solo ad alcuni tipi di detenuti, nel fine pena o per pene lunghe. Però non sono organizzate in maniera continuativa, ma per turni.

Ecco quindi che per 2 mesi svolgono la mansione di scopini, portavitto (coloro che portano il cibo nelle celle), bibliotecari, cuochi. Però su circa 300 detenuti, a lavorare saranno una ventina e per un tempo limitato. Bisognerebbe poi coinvolgere più aziende esterne. Dentro il carcere di Perugia c’è una piccola attività aziendale che viene dall’esterno, la Plurima, che fa fascicolazione di documenti, ma sono coinvolti solo 3 detenuti”.

È dello stesso parere padre Francesco Bonuccicappellano del carcere di Capanne, intervistato da Umbriaoggi.news. “Penso che queste persone hanno bisogno di essere più impegnate durante la giornata perché passano la maggior parte del tempo senza far nulla e questa è la cosa più urgente. Dopo tanto tempo senza avere niente da fare anche la persona più normale impazzisce” ha dichiarato Bonucci.

Cosa ne pensano invece politici ed istituzioni? “La soluzione è costruire nuovi carceri e non certo far uscire i delinquenti, sia chiaro” ha detto Emanuele Prisco (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Valentina Russo

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Cena in carcere. Il penitenziario di Perugia ha ospitato un vero e proprio ristorante https://www.lavoce.it/cena-in-carcere-perugia/ Thu, 16 May 2019 10:49:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54529 carcere

“Questa sera, si cena in carcere”. Sta tutta in un gioco di parole e in una provocazione, la nuova sfida del complesso penitenziario di Perugia che ha ospitato all’interno delle mura un vero e proprio ristorante in occasione della quinta edizione delle “Golose Evasioni”, cena evento promossa nell’ambito del corso di “Addetto alla cucina”, organizzato nel laboratorio del carcere di Capanne e previsto nell’ambito dell’avviso “Umbriattiva Giovani”, finanziato dalla Regione Umbria e gestito dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro. L’occasione è stata giovedì 9 maggio, quando i dieci detenuti under 30 del reparto penale dell’istituto perugino hanno allestito un vero e proprio ristorante per 240 commensali. Una “serata all’insegna del gusto e della convivialità – ha spiegato al Sir Luca Verdolini, responsabile dell’area giustizia di “Frontiera Lavoro” e coordinatore del progetto -, ma anche un modo per questi ragazzi di dimostrare le loro capacità”. La cena. Il corso ha previsto 255 ore di lezione e ha dato ai detenuti la possibilità di apprendere un mestiere sotto la guida di esperti chef che hanno trasmesso loro tutti i trucchi per diventare professionisti a 360 gradi, capaci di soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. Sono stati affiancati nella preparazione della cena dai “moschiettieri del Gusto” vale a dire gli chef Catia Ciofo, Antonella Pagoni, Cristiano Venturi ed Andrea Mastriforti, tutti nomi tra i più importanti del panorama ristorativo italiano. La cena, accompagnata dai musicisti di “UmbriaEnsemble”, ha avuto un “menu e una carta dei vini che non hanno nulla da invidiare ai locali più celebri di Perugia, passatelli con punte d’asparagi, datterino appassito, fusione di menta e guanciola di vitello brasato sono solo alcune delle specialità del menu che è stato attentamente valutato dallo chef stellato Giancarlo Polito e dal critico enogastronomico Leonardo Romanelli, ospiti d’onore della serata”. I camerieri in sala sono stati istruiti e guidati da un maître professionisti, Emilio Sabbatini, dalla lunga carriera nella ristorazione di alto livello, che ha affrontato questa nuova sfida con entusiasmo. “Qui si lavora con persone che hanno commesso degli errori e che stanno portando avanti un percorso di reinserimento, a cui bisogna insegnare tutto. Ma hanno molta umiltà e grande voglia di imparare”, ha detto a nome di tutti una delle docenti, la chef Catia Ciofo. Tutti i dettagli della serata sono stati curati con la massima attenzione. Tavoli eleganti, tovaglie raffinate, candele accese, piatti di porcellana, sottopiatti, bicchieri di vetro e posateria di alta qualità. E la cura per il dettaglio arriva fino al piatto.

Le testimonianze

Per Aldo, 28 anni, uno degli allievi, una delle soddisfazioni più grandi è “sapere che il cliente gradisce non solo il cibo, ma anche la preparazione”. Sotto la guida attenta degli chef, Aldo mette molta cura nell’impiattare il cibo, guarnirlo per bene con salse e intingoli: “Si mangia con tutti i cinque sensi, quindi anche con gli occhi”, spiega.  Per Aldo, Nour Eddine, Gianluca  e gli altri detenuti, il corso per “addetto alla cucina” rappresenta una straordinaria opportunità per imparare un mestiere. “Per non sprecare il tempo che dobbiamo passare qui”, riflette Aldo. Perché il lavoro rappresenta l’arma migliore per combattere la recidiva ed evitare che l’ex detenuto, una volta tornato in libertà, commetta nuovi reati. Ma imparare un mestiere spesso non basta. “Non è la magistratura a dare il fine pena ai detenuti, è la società – ha sottolineato Verdolini -. Perciò desideriamo che l’attività formativa di Frontiera Lavoro in carcere diventi un marchio forte e credibile. E che possa costituire un elemento importante nel curriculum di ogni detenuto che vi transiterà”. L’evento “Golose Evasioni” rappresenta anche “un modo per superare le invisibili barriere che separano il mondo esterno dal carcere”. “La sfida più importante è quella culturale – ha aggiunto il direttore dell’istituto perugino, Bernardina Di Mario – con la sua costante apertura al pubblico tale evento vuole essere un’opportunità di interfacciarsi con l’universo carcerario e riflettere sul senso della pena”.

Andrea Regimenti

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carcere

“Questa sera, si cena in carcere”. Sta tutta in un gioco di parole e in una provocazione, la nuova sfida del complesso penitenziario di Perugia che ha ospitato all’interno delle mura un vero e proprio ristorante in occasione della quinta edizione delle “Golose Evasioni”, cena evento promossa nell’ambito del corso di “Addetto alla cucina”, organizzato nel laboratorio del carcere di Capanne e previsto nell’ambito dell’avviso “Umbriattiva Giovani”, finanziato dalla Regione Umbria e gestito dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro. L’occasione è stata giovedì 9 maggio, quando i dieci detenuti under 30 del reparto penale dell’istituto perugino hanno allestito un vero e proprio ristorante per 240 commensali. Una “serata all’insegna del gusto e della convivialità – ha spiegato al Sir Luca Verdolini, responsabile dell’area giustizia di “Frontiera Lavoro” e coordinatore del progetto -, ma anche un modo per questi ragazzi di dimostrare le loro capacità”. La cena. Il corso ha previsto 255 ore di lezione e ha dato ai detenuti la possibilità di apprendere un mestiere sotto la guida di esperti chef che hanno trasmesso loro tutti i trucchi per diventare professionisti a 360 gradi, capaci di soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. Sono stati affiancati nella preparazione della cena dai “moschiettieri del Gusto” vale a dire gli chef Catia Ciofo, Antonella Pagoni, Cristiano Venturi ed Andrea Mastriforti, tutti nomi tra i più importanti del panorama ristorativo italiano. La cena, accompagnata dai musicisti di “UmbriaEnsemble”, ha avuto un “menu e una carta dei vini che non hanno nulla da invidiare ai locali più celebri di Perugia, passatelli con punte d’asparagi, datterino appassito, fusione di menta e guanciola di vitello brasato sono solo alcune delle specialità del menu che è stato attentamente valutato dallo chef stellato Giancarlo Polito e dal critico enogastronomico Leonardo Romanelli, ospiti d’onore della serata”. I camerieri in sala sono stati istruiti e guidati da un maître professionisti, Emilio Sabbatini, dalla lunga carriera nella ristorazione di alto livello, che ha affrontato questa nuova sfida con entusiasmo. “Qui si lavora con persone che hanno commesso degli errori e che stanno portando avanti un percorso di reinserimento, a cui bisogna insegnare tutto. Ma hanno molta umiltà e grande voglia di imparare”, ha detto a nome di tutti una delle docenti, la chef Catia Ciofo. Tutti i dettagli della serata sono stati curati con la massima attenzione. Tavoli eleganti, tovaglie raffinate, candele accese, piatti di porcellana, sottopiatti, bicchieri di vetro e posateria di alta qualità. E la cura per il dettaglio arriva fino al piatto.

Le testimonianze

Per Aldo, 28 anni, uno degli allievi, una delle soddisfazioni più grandi è “sapere che il cliente gradisce non solo il cibo, ma anche la preparazione”. Sotto la guida attenta degli chef, Aldo mette molta cura nell’impiattare il cibo, guarnirlo per bene con salse e intingoli: “Si mangia con tutti i cinque sensi, quindi anche con gli occhi”, spiega.  Per Aldo, Nour Eddine, Gianluca  e gli altri detenuti, il corso per “addetto alla cucina” rappresenta una straordinaria opportunità per imparare un mestiere. “Per non sprecare il tempo che dobbiamo passare qui”, riflette Aldo. Perché il lavoro rappresenta l’arma migliore per combattere la recidiva ed evitare che l’ex detenuto, una volta tornato in libertà, commetta nuovi reati. Ma imparare un mestiere spesso non basta. “Non è la magistratura a dare il fine pena ai detenuti, è la società – ha sottolineato Verdolini -. Perciò desideriamo che l’attività formativa di Frontiera Lavoro in carcere diventi un marchio forte e credibile. E che possa costituire un elemento importante nel curriculum di ogni detenuto che vi transiterà”. L’evento “Golose Evasioni” rappresenta anche “un modo per superare le invisibili barriere che separano il mondo esterno dal carcere”. “La sfida più importante è quella culturale – ha aggiunto il direttore dell’istituto perugino, Bernardina Di Mario – con la sua costante apertura al pubblico tale evento vuole essere un’opportunità di interfacciarsi con l’universo carcerario e riflettere sul senso della pena”.

Andrea Regimenti

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