Buon Pastore Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/buon-pastore/ Settimanale di informazione regionale Thu, 02 Dec 2021 16:43:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Buon Pastore Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/buon-pastore/ 32 32 Con Gesù siamo tutti pastori https://www.lavoce.it/con-gesu-siamo-tutti-pastori/ Wed, 13 Apr 2016 14:49:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45948 AltareBibbiaE’ la domenica del Buon Pastore. Nell’intero ciclo A, B e C la liturgia ci offre ampia presentazione di Gesù che si autodefinisce il Buon Pastore. Il brano di questo ciclo C è breve e va letto tenendo presente l’intero cap. 10 di Giovanni, ricollegandolo anche all’episodio della guarigione del cieco nato. Ci troviamo alla festa della dedicazione del Tempio. In aperta diatriba con i giudei, Gesù, dopo la guarigione del cieco (cacciato dai rappresentanti del popolo, accolto dalla “comunità messianica”), si autodefinisce prima Sorgente di acqua viva, poi Luce del mondo, e ora Porta dell’ovile e Pastore che conduce le pecore oltre il recinto dell’antica alleanza per costituire il nuovo gregge, il nuovo popolo di Dio. Anche la prima lettura, dagli Atti degli apostoli, ci presenta la novità tutta ecclesiologica dell’andare oltre i confini di Israele per una salvezza donata a tutti. Nel brano evangelico non abbiamo quindi un’immagine bucolica o romantica come siamo abituati a vedere, ma una realtà ecclesiale. Nonostante l’idea di “gregge” richiami oggi alla mente una realtà di massificazione e di anonimato, il brano ci offre tre verbi dinamici: ascoltare, conoscere, seguire, verbi che raccontano l’intimità di Dio con ogni persona, verbi che abbracciano con tenerezza la realtà umana.

Ascoltare. Gesù è il Verbo di Dio, è l’umanizzazione di Dio, è Dio che parla anche con un corpo, con gesti, con segni e con la sua stessa vita. Il nostro è un ascolto che ci plasma nella comunione con Dio: l’umanizzazione di Dio porta noi alla divinizzazione. Come il cieco nato, che, oltre al miracolo della vista, ha sperimentato il miracolo dell’accoglienza personale, così ognuno di noi: siamo chiamati per nome per ascoltare la sua voce e la sua parola di senso, capace di dirci chi siamo e a cosa siamo destinati. Infatti per noi, per me, è stata preparata la vita eterna, la comunione piena con il Padre, una felicità immensa, dove ci sarà né fame, né sete e mai ci saranno lacrime (Apoc 7,16); per me, anche solo per me, Lui è disposto a lasciare le altre 99 pecorelle per venirmi a cercare, se mi perdo tra i rovi e tra i sentieri impervi della vita, in quanto le sue pecore non andranno mai perdute e nessuna può essere rapita dalle sue mani. Questo rapporto intimo con il Buon Pastore, con il Risorto, è forte e non può essere messo in discussione o in crisi.

Ci conosce. Sa i nostri limiti, i nostri bisogni. Ci conosce come lo sposo conosce la sua sposa, niente di noi è nascosto. Il “conoscere” biblico coinvolge tutta la persona umana, indica legame profondo e fedele. Noi conosciamo il Buon Pastore perché lui per primo si è donato a noi, fino ad annientarsi, per far rivivere la nostra identità fatta a immagine e somiglianza di Dio, un’immagine sfigurata dai rovi del peccato. Gesù è il vero Sposo che conosce la sua sposa, la Chiesa, il gregge, noi.

E noi lo seguiamo. Ne abbiamo sperimentato l’amore, siamo stati colpiti da questo rapporto personale e profondo, una comunione sperimentata. Lui la guida, il faro, il compagno di viaggio nei nostri passaggi della vita, nella transumanza di ogni giorno. Lo seguiamo perché nella vita inseguiamo felicità e appagatezza, e sappiamo bene che la piena appagatezza è in Lui e in Dio Padre. La riflessione evangelica del Buon Pastore ci spinge solitamente a guardare ai nostri Pastori: Papa, vescovi, parroci. Non è improprio invece pensare anche a noi come pastori. Pastori e guida, alla luce della Parola, lo siamo di noi stessi, reciprocamente lo siamo nella coppia, accompagnandoci mano nella mano attraverso le realtà quotidiane vissute insieme, e lo siamo nei confronti dei figli e dell’intera famiglia, conducendola nel vivere la realtà comunionale nella società di oggi, che ha tutta l’idea di essere un “altro ovile sotto altri pastori”. Gesù era nel Tempio quando si è presentato a noi, nuovo gregge di Dio, come Pastore che si dona, e il tempio del sacramento delle nozze è la nostra unione, la nostra casa, la Chiesa domestica, piena dell’“odore” del nostro essere pecorelle, ora smarrite, ora ritrovate, ora sulle Sue spalle, sempre nel Suo cuore. Noi, Chiesa domestica, nel nostro tempio di tutti giorni a quale luce, a quale guida affidiamo le scelte, le fatiche, i litigi, i disagi, le ferite e anche le gioie? Che il Buon Pastore guidi la nostra Chiesa domestica e guidi noi a essere pastori buoni. Basterebbe un ascolto costante della sua voce per entrare nella sua conoscenza profonda e nella sequela di comunione.

]]>
Chiesa, madre dei risposati https://www.lavoce.it/chiesa-madre-dei-risposati/ Wed, 05 Aug 2015 14:26:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=41900 divorzio-torta-cadutaDopo la sospensione nel mese di luglio, Papa Francesco ha ripreso le udienze generali del mercoledì, riallacciandosi idealmente al filo interrotto a fine giugno. Tema, sempre la famiglia dunque; e prendendo subito di petto uno dei “temi caldi”, quello dei divorziati risposati.

Nelle nostre comunità – ha detto – è urgente sviluppare “un’accoglienza reale” verso le persone che, in seguito “all’irreversibile fallimento” del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una “nuova unione”. Dobbiamo esercitare un’attenzione particolare verso coloro che sono stati feriti “nel loro amore”: “È necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale. In effetti, queste persone non sono affatto scomunicate – non sono scomunicate! – e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa”.

Il Papa lo ripete anche in spagnolo, ribadendo che non si tratta affatto di scomunicati, “come alcuni pensano”, e invita a guardare “questi nuovi legami” con gli occhi dei figli piccoli, dei bambini: “È importante che lo stile della comunità, il suo linguaggio, i suoi atteggiamenti, siano sempre attenti alle persone, a partire dai piccoli. Loro sono quelli che soffrono di più in queste situazioni”.

Bergoglio perciò chiede a se stesso e a tutti: come raccomandare ai genitori di “educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata”, se poi teniamo i genitori stessi a distanza dalla vita della comunità, “come se fossero scomunicati? Si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare. Purtroppo il numero di questi bambini e ragazzi è davvero grande. È importante che essi sentano la Chiesa come madre attenta a tutti, sempre disposta all’ascolto e all’incontro”.

La Chiesa, ha sottolineato Francesco, in questi decenni “non è stata né insensibile né pigra”. Si sa che queste realtà contraddicono “il sacramento cristiano”, ma nella comunità cristiana “è molto cresciuta la consapevolezza” dell’accoglienza. “Di qui il ripetuto invito” dei suoi Predecessori “a manifestare apertamente e coerentemente la disponibilità della comunità ad accoglierli e a incoraggiarli, perché vivano e sviluppino sempre più la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, con la frequenza alla liturgia, con l’educazione cristiana dei figli, con la carità e il servizio ai poveri, con l’impegno per la giustizia e la pace”.

L’esortazione – partendo dalla Evangelii gaudium – è a ispirarsi all’icona biblica del Buon Pastore, alla luce della missione che Gesù ha ricevuto dal Padre: “Dare la vita per le pecore. Tale atteggiamento è un modello anche per la Chiesa, che accoglie i suoi figli come una madre che dona la sua vita per loro. ‘La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre’. Niente porte chiuse! Niente porte chiuse!”.

 

]]>
Religiosità sì, ma con la Parola https://www.lavoce.it/religiosita-si-ma-con-la-parola/ Wed, 22 Jul 2015 14:20:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39840 Papa Francesco in Paraguay visita Bañado Norte, quartiere povero di Asunción
Papa Francesco in Paraguay visita Bañado Norte, quartiere povero di Asunción

Ha commentato brevemente il Vangelo del giorno, Papa Francesco domenica all’Angelus, ma soprattutto ha commentato il suo recente viaggio in America Latina.

Dal brano evangelico di Matteo 6, 30-34, Bergoglio – come spesso gli accade – ha ripreso tre verbi: “vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore… Il primo e il secondo, vedere e avere compassione, sono sempre associati nell’atteggiamento di Gesù: infatti il suo sguardo non è lo sguardo di un sociologo o di un fotoreporter, perché egli guarda sempre con gli ‘occhi del cuore’. Questi due verbi configurano Gesù come Buon Pastore. Anche la sua compassione non è solamente un sentimento umano, ma è la commozione del Messia in cui si è fatta carne la tenerezza di Dio. E da questa compassione nasce il desiderio di Gesù di nutrire la folla con il pane della sua Parola, cioè di insegnare la Parola di Dio alla gente”.

Di qui l’aggancio all’attualità: “Ho chiesto al Signore che lo Spirito di Gesù, Buon Pastore, questo Spirito mi guidasse nel corso del viaggio apostolico che ho compiuto nei giorni scorsi in America Latina e che mi ha permesso di visitare l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Ringrazio Dio con tutto il cuore per questo dono! Ringrazio i popoli dei tre Paesi per la loro affettuosa e calorosa accoglienza ed entusiasmo… Con grande affetto ringrazio i miei fratelli Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate e tutte le popolazioni per il calore con cui hanno partecipato. Con questi fratelli e sorelle ho lodato il Signore per le meraviglie che ha operato nel popolo di Dio in cammino in quelle terre, per la fede che ha animato e anima la sua vita e la sua cultura. E lo abbiamo lodato anche per le bellezze naturali di cui ha arricchito questi Paesi”.

“Il Continente latinoamericano – ha proseguito – ha grandi potenzialità umane e spirituali, custodisce valori cristiani profondamente radicati, ma vive anche gravi problemi sociali ed economici. Per contribuire alla loro soluzione, la Chiesa è impegnata a mobilitare le forze spirituali e morali delle sue comunità, collaborando con tutte le componenti della società. Di fronte alle grandi sfide che l’annuncio del Vangelo deve affrontare, ho invitato ad attingere da Cristo Signore la grazia che salva e che dà forza all’impegno della testimonianza cristiana, a sviluppare la diffusione della Parola di Dio, affinché la spiccata religiosità di quelle popolazioni possa sempre essere testimonianza fedele del Vangelo.

Alla materna intercessione della Vergine Maria, che l’intera America Latina venera quale patrona con il titolo di Nostra Signora di Guadalupe, affido i frutti di questo indimenticabile viaggio apostolico”.

 

]]>
Doppia festa per un beato “papà” https://www.lavoce.it/doppia-festa-per-un-beato-papa/ Wed, 03 Jun 2015 12:38:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34542 1-festa-livieroRichiamando il Salmo 23, nella celebrazione della festa liturgica del beato Carlo Liviero, sabato 30 maggio, mons. Domenico Cancian ha delineato un’analogia tra il Buon Pastore e il vescovo beato, che fu come un “buon papà” per Città di Castello.

Mons. Liviero fu effettivamente il “padre” di tante opere di carità nella nostra diocesi; realizzò un cinema, una libreria cattolica e una tipografia, oltre a un settimanale diocesano. Tra le varie opere, però, spicca la fondazione delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore. Proprio attraverso di esse Carlo Liviero rivelò un altro aspetto del suo “essere padre”: con lo scoppio della Prima guerra mondiale ospitò gli orfani e i bambini più disagiati nella rinnovata struttura dell’“Orto della cera”.

Il vescovo Liviero divenne una figura di riferimento per questi ragazzini. Per trovare un appoggio in quest’opera di carità creò la congregazione delle Piccole Ancelle, fondata il 9 agosto 1915.

La celebrazione del 30 maggio quest’anno ha avuto così un carattere del tutto particolare: la ricorrenza della nascita e del battesimo del beato Liviero coincideva con l’apertura dei festeggiamenti per il centenario di fondazione delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore.

“Questo è il vostro primo secolo di storia – ha affermato mons. Cancian durante l’omelia, rivolgendosi alle religiose presenti -. Un secolo in cui, con umiltà, avete dedicato il vostro operare al servizio degli ultimi e dei più piccoli, continuando quello che è stato l’esempio del beato Liviero.

La consegna che lui ci ha lasciato, però, non è solo per le Piccole Ancelle, ma riguarda tutti noi cristiani. Il senso di questa celebrazione si trova proprio in questo invito che ci rivolge Gesù Cristo, di rimanere uniti nel suo amore e nel Vangelo: siamo chiamati a continuare e tradurre nel mondo questa testimonianza di amore che ci proviene da Gesù”.

Oggi come 100 anni fa, le Piccole Ancelle continuano la loro opera rivolta alle persone più piccole e povere del mondo. A oggi sono presenti in 34 case sparse tra Italia, Albania, Ecuador, Kenya, Svizzera e Uganda. L’istituto – che conta 220 religiose – risulta quindi ancora oggi particolarmente vivo e attivo.

2-festa-livieroUn esempio della sua vivacità è la novità riguardante l’ingresso nella congregazione di un nutrito numero di laici. Da anni, infatti, un centinaio di laici affiancano le religiose nelle loro attività, seguendone carisma e spiritualità. Questo gruppo sarà riconosciuto in via ufficiale dalla Chiesa, e aggregato all’istituto, nella celebrazione prevista nella cattedrale tifernate il prossimo 9 agosto.

Le celebrazioni

Dopo il concerto dello scorso 29 maggio e la celebrazione per la memoria liturgica del beato Carlo Liviero, i festeggiamenti legati al centenario delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore continueranno durante tutto l’anno. Momento culminante sarà sicuramente il convegno – cui parteciperà la teologa Antonietta Potente – presso la casa dell’“Alpe di Poti”, sul tema “Elementi biblico-teologici della Misericordia” il prossimo 8 agosto. Il giorno seguente, la messa in cattedrale a Città di Castello. A ricordare il centenario dalla professione delle prime 5 Piccole Ancelle del Sacro Cuore sarà nel duomo tifernate una celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, card. Gualtiero Bassetti.

 

]]>
Il Pastore premuroso https://www.lavoce.it/il-pastore-premuroso/ Thu, 30 Apr 2015 11:00:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32370 buon-pastoreLa quarta domenica di Pasqua, il 26 aprile, era quella detta “domenica del Buon Pastore”. Essa – ha affermato Papa Francesco all’Angelus – “ogni anno ci invita a riscoprire, con stupore sempre nuovo, questa definizione che Gesù ha dato di se stesso, rileggendola alla luce della sua passione, morte e risurrezione”.

“Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,11). “Queste parole – ha aggiunto il Vescovo di Roma – si sono realizzate pienamente quando Cristo, obbedendo liberamente alla volontà del Padre, si è immolato sulla croce. Allora diventa completamente chiaro che cosa significa che egli è il buon pastore: dà la vita, ha offerto la sua vita in sacrificio per tutti noi: per te, per te, per te, per me, per tutti! E per questo è il Buon Pastore.

Cristo è il pastore vero, che realizza il modello più alto di amore per il gregge: egli dispone liberamente della propria vita, nessuno gliela toglie (cfr v. 18), ma la dona a favore delle pecore (v. 17). In aperta opposizione ai falsi pastori, Gesù si presenta come il vero e unico pastore del popolo. Il cattivo pastore pensa a se stesso e sfrutta le pecore; il pastore buono pensa alle pecore e dona se stesso.

A differenza del mercenario, Cristo pastore è una guida premurosa che partecipa alla vita del suo gregge; non ricerca altro interesse, non ha altra ambizione che quella di guidare, nutrire e proteggere le sue pecore. E tutto questo al prezzo più alto, quello del sacrificio della propria vita”.

“Nella figura di Gesù, pastore buono – ha proseguito il Papa -, noi contempliamo la provvidenza di Dio, la Sua sollecitudine paterna per ciascuno di noi. Non ci lascia da soli! La conseguenza di questa contemplazione di Gesù pastore vero e buono è l’esclamazione di commosso stupore che troviamo nella seconda lettura dell’odierna liturgia: ‘Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre…’ (1Gv 3,1).

È davvero un amore sorprendente e misterioso perché, donandoci Gesù come pastore che dà la vita per noi, il Padre ci ha dato tutto ciò che di più grande e prezioso poteva darci. È l’amore più alto e più puro, perché non è motivato da alcuna necessità, non è condizionato da alcun calcolo, non è attratto da alcun interessato desiderio di scambio. Di fronte a questo amore di Dio, noi sperimentiamo una gioia immensa e ci apriamo alla riconoscenza per quanto abbiamo ricevuto gratuitamente.

Ma contemplare e ringraziare non basta. Occorre anche seguire il Buon Pastore. In particolare, quanti hanno la missione di guide nella Chiesa – sacerdoti, vescovi, Papi – sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del Servo, a imitazione di Gesù che, spogliando se stesso, ci ha salvati con la sua misericordia. A questo stile di vita pastorale, di buon pastore, sono chiamati anche i nuovi sacerdoti della diocesi di Roma che ho avuto la gioia di ordinare questa mattina nella basilica di San Pietro”.

]]>
Il dono totale della vita https://www.lavoce.it/il-dono-totale-della-vita/ Thu, 30 Apr 2015 10:29:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32354 Un momento della festa a Bolsena (foto di Lamberto Manni)
Un momento della festa a Bolsena (foto di Lamberto Manni)

È stata una giornata importante quella del 25 aprile a Bolsena, in cui sono state celebrate, contemporaneamente – come già lo scorso anno a Orvieto in occasione del Giubileo straordinario – due feste diocesane: quella della famiglia e quella dei bambini che in questo anno riceveranno la prima comunione, organizzate dagli uffici di Pastorale familiare, giovanile e vocazionale, dall’Azione cattolica e con la presenza di tanti ragazzi della diocesi come volontari.

I bambini, circa 260, si sono incontrati alle ore 9.30 e, dopo l’iscrizione e la formazione delle squadre, sono stati subito coinvolti in canti e bans; poi hanno svolto delle attività, attraverso il gioco e piccole catechesi, riflettendo sui diversi significati della parola “eucarestia”, come sacrificio, dono e pane di vita eterna. Gli adulti invece, alle ore 11, hanno preso parte a un incontro con la giornalista e scrittrice originaria di Perugia, Costanza Miriano, autrice, tra gli altri, del famoso libro Sposati e sii sottomessa  che ha trattato il tema “La comunione nella famiglia, propedeutica alla comunione con Dio” (vedi sotto).

Dopo l’intervento della giornalista, una giovane coppia di Foligno ha offerto la propria testimonianza di sposi che, non avendo ancora avuto il dono dei figli, hanno deciso di rendersi disponibili per l’esperienza dell’affido. Dopo il pranzo, nella piazza antistante la basilica di S. Cristina o in riva al lago, per i grandi tempo libero e preparativi per la celebrazione eucaristica, mentre ai ragazzi è stata proposta una divertente caccia al tesoro, organizzata dai bravi e pazienti animatori. Alle 16.30, poi, per tutti, in basilica c’è stata la visita alla tomba di santa Cristina e all’altare del Miracolo e, a seguire, la messa presieduta dal vescovo Benedetto Tuzia, concelebrata da molti sacerdoti, animata e curata dai genitori, in cui sono stati eseguiti canti coinvolgenti dalla band della Pastorale giovanile e dagli stessi genitori. Mons. Tuzia, nell’omelia, con riferimento alle letture della domenica dedicate al Buon Pastore, ha detto che Gesù conosce tutto di noi, le cose belle e i problemi, e ci aiuta, sostiene e custodisce. Si è soffermato, poi, sull’immagine dei lupi che rappresentano i momenti difficili; Gesù, però, è sempre al nostro fianco, mette la sua vita al servizio della nostra. Ecco perché nell’eucaristia ci fa dono totale della sua vita. E così anche noi, nutrendoci di Lui, siamo in grado di mettere la nostra vita al servizio degli altri.

 

Costanza Miriano e la fatica di essere sposi cristiani 

Da sinistra: don Marcello Sargeni, Costanza Miriano e Benedetto Tuzia
Da sinistra: don Marcello Sargeni, Costanza Miriano e Benedetto Tuzia

Con grande attenzione gli adulti che gremivano il teatro San Francesco a Bolsena hanno ascoltato le parole di Costanza Miriano. Sposa da 17 anni e madre di quattro figli, la giornalista ha esordito dicendo che quasi sempre si parla della bellezza della famiglia, e invece ciò di cui dobbiamo parlare è la fatica degli sposi nel cammino di accoglienza reciproca. Fatica che vale la pena sostenere, perché “il matrimonio è la prima missione, e perché per uno sposo cristiano non c’è altro modo di amare Dio se non quello di amare la propria moglie o il proprio marito”.

Portando soprattutto la sua significativa testimonianza, si è soffermata sui principali fattori che determinano questa fatica, in primis la grande diversità tra uomo e donna. In riferimento alla donna ha parlato di genio femminile, di “voragine” che Dio le ha dato per accogliere (pensiamo ai figli), del suo conservare l’intuizione per aiutare la vita quando è più debole, del suo fare da specchio, far alzare lo sguardo all’uomo, chiamarlo alla spiritualità. Un talento, insomma, che però vive sempre – a causa del peccato originale – sul filo del rischio di essere manipolatore delle persone, per il loro bene o per ciò che si crede il loro bene, perché si vorrebbe cambiarle, migliorarle. L’uomo, dal suo canto, è più aderente alla realtà, meno empatico, si lascia commuovere di meno perché più capace di guardare la realtà oggettiva ed è più capace di dire no. Aspetti molto importanti, ad esempio, nell’educazione dei figli, ma che includono per lui il rischio di “non morire totalmente, di tenere un po’ di vita per sé”. Modi diversi, insomma, di vedere e affrontare le cose. C’è un problema? L’uomo cerca la soluzione, la donna si lamenta! E linguaggi diversi: quello dell’uomo molto aderente alla realtà, quello della donna che rimanda sempre a qualcos’altro e nel quale contano non solo le parole ma anche i pensieri, le allusioni, gli sguardi.

Da tutto ciò l’esortazione all’ascolto, alla capacità di dedicarsi tempo, momenti di qualità e attenzioni reciproche, per crescere nell’accoglienza, nella complementarietà, nell’amore che non manipola e che è pronto a donare la vita, nella consapevolezza che – come sottolineato dalla Miriano come aspetto fondamentale – sulla terra “il desiderio di essere illimitatamente amati si scontra con le nostre limitatezze. L’unico matrimonio che abbia la speranza di dire ‘per sempre’ è quello cristiano, ove c’è Cristo, l’Unico capace di rispondere a tutte le nostre attese”.

 

]]>
Chiamati dal Buon Pastore https://www.lavoce.it/chiamati-dal-buon-pastore/ Wed, 22 Apr 2015 10:06:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31653 In questo Vangelo del periodo post-pasquale, Gesù, ricorrendo a una metafora densa di significati, molto usata nell’Antico Testamento, mostra la natura del legame radicalmente nuovo che Dio – attraverso di lui – instaura con gli uomini di ogni tempo, aprendo una altrettanto radicale relazione tra loro, che frutta una vita di comunione, come “di famiglia”, dove ciascuno può sentirsi amato personalmente.

La metafora del pastore e delle pecore è, per i tempi di Gesù molto eloquente. Bisogna ammettere che oggi la nostra cultura ostacola la comprensione di questa metafora, rendendo difficile la comunicazione della ricchezza dei significati che Gesù vuole trasmettere. Forse nelle comunità ecclesiali più vive e in quelle nate dai carismi, se ben radicate nella Chiesa, si può cogliere il senso di questo legame nuovo che il Risorto stabilisce con la famiglia umana donandole la fraternità in Dio Padre. Con le sue manifestazioni da risorto, Gesù aveva eliminato la categoria del Dio lontano e inaccessibile, della necessità del mediatore, dei sacrifici propiziatori, per stabilire un rapporto vitale, diretto, intimo e personale con ogni uomo.

Ora, con questo Vangelo, la Chiesa torna a sottolineare ed evidenziare l’avvento della sconvolgente novità donataci da Gesù risorto: la possibilità di accedere – ciascuno, e insieme – a una intima, reale, gioiosa unione con Lui, ricevendo un’identità nuova nella sua unicità e diversità. Il pastore conosce le pecore una a una, le ama una a una nelle loro differenze, ma ne garantisce la coesione, il vivere insieme. Questo fa Gesù dopo la risurrezione, edificando la Chiesa. Siamo chiamati da Dio con il nostro vero nome, così come solo Dio può chiamarci, con la voce unica del Dio innamorato, amante della creatura. Le pecore possono ascoltare la Sua voce perché Egli le chiama per nome. Una sconvolgente notizia per l’uomo di oggi, che come persona si sente sempre più avvilito e frustrato dall’individualismo, dalla solitudine, dalla violenza, dalla brutalità della vita, dallo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi, dal clima di anonimato tipico della nostra civiltà, che lo rende “numero”, dalla manipolazione politica dell’opinione pubblica a scopo di potere… L’uomo solo, contro tutti e tutto, abbandonato (per usare l’immagine biblica di questa domenica) come pecora senza pastore, può, se raggiunto efficacemente dalla presenza viva e toccante del Risorto, uscire dalla condizione in cui si trova.

Gesù Pastore instaura rapporti personali con ciascuno di noi, rapporti d’amore, d’affetto, rapporti dove non è possibile naufragare nell’anonimato. Egli ci conosce, noi lo conosciamo. Lo sentiamo vicino in ogni istante della nostra vita, interessato con amore alla nostra avventura umana. Noi siamo le pecore malate, stanche, abbandonate, oggetto per sempre della sua promessa e della sua beatitudine: “Non andranno mai perdute”. Per loro, Cristo è disposto a dare la vita.

Ci piace ricordare quanto affermava san Giovanni Paolo II citando questa parabola: “Voi genitori dovete esercitare le funzioni del Buon Pastore verso i vostri figli, e anche voi, figli, dovete essere di edificazione con il vostro amore, la vostra obbedienza, e soprattutto con la vostra fede coraggiosa e coerente. Anche le reciproche relazioni tra i coniugi devono essere improntate all’esempio del Buon Pastore, affinché sempre la vita familiare sia a quell’altezza di sentimenti e di ideali voluti dal Creatore, per cui la famiglia è stata definita ‘Chiesa domestica’. Così pure nella scuola, sul lavoro, nei luoghi del gioco e del tempo libero, negli ospedali e dove si soffre, sempre ognuno cerchi di essere Buon Pastore come Gesù”.

Ma Gesù non si ferma alla similitudine del pastore, parla del suo rapporto col Padre per spiegare il suo legame con gli uomini. Perché è per amore del Padre che dà la vita per gli uomini, e rende possibile tra essi un amore che ha la sua stessa natura. La cifra dei nostri rapporti in lui diviene quella del suo rapporto d’amore col Padre. Questa la straordinaria conseguenza della Pasqua. Una nuova realtà prende corpo pienamente dopo la Risurrezione, ed è per questo che la Chiesa ci offre questi passi del Vangelo. La reciprocità tra lui e Dio Padre è estesa al suo legame con gli uomini e a quello tra gli uomini, che così viene “ri-creato” sulla base dell’amore reciproco. Nelle parole di Gesù riferite nel brano di Giovanni ai vv. 14 e 15 è affermata l’analogia tra l’intimità di Cristo con i suoi fedeli e l’intimità del Figlio con il Padre.

 

]]>
Presbiteri e religiosi nel segno della fraternità https://www.lavoce.it/presbiteri-e-religiosi-nel-segno-della-fraternita/ Fri, 05 Dec 2014 11:25:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29310 piemonteseQuesto inizio dell’anno liturgico giunge arricchito da due proposte, direi da due doni, offerti in modo particolare ai presbiteri delle nostre Chiese d’Italia; doni che ne orientano il percorso di vita in maniera concreta. Parliamo innanzitutto della lettera-messaggio inviata dai Vescovi italiani a ogni sacerdote delle nostre diocesi, al termine della 67a assemblea della Cei, dedicata prevalentemente alla vita e alla formazione permanente del clero. L’altro grande dono riguarda l’Anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco. Esso va dalla prima domenica di Avvento 2014 al 2 febbraio 2016 e ha per titolo “La vita consacrata nella Chiesa oggi. Vangelo – Profezia – Speranza”. Nei primi cinque mesi di ministero episcopale nella diocesi di Terni-Narni-Amelia ho toccato con mano e con meraviglia quanto impegnativa e faticosa sia la giornata dei sacerdoti, specie nelle parrocchie più popolate, dove il prete è “divorato” quotidianamente da esigenze di evangelizzazione, di carità, e da incombenze burocratiche e amministrative. Ho ammirato confratelli che insieme alle loro comunità parrocchiali pregano, lavorano, esercitano la presidenza e l’accompagnamento. “L’amore di Cristo per noi, e di noi per il Signore e la sua Chiesa, è il principio della nostra vocazione e ci riempie di trepidazione nel nostro ministero” (Lettera dei Vescovi ai presbiteri). Ho visto anche tanti confratelli che vivono soli, spesso affetti da individualismo pastorale: anch’essi si sfiancano per il lavoro, ma a volte non gettano le reti secondo il suggerimento del Maestro. Di fronte alle sfide del mondo d’oggi i Vescovi sono convinti che “insieme dobbiamo prenderci cura del ministero del prete perché le fatiche e le prove non spengano la gioia, non stanchino lo slancio missionario, non offuschino la lucidità del discernimento, non impediscano l’intensità della preghiera e la disponibilità all’incontro con le persone”. Quell’insieme è la chiave di volta, il metodo, lo stile del rinnovamento della vita e della formazione dei ministri ordinati.

san-francesco-protomartiriUna parola che dice comunione, sintonia, condivisione, comunità, fraternità, presbiterio. È stato ribadito che il presbiterio è la “famiglia” dei presbiteri: è lì che essi crescono nella fede e nell’amore per il Signore, si formano, respingono la solitudine, ritrovano il calore di fratelli che si sostengono vicendevolmente. E il presbiterio si ritrova attorno al vescovo, padre e fratello dei singoli e di tutti. La formazione permanente o continua è innanzitutto rinnovamento nella fede e riforma della propria vita; è esercizio di comunione con i confratelli sacerdoti – con il presbiterio, appunto. La formazione permanente è rimodulazione delle motivazioni vocazionali del proprio sacerdozio, ritorno allo slancio del primo amore, forse appannato; affidamento a Cristo sposo, fratello, buon pastore. La formazione permanente di quanti pure sono chiamati “padri” è riconoscere di avere un Padre e di essere amati da Lui, ma è anche scoperta del posto che si ha nel cuore del vescovo, pure lui padre e fratello dei sacerdoti.

Accanto – o meglio insieme – alla fraternità sacerdotale batte il cuore della vita consacrata, quale signum fraternitatis presente nelle Chiese particolari, che deve porsi in dialogo esistenziale con i sacerdoti e con tutto il presbiterio, per uno scambio di doni nell’edificazione della specifica fraternità sacerdotale, non solo in funzione ministeriale, ma testimoniale, nella scia della comunità apostolica radunata attorno a Gesù. Francesco d’Assisi chiede ai suoi frati molto di più: “Francesco voleva che i suoi figli vivessero in pace con tutti (cfr. Rm 12,18), e verso tutti senza eccezione si mostrassero piccoli. Ma insegnò con le parole e con l’esempio a essere particolarmente umili con i sacerdoti secolari. ‘Noi – ripeteva – siamo stati mandati in aiuto del clero per la salvezza delle anime (1Pt 1,9), in modo da supplire le loro deficienze. Ognuno riceverà la mercede (1Cor 3,8) non secondo l’autorità, ma secondo il lavoro svolto. Sappiate – continuava – che il bene delle anime è graditissimo al Signore, e ciò si può raggiungere meglio se si è in pace che in discordia con il clero. Se sarete figli della pace (Lc 10,6), guadagnerete al Signore clero e popolo. Questo è più gradito a Dio che guadagnare solo la gente, con scandalo del clero’”. E concludeva: “Coprite i loro falli, supplite i vari difetti, e quando avrete fatto questo, siate più umili ancora”. (FF, 730). All’inizio dell’Avvento, che tutti possano essere raggiunti dal dono della gioia, filigrana di questo tempo liturgico, ma anche dell’anno della vita consacrata: rallegratevi!

]]>
Il motto episcopale di don Nazzareno https://www.lavoce.it/il-motto-episcopale-di-don-nazzareno/ Fri, 04 Jul 2014 13:55:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25960 icona_amicizia-2-cmyk“Concedi al tuo servo un cuore docile”

(1Re 3,9) è il motto episcopale che mons. Nazzareno Marconi (da poco nominato vescovo di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia) – il nostro don Nazzareno – ha molto opportunamente scelto. È la preghiera del giovane re Salomone che si definisce un ragazzo senza esperienza di governo. Dinanzi all’invito del Signore: “Chiedimi ciò che vuoi ch’io ti conceda” (3,5), non cerca la ricchezza o la gloria (magari come il padre David), ma semplicemente “un cuore docile”. Si intende: nei confronti del Signore, per fare quello che Lui vuole.

Don Nazzareno, giustamente, rileva che il testo originale parla di “cuore in ascolto”, un cuore che si mette in ascolto obbediente sia di Dio sia del popolo. Il Signore stesso fa capire a Salomone che questo è il dono del “discernimento nel giudicare; un cuore saggio e intelligente”. Interessante l’espressione “cuore saggio” perché in questo modo l’amore obbediente al Signore e agli uomini è collegato alla sapienza. Così il cuore docile è il cuore sapiente.

La capacità di porsi nell’atteggiamento di ascolto obbediente di Dio e di amorevole attenzione e cura delle persone, specialmente di quelle che sono nella sofferenza, è certamente la qualità principale del buon/bel pastore Gesù e di quelli che sono chiamati a continuare la sua missione. Ma è anche qualità principale di ogni discepolo, che “ogni mattina fa attento il suo orecchio per ascoltare” il Signore (cf. Is 50,4). Il discepolo ideale è quello che può dire come il Servo di JHWH: “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (50,5).

In questa direzione ci porta una bellissima icona intitolata “Cristo e l’abate Mena. L’icona dell’amicizia”. La voglio descrivere perché mi è piaciuta molto. Risale al VII secolo d.C. e proviene dalla Chiesa copta. Raffigura Gesù che accompagna san Mena, abate del monastero di Alessandria. Chi contempla è invitato a mettersi al posto di san Mena. Gesù appoggia la mano destra sulla spalla dell’amico per condividere fraternamente la sofferenza e per incoraggiare. La spalla è simbolo delle nostre fatiche; la mano del Cristo consola, conforta e sostiene. Il tocco di Cristo imprime al braccio destro dell’amico la forza di portare a tutti la benedizione del Signore agli uomini bisognosi di conforto. Gesù ha due occhi molto grandi: guarda l’amico invitando a procedere nella sua direzione. Anche l’amico, quasi in modo strabico, tiene un occhio rivolto a Gesù e l’altro sulla strada indicata da Lui. L’amico ha due orecchie molto grandi: esprimono l’importanza dell’ascolto della Parola. La bocca molto piccola dice l’esigenza del silenzio e della sobrietà. Gesù sostiene un grosso libro decorato e prezioso: è Lui che apre i sigilli delle sacre Scritture. L’amico tiene in mano un piccolo rotolo nel quale annota le parole di Gesù per imparare ad assimilarle. Gesù non ha piedi: cammina con i piedi dell’amico. Il discepolo riflette la luce del Maestro (le aureole infatti si richiamano) e continua la missione dell’evangelizzazione e della carità portata da Gesù.

Auguriamo a don Nazzareno, ma anche a ognuno di noi, la grazia di diventare sempre più “amici di Gesù” o anche “amici dello Sposo” (cf Gv 3,29), pronti per la missione che ci affida. In sua compagnia i problemi, le difficoltà e le sofferenze possiamo portarli “pazientemente, e forse anche gioiosamente” (Tommaso Moro).

]]>
Il Vescovo Cancian riflette sul rapporto tra “Amore misericordioso e sacerdozio” https://www.lavoce.it/il-vescovo-cancian-riflette-sul-rapporto-tra-amore-misericordioso-e-sacerdozio/ Fri, 20 Jun 2014 13:56:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25691 clero umbro a CollevalenzaIl 12 giugno presso il santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza ha avuto luogo la tradizionale Giornata annuale di santificazione presbiterale promossa dalla Conferenza episcopale umbra e dalla famiglia religiosa delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso.

Questa Giornata – che ha una lunga storia a livello regionale e non solo – quest’anno è stata celebrata all’indomani della beatificazione di Madre Speranza, che ha speso la sua vita per i sacerdoti. In modo profetico aveva intuito che il cuore del Vangelo è l’Amore misericordioso, e che i sacerdoti ne sono i primi destinatari e testimoni.

Alle 9.30, con la partecipazione di oltre 350 sacerdoti e vescovi dell’Umbria, il card. Gualtiero Bassetti ha presieduto la preghiera dell’ora media e ha successivamente introdotto mons. Domenico Cancian, vescovo di Città di Castello, per una relazione di approfondimento sul tema “Amore misericordioso e sacerdozio” (clicca qui per scaricare il testo). Mons. Cancian a livello teologico e spirituale ha verificato la correlazione Amore misericordioso / sacerdozio, e in particolare ha osservato come l’intera rivelazione mette in primo piano l’amore misericordioso del Padre che, nel Figlio, per opera dello Spirito, attua la creazione, la redenzione e la santificazione del mondo.

La storia della salvezza è storia di misericordia che prevale sulla miseria umana, vincendo il male con il bene (amore) più grande. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). “Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per essere misericordioso verso tutti!” (Rm 11,32). Dunque, “chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35).

Il relatore ha poi ricordato come la riflessione post-conciliare sull’identità e la spiritualità del sacerdote abbia trovato nell’esortazione apostolica Pastores dabo vobis (1992) una significativa puntualizzazione incentrata nella carità pastorale. La carità pastorale, rinviando all’amore di Cristo buon pastore, comprende le tre dimensioni del presbitero che possiamo riassumere nei tre imperativi del Maestro: “rimanete nel mio amore” (Gv 15,9); “come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34); “andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).

La solenne concelebrazione presieduta dal card. Gualtiero Bassetti ha avuto inizio alle 12. L’animazione liturgica è stata curata dal coro della basilica dell’Amore Misericordioso.

All’omelia il Cardinale ha detto: “Nel nostro animo vibrano ancora sentimenti di profonda commozione, che ci hanno accompagnato lo scorso 31 maggio in occasione della solenne cerimonia. Ringraziamo Dio per averci donato Madre Speranza, che ha speso l’intera sua vita per far conoscere al mondo la vera immagine del Signore: il volto misericordioso del Padre, il volto sereno di Gesù crocifisso che non smette di invocare perdono per tutti gli uomini”.

]]>
A Collevalenza la Beatificazione di Madre Speranza, apostola del Vangelo della misericordia https://www.lavoce.it/a-collevalenza-la-beatificazione-di-madre-speranza-apostola-del-vangelo-della-misericordia/ Fri, 30 May 2014 19:29:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25215 madre-speranza-cmykIn vista della beatificazione di Madre Speranza, abbiamo intervistato mons. Domenico Cancian, Figlio dell’Amore Misericordioso e vescovo di Città di Castello

Chi è per lei Madre Speranza?

“Madre Speranza era una donna innamorata di Gesù Amore Misericordioso. Lo chiamava Jesùs mio. Aveva chiesto all’infinito che la sua mente e il suo cuore fossero ‘fissi in Lui’, e un bel giorno si era sentita dire dallo Sposo: ‘Speranza, ora sono pienamente nel tuo cuore e nella tua vita’. Da questo profondo coinvolgimento affettivo con Gesù (attraverso infiniti incontri ‘a tu per tu’ con Lui), lei ha capito e testimoniato l’Amore e la Misericordia con una infinità di opere. Tante volte ha ripetuto: ‘Il Signore mi ha detto… e io ho cercato di fare la Sua volontà, anche quando non lo capivo, anche quando soffrivo’. Un’attività impressionante la sua: la nascita di una nuova famiglia religiosa fa pensare al dinamismo di santa Teresa di Avila; per la testimonianza di Gesù Amore Misericordioso si avvicina a santa Faustina Kowalska; per la sua grande accoglienza dei poveri è paragonabile alla beata Teresa di Calcutta. Il Signore si è servito di lei anche a livello sociale e politico attraverso incontri e bilocazioni che hanno segnato momenti storici, ancora poco noti”.

Lei per molti anni è vissuto accanto a una santa. Qual è stata la sua esperienza?

“Ho avuto la grazia di conoscere bene Madre Speranza: sono stato vicino a lei per circa 25 anni. La sua testimonianza mi ha segnato dal punto di vista umano e religioso. Donna umile e coraggiosa, aveva avuto dal Signore grandi doni: estasi, conoscenza di situazioni personali che umanamente non poteva sapere, bilocazioni, stigmate, sofferenze di ogni genere. Nonostante ciò, era una donna molto semplice, ‘con i piedi per terra’, capace di operare in ogni situazione: cucina, cantiere di lavoro, organizzazione di costruzioni e laboratori, formazione umana e spirituale, accoglienza a tutto campo dei poveri, pellegrini, sacerdoti. Noi ragazzi negli anni ’60-80 ce la trovavamo in modo discreto e materno in cappella, in refettorio, alle feste. Come una mamma dolce, attenta, esigente, incoraggiante, ci dava i suoi suggerimenti e ci raccontava qualche sua esperienza, a volte in modo anche umoristico e divertente”.

La gente si sofferma sui fatti straordinari. Qual è secondo lei il nocciolo del suo messaggio?

“La Madre aveva ricevuto – come detto – tanti doni straordinari, ma era riservatissima e non voleva nel modo più assoluto che l’attenzione andasse alla sua persona. Si riteneva semplicemente ‘ancella-schiava dell’Amore misericordioso’, uno strumento nelle mani del Signore: una scopa, un flauto, uno straccio, un fazzoletto che raccoglie le lacrime, l’asina di Balaam… La sua spiritualità si incentra su tre parole: Dio Amore Misericordioso. Sviluppando ‘una fede viva, una ferma speranza e una carità ardente’ (come dice lei stessa nel Testamento), Madre Speranza testimonia il Vangelo del Padre misericordioso, del buon samaritano, di Gesù che accoglie e perdona con viscere di materna tenerezza. Lo chiama el buen Jesùs, el bondadoso Padre che perdona, dimentica e non conta le miserie umane, anzi moltiplica il Suo amore a mano a mano che l’uomo si allontana da Lui. Come buon pastore, ‘insegue’ la pecora perduta finché non la trova, perché non vuole far festa senza averla con sé. Sembra ‘perdere la testa’ nell’andare incontro e abbracciare l’uomo più perduto. L’icona dell’Amore Misericordioso è Gesù crocifisso che continua a pregare in nostro favore: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’ (Lc 23,34) e al peccatore assicura: ‘In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso’ (Lc 23,43). Questo è il messaggio centrale del Vangelo che Madre Speranza ha rilanciato nel nostro tempo”.

Madre Speranza è donna. Perché le donne hanno questo intuito nella conoscenza di Dio?

“Un tratto della psicologia femminile è la capacità affettiva-relazionale, l’accoglienza, la donazione della sposa e della madre. La Bibbia evidenzia nel termine rahamin le ‘viscere della misericordia’ che fanno riferimento al grembo materno. La paternità di Dio comprende la tenerezza materna (cf. Is 49,15; Lc 1,78). L’evangelista Giovanni afferma che il Figlio unigenito ‘è nel seno del Padre’ (Gv 1,18). D’altro canto, negli ultimi decenni abbiamo avuto donne che hanno testimoniato la bellezza evangelica della misericordia: santa Teresa di Lisieux, santa Faustina Kowalska, la beata Teresa di Calcutta… e la beata Speranza. Ma nella storia della Chiesa tante sante hanno messo in evidenza questo amore misericordioso, che trova la massima espressione in Maria. Si pensi a santa Caterina da Siena, santa Margherita Alacoque, santa Angela Merici… La Chiesa non può non essere madre”.

La Misericordia può dare l’idea di un lassismo spirituale. Come la intendeva la beata Madre Speranza?

“La misericordia ben intesa ci fa superare la rigidità legalistica e il moralismo, ma senza portare al ‘buonismo’, al disimpegno o al lassismo. Anzi, al contrario, la misericordia costituisce la provocazione più forte alla conversione spirituale, morale ed esistenziale, perché tocca il cuore e coinvolge tutta la persona in modo affettivo. La riprova è nelle conversioni evangeliche: Matteo, Zaccheo, la Maddalena, il buon ladrone ci parlano di un cambiamento radicale della vita avvenuto nell’esperienza dell’accoglienza misericordiosa e del perdono offerto gratuitamente da Gesù. È la stessa esperienza di Papa Bergoglio, che pone nel suo stemma le parole Miserando atque eligendo, e proprio nell’esperienza del perdono ha sentito la chiamata della donazione totale al Signore. Per questo non si stanca di raccomandare ai sacerdoti confessori la misericordia. Decenni prima, Madre Speranza lo chiedeva ai Figli dell’Amore misericordioso. Lei vedeva sempre l’Amore misericordioso nel crocifisso. Diceva: ‘Basta uno sguardo a Lui per capire cos’è l’amore’. In questo modo si è coinvolti in un amore appassionato. Altro che lassismo!”.

San Giovanni Paolo II, santa Faustina Kowalska, la beata Madre Speranza, ora Papa Francesco: ci attende un terzo millennio all’insegna della Misericordia?

“Sono convinto che il terzo millennio riscoprirà la bellezza della misericordia. Dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco si può vedere come questo tema stia diventando sempre più centrale nella nuova evangelizzazione. San Giovanni Paolo II lo ha evidenziato in modo teologico nell’enciclica Dives in misericordia (1980) e in tanti altri interventi magisteriali (pensiamo all’esperienza del Giubileo del 2000 e alla canonizzazione di santa Faustina Kowalska). Ma il tema è stato ripreso da Papa Benedetto e ancor più da Papa Francesco. Se, come sostiene il card. Kasper, la misericordia è ‘il concetto fondamentale del Vangelo e la chiave della vita cristiana’ è evidente che la nuova evangelizzazione deve mettere al centro l’Amore e la Misericordia. Secondo Kasper, tutta la teologia e la pastorale vanno ripensate e riproposte in questa luce. Madre Speranza ripeteva: se gli uomini conoscessero quanto è buono il Signore, sarebbero tutti santi. Ecco la missione della Chiesa: accostare gli uomini alla misericordia evangelica”.

Cosa un cristiano deve imitare di Madre Speranza?

“Madre Speranza spinge tutti a una grande fiducia nell’amore misericordioso del Signore: è il ‘principio speranza’. Invita a imparare sempre più a ricevere e donare misericordia, perdono, aiuto alle persone che incontriamo. Ci consiglia di vivere ogni momento tenendo fisso lo sguardo sul Crocifisso e facendo, come Lui, tutto per amore. In estrema sintesi, ci ricorda che la santità cristiana consiste nell’amare come Gesù ci ama, in modo generoso e gratuito, paziente e coraggioso, senza limiti. Il nome ‘Madre Speranza’ ci dice che l’amore misericordioso del Signore cerca la possibilità di incarnarsi – in certo qual modo – nelle viscere paterne e materne di ogni uomo, facendo fiorire e fruttificare il Vangelo dell’amore e della misericordia in tempi piuttosto aridi come i nostri”.

]]>
Amati e chiamati a “uscire” https://www.lavoce.it/commento-al-vangelo-17/ Fri, 09 May 2014 12:21:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24767 La Parola di questa domenica ci offre un brano che temporalmente si colloca durante la missione di Gesù, e che oggi siamo chiamati ad ascoltare con orecchie e cuore resi nuovi dall’esperienza viva della Risurrezione. Come i discepoli di Emmaus, che abbiamo lasciato la scorsa domenica nella gioia di chi ha finalmente “compreso”, anche noi ora siamo invitati a riflettere su una Parola che assume pienezza alla luce del Signore risorto. Gesù è l’unico “buon” e “bel” pastore! Gesù è l’unica porta che apre alla felicità.

È il Pastore che conosce le sue pecore nel profondo e nell’unicità del proprio essere; è il Pastore che “odora di pecore” come ha detto di recente Papa Francesco, invitando i sacerdoti a esserlo anche loro. È il Pastore di tutti e di ciascuno, dove la contraddizione tra “universalità” e “particolarità” è conciliata nella Sua tenerezza incarnata (cfr. don Carlo Rocchetta, Teologia della Tenerezza). È il Pastore dei “recinti aperti”, che non rinchiude i suoi figli in una fede fatta di precetti morali o disincarnata. Egli apre alla vita, quella vera, fatta di libertà e fiducia. È Lui che segna il cammino, è Lui che si fa bell’esempio da seguire per trovare la felicità. Perché egli è il Cristo, ed è anche “porta”, passaggio, apertura verso la pienezza della nostra vocazione, di ogni vocazione. Non a caso, la Chiesa in questa domenica celebra anche la Giornata mondiale per le vocazioni. Solo con Lui come guida, la nostra sequela e il nostro apostolato non conosceranno la paura dei ladri e dei briganti, e noi avremo la vita in abbondanza.

Raggiungere allora la pienezza del Divino nella nostra vita vuol dire, prima di tutto, raggiungere la pienezza dell’Umano cui siamo chiamati dal Padre. La Parola di oggi invita ogni uomo e donna di buona volontà a realizzare tale pienezza secondo la propria vocazione specifica: i Pastori e i religiosi nelle proprie parrocchie o comunità, e noi famiglie nel nostro più “piccolo recinto”. Tutti e insieme, siamo chiamati a vivere ognuno la propria chiamata particolare non nella chiusura ma nell’apertura e nell’accoglienza, perché si realizzi l’idea di una “Chiesa in uscita” che sta tanto a cuore a Papa Francesco e di cui ha parlato anche nella Evangelii gaudium (nn. 23-24).

In particolare, per noi famiglie la Parola contiene il richiamo forte a dare l’esempio di una vita matrimoniale che esce dal proprio recinto, dalle proprie sicurezze per aprirsi agli altri e, in comunione con i sacerdoti, suggerire nuove vie pastorali alla Chiesa, con la certezza che Lui ci porterà “a pascoli erbosi e ad acque tranquille”, come annuncia il Salmo 22 di questa liturgia domenicale. Dovremo avere la forza e la convinzione di raccontare ai nostri figli, nella quotidianità, che si può spendere la propria vita per Lui, nelle molte chiamate e vocazioni che il Padre ha pensato per l’uomo, non solo attraverso la vita sponsale, ma anche come sacerdoti o religiosi.

Dovremo avere il coraggio di testimoniare per primi, a chi ci sta accanto, che siamo chiamati a vivere i misteri che spesso la vita ci mette dinanzi (un lutto, la crisi economica, l’incomprensione con i figli…), sapendo che solo Lui è la porta che apre a vie nuove dove ritrovare la vita, non come semplice “sopravvivere”, ma come tornare a vivere in pienezza. Quale tenerezza del Signore si rivela in quest’abbondanza evangelica! Un’abbondanza che promette il centuplo quaggiù e l’eternità in cielo, che elargisce un perdono che si ripete settanta volte sette, e che dona pani e pesci in quantità. Quanta bellezza nel sentirsi così amati da non avere più paura di abbandonare i nostri recinti! Quanta pienezza nel comprendersi come Suoi figli!

]]>
Usciamo, c’è il Papa Francesco che chiama https://www.lavoce.it/usciamo-ce-il-papa-francesco-che-chiama/ Thu, 28 Nov 2013 15:16:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20886 La Chiesa gode per il Vangelo, ed è in libera uscita dai suoi palazzi, invitata da papa Francesco a camminare per le strade del mondo e portare a tutti la gioia. Uscire dall’inerzia, dalla pigrizia, dall’autocompiacimento, dallo stato di paura, da un centro che si sente assediato dalla cittadella fortificata e andare in mezzo alla gente. Gli apostoli, dopo la Pentecoste, usciti dal cenacolo dove si erano rinchiusi per paura, predicando in piazza davanti a tutto il popolo, sembravano “ubriachi”, fuori di sé per la gioia. Tale gioia ha un’origine alta e lontana, scende dal cielo. È lo Spirito che inebria ogni umano spirito. È realtà post umana e se si preferisce sovrumana, nel senso che aggiunge all’umanità un tratto che da sola non riesce a darsi: questo tratto è la speranza. Solo spinti da una forte carica, anche emotiva, come da vento impetuoso, si riesce ad aprire la porta e ad avventurarsi fuori dalle proprie sicurezze, dai nidi, e dalle tane di cui parla il Vangelo (Lc. 9,51 s), e affrontare un mondo di cui non sappiamo e spesso non supponiamo neppure l’esistenza. Chi conosce le periferie additate dal Papa, quelle geografiche, e quelle morali, esistenziali, culturali? L’esortazione apostolica – non ancora letta ma appena sfogliata – insiste sull’uscire. Usciamo, usciamo, non possiamo pensare solo a noi, guardarci e tutelarci, difenderci e rilassarci: dobbiamo camminare, costruire, annunciare. Finora Papa Francesco l’abbiamo assaporato a piccole dosi con le sue frasi, gli slogan, i tweet, le immagini, gli aforismi, Ne abbiamo fatto incetta e li abbiamo imparati a memoria, alcuni sono già diventati proverbi ed aforismi.

Ora il Papa si dispiega in un ragionamento filato disteso e lungo. Un documento pontificio tra i più lunghi. Una sintesi del suo pensiero, del suo programma e del modo di realizzarlo, diremmo la sua visione della Chiesa all’interno e nella sua relazione esterna con il mondo. Da notare che questo documento non è stato elaborato in solitudine, a tavolino, consultando fonti e citando autori. La sua scrittura è frutto del dialogo avuto al Sinodo dei vescovi del 2012 che gli avevano consegnato 58 Proposizioni o proposte che dir si voglia, sulle quali avevano discusso e che lasciavano poi al Papa di elaborare. Questo metodo non è di poco conto. Francesco lo ha teorizzato e lo preferisce, attento a far “uscire” anche il Vescovo di Roma dalla sua solitudine, dal suo centro. Il suo riferimento è stato il discorso di Aparecida, a Buenos Aires, presso il santuario della Madonna che porta questo nome, quando ha evocato l’incontro dei vescovi latino americani (2007). Ha detto che fu una cosa bellissima quando i vescovi mentre scrivevano il documento pastorale nella sede del santuario, sentivano giungere sia pure attenuate le preghiere e i canti della gente che andava in pellegrinaggio ai piedi della Madonna a consegnare a lei la propria vita. Questa presenza del popolo accompagnava, sosteneva, ispirava il lavoro dei Pastori. Il sogno di Papa Francesco: una Chiesa a tutto campo, con la compresenza di tutte le componenti del popolo che cammina in spazi aperti, sospinta dall’unico Spirito e sostenuta dal Buon Pastore per annunciare a tutti la gioia che viene dal Vangelo. Vangelo vuol dire Buona Notizia. Non è una somma di doveri e di restrizioni, neppure una serie di dogmi, ma è vita e gioia dello Spirito che trasforma la vita dei singoli e della comunità, e pertanto è energia vitale che può trasformare radicalmente l’intera società.

]]>
L’arte di essere pastori nel XXI secolo https://www.lavoce.it/larte-di-essere-pastori-nel-xxi-secolo/ Thu, 20 Jun 2013 12:55:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17475 Mons. Giuseppe Chiaretti
Mons. Giuseppe Chiaretti

Papa Francesco, da buon Pastore che “odora” di pecore, e cioè conosce per assidua frequentazione il gregge del buon Dio, ci sta invitando, con le sue catechesi a presa diretta, ad avere cura del gregge, sia quando le pecore stanno bene perché possano star meglio, sia quando si ammalano. A dir la verità, la nostra è una stagione di sbrancamento: le pecore, portate al pascolo in altura dove ci sono più sapori (penso alla nostra società stracarica di messaggi, di proposte, di ammiccamenti d’ogni genere), si sono smarrite e alla sera non ritornano più all’ovile.

Il pastore, cui è affidato il gregge, sente tutta le responsabilità di questo sbrancamento e si pone alla ricerca delle smarrite. È una storia antica, che ha già trovato posto nella predicazione di Gesù (Gv 10,1-21), ma soprattutto è esperienza recentissima, per la quale il Concilio indicò già le coordinate di una nuova evangelizzazione, della quale si sono fatti espliciti banditori sia Papa Giovanni Paolo II con l’Anno santo della Redenzione e la sua terna di indicazioni operative (nuovo fervore degli evangelizzatori, nuovi metodi, nuovi linguaggi) e con la vasta mobilizzazione di gente (Giornate mondiali di giovani e di famiglie), sia Papa Benedetto XVI con un Sinodo e una Congregazione apposita e l’indizione dell’Anno della fede. Vanno prendendo piede anche alcune specifiche iniziative sulla linea di una formazione permanente senza la quale non c’è ripresa, ricercando le pecore smarrite anche mediante fedelissimi “cani da pastore”, che diano vita a “battute di caccia” in vario modo: iniziative responsabilizzanti per i giovani, singolari proposte di “arditi” nelle piazze, catechesi sistematiche nei tempi forti dell’anno – e sempre -, cliniche per i matrimoni malati, vasta e insistita operosità a piccoli gruppi con i benemeriti, ed elogiati anche dai Papi, movimenti ecclesiali, missioni ad gentes, aiuti diffusi ai poveri con una Caritas a pieno regime, ecc. Papa Francesco con i suoi interventi ci sta insegnando anche un approccio semplice e affettuoso con le persone, “sapendo anche noi di pecora”, com’è proprio di chi è a contatto con la loro vita e i loro problemi, e in particolare con il farsi carico delle persone nel bisogno. È quello che pure Papa Benedetto ci aveva indicato di fare, chiedendo tra l’altro di inventare “istituzioni di prossimità” già nella Caritas in veritate del giugno 2009 (n.36-39). Una migliore organicità di interventi, secondo le indicazioni del Sinodo dei vescovi, la offrirà l’atteso documento magisteriale di sintesi.

“Cristo il buon pastore” mosaico, mausoleo di Galla Placidia a Ravenna
“Cristo il buon pastore” mosaico, mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

È certo però che, per recuperare le pecorelle smarrite, bisogna lasciar le vecchie comode abitudini, metterci in cammino e osare di più. È difficile che le pecore perdute tornino da sole a casa, perché non ne conoscono la via. Se non sapesse di ricercatezza letteraria, verrebbe voglia di ricordare le profetiche e sconosciute Lettere agli uomini del papa Celestino Sesto del troppo presto dimenticato Giovanni Papini, che nel 1946 le aveva dedicate “agli uomini con disperata speranza”. Lo stesso papa Celestino, indirizzando una preghiera a Dio, gli ricordava che gli uomini d’oggi “son pure i tuoi figlioli, benché ti abbiano abbandonato per le carrube dei porci”. E tuttavia “per amore degli uomini disobbedienti e disconoscenti Ti facesti appendere alla croce, ma oggi non v’è uomo che non sia inchiodato e squarciato sopra una croce, fatta dalle sue stesse mani o da quelle dei suoi nemici… Anche questa generazione adultera, perciò, Ti chiede un segno e, nonostante che non lo meriti, Tu lo darai perché la Tua pietà fu sempre più forte della Tua giustizia”.

]]>
Questa straordinaria Pasqua del 2013 https://www.lavoce.it/questa-straordinaria-pasqua-del-2013/ Fri, 29 Mar 2013 11:37:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15946 Padre-Domenico-CancianLa Pasqua è il cuore della fede cristiana. Il mistero di Cristo crocifisso-risorto è al centro dell’intera esistenza della Chiesa: della evangelizzazione e della catechesi, della preghiera e delle celebrazioni liturgiche, della carità e della vita cristiana. La Pasqua 2013 è tutto questo, anzi ancora più significativa per alcune circostanze straordinarie che l’accompagnano.

La Pasqua 2013 è la Pasqua dell’Anno della fede, segnata da due avvenimenti che si sono succeduti in modo sorprendente, pressappoco nel breve periodo della Quaresima. L’11 febbraio Papa Benedetto lascia la guida della Chiesa, il 13 marzo viene eletto Papa Francesco. San Benedetto e San Francesco, ambedue umbri, in epoche diverse e con stili diversi, hanno riformato la Chiesa riproponendo il Vangelo sine glossa, in modo essenziale, fraterno, umile. La loro ardente fede li ha avvicinati al Cristo crocifisso-risorto e quindi ai fratelli, ad ogni uomo, a cominciare dai più poveri, dando vita a un nuovo umanesimo. I due grandi Santi, richiamati dai due ultimi Vescovi di Roma, scuotono la nostra Chiesa ad un profondo rinnovamento conciliare ed evangelico, incentrato nella fede pasquale: obbedire a Dio e amare i fratelli fino al dono totale della vita. Fede e carità. Papa Benedetto e Papa Francesco sono uomini di Dio e promotori di vera fraternità, uomini di fede e di preghiera ma anche di carità, di umiltà, di vicinanza agli ultimi.

La Pasqua 2013 è la prima Pasqua di Papa Francesco. Con i suoi interventi, con il suo stile diretto e libero, sta imprimendo alla Chiesa significativi cambiamenti. Ne sottolineo uno, il motto Miserando atque eligendo. Sono due verbi che abbracciano l’intera esistenza di Papa Francesco e perciò sicuramente significativi anche nel suo ministero petrino. Aveva 17 anni, il giovane Jorge Bergoglio, quando, nella festa di san Matteo del 1953, avvertiva in modo tutto particolare la presenza amorosa di Dio. Durante una confessione sentiva che la misericordia di Dio scendeva nel suo cuore chiamandolo alla vita consacrata sull’esempio di sant’Ignazio di Loyola. Il giovane Jorge sentì sue le parole di san Beda il Venerabile che commenta la vocazione di san Matteo così: “Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi: Sequere me”. (“avendolo guardato con misericordia e predilezione, gli disse: Seguimi”). Nel primo Angelus Papa Francesco ha affermato: “Un po’ di misericordia cambia il mondo, lo rende meno freddo e più giusto. Lui non si stanca mai di perdonarci”. Nell’omelia dell’inizio del ministero petrino il 19 marzo, ha invitato tutti a “prendersi cura gli uni degli altri con amore e tenerezza”.

La Pasqua 2013 apre la “porta della fede” sulla strada dell’amore e della misericordia. Questo cammino, iniziato in modo ecclesialmente significativo dal beato Giovanni Paolo II con la grande enciclica Dives in misericordia (1980), è stato ripreso da Papa Benedetto con le encicliche Deus caritas est (2006) e Caritas in veritate (2009). Con l’impulso di Papa Francesco, forse diventerà la linea maestra della Chiesa nel terzo millennio. La conferma viene dalla linea dei santi del nostro tempo: santa Teresina, santa Faustina, beata Madre Teresa di Calcutta, san Pio da Pietrelcina, la venerabile Madre Speranza. I Congressi mondiali della Misericordia stanno coinvolgendo numerose Conferenze episcopali in questa direzione. D’altra parte l’uomo di oggi, anche in modi non espliciti, attende quella “speranza performativa” che poggia sulla misericordia assoluta e gratuita di Dio. La quale, mentre ci guarisce e ci riempie di gioia vera, ci provoca alla conversione più profonda, facendoci diventare a nostra volta strumenti e segni della stessa misericordia che è il cuore del Mistero pasquale. Ebbe a dire il card. Bergoglio il 27 aprile 2001, chiedendo di non essere denunciato al Santo Uffizio, che “il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù è la carezza della Sua misericordia sull’uomo peccatore. La vita cristiana è la risposta commossa davanti ad una misericordia sorprendente, imprevedibile, ‘ingiusta” secondo i criteri umani. Lui conosce i miei tradimenti e continua a volermi bene, mi chiama di nuovo, spera in me. Per questo la concezione cristiana della morale è una rivoluzione, non è un cadere mai ma un alzarsi sempre”.

Il Vangelo di Luca, che, in quest’Anno della fede sta guidando la Chiesa – anche questo non è un caso -, ci dona le due parole più cariche di infinita misericordia e di speranza assoluta. Gesù in croce diceva (ossia continua a dire, e continua ancora a ripetere in cielo come nostro avvocato): “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). E poi, rivolto al ladro che gli chiedeva solo di ricordarsi di lui, assicurava: “In verità io ti dico: oggi con me sarai in paradiso” (Lc 23,43). Quell’anonimo ladro portato in paradiso subito, sulle spalle del Buon Pastore, è la pecora smarrita che rappresenta l’intera umanità sbandata, per ricuperare la quale Gesù è venuto, si è lasciato crocifiggere, è disceso agli inferi, ed è salito in cielo portando con sé ogni uomo che a Lui si affida. San Francesco, pregando intensamente alla Porziuncola, ottenne il “perdono di Assisi”, ossia la grazia che tutti potessero andare in paradiso. Essere in paradiso con Gesù è la piena e definitiva festa di Pasqua, a cui ci richiama anche la nostra Pasqua 2013, grazie alla Pasqua di Gesù nella primavera degli anni 30 a Gerusalemme. Maria ci aiuti a “stare” come lei, con tenera fortezza (stabat mater dolorosa), dentro il mistero dell’Amore crocifisso ed essere anche noi testimoni gioiosi della Pasqua di Gesù.

]]>
Nessuno è più onorato di lui https://www.lavoce.it/nessuno-e-piu-onorato-di-lui/ Thu, 08 Nov 2012 10:35:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13704 Non è stata molto partecipata quest’anno la festa di sant’Ercolano (7 novembre) essendo un giorno feriale e tuttavia ha avuto alcuni momenti di vivace interesse nella chiesa dell’Università e nella cattedrale di San Lorenzo. Un altro momento significativo si avrà nella chiesa che porta il nome del Patrono domenica prossima (ore 10.30) in cui si risentirà, dopo qualche tempo, il coro Sant’Ercolano diretto da Enrico Bianchi.

Bonfigli, sepoltura di sant’Ercolano (particolare)

La celebrazione principale è stata presieduta dal vescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti, in assenza dell’arcivescovo Bassetti, in pellegrinaggio diocesano in Terra Santa. Era presente anche l’assessore Ilio Liberati in rappresentanza del sindaco che ha inviato il suo labaro portato dai Vigili urbani in segno di solenne ufficialità. Per l’Università era presente il prorettore Antonio Pieretti, alcuni docenti e studenti insieme al Coro universitario, diretto da Maria Alunni Pini, che ha eseguito canti liturgici molto appropriati e suggestivi.

L’omelia di Chiaretti è stata puntuale e documentata facendo riferimento alla storia del Santo, quale buon pastore che dà la vita per le sue pecore, come dice il Vangelo, e alla devozione che la città di Perugia gli ha sempre riservato lungo i secoli senza interruzione. Nessun santo è stato onorato dai perugini come Ercolano. I cittadini e non soltanto i fedeli, lo hanno percepito e sentito loro protettore in vita e in quella morte atroce che ha subito per essersi pienamente coinvolto con le sorti di tutta la popolazione, difesa prima contro sfruttatori e usurai, in quanto defensor civitatis e poi contro i Goti invasori guidati dal terribile Totila.

La morte di Ercolano risale all’anno 547 ma mai in nessun periodo di tempo è stata dimenticata la sua santità. Dell’onore a lui dovuto è visibile testimonianza la bella e originale chiesa ottagonale che porta il suo nome fatta erigere dalle autorità cittadine nei primi del Trecento nel luogo del suo martirio. Mons. Chiaretti ha dedicato un incisivo passaggio allo Studium perusinum di cui Ercolano è patrono quando ha affermato la necessità dello studio e della ricerca sia nel campo delle scienze che in quello dell’etica. Oggi, ha affermato Chiaretti, c’è un grande vuoto di cultura della responsabilità morale ed è necessario avvertire e formare le coscienze per arginare il male che dilaga nella nostra società.

C’è stato anche un momento di riflessione culturale molto specifica sul significato della festa che si è svolto nella stesso giorno nella Sala del dottorato con la partecipazione del filosofo prof. Massimo Donà e della teologa Simona Segoloni sul significato filosofico e biblico della festa. Un discorso ampio e complesso nel quale è stato messo a confronto il concetto di festa nel modello culturale che ha radici nella filosofia greca e giunge fino al pensiero moderno e il modello culturale che ha origine dalla concezione biblica della creazione secondo il racconto del libro della Genesi ove si dice che il settimo giorno Dio cessò da ogni opera.

]]>
Benedetto XVI: “la nostra fede è veramente personale, solo se è comunitaria” https://www.lavoce.it/benedetto-xvi-la-nostra-fede-e-veramente-personale-solo-se-e-comunitaria/ Wed, 31 Oct 2012 19:25:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13669
Corneille Michel, Il battesimo del centurione

La catechesi di Benedetto XVI sul Credo

“La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice la sua stessa natura”. Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale di oggi, mercoledì 31 dicembre, ha spiegato come “la nostra fede è veramente personale, solo se è comunitaria: può essere la mia fede, solo se si vive e si muove nel ‘noi’ della Chiesa, solo se è la nostra fede, la fede della Chiesa”. “Abbiamo bisogno della Chiesa – ha affermato Benedetto XVI – per avere conferma della nostra fede e per fare esperienza dei doni di Dio: la sua Parola, i sacramenti, il sostegno della grazia e la testimonianza dell’amore”.

In un mondo in cui “l’individualismo sembra regolare i rapporti tra le persone, rendendoli sempre più fragili”, per il Papa “la fede ci chiama ad essere Chiesa, portatori dell’amore e della comunione di Dio per tutto il genere umano”. “Non posso costruire la mia fede in un dialogo privato con Gesù – ha ammonito il Papa – perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce nella moltitudine dei credenti in una comunione che non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio”. La fede, in altre parole “non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un dialogo” in cui “il comunicare con Gesù mi fa uscire dal mio io racchiuso in se stesso per aprirmi all’amore del Padre”.

In questa prospettiva, la fede cristiana “è come una rinascita, in cui mi scopro unito non solo a Gesù, ma a tutti quelli che hanno camminato e camminano sulla stessa via”. E “questa nuova nascita, che inizia con il battesimo, continua per tutto il percorso dell’esistenza”. “La nostra fede è veramente personale solo se è comunitaria”, ha spiegato il Papa, cioè “solo se vive e si muove nel ‘noi’ della Chiesa”.

“La fede nasce nella Chiesa, conduce ad essa e vive in essa”, ha affermato il Santo Padre, ricordando che la Chiesa “fin dagli inizi è il luogo della fede, il luogo della trasmissione della fede”, in cui “siamo immersi nella comunione con gli altri fratelli e sorelle di fede, con l’intero corpo di Cristo, tirati fuori dal nostro isolamento”. La Chiesa è un “popolo”, come ci insegna il Concilio, ed è un “popolo cattolico”, che “parla lingue nuove, universalmente aperto ad accogliere tutti, oltre ogni confine, abbattendo tutte le barriere”. “La fede è virtù teologale, donata da Dio, ma trasmessa dalla Chiesa lungo la storia”, ha precisato il Papa: di qui l’importanza della tradizione, che “ci dà la garanzia che ciò in cui crediamo è il messaggio originario di Cristo, predicato dagli apostoli” e oggi trasmessa “fedelmente” dalla Chiesa, “perché gli uomini di ogni epoca possano accedere alle sue immense risorse e arricchirsi dei suoi tesori di grazia”.

“Ogni cristiano deve impegnarsi ad essere comunicatore della fede”,  ha detto il Papa. “Non certo – ha puntualizzato – a parlare e agire in modo proprio, ma in forza dell’unica fede della famiglia di Dio, della Chiesa”. “Ogni divisione nella confessione della stessa fede è un colpo inferto al corpo stesso di Cristo che è la sua Chiesa”, l’ammonimento del Papa, che ha esortato i cristiani a “diventare un punto di riferimento per tutti gli altri, mettendoli così in contatto con la persona e con il messaggio di Gesù, che rivela il volto del Dio vivente”.

“Un cristiano che si lascia plasmare dalla fede della Chiesa – la certezza del Pontefice – nonostante le sue debolezze, i suoi limiti e le sue difficoltà, diventa come una finestra aperta alla luce del Dio vivente, che riceve questa luce e la trasmette al mondo”. “La nuova evangelizzazione – ha detto il Papa tornando sul tema del recente Sinodo – si fonda primariamente sulla fiducia nell’iniziativa di Dio. Sulla certezza che egli, infinitamente buono e provvidente, accompagna, guida e sostiene ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale nel suo cammino, non abbandona mai il suo popolo, anzi, lo conduce come Buon Pastore”.

]]>
Guidati dal Bel Pastore https://www.lavoce.it/guidati-dal-bel-pastore/ Fri, 27 Apr 2012 11:24:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10349 Questa domenica è comunemente chiamata “del Buon Pastore”, a causa del Vangelo proclamato nella liturgia. L’espressione è ormai consacrata dall’uso; tuttavia essa non rende completamente ragione del testo evangelico originale, il quale letteralmente suona così: “Io sono il pastore, quello bello”. È vero che ciò che è buono è anche bello, ma porre l’accento direttamente sulla bellezza pare avere una forza diversa. Chissà se Dostoevskij pensava a questo Vangelo, quando scrisse che sarà la bellezza a salvare il mondo? Il brano di oggi rappresenta ancora un momento della rivelazione che Gesù fa di sé.

L’espressione decisiva è quell’Io sono, espressione vicina al temine ebraico con cui Dio si presentò a Mosè e che ritorna frequentemente nel Vangelo secondo Giovanni. All’inizio di questo capitolo 10 abbiamo ascoltato: “Io sono la porta delle pecore”. Nel capitolo 9: “Io sono la luce del mondo” E anche molte altre volte. L’identificazione di Gesù con il pastore viene anticipata già nell’Antico Testamento, particolarmente nel capitolo 34 del libro del profeta Ezechiele, che riferisce una violenta requisitoria di Dio contro le corrotte guide del popolo: politici, giudici, amministratori; insieme alla promessa che in futuro Lui stesso ne sarebbe divenuto il vero pastore. Promessa che si è compiuta nel Signore Gesù. In una civiltà agricolo-pastorale, come era quella mediorientale del I secolo d.C., l’immagine del pastore e del rispettivo gregge era molto più evocativa di quanto non lo sia per noi, ospiti di una cultura post-industriale, per i quali non è davvero frequente incontrare un gregge con il suo pastore, e meno ancora immaginare che possa esistere un rapporto personale tra lui e le singole pecore. Se qualcuno ha avuto la ventura di conoscere questi pastori, che custodivano i loro greggi negli estesi pascoli dell’Abruzzo o della Maremma, non se ne stupirà.

Gli antichi chiamavano pastori anche i loro capi, i responsabili; Abramo, Isacco, Giacobbe, fino al re Davide erano considerati pastori santi, chiamati a guidare il popolo. Ai giorni nostri è diverso: quei governanti che hanno avuto la pretesa di essere guide di popoli, hanno lasciato brutti ricordi, sia che si trattasse di Führer, di Duce, di “piccolo padre”, di guida suprema o di “caro leader”. D’altro canto i nostri contemporanei non accettano facilmente di essere paragonati ad un gregge. Ognuno ci tiene a distinguersi dai vicini, pensandosi un diverso, un ribelle, un marginale; anche se poi indossa gli stessi jeans, parla con lo stesso telefonino, fa le stesse cose degli altri, allo stesso modo di tutti gli altri.

Il gregge di cui parla questo Vangelo però è davvero unico: il pastore conosce personalmente ogni pecora e ogni pecora conosce personalmente il pastore. La conoscenza che Gesù ha di ciascuno di noi va ben oltre. Egli dice di conoscerci come il Padre conosce Lui e Lui conosce il Padre. Si tratta di una relazione di amore reciproco. Nel linguaggio semitico il verbo “conoscere” si usa per dire la relazione amorosa, perfino la relazione sessuale. È questo il significato profondo della conoscenza che il Pastore ha di noi. Per Lui nessuno è solo un numero, ma ognuno ha un nome proprio, con il quale è chiamato. Quando ti chiamano, tu esci dall’anonimato: diventi qualcuno anche tu. E se a chiamarti è una persona importante, senti di contare qualcosa.

Pensare che Dio sa il tuo nome e che silenziosamente ti chiama, è roba da impazzire. Gesù non spiega come fare ad essere conosciuti da Lui; dice semplicemente: “Le mie pecore conoscono la mia voce e io le conosco”. Non c’è bisogno di essere un eroe o un forte o una persona famosa; basta ascoltare la sua Parola e si esce dall’aborrita uniformità. Il discorso poi sale di tono, il Pastore dice: “Io do la mia vita per le mie pecore”. Il senso primario, nel contesto di questo Vangelo, fa riferimento a Gesù che sacrificherà la sua vita in nostro favore, come un pastore che espone se stesso per salvare le pecore dal lupo rapace. Si sa però che dare la vita non è solo morire per qualcuno, ma prima ancora è uscire da se stessi, perché altri abbiano vita. Dare la propria vita vuol dire anzitutto vivere per qualcuno.

Gesù non solamente dà la sua vita per noi, ma dà la Vita a noi. È la risposta al problema dei problemi. Spesso senza saperlo, ci domandiamo: dove si passerà mai per andare a trovare una vita piena, che non deluda, che non sia costantemente minacciata dalla paura, dalla morte? Alcuni si sono provati a rispondere, ma senza molto successo. In realtà nessuno al mondo sa dove si trovi quella strada, in che direzione vada e nemmeno se esista. Anzi c’è chi ritiene che non esista e che sarebbe meglio accontentarsi del piccolo cabotaggio quotidiano. Noi diciamo che una vita piena è possibile, ma che può solo esserci donata da Colui che ne è la fonte e che può darla senza misura. “Chi crede in me ha la Vita eterna”.

]]>
Il vescovo, tutt’uno con la sua comunità https://www.lavoce.it/il-vescovo-tuttuno-con-la-sua-comunita/ Fri, 20 May 2011 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9370 Sono stato invitato dal mio confratello eugubino al celebrare la festa del patrono di Gubbio, il “beato Ubaldo”, vescovo e pater patriae. Uno dei santi più emblematici della nostra cara terra umbra, conosciuto ormai in tutto il mondo. La sua vicenda mi ha condotto ad una riflessione sull’essere vescovo. La vita di Ubaldo divenne un tutt’uno con la vita della città. Egli fu elevato a simbolo e a difensore della patria. Sotto la sua protezione si rifugiarono gli eugubini in ogni calamità. Nella vita del beato Ubaldo la missione sacerdotale si intreccia con quella di guida e difensore del popolo. Questa è una costante nella storia della Chiesa. Fin dai primi secoli, con la crisi dell’Impero romano, i vescovi dovettero farsi carico anche della necessità materiali del popolo. Essi assunsero l’autorità di difensori dei poveri e dei diseredati, proteggendoli dalle angherie dei prepotenti di turno.

La figura del vescovo “padre e guida della comunità” si è protratta lungo i secoli fino ad arrivare ai nostri giorni. Il vescovo, come vero padre, sente il dovere di dare la vita per salvare quella dei figli. Come un padre, avverte la responsabilità di dover guidare i suoi figli sulle vie del bene, sulle vie del Vangelo, come ci diceva in questi giorni l’evangelista Giovanni proponendoci la figura di Gesù Buon Pastore. Grande è la gioia del Pastore quando percepisce di essere corrisposto dal suo popolo, così come avverte profondo dolore quando si sente abbandonato. Vescovo e popolo devono avere un cuor solo e un’anima sola, come tra padre e figli.

Quando questo avviene, la comunità cresce e si radica nella fede e nella carità, come bene esprime il Concilio: “Nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi si comportino in mezzo ai loro fedeli come coloro che servono, come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti, come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti e la cui autorità ricevuta da Dio incontra un’adesione unanime e riconoscente. Raccolgano intorno a sé l’intera famiglia del loro gregge e diano ad essa una tale formazione che tutti, consapevoli dei loro doveri, vivano ed operino in comunione di carità” (CD, n. 16).

Al suo tempo, il Signore scelse Ubaldo, e, come dice il libro del Siracide: “Gli diede autorità sul suo popolo. Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza; lo scelse fra tutti gli uomini” per essere strumento di riconciliazione. Ancor oggi noi vescovi, con la grazia che il Signore ci concede, abbiamo il dovere di “esporre la dottrina cristiana in modo consono alle necessità del tempo in cui viviamo: in un modo, cioè, che risponda alle difficoltà ed ai problemi dai quali sono assillati ed angustiati gli uomini d’oggi” (CD). Ed il nostro tempo non è avaro nel proporci tanti problemi che devono essere non solo affrontati ma, per quanto possibile, risolti. Accenno ad alcuni che riguardano la nostra regione: la disoccupazione, sopratutto giovanile, molto alta; la diffusione della droga (ancora di recente hanno trovato un giovane morto in un campo per overdose); la situazione talvolta angosciante delle famiglie che si dividono, soprattutto quando ci sono bambini. Ma con particolare attenzione dobbiamo guardare ai più poveri e ai più deboli, quelli che il Concilio chiama “ultimi”, memori che a questi siamo stati mandati dal Signore per annunziare il Vangelo di salvezza. Perché così è piaciuto a Dio Padre, “che ha tenuto nascoste queste ai sapienti e ai dotti, ma ha voluto rivelarle ai piccoli”.

]]>
Il Vescovo apre la Visita pastorale https://www.lavoce.it/il-vescovo-apre-la-visita-pastorale/ Fri, 21 Jan 2011 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9062 Quello di Assisi sarà il primo vicariato a ricevere la visita pastorale di mons. Domenico Sorrentino. Domenica prossima, infatti, con una concelebrazione eucaristica nella cattedrale di San Rufino, presenti il vicario foraneo don Cesare Provenzi, i parroci e tutti i sacerdoti del vicariato, le confraternite, le aggregazioni ecclesiali e tutto il popolo di Dio, inizierà il “biennio della visita pastorale”.

Il programma biennale sarà così articolato: vicariato di Assisi (23 gennaio – 6 marzo); vicariato di Santa Maria degli Angeli (13 marzo – 5 aprile, e 1° maggio – 12 giugno); vicariato di Bastia (29 settembre – 8 dicembre); vicariato di Gualdo – Fossato – Sigillo (Gualdo: 15 gennaio – 31 marzo 2012); unità pastorale Fossato – Sigillo 15 aprile – 6 maggio 2012); vicariato di Nocera Umbra (13 maggio – 1° luglio 2012).La visita è stata accuratamente preparata, non solo nella sua articolazione “geografica”, ma anche e soprattutto nella sua dimensione spirituale. Abbondanti sono i momenti di preghiera che ne scandiranno il calendario.

Solo nella comunione con il Buon Pastore è possibile accogliere la venuta del Vescovo come dono alla comunità, e accogliere la comunità come il gregge da Dio affidato alla custodia del medesimo. Ed è proprio in quest’ottica che domenica 16 gennaio le varie comunità parrocchiali si sono ritrovate nella chiesa di Santa Maria Maggiore, antica cattedrale della città, per una veglia di preghiera in preparazione alla visita stessa, presieduta da mons. Sorrentino. La veglia ha voluto far contemplare la figura della Vergine della visitazione: Maria, madre di Dio. Ella ha accolto la Parola, che nel suo seno si è fatta carne, e, sollecita, si è recata a portare la Parola. È, anzitutto, Ella stessa visitata dall’amore del Padre. Ella stessa disponibilissima a far spazio all’Amore nella propria esistenza, icona dell’accoglienza vera e attiva. Il canto dell’Akatistos ha voluto sottolineare proprio tale disponibilità, motivo della pienezza della grazia.

La visita interesserà le parrocchie cittadine di San Rufino, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e San Pietro, la parrocchia di San Vitale di Assisi e le parrocchie di Santa Maria di Lignano – Costa Trex e Porziano. Interesserà anche le basiliche papali di San Francesco e Santa Maria degli Angeli, i santuari e le comunità religiose maschili e femminili. A ricordo della visita, il Vescovo lascerà alle famiglie un cartoncino, firmato, con la figura del Buon Pastore e l’augurio: “Gesù, Parola del Padre, faccia brillare su di te la luce del suo volto”. Sul retro un breve messaggio che esprime gioia per l’incontro, offre un saluto di pace e comunione di affetti, invita a riposare sulle spalle del Pastore grande delle pecore.

]]>