bibbia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/bibbia/ Settimanale di informazione regionale Sun, 28 Apr 2024 23:24:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg bibbia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/bibbia/ 32 32 La ‘Domenica della Parola’, celebrazione presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis https://www.lavoce.it/la-domenica-della-parola-celebrazione-presieduta-dallarcivescovo-ivan-maffeis/ https://www.lavoce.it/la-domenica-della-parola-celebrazione-presieduta-dallarcivescovo-ivan-maffeis/#respond Sat, 20 Jan 2024 11:20:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74655 domenica della parola

Sarà celebrata anche a Perugia, il 21 gennaio, la Domenica della Parola voluta da Papa Francesco nel 2019 per aiutare i fedeli a riscoprire la centralità e il primato della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, il cui motto di quest’anno è ripreso dal Vangelo di Giovanni: Rimanete nella mia Parola (Gv 8,31). Due gli appuntamenti in calendario: il concerto del Coro ebraico di Roma Ha-Kol, presso la Sala dei Notari del Palazzo comunale dei Priori (alle ore 16); la celebrazione eucaristica, nella Cattedrale di San Lorenzo (alle ore 18), presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis. La Domenica della Parola, nel capoluogo umbro, è promossa nell’ambito del ciclo di incontri di approfondimento biblico del Libro dell’Esodo denominato Dalla schiavitù alla libertà organizzato dal Sab, il Servizio animazione biblica, insieme all’Ucd, l’Ufficio catechistico diocesano. Il Coro Ha-Kol eseguirà canti centrati sul libro dell’Esodo e sulla tradizione ebraica. Ad aprire il concerto sarà il brano intitolato Allèl, un’antologia di versi tratti dai salmi 117-118 che si recitano durante Shahrìt (la preghiera mattutina) dei giorni di festa solenne, di capo mese ed Hanukkà (festa delle luci). Musica tradizionale e un arrangiamento a cura di Angelo Spizzichino. In chiusura invece il Coro Ha-Kol si esibirà nell’Hallelujàh di Leonard Cohen del 1984. Il Coro Ha-Kol (in ebraico La Voce) è un coro ebraico-italiano fondato nel dicembre del 1993 per iniziativa di alcuni cantori del Tempio maggiore di Roma e di altri amanti della tradizione musicale ebraica. Ha al suo attivo trent’anni di attività concertistica e di spettacoli in Italia e all’estero, con recenti tournée in Austria, Germania, Regno Unito, Israele. Il coro è formato da cantori non professionisti suddivisi tra soprani, contralti, tenori e bassi. Alla direzione il maestro Ercole Cortone, al pianoforte il maestro Francesco Capogreco. Maggiori info sul ciclo di approfondimento del Libro dell’Esodo e diretta streaming della Domenica della Parola disponibili sul sito: www.lapartebuona.it .]]>
domenica della parola

Sarà celebrata anche a Perugia, il 21 gennaio, la Domenica della Parola voluta da Papa Francesco nel 2019 per aiutare i fedeli a riscoprire la centralità e il primato della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, il cui motto di quest’anno è ripreso dal Vangelo di Giovanni: Rimanete nella mia Parola (Gv 8,31). Due gli appuntamenti in calendario: il concerto del Coro ebraico di Roma Ha-Kol, presso la Sala dei Notari del Palazzo comunale dei Priori (alle ore 16); la celebrazione eucaristica, nella Cattedrale di San Lorenzo (alle ore 18), presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis. La Domenica della Parola, nel capoluogo umbro, è promossa nell’ambito del ciclo di incontri di approfondimento biblico del Libro dell’Esodo denominato Dalla schiavitù alla libertà organizzato dal Sab, il Servizio animazione biblica, insieme all’Ucd, l’Ufficio catechistico diocesano. Il Coro Ha-Kol eseguirà canti centrati sul libro dell’Esodo e sulla tradizione ebraica. Ad aprire il concerto sarà il brano intitolato Allèl, un’antologia di versi tratti dai salmi 117-118 che si recitano durante Shahrìt (la preghiera mattutina) dei giorni di festa solenne, di capo mese ed Hanukkà (festa delle luci). Musica tradizionale e un arrangiamento a cura di Angelo Spizzichino. In chiusura invece il Coro Ha-Kol si esibirà nell’Hallelujàh di Leonard Cohen del 1984. Il Coro Ha-Kol (in ebraico La Voce) è un coro ebraico-italiano fondato nel dicembre del 1993 per iniziativa di alcuni cantori del Tempio maggiore di Roma e di altri amanti della tradizione musicale ebraica. Ha al suo attivo trent’anni di attività concertistica e di spettacoli in Italia e all’estero, con recenti tournée in Austria, Germania, Regno Unito, Israele. Il coro è formato da cantori non professionisti suddivisi tra soprani, contralti, tenori e bassi. Alla direzione il maestro Ercole Cortone, al pianoforte il maestro Francesco Capogreco. Maggiori info sul ciclo di approfondimento del Libro dell’Esodo e diretta streaming della Domenica della Parola disponibili sul sito: www.lapartebuona.it .]]>
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‘La Bibbia notte e giorno’ quinta edizione anche in diretta streaming https://www.lavoce.it/la-bibbia-notte-e-giorno-quinta-edizione-anche-in-diretta-streaming/ https://www.lavoce.it/la-bibbia-notte-e-giorno-quinta-edizione-anche-in-diretta-streaming/#respond Thu, 18 Jan 2024 13:47:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74620 La Bibbia notte e giorno 2024

Da sabato 20 gennaio dalle 16 a domenica 21 gennaio alle 18 nella chiesa del Santissimo Salvatore a Terni, si svolgerà la quinta edizione di: La Bibbia notte e giorno la lettura della Bibbia, la parte dei Libri Profetici: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, a seguire i Dodici Profeti minori (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia) che concludono l’Antico Testamento.

Una notte e un giorno, senza interruzioni e commenti nei quali saranno letti integralmente i vari libri dall’inizio alla fine, così come la tradizione e la chiesa li hanno consegnati attraverso i millenni.

Ritrovare le condizioni dell’ascolto e della riflessione attraverso la lettura del Libro per eccellenza è il segno che la commissione Evangelizzazione e Catechesi, settore Apostolato Biblico della diocesi di Terni-Narni-Amelia e Azione Cattolica diocesana, hanno scelto per sottolineare il primato della Parola di Dio, fonte di discernimento e di speranza, nella vita di ogni credente, nella Domenica della Parola indetta dal Papa per la terza domenica di gennaio, che si inserisce all’interno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e viene vissuta nella diocesi come segno eminentemente ecumenico.

A leggere i passi biblici si alterneranno più di settanta persone di ogni età, categoria sociale e confessione religiosa. Ogni lettore proclama circa otto pagine del testo per circa quindici minuti. I brani proclamati saranno intervallati da un breve spazio musicale. Anche i non credenti possono partecipare nel rispetto della Parola.

All’evento La Bibbia giorno e notte non si partecipa soltanto in qualità di lettori, ma soprattutto nell’ascolto, sia all’interno della chiesa di San Salvatore a Terni, sia seguendola in streaming sulla pagina Facebook Diocesi di Terni-Narni-Amelia, sui canali Youtube Diocesi Terni Narni Amelia, parrocchia Santa Maria della Misericordia Terni.

"In questo anno -spiega Emanuela Buccioni responsabile dell’Settore Apostolato Biblico della diocesi- che inizia con scenari di guerra e violenza sempre più inquietanti assume un significato tutto speciale la quinta edizione de La Bibbia Notte e Giorno. Al di là delle convinzioni religiose di ciascuno, la Bibbia è la lettura che ci accomuna tutti e nella quale ritroviamo molte delle nostre radici culturali e umane. La Bibbia è il libro della Parola, del continuo dialogo tra Dio e l’uomo. Un rapporto confidenziale che oggi sembra essersi perduto e che papa Francesco nella lettera apostolica Aperuit illis ci invita a riprendere con forza: nel fragore del nostro mondo non c’è più posto per l’ascolto e il dialogo".

Per informazioni e contatti: emanuela.buccioni@gmail.com

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La Bibbia notte e giorno 2024

Da sabato 20 gennaio dalle 16 a domenica 21 gennaio alle 18 nella chiesa del Santissimo Salvatore a Terni, si svolgerà la quinta edizione di: La Bibbia notte e giorno la lettura della Bibbia, la parte dei Libri Profetici: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, a seguire i Dodici Profeti minori (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia) che concludono l’Antico Testamento.

Una notte e un giorno, senza interruzioni e commenti nei quali saranno letti integralmente i vari libri dall’inizio alla fine, così come la tradizione e la chiesa li hanno consegnati attraverso i millenni.

Ritrovare le condizioni dell’ascolto e della riflessione attraverso la lettura del Libro per eccellenza è il segno che la commissione Evangelizzazione e Catechesi, settore Apostolato Biblico della diocesi di Terni-Narni-Amelia e Azione Cattolica diocesana, hanno scelto per sottolineare il primato della Parola di Dio, fonte di discernimento e di speranza, nella vita di ogni credente, nella Domenica della Parola indetta dal Papa per la terza domenica di gennaio, che si inserisce all’interno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e viene vissuta nella diocesi come segno eminentemente ecumenico.

A leggere i passi biblici si alterneranno più di settanta persone di ogni età, categoria sociale e confessione religiosa. Ogni lettore proclama circa otto pagine del testo per circa quindici minuti. I brani proclamati saranno intervallati da un breve spazio musicale. Anche i non credenti possono partecipare nel rispetto della Parola.

All’evento La Bibbia giorno e notte non si partecipa soltanto in qualità di lettori, ma soprattutto nell’ascolto, sia all’interno della chiesa di San Salvatore a Terni, sia seguendola in streaming sulla pagina Facebook Diocesi di Terni-Narni-Amelia, sui canali Youtube Diocesi Terni Narni Amelia, parrocchia Santa Maria della Misericordia Terni.

"In questo anno -spiega Emanuela Buccioni responsabile dell’Settore Apostolato Biblico della diocesi- che inizia con scenari di guerra e violenza sempre più inquietanti assume un significato tutto speciale la quinta edizione de La Bibbia Notte e Giorno. Al di là delle convinzioni religiose di ciascuno, la Bibbia è la lettura che ci accomuna tutti e nella quale ritroviamo molte delle nostre radici culturali e umane. La Bibbia è il libro della Parola, del continuo dialogo tra Dio e l’uomo. Un rapporto confidenziale che oggi sembra essersi perduto e che papa Francesco nella lettera apostolica Aperuit illis ci invita a riprendere con forza: nel fragore del nostro mondo non c’è più posto per l’ascolto e il dialogo".

Per informazioni e contatti: emanuela.buccioni@gmail.com

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Padre nostro. Le varianti nel nuovo Messale Cei: tutto il lavoro che sta dietro una preghiera https://www.lavoce.it/padre-nostro-varianti-messale-cei/ https://www.lavoce.it/padre-nostro-varianti-messale-cei/#respond Wed, 13 Dec 2023 14:00:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53501 altare celebrazione

I Vescovi italiani, nell’Assemblea generale che si è tenuta da lunedì 12 a giovedì 15 novembre 2018, hanno approvato la nuova versione del Messale romano, che verrà sottoposta alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza. Nel Messale si trovano anche le traduzioni del Padre nostro e del Gloria, già pubblicate nella versione della Bibbia Cei del 2008 (nella quale furono apportati più di 100.000 tra cambiamenti, correzioni e miglioramenti). Tra le revisioni approvate emergono la formula del Pater “non abbandonarci alla tentazione”, e l’inizio del Gloria , “pace in terra agli uomini, amati dal Signore”.

La traduzione del Padre nostro

Il verbo greco eisphero alla lettera significa “portare dentro”, “far entrare”, “condurre”, e dunque era giustificata anche la precedente versione Cei, “non ci indurre in tentazione”, ricalcata dal latino, la quale però poteva lasciare immaginare che Dio potesse indurre alla tentazione.

La nuova traduzione Cei è migliorata a livello teologico, perché lascia intendere da una parte che Dio non tenta al male (come si evince anche dalla Lettera di Giacomo 1,13), e che, in ogni caso, vi sono nella vita delle prove che non sono “tentazioni”, come quella dello stesso Abramo (cfr. Genesi 22,1), volute da Dio.

Il sostantivo peirasmos infatti può assumere il senso di “prova” o di “tentazione”, a seconda del contesto: in senso positivo la prova può essere dimostrativa (Gen 22,1), oppure in senso negativo come istigazione al peccato. Nel caso del Padre nostro possono essere implicati tutti e due i significati, ma il fatto che si chieda l’aiuto di Dio potrebbe farci propendere verso l’idea che si tratti di una tentazione al male.

Nel caso del Padre nostro possono essere implicati tutti e due i significati, ma il fatto che si chieda l’aiuto di Dio potrebbe farci propendere verso l’idea che si tratti di una tentazione al male. In questo caso, si intende allora che quando si è ormai entrati in quella tentazione o prova, Dio comunque non abbandona.

Nel Messale la traduzione della Bibbia Cei 2008

La nuova versione liturgica Cei è accettabile, anche perché non esiste “la” traduzione che possa rendere perfettamente l’originale.

Allora non si può dire né che la traduzione pregata finora fosse scorretta (anche perché ricalcava semplicemente la versione latina di Girolamo), e nemmeno che lo sia quella proposta ora.

In fondo, tutte le traduzioni, quando approvate dalla Chiesa, e pregate, esprimono quel senso o quell’intelligenza di cui parla Papa Francesco nella Evangelii gaudium: “Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione”.

Traduzione complessa per il Padre nostro

Ma il vero punto è che la traduzione del Pater è alquanto complessa, e aperta a diverse interpretazioni. Anche se non si è discusso a tale riguardo nell’Assemblea Cei, prova ne è la questione, ancora più complicata, dell’aggettivo che definisce il pane nella stessa preghiera (“dacci oggi il nostro pane…”), aggettivo che in greco è epiousion ( Mt 6,11). Il significato dell’aggettivo è incerto, come dimostrato dai tentativi fatti dalle traduzioni antiche: quotidianus (Itala; così la traduzione gotica con sinteinan ), “perpetuo” (versione siriaca riveduta), “necessario / per il nostro bisogno” ( Peshitta), “che verrà” (copto sahidico), “di domani” (copto medio-egizio e bohairico come nel Vangelo degli Ebrei secondo Girolamo); “continuamente / per sempre” (Vangelo ebraico di Matteo di Shem Tov).

La cosa più interessante però è che nemmeno lo stesso san Girolamo è stato consistente: traduce il greco epiousion in Mt 6,11 con supersubstantialem, ma nella formula del Pater parallela di Lc 11,3 con cotidianum . Come si vede, la stessa parola viene resa in due modi diversi dallo stesso traduttore, per la stessa preghiera, il Padre nostro. E difficilmente potremmo rimproverare a Girolamo di non conoscere il greco o il latino.

Il fatto è che le lingue organizzano le loro strutture – anche semantiche – in modo differente, e non è possibile renderle esattamente e in modo equivalente.

La traduzione del Gloria

Un ulteriore esempio viene dal Gloria. Nella frase greca di Lc 2,14 è implicato il concetto di “santa volontà di Dio”, e non quello della volontà degli uomini, perciò anche qui è giustificata la nuova traduzione, che amplifica ma chiarisce: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore”.

Padre Giulio Michelini ofm, biblista e preside dell’Istituto teologico di Assisi

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altare celebrazione

I Vescovi italiani, nell’Assemblea generale che si è tenuta da lunedì 12 a giovedì 15 novembre 2018, hanno approvato la nuova versione del Messale romano, che verrà sottoposta alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza. Nel Messale si trovano anche le traduzioni del Padre nostro e del Gloria, già pubblicate nella versione della Bibbia Cei del 2008 (nella quale furono apportati più di 100.000 tra cambiamenti, correzioni e miglioramenti). Tra le revisioni approvate emergono la formula del Pater “non abbandonarci alla tentazione”, e l’inizio del Gloria , “pace in terra agli uomini, amati dal Signore”.

La traduzione del Padre nostro

Il verbo greco eisphero alla lettera significa “portare dentro”, “far entrare”, “condurre”, e dunque era giustificata anche la precedente versione Cei, “non ci indurre in tentazione”, ricalcata dal latino, la quale però poteva lasciare immaginare che Dio potesse indurre alla tentazione.

La nuova traduzione Cei è migliorata a livello teologico, perché lascia intendere da una parte che Dio non tenta al male (come si evince anche dalla Lettera di Giacomo 1,13), e che, in ogni caso, vi sono nella vita delle prove che non sono “tentazioni”, come quella dello stesso Abramo (cfr. Genesi 22,1), volute da Dio.

Il sostantivo peirasmos infatti può assumere il senso di “prova” o di “tentazione”, a seconda del contesto: in senso positivo la prova può essere dimostrativa (Gen 22,1), oppure in senso negativo come istigazione al peccato. Nel caso del Padre nostro possono essere implicati tutti e due i significati, ma il fatto che si chieda l’aiuto di Dio potrebbe farci propendere verso l’idea che si tratti di una tentazione al male.

Nel caso del Padre nostro possono essere implicati tutti e due i significati, ma il fatto che si chieda l’aiuto di Dio potrebbe farci propendere verso l’idea che si tratti di una tentazione al male. In questo caso, si intende allora che quando si è ormai entrati in quella tentazione o prova, Dio comunque non abbandona.

Nel Messale la traduzione della Bibbia Cei 2008

La nuova versione liturgica Cei è accettabile, anche perché non esiste “la” traduzione che possa rendere perfettamente l’originale.

Allora non si può dire né che la traduzione pregata finora fosse scorretta (anche perché ricalcava semplicemente la versione latina di Girolamo), e nemmeno che lo sia quella proposta ora.

In fondo, tutte le traduzioni, quando approvate dalla Chiesa, e pregate, esprimono quel senso o quell’intelligenza di cui parla Papa Francesco nella Evangelii gaudium: “Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione”.

Traduzione complessa per il Padre nostro

Ma il vero punto è che la traduzione del Pater è alquanto complessa, e aperta a diverse interpretazioni. Anche se non si è discusso a tale riguardo nell’Assemblea Cei, prova ne è la questione, ancora più complicata, dell’aggettivo che definisce il pane nella stessa preghiera (“dacci oggi il nostro pane…”), aggettivo che in greco è epiousion ( Mt 6,11). Il significato dell’aggettivo è incerto, come dimostrato dai tentativi fatti dalle traduzioni antiche: quotidianus (Itala; così la traduzione gotica con sinteinan ), “perpetuo” (versione siriaca riveduta), “necessario / per il nostro bisogno” ( Peshitta), “che verrà” (copto sahidico), “di domani” (copto medio-egizio e bohairico come nel Vangelo degli Ebrei secondo Girolamo); “continuamente / per sempre” (Vangelo ebraico di Matteo di Shem Tov).

La cosa più interessante però è che nemmeno lo stesso san Girolamo è stato consistente: traduce il greco epiousion in Mt 6,11 con supersubstantialem, ma nella formula del Pater parallela di Lc 11,3 con cotidianum . Come si vede, la stessa parola viene resa in due modi diversi dallo stesso traduttore, per la stessa preghiera, il Padre nostro. E difficilmente potremmo rimproverare a Girolamo di non conoscere il greco o il latino.

Il fatto è che le lingue organizzano le loro strutture – anche semantiche – in modo differente, e non è possibile renderle esattamente e in modo equivalente.

La traduzione del Gloria

Un ulteriore esempio viene dal Gloria. Nella frase greca di Lc 2,14 è implicato il concetto di “santa volontà di Dio”, e non quello della volontà degli uomini, perciò anche qui è giustificata la nuova traduzione, che amplifica ma chiarisce: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore”.

Padre Giulio Michelini ofm, biblista e preside dell’Istituto teologico di Assisi

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Padre nostro. La versione aggiornata: perché è cambiata? https://www.lavoce.it/padre-nostro-perche-cambia/ https://www.lavoce.it/padre-nostro-perche-cambia/#comments Fri, 01 Dec 2023 17:40:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56153 padre nostro

Dopo un lungo dibattito, è entrata nella liturgia italiana l’edizione ‘aggiornata’ del testo del Padre nostro. In particolare, a creare problema - e non da ieri, ma nei secoli dei secoli - era la frase “non ci indurre in tentazione”, quasi che Dio si sforzasse di far cadere i fedeli in qualche tranello a sorpresa, per poi condannarli.

Parole difficili da comprendere, e che del resto suonano misteriose anche nel testo originale greco del Vangelo di Matteo: mè eisenénkes hemàs ... “non portarci verso” la tentazione. Ma, come insegna la Lettera di Giacomo (1,13-14): “Nessuno dica di essere tentato da Dio! A tentarlo sono le sue passioni”.

Un po’ criptica anche l’espressione “sia santificato il tuo nome”, perché il nome di Dio è già santo in sé. E poi, sarebbe più esatto usare qui il termine italiano “santo” o “glorioso”?

Da quando i cambiamenti

Dal 29 novembre 2020, prima domenica di Avvento, in chiesa durante la messa si recita una versione del Padre nostro che ovvia a questi inconvenienti di traduzione. Già subito dopo Pasqua, tuttavia, il testo alternativo della preghiera insegnata da Gesù è comparso nella nuova edizione del Messale.

Il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, ha rilanciato l’argomento parlando con l’agenzia di stampa AdnKronos a margine del recente forum internazionale sul rapporto tra estetica e teologia tenutosi alla Pontificia università lateranense.

Le novità

Il Padre nostro nella nuova versione prevede che l’invocazione a Dio: “non indurci in tentazione” venga espressa meno ambiguamente con “non abbandonarci alla tentazione”. La nuova traduzione era stata approvata nel novembre 2018 dall’Assemblea generale della Cei. Dopo l’approvazione, la nuova edizione italiana (la terza) del Messale romano ha ottenuto il via libera del Papa.

Francesco a sua volta ne ha approvato la promulgazione sulla scia del giudizio positivo da parte della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. E infine, durante l’Assemblea generale del maggio 2019 il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, ha annunciato l’avvenuta confirmatio della Santa Sede, che ha concluso così un lavoro di studio e miglioramento dei testi durato oltre 16 anni.

Insomma, variare il testo (cioè la formulazione italiana!) del Padre nostro ha seguito un lungo e qualificato iter, non è certo stata un’azione raffazzonata o estemporanea. Tra le novità, oltre alla modifica “non abbandonarci alla tentazione”, all’espressione “come noi li rimettiamo” viene aggiunto “anche”: “come anche noi...”.

Piccolo cambiamento anche per il Gloria

Una variante è stata introdotta anche nel testo del Gloria, dove al posto di “pace in terra agli uomini di buona volontà” si dice “pace in terra agli uomini, amati dal Signore”, che è più conforme al testo greco dell’evangelista Luca (eudokìa indica l’amore benevolo di Dio, non la buona volontà dell’essere umano).

Perchè queste modifiche?

Il valore di questa piccola ma grande riforma liturgica lo ha ribadito in modo inequivocabile mons. Bruno Forte intervistato da Radio Vaticana: le modifiche derivano da “una fedeltà alle intenzioni espresse dalla preghiera di Gesù e all’originale greco. In realtà l’originale greco usa un verbo che significa letteralmente ‘portarci, condurci’. La traduzione latina inducere poteva richiamare l’omologo greco.

Però, in italiano ‘indurre’ vuol dire ‘spingere a...’, far sì che ciò avvenga. E risulta strano che si possa dire a Dio ‘non spingerci a cadere in tentazione’. Insomma, la traduzione ‘non indurci in’ non risultava fedele”.

E allora i Vescovi italiani hanno pensato di trovare una traduzione migliore “Un interrogativo che si sono posti anche episcopati di tutto il mondo. Ad esempio, in spagnolo, la lingua più parlata dai cattolici nel pianeta, si dice ‘fa’ che noi non cadiamo nella tentazione’. In francese, dopo molti travagli, si è passati da una traduzione che era ‘non sottometterci alla tentazione’ alla formula attuale ‘non lasciarci entrare in tentazione’.

Dunque l’idea da esprimere è questa: il nostro Dio, che è un Dio buono e grande nell’amore, fa in modo che noi non cadiamo in tentazione. La mia personale proposta è stata che si traducesse ‘fa’ che non cadiamo in tentazione’. Però, dato che nella Bibbia Cei 2008 la traduzione scelta è stata ‘non abbandonarci alla tentazione’, alla fine i Vescovi, per rispettare la corrispondenza tra il testo biblico ufficiale e la liturgia, hanno preferito quest’ultima versione”.

Molti teologi e pastori hanno però fatto notare che la vecchia espressione ‘non ci indurre in tentazione’ faceva riferimento alle prove che Dio permette nella nostra vita.

“Una cosa è la prova, in generale; ma il termine che si trova nella preghiera del Padre nostro è lo stesso usato nel Vangelo di Luca in riferimento alle tentazioni di Gesù, che sono vere tentazioni. Allora, non si tratta semplicemente di una qualunque prova della vita, ma di vere tentazioni. Qualcosa o qualcuno che ci induce a fare il male o ci vuole separare dalla comunione con Dio.

Ecco perché l’espressione ‘tentazione’ è corretta, e il verbo che le corrisponde deve essere un verbo che faccia comprendere come il nostro è un Dio che ci soccorre, che ci aiuta a non cadere in tentazione. Non un Dio che, in qualunque modo ci tende una trappola. Questa è un’idea assolutamente inaccettabile”.

D. R.

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padre nostro

Dopo un lungo dibattito, è entrata nella liturgia italiana l’edizione ‘aggiornata’ del testo del Padre nostro. In particolare, a creare problema - e non da ieri, ma nei secoli dei secoli - era la frase “non ci indurre in tentazione”, quasi che Dio si sforzasse di far cadere i fedeli in qualche tranello a sorpresa, per poi condannarli.

Parole difficili da comprendere, e che del resto suonano misteriose anche nel testo originale greco del Vangelo di Matteo: mè eisenénkes hemàs ... “non portarci verso” la tentazione. Ma, come insegna la Lettera di Giacomo (1,13-14): “Nessuno dica di essere tentato da Dio! A tentarlo sono le sue passioni”.

Un po’ criptica anche l’espressione “sia santificato il tuo nome”, perché il nome di Dio è già santo in sé. E poi, sarebbe più esatto usare qui il termine italiano “santo” o “glorioso”?

Da quando i cambiamenti

Dal 29 novembre 2020, prima domenica di Avvento, in chiesa durante la messa si recita una versione del Padre nostro che ovvia a questi inconvenienti di traduzione. Già subito dopo Pasqua, tuttavia, il testo alternativo della preghiera insegnata da Gesù è comparso nella nuova edizione del Messale.

Il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, ha rilanciato l’argomento parlando con l’agenzia di stampa AdnKronos a margine del recente forum internazionale sul rapporto tra estetica e teologia tenutosi alla Pontificia università lateranense.

Le novità

Il Padre nostro nella nuova versione prevede che l’invocazione a Dio: “non indurci in tentazione” venga espressa meno ambiguamente con “non abbandonarci alla tentazione”. La nuova traduzione era stata approvata nel novembre 2018 dall’Assemblea generale della Cei. Dopo l’approvazione, la nuova edizione italiana (la terza) del Messale romano ha ottenuto il via libera del Papa.

Francesco a sua volta ne ha approvato la promulgazione sulla scia del giudizio positivo da parte della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. E infine, durante l’Assemblea generale del maggio 2019 il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, ha annunciato l’avvenuta confirmatio della Santa Sede, che ha concluso così un lavoro di studio e miglioramento dei testi durato oltre 16 anni.

Insomma, variare il testo (cioè la formulazione italiana!) del Padre nostro ha seguito un lungo e qualificato iter, non è certo stata un’azione raffazzonata o estemporanea. Tra le novità, oltre alla modifica “non abbandonarci alla tentazione”, all’espressione “come noi li rimettiamo” viene aggiunto “anche”: “come anche noi...”.

Piccolo cambiamento anche per il Gloria

Una variante è stata introdotta anche nel testo del Gloria, dove al posto di “pace in terra agli uomini di buona volontà” si dice “pace in terra agli uomini, amati dal Signore”, che è più conforme al testo greco dell’evangelista Luca (eudokìa indica l’amore benevolo di Dio, non la buona volontà dell’essere umano).

Perchè queste modifiche?

Il valore di questa piccola ma grande riforma liturgica lo ha ribadito in modo inequivocabile mons. Bruno Forte intervistato da Radio Vaticana: le modifiche derivano da “una fedeltà alle intenzioni espresse dalla preghiera di Gesù e all’originale greco. In realtà l’originale greco usa un verbo che significa letteralmente ‘portarci, condurci’. La traduzione latina inducere poteva richiamare l’omologo greco.

Però, in italiano ‘indurre’ vuol dire ‘spingere a...’, far sì che ciò avvenga. E risulta strano che si possa dire a Dio ‘non spingerci a cadere in tentazione’. Insomma, la traduzione ‘non indurci in’ non risultava fedele”.

E allora i Vescovi italiani hanno pensato di trovare una traduzione migliore “Un interrogativo che si sono posti anche episcopati di tutto il mondo. Ad esempio, in spagnolo, la lingua più parlata dai cattolici nel pianeta, si dice ‘fa’ che noi non cadiamo nella tentazione’. In francese, dopo molti travagli, si è passati da una traduzione che era ‘non sottometterci alla tentazione’ alla formula attuale ‘non lasciarci entrare in tentazione’.

Dunque l’idea da esprimere è questa: il nostro Dio, che è un Dio buono e grande nell’amore, fa in modo che noi non cadiamo in tentazione. La mia personale proposta è stata che si traducesse ‘fa’ che non cadiamo in tentazione’. Però, dato che nella Bibbia Cei 2008 la traduzione scelta è stata ‘non abbandonarci alla tentazione’, alla fine i Vescovi, per rispettare la corrispondenza tra il testo biblico ufficiale e la liturgia, hanno preferito quest’ultima versione”.

Molti teologi e pastori hanno però fatto notare che la vecchia espressione ‘non ci indurre in tentazione’ faceva riferimento alle prove che Dio permette nella nostra vita.

“Una cosa è la prova, in generale; ma il termine che si trova nella preghiera del Padre nostro è lo stesso usato nel Vangelo di Luca in riferimento alle tentazioni di Gesù, che sono vere tentazioni. Allora, non si tratta semplicemente di una qualunque prova della vita, ma di vere tentazioni. Qualcosa o qualcuno che ci induce a fare il male o ci vuole separare dalla comunione con Dio.

Ecco perché l’espressione ‘tentazione’ è corretta, e il verbo che le corrisponde deve essere un verbo che faccia comprendere come il nostro è un Dio che ci soccorre, che ci aiuta a non cadere in tentazione. Non un Dio che, in qualunque modo ci tende una trappola. Questa è un’idea assolutamente inaccettabile”.

D. R.

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Massimo Cacciari apre il ciclo di incontri del SAB 2023-2024 dedicati all’Esodo https://www.lavoce.it/massimo-cacciari-apre-il-ciclo-di-incontri-del-sab-2023-2024-dedicati-allesodo/ https://www.lavoce.it/massimo-cacciari-apre-il-ciclo-di-incontri-del-sab-2023-2024-dedicati-allesodo/#respond Tue, 14 Nov 2023 13:52:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73960 massimo cacciari

Inizierà venerdì 17 novembre (ore 19), presso la Sala dei Notari del Palazzo dei Priori a Perugia, il nuovo ciclo di incontri 2023-2024 del SAB, il Servizio per l’Animazione Biblica dell’Archidiocesi perugino-pievese, dal titolo Dalla Schiavitù alla Libertà, di lettura della Bibbia incentrato sul libro dell’Esodo, con la lectio magistrale del professor Massimo Cacciari sul tema: L’Esodo, la Torah e la Legge. L’incontro potrà essere seguito anche via web grazie alla diretta YouTube dal sito: www.lapartebuona.it  dove è pubblicato il programma di questo ciclo.

Alla scoperta del significato sempre attuale della Bibbia

"Si tratta del primo di diversi incontri -annuncia padre Giulio Michelini (Ofm), coordinatore del SAB- che aiuteranno a scoprire il significato sempre attuale di un testo fondamentale per l’ebraismo e il cristianesimo".

Il ciclo sul libro dell’Esodo offre una serie di interessanti appuntamenti-dialoghi con diversi esperti e studiosi, tra dicembre 2023 ed aprile 2024, presso il Convento francescano di Monteripido a Perugia il cui calendario è consultabile-scaricabile anche al link: Al via il ciclo di incontri del SAB 2023-2024 sul libro dell’Esodo. Relatore Massimo Cacciari. – Diocesi Perugia .

Il pellegrinaggio-viaggio in una delle culle dell’umanità

 Il ciclo si concluderà con un appuntamento alquanto originale, un pellegrinaggio-viaggio di studio in Egitto, dal 24 al 31 maggio 2024, per conoscere i luoghi dell’Esodo (il programma definitivo è sempre consultabile-scaricabile sul sito: www.lapartebuona.it), la cui finalità è presentata da padre Michelini.

"La lettura del libro dell’Esodo- sottolinea il coordinatore del SAB- non può che portare in Egitto. È lì, infatti, che sono ambientati i primi tredici capitoli del racconto, fino alla partenza per il Mar Rosso. È in Egitto, poi, che ritorna idealmente la Bibbia quando pensa alla schiavitù del popolo di Israele, e alla sua liberazione.

La letteratura antica egizia, inoltre, è strettamente collegata a diversi testi sapienziali biblici, quali, ad esempio, il Cantico dei Cantici o il libro dei Proverbi.

Ma l’Egitto parlerà da sé, soprattutto navigando sul Nilo: ci imbarcheremo per viaggiare sino alle radici della civiltà, della storia, dell’architettura e del senso religioso, lungo il fiume che è stato una delle culle dell’umanità"  .

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massimo cacciari

Inizierà venerdì 17 novembre (ore 19), presso la Sala dei Notari del Palazzo dei Priori a Perugia, il nuovo ciclo di incontri 2023-2024 del SAB, il Servizio per l’Animazione Biblica dell’Archidiocesi perugino-pievese, dal titolo Dalla Schiavitù alla Libertà, di lettura della Bibbia incentrato sul libro dell’Esodo, con la lectio magistrale del professor Massimo Cacciari sul tema: L’Esodo, la Torah e la Legge. L’incontro potrà essere seguito anche via web grazie alla diretta YouTube dal sito: www.lapartebuona.it  dove è pubblicato il programma di questo ciclo.

Alla scoperta del significato sempre attuale della Bibbia

"Si tratta del primo di diversi incontri -annuncia padre Giulio Michelini (Ofm), coordinatore del SAB- che aiuteranno a scoprire il significato sempre attuale di un testo fondamentale per l’ebraismo e il cristianesimo".

Il ciclo sul libro dell’Esodo offre una serie di interessanti appuntamenti-dialoghi con diversi esperti e studiosi, tra dicembre 2023 ed aprile 2024, presso il Convento francescano di Monteripido a Perugia il cui calendario è consultabile-scaricabile anche al link: Al via il ciclo di incontri del SAB 2023-2024 sul libro dell’Esodo. Relatore Massimo Cacciari. – Diocesi Perugia .

Il pellegrinaggio-viaggio in una delle culle dell’umanità

 Il ciclo si concluderà con un appuntamento alquanto originale, un pellegrinaggio-viaggio di studio in Egitto, dal 24 al 31 maggio 2024, per conoscere i luoghi dell’Esodo (il programma definitivo è sempre consultabile-scaricabile sul sito: www.lapartebuona.it), la cui finalità è presentata da padre Michelini.

"La lettura del libro dell’Esodo- sottolinea il coordinatore del SAB- non può che portare in Egitto. È lì, infatti, che sono ambientati i primi tredici capitoli del racconto, fino alla partenza per il Mar Rosso. È in Egitto, poi, che ritorna idealmente la Bibbia quando pensa alla schiavitù del popolo di Israele, e alla sua liberazione.

La letteratura antica egizia, inoltre, è strettamente collegata a diversi testi sapienziali biblici, quali, ad esempio, il Cantico dei Cantici o il libro dei Proverbi.

Ma l’Egitto parlerà da sé, soprattutto navigando sul Nilo: ci imbarcheremo per viaggiare sino alle radici della civiltà, della storia, dell’architettura e del senso religioso, lungo il fiume che è stato una delle culle dell’umanità"  .

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La Bibbia giorno e notte: 24 ore di lettura delle sacre scritture https://www.lavoce.it/la-bibbia-giorno-e-notte-24-ore-di-lettura-delle-sacre-scritture/ Thu, 19 Jan 2023 14:08:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70130 La Bibbia giorno e notte

Da sabato 21 gennaio dalle 17 alla stessa ora di domenica 22 gennaio nella chiesa del Santissimo Salvatore a Terni, si svolgerà la quarta edizione di La Bibbia giorno e notte la lettura della seconda parte della Bibbia, dei Libri Sapienziali: Proverbi, Qoelet, Cantico dei Cantici, Giobbe, Siracide, Sapienza.

Una notte e un giorno, senza interruzioni e commenti nei quali saranno letti integralmente i vari libri dall’inizio alla fine, così come la tradizione e la chiesa li hanno consegnati attraverso i millenni.

Ascolto e riflessione

Ritrovare le condizioni dell’ascolto e della riflessione attraverso la lettura del Libro per eccellenza, è il segno che la commissione Evangelizzazione e Catechesi, settore Apostolato Biblico della diocesi di Terni-Narni-Amelia e Azione Cattolica diocesana, hanno scelto per sottolineare il primato della Parola di Dio nella vita di ogni credente, nella Domenica della Parola indetta da Papa Francesco per la terza domenica di gennaio, che si inserisce all’interno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e viene vissuta nella diocesi come segno eminentemente ecumenico.

Coinvolte più di settanta persone

A leggere i passi biblici si alterneranno più di settanta persone di ogni età, categoria sociale e confessione religiosa. Ogni lettore proclama circa sei pagine del testo per circa quindici minuti. I brani proclamati saranno intervallati da un breve spazio musicale. Anche i non credenti possono partecipare nel rispetto della Parola.

Diretta streaming

All’evento La Bibbia giorno e notte non si partecipa soltanto in qualità di lettori, ma soprattutto nell’ascolto, sia all’interno della chiesa di San Salvatore a Terni, sia seguendola in streaming sulla pagina Facebook Diocesi di Terni-Narni-Amelia, sui canali Youtube Diocesi Terni Narni Amelia, parrocchia Santa Maria della Misericordia Terni.

Una lettura che accomuna tutti

"Al di là delle convinzioni religiose di ciascuno -spiega Emanuela Buccioni responsabile dell’Settore Apostolato Biblico della diocesi- la Bibbia è la lettura che ci accomuna tutti e nella quale ritroviamo molte delle nostre radici culturali e umane. E' il libro della Parola, del continuo dialogo tra Dio e l’uomo. Un rapporto confidenziale che oggi sembra essersi perduto e che Papa Francesco nella lettera apostolica Aperuit illis ci invita a riprendere con forza: nel fragore del nostro mondo non c’è più posto per l’ascolto e il dialogo".

Per informazioni e contatti, emanuela.buccioni@gmail.

Celebrazione a Perugia della Domenica della Parola 2023 con l’arcivescovo Ivan Maffeis e lectio a più voci nella Cattedrale di San Lorenzo

Sarà celebrata nella Cattedrale di San Lorenzo di Perugia la Domenica della Parola 2023, nel pomeriggio del 22 gennaio, con l’accoglienza dei fedeli alle ore 16.30, che si tiene ogni anno su indicazione di Papa Francesco nella III domenica del Tempo Ordinario, promossa a livello diocesano dal Servizio per l’animazione biblica e l’Ufficio liturgico. A precedere la celebrazione eucaristica, presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis, sarà la lectio divina a più voci sul brano evangelico di Marta e Maria (Lc 10,38-42), in programma alle ore 16.45. Padre Giulio Michelini ofm (responsabile del Sab), avrà il compito di fare l'esegesi del brano; l'architetto Micaela Soranzo, proporrà una lettura del brano attraverso le immagini; don Calogero Di Leo (membro del Sab e direttore dell'Ufficio catechistico diocesano), chiuderà la lectio divina con una lettura pastorale del brano. Ad intervallare i tre momenti, saranno proposti canti sul tema della Parola di Dio. All’evento religioso, che culminerà con la celebrazione eucaristica delle ore 18, sono invitati a partecipare sacerdoti, diaconi, uomini e donne a vita consacrata e fedeli laici. A tutti loro è messo a disposizione il sussidio redatto dalla Cei per l’animazione liturgica delle assemblee domenicali e per la formazione personale, scaricabile dal link: http://diocesi.perugia.it/wp-content/uploads/2023/01/Domenica-della-Parola-2023.pdf . Per ulteriori informazioni sulla Domenica della Parola 2023 consultare il sito: www.lapartebuona.it .]]>
La Bibbia giorno e notte

Da sabato 21 gennaio dalle 17 alla stessa ora di domenica 22 gennaio nella chiesa del Santissimo Salvatore a Terni, si svolgerà la quarta edizione di La Bibbia giorno e notte la lettura della seconda parte della Bibbia, dei Libri Sapienziali: Proverbi, Qoelet, Cantico dei Cantici, Giobbe, Siracide, Sapienza.

Una notte e un giorno, senza interruzioni e commenti nei quali saranno letti integralmente i vari libri dall’inizio alla fine, così come la tradizione e la chiesa li hanno consegnati attraverso i millenni.

Ascolto e riflessione

Ritrovare le condizioni dell’ascolto e della riflessione attraverso la lettura del Libro per eccellenza, è il segno che la commissione Evangelizzazione e Catechesi, settore Apostolato Biblico della diocesi di Terni-Narni-Amelia e Azione Cattolica diocesana, hanno scelto per sottolineare il primato della Parola di Dio nella vita di ogni credente, nella Domenica della Parola indetta da Papa Francesco per la terza domenica di gennaio, che si inserisce all’interno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e viene vissuta nella diocesi come segno eminentemente ecumenico.

Coinvolte più di settanta persone

A leggere i passi biblici si alterneranno più di settanta persone di ogni età, categoria sociale e confessione religiosa. Ogni lettore proclama circa sei pagine del testo per circa quindici minuti. I brani proclamati saranno intervallati da un breve spazio musicale. Anche i non credenti possono partecipare nel rispetto della Parola.

Diretta streaming

All’evento La Bibbia giorno e notte non si partecipa soltanto in qualità di lettori, ma soprattutto nell’ascolto, sia all’interno della chiesa di San Salvatore a Terni, sia seguendola in streaming sulla pagina Facebook Diocesi di Terni-Narni-Amelia, sui canali Youtube Diocesi Terni Narni Amelia, parrocchia Santa Maria della Misericordia Terni.

Una lettura che accomuna tutti

"Al di là delle convinzioni religiose di ciascuno -spiega Emanuela Buccioni responsabile dell’Settore Apostolato Biblico della diocesi- la Bibbia è la lettura che ci accomuna tutti e nella quale ritroviamo molte delle nostre radici culturali e umane. E' il libro della Parola, del continuo dialogo tra Dio e l’uomo. Un rapporto confidenziale che oggi sembra essersi perduto e che Papa Francesco nella lettera apostolica Aperuit illis ci invita a riprendere con forza: nel fragore del nostro mondo non c’è più posto per l’ascolto e il dialogo".

Per informazioni e contatti, emanuela.buccioni@gmail.

Celebrazione a Perugia della Domenica della Parola 2023 con l’arcivescovo Ivan Maffeis e lectio a più voci nella Cattedrale di San Lorenzo

Sarà celebrata nella Cattedrale di San Lorenzo di Perugia la Domenica della Parola 2023, nel pomeriggio del 22 gennaio, con l’accoglienza dei fedeli alle ore 16.30, che si tiene ogni anno su indicazione di Papa Francesco nella III domenica del Tempo Ordinario, promossa a livello diocesano dal Servizio per l’animazione biblica e l’Ufficio liturgico. A precedere la celebrazione eucaristica, presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis, sarà la lectio divina a più voci sul brano evangelico di Marta e Maria (Lc 10,38-42), in programma alle ore 16.45. Padre Giulio Michelini ofm (responsabile del Sab), avrà il compito di fare l'esegesi del brano; l'architetto Micaela Soranzo, proporrà una lettura del brano attraverso le immagini; don Calogero Di Leo (membro del Sab e direttore dell'Ufficio catechistico diocesano), chiuderà la lectio divina con una lettura pastorale del brano. Ad intervallare i tre momenti, saranno proposti canti sul tema della Parola di Dio. All’evento religioso, che culminerà con la celebrazione eucaristica delle ore 18, sono invitati a partecipare sacerdoti, diaconi, uomini e donne a vita consacrata e fedeli laici. A tutti loro è messo a disposizione il sussidio redatto dalla Cei per l’animazione liturgica delle assemblee domenicali e per la formazione personale, scaricabile dal link: http://diocesi.perugia.it/wp-content/uploads/2023/01/Domenica-della-Parola-2023.pdf . Per ulteriori informazioni sulla Domenica della Parola 2023 consultare il sito: www.lapartebuona.it .]]>
“Signore, fino a quando?” https://www.lavoce.it/signore-fino-a-quando/ Wed, 14 Dec 2022 17:12:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69600

di Giovanni Capetta

Quando siamo nella prova, spesso ci mancano le parole. Per un lutto, una grave malattia fisica o psicologica. Anche la famiglia, per la sofferenza di un suo componente, si può trovare in balìa del silenzio, del dubbio, della tentazione di non fidarsi che il Signore sia presente anche lì. I versi del Salmo 80 sembrano scritti proprio per circostanze come queste. Israele è allo sbando e chiede a Dio di salvarlo ancora una volta: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci” (v. 4). E subito dopo, con quello che sarà un ritornello: “O Dio, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (v. 4; vedi vv. 8 e 20). Per tutto il componimento c’è un doppio movimento convergente: quello chiesto al Signore, di ritornare, e quello che è necessario facciano gli esseri umani, di tornare a Lui.

È la dinamica della conversione di ogni credente. Da un lato c’è il lamento per essere stati abbandonati, la paura dell’ira e del castigo, da cui non siamo esenti neppure noi cristiani: “Fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo?… Ci fai bere lacrime in abbondanza” (vv. 5-6). Dall’altra affiora l’onesta consapevolezza che il male che proviamo non è voluto da Dio e che, anzi, molta parte della nostra desolazione è dovuta all’esserci allontanati dalla strada che Lui ha indicato.

Se riusciremo a vedere nuovamente lo splendore del suo vero volto di misericordia, potremo ritrovare il sentiero. Il Salmo, con un’immagine evocativa per il popolo ebraico, narra di una vigna che Dio aveva coltivato con ogni cura e reso rigogliosa: “Hai sradicato una vite dall’Egitto… Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra” (vv. 9-10), ora è invece distrutta: “Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna” (vv. 13-14). È ancora una volta l’ammissione non solo di una colpa, ma della propria sconfinata fragilità: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna!” (v. 15).

Prima di concludere, ecco reiterato il movimento convergente di chi di nuovo spera nel Signore: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (v. 19). Pare a questo punto di sentire l’obiezione angosciata di una madre che assiste un figlio gravemente malato, o le vittime di un conflitto o di una calamità naturale. C’è un male innocente, che non è causato dal nostro peccato; ed è di fronte a questo che, ancora più forte l’uomo grida a Dio: “Fino a quando?”. Un’attesa diversa, questa per noi, fondata saldamente sulle parole di Gesù: un giorno ritornerà, dando senso definitivamente a tutta l’ingiusta sofferenza dell’umanità.

Anche se non sappiamo il giorno e l’ora, ci fidiamo della sua promessa. Il tempo di Avvento che stiamo celebrando – e in cui liturgicamente questo Salmo è molto presente – ci prepara a questo ritorno di Gesù, in una dimensione che va oltre la pur legittima memoria del Natale, la sua prima venuta nella carne e nella storia a Betlemme. Non c’è modo più fecondo di vivere il presente, anche nelle sue più dolorose contraddizioni, se non con l’animo trepidante di chi ha invitato a casa l’Ospite più caro. Facciamoci trovare pronti: il Signore viene.

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di Giovanni Capetta

Quando siamo nella prova, spesso ci mancano le parole. Per un lutto, una grave malattia fisica o psicologica. Anche la famiglia, per la sofferenza di un suo componente, si può trovare in balìa del silenzio, del dubbio, della tentazione di non fidarsi che il Signore sia presente anche lì. I versi del Salmo 80 sembrano scritti proprio per circostanze come queste. Israele è allo sbando e chiede a Dio di salvarlo ancora una volta: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci” (v. 4). E subito dopo, con quello che sarà un ritornello: “O Dio, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (v. 4; vedi vv. 8 e 20). Per tutto il componimento c’è un doppio movimento convergente: quello chiesto al Signore, di ritornare, e quello che è necessario facciano gli esseri umani, di tornare a Lui.

È la dinamica della conversione di ogni credente. Da un lato c’è il lamento per essere stati abbandonati, la paura dell’ira e del castigo, da cui non siamo esenti neppure noi cristiani: “Fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo?… Ci fai bere lacrime in abbondanza” (vv. 5-6). Dall’altra affiora l’onesta consapevolezza che il male che proviamo non è voluto da Dio e che, anzi, molta parte della nostra desolazione è dovuta all’esserci allontanati dalla strada che Lui ha indicato.

Se riusciremo a vedere nuovamente lo splendore del suo vero volto di misericordia, potremo ritrovare il sentiero. Il Salmo, con un’immagine evocativa per il popolo ebraico, narra di una vigna che Dio aveva coltivato con ogni cura e reso rigogliosa: “Hai sradicato una vite dall’Egitto… Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra” (vv. 9-10), ora è invece distrutta: “Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna” (vv. 13-14). È ancora una volta l’ammissione non solo di una colpa, ma della propria sconfinata fragilità: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna!” (v. 15).

Prima di concludere, ecco reiterato il movimento convergente di chi di nuovo spera nel Signore: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (v. 19). Pare a questo punto di sentire l’obiezione angosciata di una madre che assiste un figlio gravemente malato, o le vittime di un conflitto o di una calamità naturale. C’è un male innocente, che non è causato dal nostro peccato; ed è di fronte a questo che, ancora più forte l’uomo grida a Dio: “Fino a quando?”. Un’attesa diversa, questa per noi, fondata saldamente sulle parole di Gesù: un giorno ritornerà, dando senso definitivamente a tutta l’ingiusta sofferenza dell’umanità.

Anche se non sappiamo il giorno e l’ora, ci fidiamo della sua promessa. Il tempo di Avvento che stiamo celebrando – e in cui liturgicamente questo Salmo è molto presente – ci prepara a questo ritorno di Gesù, in una dimensione che va oltre la pur legittima memoria del Natale, la sua prima venuta nella carne e nella storia a Betlemme. Non c’è modo più fecondo di vivere il presente, anche nelle sue più dolorose contraddizioni, se non con l’animo trepidante di chi ha invitato a casa l’Ospite più caro. Facciamoci trovare pronti: il Signore viene.

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‘La Bibbia notte e giorno’: III edizione alla chiesa di San Salvatore https://www.lavoce.it/la-bibbia-notte-e-giorno-iii-edizione-alla-chiesa-di-san-salvatore/ Fri, 21 Jan 2022 14:52:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64606 La Bibbia notte e giorno

Da sabato 22 gennaio dalle 17 a domenica 23 gennaio alle 17 nella chiesa di San Salvatore a Terni, si svolgerà la terza edizione di La Bibbia notte e giorno la lettura della seconda parte della Bibbia, i Libri Storici: Ester, 1-2, Cronache, Esdra, Neemia, 1-2 Maccabei. Una notte e un giorno, senza interruzioni e commenti nei quali saranno letti integralmente i vari libri dall’inizio alla fine, così come la tradizione e la chiesa li hanno consegnati attraverso i millenni.

Ritrovare le condizioni dell’ascolto e della riflessione attraverso la lettura del Libro per eccellenza è il segno che la Diocesi di Terni Narni e Amelia ha scelto per sottolineare il primato della Parola di Dio nella vita di ogni credente, nella Domenica della Parola indetta dal papa per la terza domenica di gennaio e che quest’anno si inserisce all’interno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che viene vissuta nella diocesi come segno eminentemente ecumenico. A leggere i passi biblici si alterneranno più di settanta persone di ogni età, categoria sociale e confessione religiosa. Ogni lettore proclama circa cinque pagine del testo per circa quindici minuti.

I brani proclamati saranno intervallati da un breve spazio musicale. Anche i non credenti possono partecipare nel rispetto della Parola. All’evento La Bibbia notte e giorno non si partecipa soltanto in qualità di lettori, ma soprattutto nell’ascolto, sia all’interno della chiesa di San Salvatore a Terni, sia seguendola in streaming.

L’evento sarà ripreso e diffuso in streaming sulla pagina Facebook Diocesi di Terni-Narni-Amelia, sui canali YouTube Diocesi Terni Narni Amelia, parrocchia Santa Maria della Misericordia Terni.

"Al di là delle convinzioni religiose di ciascuno -spiega Emanuela Buccioni responsabile dell’Settore Apostolato Biblico della diocesi- la Bibbia è la lettura che ci accomuna tutti e nella quale ritroviamo molte delle nostre radici culturali e umane.

La Bibbia è il libro della Parola, del continuo dialogo tra Dio e l’uomo. Un rapporto confidenziale che oggi sembra essersi perduto e che papa Francesco nella lettera apostolica Aperuit illis ci invita a riprendere con forza: nel fragore del nostro mondo non c’è più posto per l’ascolto e il dialogo".

Per informazioni e contatti Commissione Evangelizzazione e Catechesi TNA – Settore Apostolato Biblico, emanuela.buccioni@gmail.

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La Bibbia notte e giorno

Da sabato 22 gennaio dalle 17 a domenica 23 gennaio alle 17 nella chiesa di San Salvatore a Terni, si svolgerà la terza edizione di La Bibbia notte e giorno la lettura della seconda parte della Bibbia, i Libri Storici: Ester, 1-2, Cronache, Esdra, Neemia, 1-2 Maccabei. Una notte e un giorno, senza interruzioni e commenti nei quali saranno letti integralmente i vari libri dall’inizio alla fine, così come la tradizione e la chiesa li hanno consegnati attraverso i millenni.

Ritrovare le condizioni dell’ascolto e della riflessione attraverso la lettura del Libro per eccellenza è il segno che la Diocesi di Terni Narni e Amelia ha scelto per sottolineare il primato della Parola di Dio nella vita di ogni credente, nella Domenica della Parola indetta dal papa per la terza domenica di gennaio e che quest’anno si inserisce all’interno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che viene vissuta nella diocesi come segno eminentemente ecumenico. A leggere i passi biblici si alterneranno più di settanta persone di ogni età, categoria sociale e confessione religiosa. Ogni lettore proclama circa cinque pagine del testo per circa quindici minuti.

I brani proclamati saranno intervallati da un breve spazio musicale. Anche i non credenti possono partecipare nel rispetto della Parola. All’evento La Bibbia notte e giorno non si partecipa soltanto in qualità di lettori, ma soprattutto nell’ascolto, sia all’interno della chiesa di San Salvatore a Terni, sia seguendola in streaming.

L’evento sarà ripreso e diffuso in streaming sulla pagina Facebook Diocesi di Terni-Narni-Amelia, sui canali YouTube Diocesi Terni Narni Amelia, parrocchia Santa Maria della Misericordia Terni.

"Al di là delle convinzioni religiose di ciascuno -spiega Emanuela Buccioni responsabile dell’Settore Apostolato Biblico della diocesi- la Bibbia è la lettura che ci accomuna tutti e nella quale ritroviamo molte delle nostre radici culturali e umane.

La Bibbia è il libro della Parola, del continuo dialogo tra Dio e l’uomo. Un rapporto confidenziale che oggi sembra essersi perduto e che papa Francesco nella lettera apostolica Aperuit illis ci invita a riprendere con forza: nel fragore del nostro mondo non c’è più posto per l’ascolto e il dialogo".

Per informazioni e contatti Commissione Evangelizzazione e Catechesi TNA – Settore Apostolato Biblico, emanuela.buccioni@gmail.

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Benigni: una prova di forza https://www.lavoce.it/benigni-una-prova-di-forza/ Tue, 12 May 2020 14:52:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57140 Sì, penso che sia stata soprattutto una prova di forza. Parlo della trasmissione televisiva che Roberto Benigni ha dedicato alla presentazione dei Dieci Comandamenti la sera di sabato 9 maggio u.s.. Una prova di forza. Tanto più perché l’aveva già fatta, quella presentazione, nel 2014.

“Voglio vedere se il mio pubblico regge ancora un mio monologo lungo un po’ più di tre ore e mezza!” Ha retto, quel pubblico, e ha continuato ad applaudire, ininterrottamente, dalle 20,30 alle 24 e oltre. Prova di forza riuscita, perché la vis comunicativa di Benigni ti coinvolge anche quando parla di zecche e pappataci, ma soprattutto perché giustificava lo spreco di aggettivi superlativi con la grande capacità di cogliere la sostanza di profonda umanità e di straordinaria attualità presente in ognuna delle Dieci Parole che Dio lanciò nella storia dal Mone Sinai.

“Profonda umanità”. Particolarmente intensa nella presentazione del quarto comandamento; “Onora il padre e la madre”: sono venuti a galla i ricordi personali; e con essi la forza morale, elementare ma di grande spessore, della famiglia contadina dei temi andati, con la sua capacità di apprezzare le cose della vita per quello che valgono: da questa istanza ideale di quella famiglia, che è stata anche la sua, è nato l’artista Benigni.
“Straordinaria attualità”. Quel commento al nono comandamento, “Non desiderare la roba d’altri”, con quel ripetuto, shockante ritornello; “Rubano e non se ne vergognano, rubano e se ne vantano!!”

“Me la faranno pagare, o mi faranno cardinale?” ti sei chiesto: niente, Roberto non se ne farà niente. Non c’è motivo per farlo. Ti saremo sempre grati per l’intensità morale che hai colto nelle tavole del Sinai, ma…

Ma vedi, quella è solo una tappa della storia che inizia con Adamo a finisce nella valle di Giosafat: la storia della salvezza. Una storia all’interno della quale le dieci parole date a Mosè rappresentano una tappa, di perenne validità, certo, ma solo una tappa.
Verrà il tempo in cui l’uomo di Nazareth, e sulla sua scia, ma con particolare vigore, Paolo di Tarso relativizzerà la legge a favore della Grazia.

Il tempo in cui, senza dimenticarle, anzi, proprio grazie anche ad esse, Agostino compendierà tutto in quattro parole: “Ama et fac quod vis!”. Tutto il resto sarà sempre e soltanto esemplificazione. Le Dieci Parole potevano essere anche dodici, o anche sette: l’importante che si potesse giungere alle quattro parole di Agostino.

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BIBBIA. Il Cantico non è solo “Benigni”… però è scandaloso https://www.lavoce.it/bibbia-cantico-benigni/ Sun, 16 Feb 2020 08:00:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56311 benigni

È quasi inutile dire che il Cantico dei cantici non è esattamente come il regista premio Oscar Roberto Benigni ne ha parlato a Sanremo. Come già è stato osservato dalla biblista Rosalba Manes sul sito dell’agenzia Sir della Cei, il Cantico non è entrato nel canone biblico “per distrazione”, anche perché aggiungiamo noi - è una delle tante pagine della Bibbia che parla di amore ed eros.

Come mai il Cantico è nella Bibbia

Nelle Scritture di Israele, infatti, vi è un’attenzione costante alla vita degli uomini e delle donne, e il tema dell’amore (anche umano) non poteva certo mancare: basterà ricordare i racconti di innamoramento dei Patriarchi vicino ai pozzi d’acqua, narrati nel libro della Genesi, o la storia d’amore di Davide e Micol, così complicata e descritta fin nei minimi particolari nei libri di Samuele.

Se il Cantico non ci fosse stato, insomma, si sarebbe dovuto inventare. Certo, tranne forse che in un versetto, e comunque in modo indiretto (8,6: “fiamma divina” o “fiamma fortissima”, come altri traducono?), Dio nel Cantico non è mai nominato, ma ciò non ha rappresentato un ostacolo a che il testo venisse accolto tra i libri che “sporcano le mani”. Del resto, lo stesso è avvenuto per il libro di Ester, dove mai, nel testo ebraico, ricorre il nome di Dio.

Il ruolo del Cantico nella tradizione ebraica è talmente importante che veniva letto e ancora è proclamato in sinagoga per la festa di Pasqua, non solo per l’ambientazione del libro in primavera e la collocazione della festa nella stessa stagione: il testo si presta a descrivere il rapporto d’amore che Dio ha per il suo popolo, che per questo viene liberato dall’Egitto.

Il monologo di Benigni: quali le inesattezze

Benigni ha anche esagerato nella traduzione e nell’interpretazione di alcune parole o espressioni, accentuandone la portata erotica.

Certamente, è innegabile – come la Manes ha ancora notato – che nel Cantico si parli di “sessualità con una carica erotica molto forte, ma anche dell’amore come maturazione dell’eros e donazione totale di sé nell’essere per l’altro”, e in ogni caso, continua l’esegeta – diversamente da quello che si intende dalle parole di Benigni – “non si tratta del canto del libero amore, di un amore che si sottrae a ogni regola o di amori estranei all’orizzonte biblico, ma dell’amore tra l’uomo e la donna”.

Più precisamente, alcune espressioni che Benigni ha pronunciato sono state estratte dalla traduzione che del Cantico fece l’ebraista Giovanni Garbini nel 1992 (per l’editore Paideia), che pretendeva di giungere addirittura a un ipotetico testo ebraico originale, precedente a quello fissato poi dai rabbini. Basterà leggere il commento di un autorevole studioso, Gianni Barbiero, per chiarire che “l’evidenza va contro questa operazione”, e che alcune espressioni recitate da Benigni dal testo di Garbini sono fantasiose e tendenziose.

Le frasi del Cantico recitate da Benigni, infatti, derivano dall’idea di Garbini che “ha voluto cambiare la lettera del Cantico, come se il suo testo attuale fosse stato deprivato della sua carica erotica da mani puritane” (così G. Barbiero, Song of Songs, 2011).

Il monologo di Benigni: gli aspetti positivi

Ciononostante, molte delle cose che diversi milioni di italiani hanno ascoltato da Benigni sul Cantico sono condivisibili. La nudità dei corpi dei due amanti, ad esempio, nel libro è davvero accentuata, e – scrive nel suo bel commentario Luca Mazzinghi – “è assolutamente reale, specialmente la nudità del corpo di lei, che doveva a molti apparire persino scandalosa già nel tempo in cui il Cantico è stato scritto.

Essa è certamente una delle espressioni privilegiate dell’amore dei due amanti, come la coppia originaria dell’Eden, perché dal loro amore è assente la cupa ombra dell’egoismo e del possesso”.

Si può allora anche dire che l’operazione assolutamente non convenzionale del noto attore sia un buon punto di partenza per conoscere la Bibbia e rapportarla all’esperienza umana, paragonabile a quanto già altri avevano fatto, anche recentemente, come Franco Battiato nella sua canzone Come un sigillo (dall’album Fleurs 3 del 2002, un’allusione a Cantico 8,6, “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio”), con risultati, anche in questo caso, a tratti criticabili per l’asprezza di alcune espressioni.

Ma si può sempre partire anche da qualcosa di imperfetto. Si tratterà poi di chiarire e magari anche di correggere, ma almeno si deve dire che molti hanno sentito – probabilmente per la prima volta! – le parole d’amore del Cantico dei cantici, e soprattutto hanno capito che la Bibbia parla della vita vera, dell’amore, della sessualità, delle relazioni, e non solo – come è ovvio e tutti già sanno – di Dio.

Forse da questo evento mediatico anche noi Chiesa dovremmo imparare a osare nel parlare di più con le parole della Bibbia, senza aggiungere troppe nostre inutili parole: siamo sicuri che le prime incroceranno molto meglio le storie delle persone.

Giulio Michelini Biblista e Preside dell’Istituto teologico di Assisi

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benigni

È quasi inutile dire che il Cantico dei cantici non è esattamente come il regista premio Oscar Roberto Benigni ne ha parlato a Sanremo. Come già è stato osservato dalla biblista Rosalba Manes sul sito dell’agenzia Sir della Cei, il Cantico non è entrato nel canone biblico “per distrazione”, anche perché aggiungiamo noi - è una delle tante pagine della Bibbia che parla di amore ed eros.

Come mai il Cantico è nella Bibbia

Nelle Scritture di Israele, infatti, vi è un’attenzione costante alla vita degli uomini e delle donne, e il tema dell’amore (anche umano) non poteva certo mancare: basterà ricordare i racconti di innamoramento dei Patriarchi vicino ai pozzi d’acqua, narrati nel libro della Genesi, o la storia d’amore di Davide e Micol, così complicata e descritta fin nei minimi particolari nei libri di Samuele.

Se il Cantico non ci fosse stato, insomma, si sarebbe dovuto inventare. Certo, tranne forse che in un versetto, e comunque in modo indiretto (8,6: “fiamma divina” o “fiamma fortissima”, come altri traducono?), Dio nel Cantico non è mai nominato, ma ciò non ha rappresentato un ostacolo a che il testo venisse accolto tra i libri che “sporcano le mani”. Del resto, lo stesso è avvenuto per il libro di Ester, dove mai, nel testo ebraico, ricorre il nome di Dio.

Il ruolo del Cantico nella tradizione ebraica è talmente importante che veniva letto e ancora è proclamato in sinagoga per la festa di Pasqua, non solo per l’ambientazione del libro in primavera e la collocazione della festa nella stessa stagione: il testo si presta a descrivere il rapporto d’amore che Dio ha per il suo popolo, che per questo viene liberato dall’Egitto.

Il monologo di Benigni: quali le inesattezze

Benigni ha anche esagerato nella traduzione e nell’interpretazione di alcune parole o espressioni, accentuandone la portata erotica.

Certamente, è innegabile – come la Manes ha ancora notato – che nel Cantico si parli di “sessualità con una carica erotica molto forte, ma anche dell’amore come maturazione dell’eros e donazione totale di sé nell’essere per l’altro”, e in ogni caso, continua l’esegeta – diversamente da quello che si intende dalle parole di Benigni – “non si tratta del canto del libero amore, di un amore che si sottrae a ogni regola o di amori estranei all’orizzonte biblico, ma dell’amore tra l’uomo e la donna”.

Più precisamente, alcune espressioni che Benigni ha pronunciato sono state estratte dalla traduzione che del Cantico fece l’ebraista Giovanni Garbini nel 1992 (per l’editore Paideia), che pretendeva di giungere addirittura a un ipotetico testo ebraico originale, precedente a quello fissato poi dai rabbini. Basterà leggere il commento di un autorevole studioso, Gianni Barbiero, per chiarire che “l’evidenza va contro questa operazione”, e che alcune espressioni recitate da Benigni dal testo di Garbini sono fantasiose e tendenziose.

Le frasi del Cantico recitate da Benigni, infatti, derivano dall’idea di Garbini che “ha voluto cambiare la lettera del Cantico, come se il suo testo attuale fosse stato deprivato della sua carica erotica da mani puritane” (così G. Barbiero, Song of Songs, 2011).

Il monologo di Benigni: gli aspetti positivi

Ciononostante, molte delle cose che diversi milioni di italiani hanno ascoltato da Benigni sul Cantico sono condivisibili. La nudità dei corpi dei due amanti, ad esempio, nel libro è davvero accentuata, e – scrive nel suo bel commentario Luca Mazzinghi – “è assolutamente reale, specialmente la nudità del corpo di lei, che doveva a molti apparire persino scandalosa già nel tempo in cui il Cantico è stato scritto.

Essa è certamente una delle espressioni privilegiate dell’amore dei due amanti, come la coppia originaria dell’Eden, perché dal loro amore è assente la cupa ombra dell’egoismo e del possesso”.

Si può allora anche dire che l’operazione assolutamente non convenzionale del noto attore sia un buon punto di partenza per conoscere la Bibbia e rapportarla all’esperienza umana, paragonabile a quanto già altri avevano fatto, anche recentemente, come Franco Battiato nella sua canzone Come un sigillo (dall’album Fleurs 3 del 2002, un’allusione a Cantico 8,6, “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio”), con risultati, anche in questo caso, a tratti criticabili per l’asprezza di alcune espressioni.

Ma si può sempre partire anche da qualcosa di imperfetto. Si tratterà poi di chiarire e magari anche di correggere, ma almeno si deve dire che molti hanno sentito – probabilmente per la prima volta! – le parole d’amore del Cantico dei cantici, e soprattutto hanno capito che la Bibbia parla della vita vera, dell’amore, della sessualità, delle relazioni, e non solo – come è ovvio e tutti già sanno – di Dio.

Forse da questo evento mediatico anche noi Chiesa dovremmo imparare a osare nel parlare di più con le parole della Bibbia, senza aggiungere troppe nostre inutili parole: siamo sicuri che le prime incroceranno molto meglio le storie delle persone.

Giulio Michelini Biblista e Preside dell’Istituto teologico di Assisi

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Cantico dei Cantici. Dopo Sanremo, rileggiamolo con Ravasi https://www.lavoce.it/cantico-cantici-dopo-sanremo-ravasi/ Fri, 07 Feb 2020 16:40:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56240 benigni

Oggi l'argomento più discusso è il monologo di Roberto Benigni sul Cantico dei Cantici tenuto al festival di Sanremo. Al di là delle varie opinioni, può essere una buona occasione per scoprire o riscoprire questo libro della Bibbia e il commento che ne fece il card. Ravasi. Cantico dei Cantici - leggilo qui   [embed]https://www.youtube.com/watch?v=DD3Kxcz48bA[/embed]   [embed]https://www.youtube.com/watch?v=TDmCTVpxPu4[/embed]    ]]>
benigni

Oggi l'argomento più discusso è il monologo di Roberto Benigni sul Cantico dei Cantici tenuto al festival di Sanremo. Al di là delle varie opinioni, può essere una buona occasione per scoprire o riscoprire questo libro della Bibbia e il commento che ne fece il card. Ravasi. Cantico dei Cantici - leggilo qui   [embed]https://www.youtube.com/watch?v=DD3Kxcz48bA[/embed]   [embed]https://www.youtube.com/watch?v=TDmCTVpxPu4[/embed]    ]]>
BIBBIA. La ricca mostra attualmente a Perugia https://www.lavoce.it/bibbia-mostra-perugia/ Wed, 25 Sep 2019 15:18:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55285 mostra

Dal 20 settembre al 3 ottobre, all’interno di palazzo Lippi Alessandri in corso Vannucci 39 a Perugia, si può ammirare la splendida mostra sulla Bibbia, organizzata dal Settore apostolato biblico dell’Ufficio catechistico diocesano in collaborazione con il Comune di Perugia e la Fondazione Cariperugia Arte in occasione della Domenica della Bibbia, che si svolge il 29 settembre.

Le parole del card. Ravasi

Il card. Gianfranco Ravasi ha definito la mostra “uno straordinario strumento di conoscenza dell’orizzonte delle Scritture attraverso tre itinerari che si intreccino tra loro in armonia”. C’è il percorso storico, l’itinerario bibliografico che attesta la qualità della ‘religione del Libro’, propria anche della fede ebraico-cristiana e, infine, quello iconografico, un viaggio in “una storia di eventi salvifici – afferma il card. Ravasi – che ha ininterrottamente generato arte e devozione, meditazione e creatività. Si ritrova, così il trittico dell’esperienza biblica: Parola-Libro-Immagine”.

Le opere in esposizione

Tra tutte le opere esposte meritano sicuramente un’attenzione particolare due rotoli in pergamena del VI secolo e altri due testi del XVI secolo scritti in ge’ez, lingua etiopica scomparsa nel XII secolo.

Vi sono, poi, dei rotoli in pergamena, di cui uno marrone scuro proveniente dal Marocco, in pelle di cervo. Seguono le prime Bibbie a stampa, alcune anche riccamente illustrate, tra cui la prima edizione del Nuovo Testamento a cura di Erasmo da Rotterdam (1516). Un’intera sezione della mostra è dedicata alle opere di Lutero, non solo la Bibbia, ma anche altri scritti sull’eucarestia, la Trinità, la vita cristiana, opere di Melantone, Calvino e un innario del 1580 della Chiesa riformata.

La seconda parte della mostra comprende diverse edizioni della Bibbia realizzate dopo il Concilio di Trento e la Bibbia sisto-clementina del 1598, che fu definita la “Bibbia cattolica ufficiale”: un’edizione definitiva, che rimase in uso fino al 1974 (epoca del primo testo italiano della Cei)!

Possiamo poi ammirare le Bibbie poliglotte e le Bibbie nelle traduzioni in lingua parlata dei diversi Paesi, come il tedesco, il francese, l’inglese, lo slavo.

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La Bibbia stampata

La Bibbia, fin dalle prime edizioni a stampa ha richiamato numerosi artisti, che hanno avuto modo di illustrare tantissimi episodi sia dell’Antico che Nuovo Testamento, e anche grandi pittori come Rembrandt, Cranach, Hogart, Giandomenico Tiepolo, solo per citare i più famosi, che si sono lasciati coinvolgere dal fascino dell’incisione, della xilografia, donandoci un prezioso e ricchissimo patrimonio iconografico. Nel corso dei secoli, infatti, l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante nella Chiesa, utilizzando le immagini come catechesi per il popolo, che rendono chiaro ciò che altrimenti rimarrebbe oscuro.

Tra le interessanti opere grafiche esposte vi sono quelle di Albrecht Dürer, uno dei più grandi incisori di tutti i tempi, la cui produzione artistica è permeata da una profonda sensibilità interiore. Tre opere in particolare: la prima è il Volto di Cristo (1649) di Claude Mellan, incisore francese, che qui usa la tecnica del ‘taglio unico’, cioè delinea i soggetti senza interruzione, a spirale, creando un volto che affascina e interroga chi lo guarda.

La seconda è un’acquaforte di Rembrandt, conosciuta come la “stampa dei cento fiorini” ma che è in realtà La corte dei miracoliperché è l’immagine di Gesù che guarisce da ogni tipo di malattia.

Si vede, infatti, una vera e propria ‘corte dei miracoli’, che circonda Cristo: una donna è stesa su un materasso; un uomo invalido è portato su una carriola; un cieco è guidato dalla vecchia moglie e, sul fondo, un etiope con un cammello, che non è un semplice accessorio pittoresco, ma fa riferimento a Marco quando parla di gente venuta da lontano (Mc 3,7-12); è presente, seduto, un giovane lussuosamente vestito, pensoso, con la testa appoggiata alla mano, che è stato letto come il giovane ricco, malato nell’anima (Mt 19).

Infine vi sono due grafiche di Giandomenico Tiepolo, che raffigurano due momenti della Fuga in Egitto .L’importanza di queste opere è legata al fatto che fanno parte di un ciclo, unico nel suo genere, di 24 incisioni del 1753, intitolate Idee pittoriche sopra la fuga in Egitto di Gesù, Maria e Giuseppe e si rifanno completamente ai Vangeli apocrifi.

Anche oggi, è indispensabile saper leggere la Bibbia con l’arte e l’arte con la Bibbia, poiché “le immagini, con la loro bellezza, - affermava Benedetto XVI sono annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità, mostrando la suprema armonia tra buono e bello, tra via veritatis e via pulchritudinis ”.

Micaela Soranzo

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mostra

Dal 20 settembre al 3 ottobre, all’interno di palazzo Lippi Alessandri in corso Vannucci 39 a Perugia, si può ammirare la splendida mostra sulla Bibbia, organizzata dal Settore apostolato biblico dell’Ufficio catechistico diocesano in collaborazione con il Comune di Perugia e la Fondazione Cariperugia Arte in occasione della Domenica della Bibbia, che si svolge il 29 settembre.

Le parole del card. Ravasi

Il card. Gianfranco Ravasi ha definito la mostra “uno straordinario strumento di conoscenza dell’orizzonte delle Scritture attraverso tre itinerari che si intreccino tra loro in armonia”. C’è il percorso storico, l’itinerario bibliografico che attesta la qualità della ‘religione del Libro’, propria anche della fede ebraico-cristiana e, infine, quello iconografico, un viaggio in “una storia di eventi salvifici – afferma il card. Ravasi – che ha ininterrottamente generato arte e devozione, meditazione e creatività. Si ritrova, così il trittico dell’esperienza biblica: Parola-Libro-Immagine”.

Le opere in esposizione

Tra tutte le opere esposte meritano sicuramente un’attenzione particolare due rotoli in pergamena del VI secolo e altri due testi del XVI secolo scritti in ge’ez, lingua etiopica scomparsa nel XII secolo.

Vi sono, poi, dei rotoli in pergamena, di cui uno marrone scuro proveniente dal Marocco, in pelle di cervo. Seguono le prime Bibbie a stampa, alcune anche riccamente illustrate, tra cui la prima edizione del Nuovo Testamento a cura di Erasmo da Rotterdam (1516). Un’intera sezione della mostra è dedicata alle opere di Lutero, non solo la Bibbia, ma anche altri scritti sull’eucarestia, la Trinità, la vita cristiana, opere di Melantone, Calvino e un innario del 1580 della Chiesa riformata.

La seconda parte della mostra comprende diverse edizioni della Bibbia realizzate dopo il Concilio di Trento e la Bibbia sisto-clementina del 1598, che fu definita la “Bibbia cattolica ufficiale”: un’edizione definitiva, che rimase in uso fino al 1974 (epoca del primo testo italiano della Cei)!

Possiamo poi ammirare le Bibbie poliglotte e le Bibbie nelle traduzioni in lingua parlata dei diversi Paesi, come il tedesco, il francese, l’inglese, lo slavo.

[gallery columns="5" ids="55292,55293,55294,55295,55296"]

La Bibbia stampata

La Bibbia, fin dalle prime edizioni a stampa ha richiamato numerosi artisti, che hanno avuto modo di illustrare tantissimi episodi sia dell’Antico che Nuovo Testamento, e anche grandi pittori come Rembrandt, Cranach, Hogart, Giandomenico Tiepolo, solo per citare i più famosi, che si sono lasciati coinvolgere dal fascino dell’incisione, della xilografia, donandoci un prezioso e ricchissimo patrimonio iconografico. Nel corso dei secoli, infatti, l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante nella Chiesa, utilizzando le immagini come catechesi per il popolo, che rendono chiaro ciò che altrimenti rimarrebbe oscuro.

Tra le interessanti opere grafiche esposte vi sono quelle di Albrecht Dürer, uno dei più grandi incisori di tutti i tempi, la cui produzione artistica è permeata da una profonda sensibilità interiore. Tre opere in particolare: la prima è il Volto di Cristo (1649) di Claude Mellan, incisore francese, che qui usa la tecnica del ‘taglio unico’, cioè delinea i soggetti senza interruzione, a spirale, creando un volto che affascina e interroga chi lo guarda.

La seconda è un’acquaforte di Rembrandt, conosciuta come la “stampa dei cento fiorini” ma che è in realtà La corte dei miracoliperché è l’immagine di Gesù che guarisce da ogni tipo di malattia.

Si vede, infatti, una vera e propria ‘corte dei miracoli’, che circonda Cristo: una donna è stesa su un materasso; un uomo invalido è portato su una carriola; un cieco è guidato dalla vecchia moglie e, sul fondo, un etiope con un cammello, che non è un semplice accessorio pittoresco, ma fa riferimento a Marco quando parla di gente venuta da lontano (Mc 3,7-12); è presente, seduto, un giovane lussuosamente vestito, pensoso, con la testa appoggiata alla mano, che è stato letto come il giovane ricco, malato nell’anima (Mt 19).

Infine vi sono due grafiche di Giandomenico Tiepolo, che raffigurano due momenti della Fuga in Egitto .L’importanza di queste opere è legata al fatto che fanno parte di un ciclo, unico nel suo genere, di 24 incisioni del 1753, intitolate Idee pittoriche sopra la fuga in Egitto di Gesù, Maria e Giuseppe e si rifanno completamente ai Vangeli apocrifi.

Anche oggi, è indispensabile saper leggere la Bibbia con l’arte e l’arte con la Bibbia, poiché “le immagini, con la loro bellezza, - affermava Benedetto XVI sono annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità, mostrando la suprema armonia tra buono e bello, tra via veritatis e via pulchritudinis ”.

Micaela Soranzo

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La lettura ebraica della Bibbia necessaria per conoscere Gesù – Giuseppina Bruscolotti https://www.lavoce.it/relazione-bruscolotti/ Wed, 05 Jun 2019 16:05:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54642 Bruscolotti

Pubblichiamo di seguito l’intervento di Giuseppina Bruscolotti tenuto in occasione della presentazione del libro La Bibbia dell’amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani, (a cura di Marco Cassuto Morselli – Giulio Michelini, 2019, San Paolo) tenutasi a Perugia giovedì 30 maggio per iniziativa della Libreria Paoline di Perugia e del Meic. 

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=sy2sPRhhI30[/embed]   Il volume La Bibbia dell’amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani, a cura di Marco Cassuto Morselli – Giulio Michelini è scaturito da un progetto che si fonda su due principi quali l’amore per la Sacra Scrittura e l’amicizia ebraico-cristiana. “Il volume è un prezioso lavoro che mette in luce il miracolo della diversità” (Etienne Vetò, Direttore Centro Cardinal Bea, Roma 18.03.2019). Esso è costituito dalle due prefazioni di Papa Francesco e di Abraham Skorka, dalle introduzioni generali, dalle introduzioni ai singoli libri della Torah/Pentateuco e da 34 commenti a pericopi scelte effettuati per metà da autori ebrei e per metà da cattolici. Papa Francesco ritiene il presente volume come un ulteriore frutto di un cambiamento che, dopo “diciannove secoli di antigiudaismo cristiano”, il mondo cristiano dimostra di essersi apprestato a fare. Scrive pertanto: “I valori, le tradizioni, le grandi idee che identificano l’Ebraismo e il Cristianesimo devono essere messe al servizio dell’umanità senza mai dimenticare la sacralità e l’autenticità dell’amicizia”.  A partire dalla Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II i rapporti tra cristiani ed ebrei hanno cominciato a rinsaldarsi anche se c’è ancora molto da fare soprattutto in merito alla lettura ‘ebraica’ della Bibbia.  A proposito suggeriamo un consiglio pratico, ovvero lo studio consapevole del documento della Pontificia Commissione Biblica che presenta il titolo “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” (2001). In esso tra i vari aspetti si focalizza l’attenzione sui rapporti di continuità tra Antico e Nuovo Testamento e su quanto è doveroso il dialogo tra ebrei e cristiani e come il comune interesse per la Sacra Scrittura può avvicinare le due religioni.  Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne (Rm 1,1-3). Da parte cristiana cattolica ci apriamo quindi allo studio dell’AT al fine di conoscere meglio Cristo e il NT. “Senza l’AT, il NT sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi” dice il Documento al n. 84. Sottrarre l’AT significherebbe sottrarre il fondamento su cui poggiano il giudaismo e il cristianesimo. Quindi è indispensabile “un rinnovato rispetto per l’interpretazione giudaica dell’AT” (J. Ratzinger, Introduzione al Documento). Questo può far scaturire una certa reciprocità: i cristiani possono attingere ed arricchire l’interpretazione dell’AT servendosi dell’esegesi giudaica, dal canto loro gli ebrei -se vogliono- possono usufruire degli studi in ambito cristiano.  Presentiamo alcuni dei motivi che ci inducono a studiare ‘insieme’ la Bibbia ebraica, intendendo con Bibbia ebraica (TaNaK) i 39 Libri dell’AT che condividiamo sia ebrei che cristiani (ad eccezione cioè di Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide e Baruc). 

1- Il cristianesimo nasce all'interno del popolo ebraico

Intanto è da ribadire che Gesù appartiene al popolo ebraico, così come gli apostoli e i discepoli (compresi i proseliti, cioè giudei convertiti dal paganesimo). Il cristianesimo nasce all’interno del popolo ebraico e San Paolo, nell’elencare i destinatari dell’annuncio evangelico, conferma in più occasioni la priorità del popolo ebraico: il Vangelo è “forza divina per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco” (Rm 1,16). 

2- La conoscenza dell'ebraismo

Imprescindibile per la conoscenza del NT è lo studio della lingua e dei modi di dire della Bibbia ebraica (sia nella lingua ebraica che greca). Il greco con cui sono pervenuti i Testi del NT deriva dal greco della LXX. Sostantivi come ‘angelo’ (angelos), ‘legge’ (nomos), ‘nazioni’ (ethn?) e ‘alleanza’ (diath?k?) se non letti alla luce del significato che essi hanno nella LXX non verrebbero compresi. La presenza di semitismi, l’uso del verbo essere e costruzioni grammaticali che risentono del sistema della lingua ebraica vanno assolutamente tenuti conto ai fini di una migliore comprensione dei Testi. Consideriamo inoltre quante citazioni implicite (citazioni intere senza essere specificata l’indicazione del Testo) ci sono della Bibbia ebraica nel NT. Solo nel Vangelo secondo Matteo sono circa 160 e, nello stesso Vangelo, circa 38 sono le citazioni esplicite. Pensiamo al caso del libro dell’Apocalisse che non cita esplicitamente la Bibbia ebraica, ma è quasi un’intera allusione ai Testi veterotestamentari. Si menzioni ancora l’utilizzo del verbo “dire” (leg?) e a quante volte è assimilato all’‘autorità’ di chi parla: “come dice la Scrittura”, o “Mosè”, o la “Legge”, o “Davide” (a volte non sono soggetti espliciti, ma sottintesi). Lo stesso si dica del verbo “scrivere” (graf?): espresso al tempo perfetto “è stato scritto” (gegraptai) significa un’azione compiuta nel passato i cui effetti continuano nel presente. Con questa espressione “è stato scritto” si allude appunto all’autorevolezza della Sacra Scrittura e infatti Gesù nell’episodio delle ‘tentazioni’ introduce la citazione biblica proprio con le parole “è stato scritto” / “sta scritto”. La medesima espressione “sta scritto” / “perché sta scritto” solo nella lettera ai Romani ricorre 17 volte. Gesù ha affermato  che “la Scrittura non può essere abolita” (Gv 10,35). San Paolo sempre si ispira ai Testi veterotestamentari per istruire, ma anche per guidare spiritualmente i credenti: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e dell’incoraggiamento che ci vengono dalle Scritture possediamo la speranza” (Rm 15,4). Ancora: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia” (2Tm 3,16-17).       

3- Non tutto può essere scritto

Sia il cristianesimo che l’ebraismo condividono il fatto “che la rivelazione di Dio non può essere espressa nella sua interezza in testi scritti” (10). Intorno alla fine del I secolo il canone della Bibbia ebraica era già completo: Legge, Profeti e Scritti. Tuttavia, il solo testo scritto “non può essere sufficiente a esprimere tutta la ricchezza di una tradizione” (9), per cui in ambito farisaico e rabbinico è sorta la produzione di una tradizione scritta costituita dalla Misnah (III secolo), dalla Tosefta (‘supplemento’), dal Talmud (Babilonese, Palestinese) e dall’attività interpretativa sempre in produzione. La Misnah, la Tosefta e il Talmud sono autorevoli, ma non tali da ‘sporcare le mani’ (cioè non sono sacri), pertanto non vengono letti solennemente nelle liturgie sinagogali. Ma per apprezzare l’importanza che riveste il concetto di ‘tradizione’ anche all’interno dell’Ebraismo citiamo la frase: “Al Sinai, Mosè ricevette la Legge orale e la trasmise a Giosuè, e Giosuè agli anziani, e gli anziani ai profeti, e i profeti la trasmisero ai membri della Grande Sinagoga” (Mishna, Aboth 1,1).  Pensiamo al percorso che è stato vissuto all’interno del cristianesimo primitivo. Alla Bibbia ebraica che già era accolta, si è cominciato ad affiancare “l’insegnamento degli Apostoli” (At 2,42) costituito dall’insieme delle parole dette da Gesù e dalle opere da Lui  compiute, nonché dal messaggio evangelico fondato sulla Risurrezione di Gesù e le conseguenti elaborazioni dottrinali proferite durante la missione evangelizzatrice compiuta dai discepoli. Così alla Bibbia ebraica si è affiancato il NT.  Lo ripetiamo. Sia il cristianesimo che il giudaismo condividono il fatto “che la rivelazione di Dio non può essere espressa nella sua interezza in testi scritti” (10). Scrive l’evangelista Giovanni: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21,25). Del resto Gesù stesso ha detto che per una maggiore e migliore comprensione del Sua missione Egli avrebbe donato lo Spirito Santo per guidare i credenti “alla verità tutta intera” (Gv 16,13). In virtù di questo la Dei Verbum afferma che la Tradizione “nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture (8). Quindi “l’una e l’altra – la Scrittura e la Tradizione – devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza” (9).  Quindi ebraismo e cristianesimo si incontrano nel comune interesse per le Scritture d’Israele anche se tuttavia non coincide la considerazione che di esse ha la rispettiva ‘tradizione’. Ad esempio, in ambito ebraico il primo posto è riservato alla Torah, mentre per il cristianesimo -soprattutto per il NT- l’attenzione è rivolta alla raccolta profetica perché in essa vi vede annunciato Cristo. E poi chiaramente, la realizzazione dei messaggi profetici relativamente all’ebraismo rimanda in prospettiva futura, mentre per il cristianesimo è già iniziata con Gesù. Di Gesù parlano le Scritture del popolo ebraico ed alla luce di Lui vanno lette, interpretate e vissute. 

4- L'influenza dei metodi esegetici dell'ebraismo sul NT

Consideriamo l’influenza che hanno esercitato nel NT i metodi esegetici rabbinici. Il più antico di essi, basato sui testi della Bibbia ebraica, riguarda una serie di sette « regole » (middoth) attribuite tradizionalmente a Rabbì Hillel (morto nel 10 d.C.) che “rappresentano certamente una codificazione dei modi contemporanei di argomentare a partire dalla Scrittura” (12), in particolare per dedurne il messaggio teologico o le norme etiche. Un’altra testimonianza circa i metodi esegetici in uso al tempo di Gesù ci proviene da Giuseppe Flavio il quale fa riferimento all’utilizzo di sostantivi veterotestamentari per “descrivere determinati eventi e mettere in questo modo in luce il loro significato” (12). Ad esempio riferisce il fatto che il ritorno dall’esilio babilonese viene additato con espressioni che rimandano alla liberazione dalla schiavitù egiziana del tempo dell'Esodo (Is 43,16-21), e la restaurazione escatologica di Sion viene descritta come un “nuovo Eden”. Sempre relativamente al I sec, si possiede anche la testimonianza della ‘scuola’ di Qumran. Circa la forma e il metodo, il NT evidenzia importanti somiglianze con i testi di Qumran soprattutto nel modo di trarre ispirazione dalle Scritture. Per esempio anche qui il modo di introdurre la citazione di un Testo dell’AT è pressoché uguale: “così è scritto”, “come sta scritto”, “conforme a quanto è scritto”. Del resto la comunità di Qumran con quella del NT si somigliavano nell’interpretazione dei Testi profetici:  “entrambe avevano la convinzione che la piena comprensione delle profezie era stata rivelata al loro fondatore e da lui trasmessa, il «Maestro di Giustizia» a Qumran, Gesù per i cristiani” (13). Come è avvenuto per i manoscritti di Qumran, anche “alcuni testi biblici sono utilizzati nel Nuovo Testamento nel loro senso letterale e storico, mentre altri sono applicati, più o meno forzatamente, alla situazione presente” (13). Ma c'è un'importante differenza: mentre nei testi di Qumran, il “punto di partenza è la Scrittura”, nel NT il “punto di partenza è la venuta di Cristo” (13). Quindi non si tratta di attualizzare il messaggio della Scrittura, ma di “leggere la venuta di Cristo alla luce della Scrittura” (13). La somiglianza sta perciò nell’utilizzo delle tecniche esegetiche che, come in Rm 10,5-13 e in diversi brani della lettera agli Ebrei è evidentissima. Ritorniamo al discorso che abbiamo poco fa avviato e che ora riprendiamo, ovvero in merito alle tecniche rabbiniche di argomentazione. Sia Gesù nei Suoi discorsi, che Paolo nelle sue Lettere si ispirano alle 7 middot di cui abbiamo detto. In particolare, quelle che si riscontrano con maggiore frequenza sono le prime due e cioè, il qal wa-homer (Mt 6,30; 7,11; Rm 5,15.17) e la gezerah shawah (Mt 12,1-4; Rm 4,1-12). Più o meno coincidono con l’argomento a fortiori e con l’argomento per analogia. Si riscontra inoltre somiglianza con la tecnica rabbinica del midrash, anche se nello stesso tempo ci si discosta da essa: “nel midrash rabbinico ci sono citazioni di opinioni divergenti provenienti da diverse autorità, così che si ha a che fare con una tecnica di argomentazione, mentre nel Nuovo Testamento è decisiva l'autorità di Gesù” (14). Anche san Paolo si serve di questi metodi soprattutto per confutare con gli avversari ebrei, sia rimasti tali o convertiti al Vangelo. Di argomentazioni alla maniera rabbinica si viene a conoscenza anche nella lettera agli Efesini e nella lettera agli Ebrei. La lettera di Giuda è quasi tutta redatta con uno stile esegetico simile ai pesharim (spiegazioni) che si leggono nei manoscritti di Qumran. Un esempio di argomentazione alla maniera rabbinica è il discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,59). Il suo stile presenta molte somiglianze con quello delle omelie sinagogali del I secolo: “spiegazione di un testo del Pentateuco con l'appoggio di un testo dei profeti; ogni espressione del testo viene spiegata; vengono apportati dei leggeri aggiustamenti della forma per adattarli alla nuova interpretazione” (14). Un’altra tecnica è quella delle allusioni all’AT. Nel NT spesso si fa allusione ad episodi biblici al fine di risaltare il significato di fatti della vita di Gesù. Le narrazioni relative all’infanzia di Gesù riportate dall’evangelista Matteo “possono rivelare il loro pieno significato solo se letti sullo sfondo dei racconti biblici e post-biblici su Mosè” (15). Il vangelo secondo Luca invece, relativamente ai racconti dell’Infanzia, dimostra di essere più in sintonia con la letteratura extrabiblica come i “Salmi di Salomone” o gli “Inni” di Qumran (cantici di Zaccaria e di Simeone). Vari eventi della vita di Gesù (teofania al battesimo, trasfigurazione, moltiplicazione dei pani, cammino sulle acque) sono riportati con allusioni intenzionali ad episodi veterotestamentari. Lo stesso vale per i discorsi. A proposito, la parabola che Gesù insegna dei ‘vignaioli omicidi’ (Mt 21,33-43) mostra che gli uditori “erano abituati all'uso di un’immagine biblica come tecnica per esprimere un messaggio o impartire una lezione” (15). Non a caso abbiamo citato il brano di Matteo perché tra i vangeli è quello che evidenzia il più abbondante utilizzo dei metodi esegetici e argomentativi giudaici. Ugualmente dicasi per altri Testi neotestamentari: “l’uso molto diffuso dello stile di argomentazione rabbinico, specialmente nelle lettere paoline e nell’epistola agli Ebrei, attesta senza ombra di dubbio che il Nuovo Testamento proviene dalla matrice del giudaismo ed è impregnato della mentalità dei commentatori ebrei della Bibbia” (15).

5- Le allegorie

Un altro aspetto comune è la lettura allegorica della Sacra Scrittura nell’ebraismo e nel cristianesimo. In ambito ebraico il riferimento è a Filone (20 a. C – 45 d. C.), un giudeo residente ad Alessandria interessato alla cultura greca. È l’autore di circa 36 opere scritte in greco che sono commenti e riflessioni circa il Pentateuco e raggruppati in tre parti: 1)Questioni e soluzioni; 2)Commentario allegorico; 3)Esposizione della Legge. In particolare nel Commentario allegorico pratica appunto il ‘metodo allegorico’, metodo che aveva già avviato nell’ambiente culturale giudaico-alessandrino il filosofo esegeta Aristobulo (II sec a. C.). Ispirandosi a lui, Filone applica quanto i greci facevano (in modo particolare Crisippo di Soli, III sec a. C.) e adopera questo metodo per rendere accessibile la Legge ai letterati greci. “Dopo la spiegazione letterale, si deve anche spiegare il significato soggiacente, perché quasi tutti i testi della Legge hanno un valore allegorico” (De Josepho VI, 28). In questo modo, Filone interpreta le vicende dei personaggi biblici leggendole in modo allegorico e vedendovi il percorso dell’anima verso Dio. Es.: Abramo con le sue peregrinazioni simboleggia l’anima e il percorso che essa fa per raggiungere la condizione di santità tale per incontrare Dio. Non rifiuta l’esegesi letterale, ma la considera il primo passo per poi impostare l’interpretazione allegorica. Filone è giudeo e rimane tale, ma, grazie all’applicazione del metodo allegorico acquisito dai greci, segna un punto d’incontro tra il mondo biblico e quello greco-ellenistico. Pur avendo incontrato anche rifiuti, il metodo allegorico di Filone d’Alessandria ha avuto un grande seguito in ambito ebraico. Lo stesso dicasi per il cristianesimo perché Origene, nella formulazione del metodo interpretativo basato sul senso letterale e spirituale/allegorico, molto si rifà a Filone d’Alessandria. Scriveva a proposito: “Noi siamo disposti da parte nostra ad ammettere per quanto riguarda l’insieme della Scrittura divina che essa ha sempre un senso spirituale, ma che non sempre ha un senso letterale perché spesso il senso letterale è impossibile” (De principiis, IV,3,5). L’esigenza di Origene, come quella dei Padri della Chiesa, era quella di istruire i credenti fornendo loro un’attualizzazione del messaggio biblico che così percepivano come più diretto e applicabile al contesto quotidiano. Utilizzato così, il metodo allegorico addita il legno con cui Mosè rende dolci le acque vedendo in esso il legno della Croce, o il cordoncino di filo scarlatto della meretrice Raab, alludendo con esso al sangue di Cristo. “In ogni pagina dell’AT si trovavano una moltitudine di allusioni dirette e specifiche a Cristo e alla vita cristiana, ma si correva il rischio di staccare ogni dettaglio dal suo contesto e di ridurre a nulla i rapporti tra il testo biblico e la realtà concreta della storia della salvezza” (20). Allora si è tornati a considerare la lettura letterale che, secondo Tommaso d’Aquino, è il primo passo da compiere per poi arrivare ad argomentare in modo allegorico. Scrive infatti: “L’accezione ovvia dei termini, corrisponde al primo senso che è il senso storico o letterale. Usare invece le cose stesse espresse dalle parole per significare altre cose si chiama senso spirituale, il quale è fondato sopra quello letterale e lo presuppone” (Summa I q. 1, a. 10).  Nel corso della storia del cristianesimo si è andati via via approfondendo il criterio secondo il quale proporre un’adeguata lettura della Bibbia ebraica. Il rischio è stato l’accentuazione dell’una o dell’altra lettura, letterale o allegorica. Si è anche corsi il rischio di veder rinnegato “insieme agli eccessi del metodo allegorico, tutta l’esegesi patristica e l’idea stessa di una lettura cristiana e cristologica dei testi dell’AT” (20). Inaccettabile! Da qui quindi l’esigenza di riformulare un’interpretazione cristiana ‘equilibrata’  che tenga conto degli studi di chi ci ha preceduto e che sia “rispettosa del senso originale”. Da questo punto di vista la lettura giudaica dell’AT si prefigge come indispensabile perché avvia ad un adeguato percorso di comprensione in quanto “il disegno salvifico di Dio, che culmina in Cristo (cf Ef 1,3-14), è unitario, ma si è realizzato progressivamente attraverso il tempo” (21).  Ritornando alla presentazione del libro da cui siamo partiti, libro definito “un grande dono all’umanità” (S. E. Spreafico, Presidente Commissione episcopale del Dialogo religioso, 18.03.2019), esso si propone anche come uno tra gli strumenti privilegiati per recuperare la lettura giudaica dell’Antico Testamento e ... l’amicizia con i “fratelli maggiori” (Papa Giovanni Paolo II). Tra 50/100 anni i curatori dell’opera La Bibbia dell’amicizia, prof. Giulio Michelini e prof. Marco Cassuto Morselli, saranno studiati come figure note per aver segnato una svolta negli sviluppi del dialogo interreligioso. “Nel passato, tra il popolo ebraico e la Chiesa di Cristo Gesù, la rottura è potuta sembrare talvolta completa, in certe epoche e in certi luoghi. Alla luce delle Scritture questo non sarebbe mai dovuto accadere, perché una rottura completa tra la Chiesa e la Sinagoga è in contraddizione con la sacra Scrittura” (85).  

 Giuseppina Bruscolotti

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Bruscolotti

Pubblichiamo di seguito l’intervento di Giuseppina Bruscolotti tenuto in occasione della presentazione del libro La Bibbia dell’amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani, (a cura di Marco Cassuto Morselli – Giulio Michelini, 2019, San Paolo) tenutasi a Perugia giovedì 30 maggio per iniziativa della Libreria Paoline di Perugia e del Meic. 

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=sy2sPRhhI30[/embed]   Il volume La Bibbia dell’amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani, a cura di Marco Cassuto Morselli – Giulio Michelini è scaturito da un progetto che si fonda su due principi quali l’amore per la Sacra Scrittura e l’amicizia ebraico-cristiana. “Il volume è un prezioso lavoro che mette in luce il miracolo della diversità” (Etienne Vetò, Direttore Centro Cardinal Bea, Roma 18.03.2019). Esso è costituito dalle due prefazioni di Papa Francesco e di Abraham Skorka, dalle introduzioni generali, dalle introduzioni ai singoli libri della Torah/Pentateuco e da 34 commenti a pericopi scelte effettuati per metà da autori ebrei e per metà da cattolici. Papa Francesco ritiene il presente volume come un ulteriore frutto di un cambiamento che, dopo “diciannove secoli di antigiudaismo cristiano”, il mondo cristiano dimostra di essersi apprestato a fare. Scrive pertanto: “I valori, le tradizioni, le grandi idee che identificano l’Ebraismo e il Cristianesimo devono essere messe al servizio dell’umanità senza mai dimenticare la sacralità e l’autenticità dell’amicizia”.  A partire dalla Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II i rapporti tra cristiani ed ebrei hanno cominciato a rinsaldarsi anche se c’è ancora molto da fare soprattutto in merito alla lettura ‘ebraica’ della Bibbia.  A proposito suggeriamo un consiglio pratico, ovvero lo studio consapevole del documento della Pontificia Commissione Biblica che presenta il titolo “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” (2001). In esso tra i vari aspetti si focalizza l’attenzione sui rapporti di continuità tra Antico e Nuovo Testamento e su quanto è doveroso il dialogo tra ebrei e cristiani e come il comune interesse per la Sacra Scrittura può avvicinare le due religioni.  Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne (Rm 1,1-3). Da parte cristiana cattolica ci apriamo quindi allo studio dell’AT al fine di conoscere meglio Cristo e il NT. “Senza l’AT, il NT sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi” dice il Documento al n. 84. Sottrarre l’AT significherebbe sottrarre il fondamento su cui poggiano il giudaismo e il cristianesimo. Quindi è indispensabile “un rinnovato rispetto per l’interpretazione giudaica dell’AT” (J. Ratzinger, Introduzione al Documento). Questo può far scaturire una certa reciprocità: i cristiani possono attingere ed arricchire l’interpretazione dell’AT servendosi dell’esegesi giudaica, dal canto loro gli ebrei -se vogliono- possono usufruire degli studi in ambito cristiano.  Presentiamo alcuni dei motivi che ci inducono a studiare ‘insieme’ la Bibbia ebraica, intendendo con Bibbia ebraica (TaNaK) i 39 Libri dell’AT che condividiamo sia ebrei che cristiani (ad eccezione cioè di Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide e Baruc). 

1- Il cristianesimo nasce all'interno del popolo ebraico

Intanto è da ribadire che Gesù appartiene al popolo ebraico, così come gli apostoli e i discepoli (compresi i proseliti, cioè giudei convertiti dal paganesimo). Il cristianesimo nasce all’interno del popolo ebraico e San Paolo, nell’elencare i destinatari dell’annuncio evangelico, conferma in più occasioni la priorità del popolo ebraico: il Vangelo è “forza divina per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco” (Rm 1,16). 

2- La conoscenza dell'ebraismo

Imprescindibile per la conoscenza del NT è lo studio della lingua e dei modi di dire della Bibbia ebraica (sia nella lingua ebraica che greca). Il greco con cui sono pervenuti i Testi del NT deriva dal greco della LXX. Sostantivi come ‘angelo’ (angelos), ‘legge’ (nomos), ‘nazioni’ (ethn?) e ‘alleanza’ (diath?k?) se non letti alla luce del significato che essi hanno nella LXX non verrebbero compresi. La presenza di semitismi, l’uso del verbo essere e costruzioni grammaticali che risentono del sistema della lingua ebraica vanno assolutamente tenuti conto ai fini di una migliore comprensione dei Testi. Consideriamo inoltre quante citazioni implicite (citazioni intere senza essere specificata l’indicazione del Testo) ci sono della Bibbia ebraica nel NT. Solo nel Vangelo secondo Matteo sono circa 160 e, nello stesso Vangelo, circa 38 sono le citazioni esplicite. Pensiamo al caso del libro dell’Apocalisse che non cita esplicitamente la Bibbia ebraica, ma è quasi un’intera allusione ai Testi veterotestamentari. Si menzioni ancora l’utilizzo del verbo “dire” (leg?) e a quante volte è assimilato all’‘autorità’ di chi parla: “come dice la Scrittura”, o “Mosè”, o la “Legge”, o “Davide” (a volte non sono soggetti espliciti, ma sottintesi). Lo stesso si dica del verbo “scrivere” (graf?): espresso al tempo perfetto “è stato scritto” (gegraptai) significa un’azione compiuta nel passato i cui effetti continuano nel presente. Con questa espressione “è stato scritto” si allude appunto all’autorevolezza della Sacra Scrittura e infatti Gesù nell’episodio delle ‘tentazioni’ introduce la citazione biblica proprio con le parole “è stato scritto” / “sta scritto”. La medesima espressione “sta scritto” / “perché sta scritto” solo nella lettera ai Romani ricorre 17 volte. Gesù ha affermato  che “la Scrittura non può essere abolita” (Gv 10,35). San Paolo sempre si ispira ai Testi veterotestamentari per istruire, ma anche per guidare spiritualmente i credenti: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e dell’incoraggiamento che ci vengono dalle Scritture possediamo la speranza” (Rm 15,4). Ancora: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia” (2Tm 3,16-17).       

3- Non tutto può essere scritto

Sia il cristianesimo che l’ebraismo condividono il fatto “che la rivelazione di Dio non può essere espressa nella sua interezza in testi scritti” (10). Intorno alla fine del I secolo il canone della Bibbia ebraica era già completo: Legge, Profeti e Scritti. Tuttavia, il solo testo scritto “non può essere sufficiente a esprimere tutta la ricchezza di una tradizione” (9), per cui in ambito farisaico e rabbinico è sorta la produzione di una tradizione scritta costituita dalla Misnah (III secolo), dalla Tosefta (‘supplemento’), dal Talmud (Babilonese, Palestinese) e dall’attività interpretativa sempre in produzione. La Misnah, la Tosefta e il Talmud sono autorevoli, ma non tali da ‘sporcare le mani’ (cioè non sono sacri), pertanto non vengono letti solennemente nelle liturgie sinagogali. Ma per apprezzare l’importanza che riveste il concetto di ‘tradizione’ anche all’interno dell’Ebraismo citiamo la frase: “Al Sinai, Mosè ricevette la Legge orale e la trasmise a Giosuè, e Giosuè agli anziani, e gli anziani ai profeti, e i profeti la trasmisero ai membri della Grande Sinagoga” (Mishna, Aboth 1,1).  Pensiamo al percorso che è stato vissuto all’interno del cristianesimo primitivo. Alla Bibbia ebraica che già era accolta, si è cominciato ad affiancare “l’insegnamento degli Apostoli” (At 2,42) costituito dall’insieme delle parole dette da Gesù e dalle opere da Lui  compiute, nonché dal messaggio evangelico fondato sulla Risurrezione di Gesù e le conseguenti elaborazioni dottrinali proferite durante la missione evangelizzatrice compiuta dai discepoli. Così alla Bibbia ebraica si è affiancato il NT.  Lo ripetiamo. Sia il cristianesimo che il giudaismo condividono il fatto “che la rivelazione di Dio non può essere espressa nella sua interezza in testi scritti” (10). Scrive l’evangelista Giovanni: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21,25). Del resto Gesù stesso ha detto che per una maggiore e migliore comprensione del Sua missione Egli avrebbe donato lo Spirito Santo per guidare i credenti “alla verità tutta intera” (Gv 16,13). In virtù di questo la Dei Verbum afferma che la Tradizione “nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture (8). Quindi “l’una e l’altra – la Scrittura e la Tradizione – devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza” (9).  Quindi ebraismo e cristianesimo si incontrano nel comune interesse per le Scritture d’Israele anche se tuttavia non coincide la considerazione che di esse ha la rispettiva ‘tradizione’. Ad esempio, in ambito ebraico il primo posto è riservato alla Torah, mentre per il cristianesimo -soprattutto per il NT- l’attenzione è rivolta alla raccolta profetica perché in essa vi vede annunciato Cristo. E poi chiaramente, la realizzazione dei messaggi profetici relativamente all’ebraismo rimanda in prospettiva futura, mentre per il cristianesimo è già iniziata con Gesù. Di Gesù parlano le Scritture del popolo ebraico ed alla luce di Lui vanno lette, interpretate e vissute. 

4- L'influenza dei metodi esegetici dell'ebraismo sul NT

Consideriamo l’influenza che hanno esercitato nel NT i metodi esegetici rabbinici. Il più antico di essi, basato sui testi della Bibbia ebraica, riguarda una serie di sette « regole » (middoth) attribuite tradizionalmente a Rabbì Hillel (morto nel 10 d.C.) che “rappresentano certamente una codificazione dei modi contemporanei di argomentare a partire dalla Scrittura” (12), in particolare per dedurne il messaggio teologico o le norme etiche. Un’altra testimonianza circa i metodi esegetici in uso al tempo di Gesù ci proviene da Giuseppe Flavio il quale fa riferimento all’utilizzo di sostantivi veterotestamentari per “descrivere determinati eventi e mettere in questo modo in luce il loro significato” (12). Ad esempio riferisce il fatto che il ritorno dall’esilio babilonese viene additato con espressioni che rimandano alla liberazione dalla schiavitù egiziana del tempo dell'Esodo (Is 43,16-21), e la restaurazione escatologica di Sion viene descritta come un “nuovo Eden”. Sempre relativamente al I sec, si possiede anche la testimonianza della ‘scuola’ di Qumran. Circa la forma e il metodo, il NT evidenzia importanti somiglianze con i testi di Qumran soprattutto nel modo di trarre ispirazione dalle Scritture. Per esempio anche qui il modo di introdurre la citazione di un Testo dell’AT è pressoché uguale: “così è scritto”, “come sta scritto”, “conforme a quanto è scritto”. Del resto la comunità di Qumran con quella del NT si somigliavano nell’interpretazione dei Testi profetici:  “entrambe avevano la convinzione che la piena comprensione delle profezie era stata rivelata al loro fondatore e da lui trasmessa, il «Maestro di Giustizia» a Qumran, Gesù per i cristiani” (13). Come è avvenuto per i manoscritti di Qumran, anche “alcuni testi biblici sono utilizzati nel Nuovo Testamento nel loro senso letterale e storico, mentre altri sono applicati, più o meno forzatamente, alla situazione presente” (13). Ma c'è un'importante differenza: mentre nei testi di Qumran, il “punto di partenza è la Scrittura”, nel NT il “punto di partenza è la venuta di Cristo” (13). Quindi non si tratta di attualizzare il messaggio della Scrittura, ma di “leggere la venuta di Cristo alla luce della Scrittura” (13). La somiglianza sta perciò nell’utilizzo delle tecniche esegetiche che, come in Rm 10,5-13 e in diversi brani della lettera agli Ebrei è evidentissima. Ritorniamo al discorso che abbiamo poco fa avviato e che ora riprendiamo, ovvero in merito alle tecniche rabbiniche di argomentazione. Sia Gesù nei Suoi discorsi, che Paolo nelle sue Lettere si ispirano alle 7 middot di cui abbiamo detto. In particolare, quelle che si riscontrano con maggiore frequenza sono le prime due e cioè, il qal wa-homer (Mt 6,30; 7,11; Rm 5,15.17) e la gezerah shawah (Mt 12,1-4; Rm 4,1-12). Più o meno coincidono con l’argomento a fortiori e con l’argomento per analogia. Si riscontra inoltre somiglianza con la tecnica rabbinica del midrash, anche se nello stesso tempo ci si discosta da essa: “nel midrash rabbinico ci sono citazioni di opinioni divergenti provenienti da diverse autorità, così che si ha a che fare con una tecnica di argomentazione, mentre nel Nuovo Testamento è decisiva l'autorità di Gesù” (14). Anche san Paolo si serve di questi metodi soprattutto per confutare con gli avversari ebrei, sia rimasti tali o convertiti al Vangelo. Di argomentazioni alla maniera rabbinica si viene a conoscenza anche nella lettera agli Efesini e nella lettera agli Ebrei. La lettera di Giuda è quasi tutta redatta con uno stile esegetico simile ai pesharim (spiegazioni) che si leggono nei manoscritti di Qumran. Un esempio di argomentazione alla maniera rabbinica è il discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,59). Il suo stile presenta molte somiglianze con quello delle omelie sinagogali del I secolo: “spiegazione di un testo del Pentateuco con l'appoggio di un testo dei profeti; ogni espressione del testo viene spiegata; vengono apportati dei leggeri aggiustamenti della forma per adattarli alla nuova interpretazione” (14). Un’altra tecnica è quella delle allusioni all’AT. Nel NT spesso si fa allusione ad episodi biblici al fine di risaltare il significato di fatti della vita di Gesù. Le narrazioni relative all’infanzia di Gesù riportate dall’evangelista Matteo “possono rivelare il loro pieno significato solo se letti sullo sfondo dei racconti biblici e post-biblici su Mosè” (15). Il vangelo secondo Luca invece, relativamente ai racconti dell’Infanzia, dimostra di essere più in sintonia con la letteratura extrabiblica come i “Salmi di Salomone” o gli “Inni” di Qumran (cantici di Zaccaria e di Simeone). Vari eventi della vita di Gesù (teofania al battesimo, trasfigurazione, moltiplicazione dei pani, cammino sulle acque) sono riportati con allusioni intenzionali ad episodi veterotestamentari. Lo stesso vale per i discorsi. A proposito, la parabola che Gesù insegna dei ‘vignaioli omicidi’ (Mt 21,33-43) mostra che gli uditori “erano abituati all'uso di un’immagine biblica come tecnica per esprimere un messaggio o impartire una lezione” (15). Non a caso abbiamo citato il brano di Matteo perché tra i vangeli è quello che evidenzia il più abbondante utilizzo dei metodi esegetici e argomentativi giudaici. Ugualmente dicasi per altri Testi neotestamentari: “l’uso molto diffuso dello stile di argomentazione rabbinico, specialmente nelle lettere paoline e nell’epistola agli Ebrei, attesta senza ombra di dubbio che il Nuovo Testamento proviene dalla matrice del giudaismo ed è impregnato della mentalità dei commentatori ebrei della Bibbia” (15).

5- Le allegorie

Un altro aspetto comune è la lettura allegorica della Sacra Scrittura nell’ebraismo e nel cristianesimo. In ambito ebraico il riferimento è a Filone (20 a. C – 45 d. C.), un giudeo residente ad Alessandria interessato alla cultura greca. È l’autore di circa 36 opere scritte in greco che sono commenti e riflessioni circa il Pentateuco e raggruppati in tre parti: 1)Questioni e soluzioni; 2)Commentario allegorico; 3)Esposizione della Legge. In particolare nel Commentario allegorico pratica appunto il ‘metodo allegorico’, metodo che aveva già avviato nell’ambiente culturale giudaico-alessandrino il filosofo esegeta Aristobulo (II sec a. C.). Ispirandosi a lui, Filone applica quanto i greci facevano (in modo particolare Crisippo di Soli, III sec a. C.) e adopera questo metodo per rendere accessibile la Legge ai letterati greci. “Dopo la spiegazione letterale, si deve anche spiegare il significato soggiacente, perché quasi tutti i testi della Legge hanno un valore allegorico” (De Josepho VI, 28). In questo modo, Filone interpreta le vicende dei personaggi biblici leggendole in modo allegorico e vedendovi il percorso dell’anima verso Dio. Es.: Abramo con le sue peregrinazioni simboleggia l’anima e il percorso che essa fa per raggiungere la condizione di santità tale per incontrare Dio. Non rifiuta l’esegesi letterale, ma la considera il primo passo per poi impostare l’interpretazione allegorica. Filone è giudeo e rimane tale, ma, grazie all’applicazione del metodo allegorico acquisito dai greci, segna un punto d’incontro tra il mondo biblico e quello greco-ellenistico. Pur avendo incontrato anche rifiuti, il metodo allegorico di Filone d’Alessandria ha avuto un grande seguito in ambito ebraico. Lo stesso dicasi per il cristianesimo perché Origene, nella formulazione del metodo interpretativo basato sul senso letterale e spirituale/allegorico, molto si rifà a Filone d’Alessandria. Scriveva a proposito: “Noi siamo disposti da parte nostra ad ammettere per quanto riguarda l’insieme della Scrittura divina che essa ha sempre un senso spirituale, ma che non sempre ha un senso letterale perché spesso il senso letterale è impossibile” (De principiis, IV,3,5). L’esigenza di Origene, come quella dei Padri della Chiesa, era quella di istruire i credenti fornendo loro un’attualizzazione del messaggio biblico che così percepivano come più diretto e applicabile al contesto quotidiano. Utilizzato così, il metodo allegorico addita il legno con cui Mosè rende dolci le acque vedendo in esso il legno della Croce, o il cordoncino di filo scarlatto della meretrice Raab, alludendo con esso al sangue di Cristo. “In ogni pagina dell’AT si trovavano una moltitudine di allusioni dirette e specifiche a Cristo e alla vita cristiana, ma si correva il rischio di staccare ogni dettaglio dal suo contesto e di ridurre a nulla i rapporti tra il testo biblico e la realtà concreta della storia della salvezza” (20). Allora si è tornati a considerare la lettura letterale che, secondo Tommaso d’Aquino, è il primo passo da compiere per poi arrivare ad argomentare in modo allegorico. Scrive infatti: “L’accezione ovvia dei termini, corrisponde al primo senso che è il senso storico o letterale. Usare invece le cose stesse espresse dalle parole per significare altre cose si chiama senso spirituale, il quale è fondato sopra quello letterale e lo presuppone” (Summa I q. 1, a. 10).  Nel corso della storia del cristianesimo si è andati via via approfondendo il criterio secondo il quale proporre un’adeguata lettura della Bibbia ebraica. Il rischio è stato l’accentuazione dell’una o dell’altra lettura, letterale o allegorica. Si è anche corsi il rischio di veder rinnegato “insieme agli eccessi del metodo allegorico, tutta l’esegesi patristica e l’idea stessa di una lettura cristiana e cristologica dei testi dell’AT” (20). Inaccettabile! Da qui quindi l’esigenza di riformulare un’interpretazione cristiana ‘equilibrata’  che tenga conto degli studi di chi ci ha preceduto e che sia “rispettosa del senso originale”. Da questo punto di vista la lettura giudaica dell’AT si prefigge come indispensabile perché avvia ad un adeguato percorso di comprensione in quanto “il disegno salvifico di Dio, che culmina in Cristo (cf Ef 1,3-14), è unitario, ma si è realizzato progressivamente attraverso il tempo” (21).  Ritornando alla presentazione del libro da cui siamo partiti, libro definito “un grande dono all’umanità” (S. E. Spreafico, Presidente Commissione episcopale del Dialogo religioso, 18.03.2019), esso si propone anche come uno tra gli strumenti privilegiati per recuperare la lettura giudaica dell’Antico Testamento e ... l’amicizia con i “fratelli maggiori” (Papa Giovanni Paolo II). Tra 50/100 anni i curatori dell’opera La Bibbia dell’amicizia, prof. Giulio Michelini e prof. Marco Cassuto Morselli, saranno studiati come figure note per aver segnato una svolta negli sviluppi del dialogo interreligioso. “Nel passato, tra il popolo ebraico e la Chiesa di Cristo Gesù, la rottura è potuta sembrare talvolta completa, in certe epoche e in certi luoghi. Alla luce delle Scritture questo non sarebbe mai dovuto accadere, perché una rottura completa tra la Chiesa e la Sinagoga è in contraddizione con la sacra Scrittura” (85).  

 Giuseppina Bruscolotti

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Giobbe e l’enigma della sofferenza. Il dialogo con il biblista Ignacio Carbajosa https://www.lavoce.it/giobbedialogo/ Wed, 03 Apr 2019 16:17:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54275

Oltre 1.200 persone hanno visitato la mostra fotografica “C’è qualcuno che ascolta il mio grido? Giobbe e l’enigma della sofferenza”, organizzata dalla Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi di Perugia, e che si è conclusa domenica 31 marzo presso il Cerp - Centro espositivo della Rocca paolina. La chiave di lettura della mostra è stata approfondita in un incontro con il curatore, prof. Ignacio Carbajosa, docente di Antico Testamento all’Università San Damaso di Madrid, del cui intervento presentiamo qui un resoconto del dialogo del relatore con il pubblico. Una sintesi del suo intervento l'abbiamo pubblicata nel numero di questa settimana de La Voce (clicca qui per l'articolo nell'edizione digitale).

Le domande del pubblico e le risposte del prof. Ignacio Carbajosa

L’incontro di presentazione della mostra si è arrichito di un dibattito tra il pubblico e il curatore prof. Ignacio Carbajosa, con domande frutto di un lavoro di approfondimento dei contenuti della mostra, che abbiamo raccolto e qui riproponiamo. Interviene Benedetta, di 17 anni: “Di fronte al mio vacillare in tante circostanze quotidiane, anche piccole, mi sono chiesta: qual è la fonte della certezza di Giobbe? Non è possibile credere che dipenda dal fatto che, nel passato, egli aveva avuto tutto.” La certezza di Giobbe - risponde Carbajosa - è che Dio c’è e che è un Dio vivente. Gli amici di Giobbe saranno rimproverati da Dio perché non si sono indirizzati a Lui come a un vivente: Dio per loro coincide con una teoria, che pertanto non può né deve dare alcuna risposta. Da dove può nascere una certezza così, che Dio c’è e che io ho bisogno di una risposta da Lui? Pensa alle certezze che hai acquistato nella tua vita. La più salda è che i tuoi genitori ti vogliono bene. La hai acquistata con il metodo della convivenza con loro, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per 17 anni. E’ una certezza che è una conoscenza. Nella vita, sarai chiamata a fare questo percorso con con tante altre persone. Con Dio, il metodo è lo stesso. Da duemila anni il Verbo si è fatto carne, si è sottomesso a questo percorso di conoscenza. Quando Giovanni e Andrea lo hanno incrociato per la prima volta, non sapevano che era il Figlio di Dio. La tua avventura umana è conoscere Gesù nell’umanità che si chiama Chiesa, condividerne la vita. Come con la mamma, quando da bambino ero malato: c’era il dolore, ma c’era la mamma. C’è il dolore, ma Tu o Cristo mi sostieni nell’essere, hai dato la vita per me; c’è il dolore, ma Tu ci sei. Lasciamo dunque la parola a Lui per vedere dove ci porta, che percorso ci fa fare. “Giobbe è l’apice della ragione - dice Cecilia, medico - ma penso a tanti miei malati: è disperante non avere qualcuno a cui chiedere conto del proprio dolore, qualcuno da prendere a pugni, con cui protestare”. E Claudia, medico anche lei: “Una paziente in fin di vita mi ha chiesto: Perché? Che senso ha la morte? Non sapevo cosa rispondere, ed ecco che mi ha detto: Ma tu ritorni lunedì? Io ti aspetto, torna qui. Voleva un perché, e voleva me. Avere delle domande basta per sperare in una possibilità di salvezza?”. E Giuseppe: “Viviamo in una società ancora cristiana, ma stiamo perdendo la percezione della concretezza di Dio. Giobbe ha la percezione concreta di un Tu con cui dialogare. E noi che cosa ci stiamo perdendo, e perché?”. Interviene poi Mariangela, che racconta come il percorso sul libro di Giobbe la abbia accompagnata nell’affronto di una circostanza impegnativa. Davanti a Gesù che, come Dio con Giobbe, invita i discepoli al passaggio tra positum e datum, le si è aperta una possibilità: “C’è in ballo la mia certezza del rapporto con il Padre. Vorrei questo sguardo nuovo sulla realtà, per il quale la malattia è un valore aggiunto all’esistenza”. In questo mondo in cui crollano le evidenze, - ha ribattuto il prof. Carbajosa, - vediamo tutto il dramma della mancanza di senso. Senza una proposta di significato, come è possibile affrontare la malattia? La parola ‘Dio’ è diventata astratta. ‘Bicchiere,’ ‘orologio,’ sono concrete: ‘Dio’ resta astratto. Che strada percorrere allora? Posso rispondere solo raccontando di me. Sono nato in una famiglia cristiana, ma a casa mia Dio non era un fattore della realtà. Un bambino sa benissimo che cosa è concreto in casa sua. Sono diventato un razionalista. A 16 anni, davanti al mistero della vita, al mio cuore che batteva, alle cose che mi accadevano, è sorta in me in modo drammatico la domanda religiosa. Ma per me, nutrito di positivismo, la realtà era solo quello che si vede e si tocca. Per questo mi piace molto il punto in cui, nel Vangelo, ai discepoli che gli stanno raccontando i loro problemi Gesù ribatte: Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, e Dio li nutre… Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone vestiva come uno di loro… Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Gesù non ha risposto alle preoccupazioni, ha aggiunto invece un fattore che noi spesso lasciamo fuori: sin da stamattina, da quando ci siamo alzati, non siamo soli, c’è Uno che ci fa e che ci sostiene nell’essere. Riconoscere il Dio vivente, riconoscere che tu non ti fai da te: questo ti permette di entrare nei problemi in modo del tutto diverso. Da ultimo, interviene Marta: “Di fronte alla vita che ci pone contraddizioni, che vuol dire essere amici, trattarci come Dio ha trattato Giobbe?”. Alla vigilia del mio sacerdozio - risponde Carbajosa - andai a parlare con un prete che, dopo aver ascoltato a lungo e con pazienza tutti i miei problemi , mi disse: Ti concedo tutto, ma devi fare i conti con questo: tu in questo istante non ti fai da te. Per me quell’uomo è stato ciò che Dio è stato per Giobbe. Avrebbe potuto rispondermi “Su, coraggio…” E invece ebbe la grazia di identificare il problema ultimo, che non era un problema di coraggio ma di fede, di conoscenza. Mi ha sfidato su questo! Un giorno, parlando con un gruppo di studenti di Madrid, ho chiesto loro: ma nelle vostre conversazioni di amici, di cosa parlate? La compagnia della Chiesa vi fa compiere un cammino di conoscenza? Pensiamo all’ultimo disastro aereo: mi immagino a bordo dell’aereo che comincia a precipitare. Sono lì da solo, in quel momento la compagnia della Chiesa non c’è. La vita della Chiesa mi ha fatto compiere nel tempo un percorso di conoscenza, in modo che sto lì nel mio sedile, precipito e sono davanti al Mistero che mi sostiene, più presente a me di me stesso? Siamo amici fino a questo punto, radicali come Dio con Giobbe, come Gesù con i discepoli? Altrimenti, quando arriveremo ai momenti più duri, ci accorgeremo che gli amici sono stati inutili. (a cura di Alessandra Di Pilla) (Il video dell'incontro a questo link)]]>

Oltre 1.200 persone hanno visitato la mostra fotografica “C’è qualcuno che ascolta il mio grido? Giobbe e l’enigma della sofferenza”, organizzata dalla Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi di Perugia, e che si è conclusa domenica 31 marzo presso il Cerp - Centro espositivo della Rocca paolina. La chiave di lettura della mostra è stata approfondita in un incontro con il curatore, prof. Ignacio Carbajosa, docente di Antico Testamento all’Università San Damaso di Madrid, del cui intervento presentiamo qui un resoconto del dialogo del relatore con il pubblico. Una sintesi del suo intervento l'abbiamo pubblicata nel numero di questa settimana de La Voce (clicca qui per l'articolo nell'edizione digitale).

Le domande del pubblico e le risposte del prof. Ignacio Carbajosa

L’incontro di presentazione della mostra si è arrichito di un dibattito tra il pubblico e il curatore prof. Ignacio Carbajosa, con domande frutto di un lavoro di approfondimento dei contenuti della mostra, che abbiamo raccolto e qui riproponiamo. Interviene Benedetta, di 17 anni: “Di fronte al mio vacillare in tante circostanze quotidiane, anche piccole, mi sono chiesta: qual è la fonte della certezza di Giobbe? Non è possibile credere che dipenda dal fatto che, nel passato, egli aveva avuto tutto.” La certezza di Giobbe - risponde Carbajosa - è che Dio c’è e che è un Dio vivente. Gli amici di Giobbe saranno rimproverati da Dio perché non si sono indirizzati a Lui come a un vivente: Dio per loro coincide con una teoria, che pertanto non può né deve dare alcuna risposta. Da dove può nascere una certezza così, che Dio c’è e che io ho bisogno di una risposta da Lui? Pensa alle certezze che hai acquistato nella tua vita. La più salda è che i tuoi genitori ti vogliono bene. La hai acquistata con il metodo della convivenza con loro, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per 17 anni. E’ una certezza che è una conoscenza. Nella vita, sarai chiamata a fare questo percorso con con tante altre persone. Con Dio, il metodo è lo stesso. Da duemila anni il Verbo si è fatto carne, si è sottomesso a questo percorso di conoscenza. Quando Giovanni e Andrea lo hanno incrociato per la prima volta, non sapevano che era il Figlio di Dio. La tua avventura umana è conoscere Gesù nell’umanità che si chiama Chiesa, condividerne la vita. Come con la mamma, quando da bambino ero malato: c’era il dolore, ma c’era la mamma. C’è il dolore, ma Tu o Cristo mi sostieni nell’essere, hai dato la vita per me; c’è il dolore, ma Tu ci sei. Lasciamo dunque la parola a Lui per vedere dove ci porta, che percorso ci fa fare. “Giobbe è l’apice della ragione - dice Cecilia, medico - ma penso a tanti miei malati: è disperante non avere qualcuno a cui chiedere conto del proprio dolore, qualcuno da prendere a pugni, con cui protestare”. E Claudia, medico anche lei: “Una paziente in fin di vita mi ha chiesto: Perché? Che senso ha la morte? Non sapevo cosa rispondere, ed ecco che mi ha detto: Ma tu ritorni lunedì? Io ti aspetto, torna qui. Voleva un perché, e voleva me. Avere delle domande basta per sperare in una possibilità di salvezza?”. E Giuseppe: “Viviamo in una società ancora cristiana, ma stiamo perdendo la percezione della concretezza di Dio. Giobbe ha la percezione concreta di un Tu con cui dialogare. E noi che cosa ci stiamo perdendo, e perché?”. Interviene poi Mariangela, che racconta come il percorso sul libro di Giobbe la abbia accompagnata nell’affronto di una circostanza impegnativa. Davanti a Gesù che, come Dio con Giobbe, invita i discepoli al passaggio tra positum e datum, le si è aperta una possibilità: “C’è in ballo la mia certezza del rapporto con il Padre. Vorrei questo sguardo nuovo sulla realtà, per il quale la malattia è un valore aggiunto all’esistenza”. In questo mondo in cui crollano le evidenze, - ha ribattuto il prof. Carbajosa, - vediamo tutto il dramma della mancanza di senso. Senza una proposta di significato, come è possibile affrontare la malattia? La parola ‘Dio’ è diventata astratta. ‘Bicchiere,’ ‘orologio,’ sono concrete: ‘Dio’ resta astratto. Che strada percorrere allora? Posso rispondere solo raccontando di me. Sono nato in una famiglia cristiana, ma a casa mia Dio non era un fattore della realtà. Un bambino sa benissimo che cosa è concreto in casa sua. Sono diventato un razionalista. A 16 anni, davanti al mistero della vita, al mio cuore che batteva, alle cose che mi accadevano, è sorta in me in modo drammatico la domanda religiosa. Ma per me, nutrito di positivismo, la realtà era solo quello che si vede e si tocca. Per questo mi piace molto il punto in cui, nel Vangelo, ai discepoli che gli stanno raccontando i loro problemi Gesù ribatte: Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, e Dio li nutre… Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone vestiva come uno di loro… Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Gesù non ha risposto alle preoccupazioni, ha aggiunto invece un fattore che noi spesso lasciamo fuori: sin da stamattina, da quando ci siamo alzati, non siamo soli, c’è Uno che ci fa e che ci sostiene nell’essere. Riconoscere il Dio vivente, riconoscere che tu non ti fai da te: questo ti permette di entrare nei problemi in modo del tutto diverso. Da ultimo, interviene Marta: “Di fronte alla vita che ci pone contraddizioni, che vuol dire essere amici, trattarci come Dio ha trattato Giobbe?”. Alla vigilia del mio sacerdozio - risponde Carbajosa - andai a parlare con un prete che, dopo aver ascoltato a lungo e con pazienza tutti i miei problemi , mi disse: Ti concedo tutto, ma devi fare i conti con questo: tu in questo istante non ti fai da te. Per me quell’uomo è stato ciò che Dio è stato per Giobbe. Avrebbe potuto rispondermi “Su, coraggio…” E invece ebbe la grazia di identificare il problema ultimo, che non era un problema di coraggio ma di fede, di conoscenza. Mi ha sfidato su questo! Un giorno, parlando con un gruppo di studenti di Madrid, ho chiesto loro: ma nelle vostre conversazioni di amici, di cosa parlate? La compagnia della Chiesa vi fa compiere un cammino di conoscenza? Pensiamo all’ultimo disastro aereo: mi immagino a bordo dell’aereo che comincia a precipitare. Sono lì da solo, in quel momento la compagnia della Chiesa non c’è. La vita della Chiesa mi ha fatto compiere nel tempo un percorso di conoscenza, in modo che sto lì nel mio sedile, precipito e sono davanti al Mistero che mi sostiene, più presente a me di me stesso? Siamo amici fino a questo punto, radicali come Dio con Giobbe, come Gesù con i discepoli? Altrimenti, quando arriveremo ai momenti più duri, ci accorgeremo che gli amici sono stati inutili. (a cura di Alessandra Di Pilla) (Il video dell'incontro a questo link)]]>
Perchè Dio permette il dolore? La mostra su Giobbe https://www.lavoce.it/dio-dolore-mostra-giobbe/ Fri, 22 Mar 2019 11:55:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54252 Giobbe

Una mostra che ruota tutta intorno ad una domanda: “C’è qualcuno che ascolta il mio grido?”. La domanda è quella che Giobbe rivolge a Dio nel libro biblico a lui dedicato, ma è anche quella di chiunque si trova ad affrontare la sofferenza.

Su questo quesito si sviluppa la mostra itinerante in Italia “Giobbe e l’enigma della sofferenza”, curata da Ignacio Carbajosa, ordinario di Antico Testamento all’Università di Madrid, e Guadalupe Arbona. L’esposizione approda anche a Perugia presso il Centro espositivo della Rocca Paolina, dal 23 al 31 marzo, promossa dalla Consulta diocesana delle aggregazioni laicali in collaborazione con l’associazione San Fortunato e la cooperativa sociale 153 Onlus che opera all’interno del carcere di Capanne.

Le domande della sofferenza

“Quella di Giobbe è una domanda di senso - spiega Alessandra Di Pilla, membro del comitato organizzatore della mostra a Perugia - . Egli non si chiede solo il perchè della sofferenza, ma anche se c’è qualcuno che lo ascolta”. Nel libro di Giobbe ci sono alcuni personaggi, come la moglie e gli amici, che cercano di dare una motivazione razionale per quello che accade al protagonista.

“Queste figure tentano di ricondurre la situazione di Giobbe alla logica colpa/punizione - continua Di Pilla - . Gli dicono in pratica che deve aver fatto qualcosa di male per meritarsi quel dolore. Giobbe però non si accontenta e grida a Dio. L’uomo, quando soffre, non è soddisfatto da una spiegazione logica al suo dolore, ma cerca una risposta che riguardi lui (‘Perchè a me?’) e qualcuno che gli sia vicino nella prova. Proprio quello che Giobbe fa con Dio e il Signore gli risponde”.

La risposta di Dio

La risposta però non è una soluzione alla sofferenza. “Dio si manifesta come qualcuno che è presente e buono pur nella sofferenza. Questa presenza buona si materializzerà poi in Gesù, che non spiega la sofferenza, ma vi si accompagna” ha detto Di Pilla.

Affrontare positivamente la sofferenza

La mostra si conclude con un’altra domanda: “È possibile vivere la sofferenza con la pace nel cuore?”. A questo proposito la sesta ed ultima sezione della mostra, intitolata “Testimoni”, presenta le testimonianze di persone che hanno vissuto il dolore in maniera positiva.

Sono annoverati ad esempio Massimiliano Kolbe, Madre Teresa di Calcutta e don Giussani. Accanto a queste figure sono stati inseriti nella mostra perugina anche dei testimoni umbri come Vittorio Trancanelli, Leonardo Cenci e Federica Rinaldi.

L’evento di presentazione della mostra si tiene venerdì 22 marzo alle 18, presso la Sala dei Notari, con la partecipazione del curatore Ignacio Carbajosa. L’ingresso è gratuito e l’orario di apertura al pubblico è dalle 11 alle 19. Dalle ore 9 alle 11 spazio alle scolaresche che possono prenotare una visita guidata alla mostra. Per ulteriori informazioni: www.mostre.diocesi.perugia.it.

Valentina Russo

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Giobbe

Una mostra che ruota tutta intorno ad una domanda: “C’è qualcuno che ascolta il mio grido?”. La domanda è quella che Giobbe rivolge a Dio nel libro biblico a lui dedicato, ma è anche quella di chiunque si trova ad affrontare la sofferenza.

Su questo quesito si sviluppa la mostra itinerante in Italia “Giobbe e l’enigma della sofferenza”, curata da Ignacio Carbajosa, ordinario di Antico Testamento all’Università di Madrid, e Guadalupe Arbona. L’esposizione approda anche a Perugia presso il Centro espositivo della Rocca Paolina, dal 23 al 31 marzo, promossa dalla Consulta diocesana delle aggregazioni laicali in collaborazione con l’associazione San Fortunato e la cooperativa sociale 153 Onlus che opera all’interno del carcere di Capanne.

Le domande della sofferenza

“Quella di Giobbe è una domanda di senso - spiega Alessandra Di Pilla, membro del comitato organizzatore della mostra a Perugia - . Egli non si chiede solo il perchè della sofferenza, ma anche se c’è qualcuno che lo ascolta”. Nel libro di Giobbe ci sono alcuni personaggi, come la moglie e gli amici, che cercano di dare una motivazione razionale per quello che accade al protagonista.

“Queste figure tentano di ricondurre la situazione di Giobbe alla logica colpa/punizione - continua Di Pilla - . Gli dicono in pratica che deve aver fatto qualcosa di male per meritarsi quel dolore. Giobbe però non si accontenta e grida a Dio. L’uomo, quando soffre, non è soddisfatto da una spiegazione logica al suo dolore, ma cerca una risposta che riguardi lui (‘Perchè a me?’) e qualcuno che gli sia vicino nella prova. Proprio quello che Giobbe fa con Dio e il Signore gli risponde”.

La risposta di Dio

La risposta però non è una soluzione alla sofferenza. “Dio si manifesta come qualcuno che è presente e buono pur nella sofferenza. Questa presenza buona si materializzerà poi in Gesù, che non spiega la sofferenza, ma vi si accompagna” ha detto Di Pilla.

Affrontare positivamente la sofferenza

La mostra si conclude con un’altra domanda: “È possibile vivere la sofferenza con la pace nel cuore?”. A questo proposito la sesta ed ultima sezione della mostra, intitolata “Testimoni”, presenta le testimonianze di persone che hanno vissuto il dolore in maniera positiva.

Sono annoverati ad esempio Massimiliano Kolbe, Madre Teresa di Calcutta e don Giussani. Accanto a queste figure sono stati inseriti nella mostra perugina anche dei testimoni umbri come Vittorio Trancanelli, Leonardo Cenci e Federica Rinaldi.

L’evento di presentazione della mostra si tiene venerdì 22 marzo alle 18, presso la Sala dei Notari, con la partecipazione del curatore Ignacio Carbajosa. L’ingresso è gratuito e l’orario di apertura al pubblico è dalle 11 alle 19. Dalle ore 9 alle 11 spazio alle scolaresche che possono prenotare una visita guidata alla mostra. Per ulteriori informazioni: www.mostre.diocesi.perugia.it.

Valentina Russo

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A Perugia tre preziose Bibbie atlantiche https://www.lavoce.it/perugia-tre-preziose-bibbie-atlantiche/ Wed, 04 Apr 2018 09:48:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51592

A Perugia sono conservate tre “Bibbie atlantiche”, manoscritti di grandi dimensioni (60 x 39 cm, da qui il nome di atlantiche), risalenti all’XI secolo e realizzate in area umbro-romana, in particolare a Roma, nell’ambito della riforma della Chiesa attuata da papa Gregorio VII. Da Roma molte di queste Bibbie furono inviate in tutta Italia e al di fuori, quale segno di questo rinnovamento e per dimostrare la potenza della Chiesa. “La cosa straordinaria è che le tre Bibbie provengono tutte da un’unica istituzione religiosa, cioè l’abbazia benedettina di San Pietro a Perugia” spiega a La Voce Nadia Togni, curatrice del volume Le Bibles atlantiques. Le manuscripte biblique à l’époque de la réforme de l’Eglise du XI siècle, presentato già a Ginevra e nel 2016 a Firenze (Sismel edizioni del Galluzzo).

In Italia recensite 120 bibbie atlantiche

“In Italia ne sono state recensite 120, ma – precisa – i diversi frammenti rinvenuti anche in Umbria in alcune parrocchie nel corso di recenti ricerche ci fanno supporre che ne possano esistere un numero più elevato. La maggior parte sono conservate in Italia, alcune alla Biblioteca vaticana. Altre ancora si trovano in Europa. In Svizzera ce ne sono due, fortunatamente sopravvissute all’opera di distruzione operata dalla Riforma protestante; una si trova a Ginevra, come simbolo delle origini di questa città, e una a Sion, e sono state donate al Capitolo dal vescovo del tempo che le aveva sicuramente viste e acquistate a Roma. Altri esemplari – aggiunge - li ho trovati di recente anche in Croazia”.

La presentazione del volume sulle Bibbie atlantiche

A Perugia il volume è stato presentato sabato 24 marzo in sala dei Notari. Erano presenti il card. Giuseppe Betori (il cui intervento è disponibile qui e qui), chiamato in veste di biblista, arcivescovo di Firenze, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia- Città della Pieve e presidente della Cei, l’abate padre Giustino Farnedi, priore della basilica di San Pietro di Perugia, l’assessore alla Cultura del Comune di Perugia Teresa Severini e la stessa curatrice. Il testo raccoglie i contributi scientifici di vari studiosi sul tema delle Bibbie atlantiche, in particolare approfondimenti sui manoscritti, la scrittura, il testo biblico e la decorazione. Nadia Togni, perugina di origine, a Perugia ha compiuto anche i suoi studi: “Un grande vanto per noi, che ora insegni all’Università di Ginevra” ha detto il card. Bassetti nel suo intervento. Attualmente è docente di Storia del libro manoscritto alla facoltà di Teologia dell’Università svizzera, ricercatrice e storica.

Le tre Bibbie atlantiche conservate a Perugia

Nel corso del convegno ha raccontato la storia di queste Bibbie, due delle quali sono ancora oggi conservate integre nell’archivio di San Pietro di Perugia e alla Biblioteca Augusta, mentre la terza, oggi in frammenti, si trova in parte nella basilica benedettina e in parte all’Augusta. “La Bibbia dell’Augusta è la più bella – sottolinea la studiosa – per la presenza, sulle prime pagine, di bellissime miniature a piena pagina con scene della creazione, nonché di grandi lettere iniziali finemente decorate”. In questo periodo la Bibbia dell’Augusta è esposta alla Galleria nazionale per “Tutta l’Umbria una mostra”, ma normalmente è visionabile su appuntamento o tramite l’accesso alla biblioteca digitale.   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="75912,75913"]]]>

A Perugia sono conservate tre “Bibbie atlantiche”, manoscritti di grandi dimensioni (60 x 39 cm, da qui il nome di atlantiche), risalenti all’XI secolo e realizzate in area umbro-romana, in particolare a Roma, nell’ambito della riforma della Chiesa attuata da papa Gregorio VII. Da Roma molte di queste Bibbie furono inviate in tutta Italia e al di fuori, quale segno di questo rinnovamento e per dimostrare la potenza della Chiesa. “La cosa straordinaria è che le tre Bibbie provengono tutte da un’unica istituzione religiosa, cioè l’abbazia benedettina di San Pietro a Perugia” spiega a La Voce Nadia Togni, curatrice del volume Le Bibles atlantiques. Le manuscripte biblique à l’époque de la réforme de l’Eglise du XI siècle, presentato già a Ginevra e nel 2016 a Firenze (Sismel edizioni del Galluzzo).

In Italia recensite 120 bibbie atlantiche

“In Italia ne sono state recensite 120, ma – precisa – i diversi frammenti rinvenuti anche in Umbria in alcune parrocchie nel corso di recenti ricerche ci fanno supporre che ne possano esistere un numero più elevato. La maggior parte sono conservate in Italia, alcune alla Biblioteca vaticana. Altre ancora si trovano in Europa. In Svizzera ce ne sono due, fortunatamente sopravvissute all’opera di distruzione operata dalla Riforma protestante; una si trova a Ginevra, come simbolo delle origini di questa città, e una a Sion, e sono state donate al Capitolo dal vescovo del tempo che le aveva sicuramente viste e acquistate a Roma. Altri esemplari – aggiunge - li ho trovati di recente anche in Croazia”.

La presentazione del volume sulle Bibbie atlantiche

A Perugia il volume è stato presentato sabato 24 marzo in sala dei Notari. Erano presenti il card. Giuseppe Betori (il cui intervento è disponibile qui e qui), chiamato in veste di biblista, arcivescovo di Firenze, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia- Città della Pieve e presidente della Cei, l’abate padre Giustino Farnedi, priore della basilica di San Pietro di Perugia, l’assessore alla Cultura del Comune di Perugia Teresa Severini e la stessa curatrice. Il testo raccoglie i contributi scientifici di vari studiosi sul tema delle Bibbie atlantiche, in particolare approfondimenti sui manoscritti, la scrittura, il testo biblico e la decorazione. Nadia Togni, perugina di origine, a Perugia ha compiuto anche i suoi studi: “Un grande vanto per noi, che ora insegni all’Università di Ginevra” ha detto il card. Bassetti nel suo intervento. Attualmente è docente di Storia del libro manoscritto alla facoltà di Teologia dell’Università svizzera, ricercatrice e storica.

Le tre Bibbie atlantiche conservate a Perugia

Nel corso del convegno ha raccontato la storia di queste Bibbie, due delle quali sono ancora oggi conservate integre nell’archivio di San Pietro di Perugia e alla Biblioteca Augusta, mentre la terza, oggi in frammenti, si trova in parte nella basilica benedettina e in parte all’Augusta. “La Bibbia dell’Augusta è la più bella – sottolinea la studiosa – per la presenza, sulle prime pagine, di bellissime miniature a piena pagina con scene della creazione, nonché di grandi lettere iniziali finemente decorate”. In questo periodo la Bibbia dell’Augusta è esposta alla Galleria nazionale per “Tutta l’Umbria una mostra”, ma normalmente è visionabile su appuntamento o tramite l’accesso alla biblioteca digitale.   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="75912,75913"]]]>
Il Vangelo della domenica. Anziché mormorare, ama! https://www.lavoce.it/anziche-mormorare-ama/ https://www.lavoce.it/anziche-mormorare-ama/#comments Thu, 28 Jan 2016 15:31:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45206 MESSALE metti piccola in commento al vangeloNell’udienza di mercoledì 27, dopo la ‘variante’ del 22 gennaio in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Papa Francesco ha ripreso la serie di riflessioni di approfondimento sulla misericordia nella Bibbia (testo integrale su w2.vatican.va ). “Nella sacra Scrittura ha esordito – la misericordia di Dio è presente lungo tutta la storia del popolo d’Israele. Con la Sua misericordia, il Signore accompagna il cammino dei Patriarchi, dona loro dei figli malgrado la condizione di sterilità, li conduce per sentieri di grazia e di riconciliazione”.
Dopo aver ricordato la condizione di schiavitù degli israeliti in Egitto, Bergoglio ha aggiunto: “La misericordia [di Dio] non può rimanere indifferente davanti alla sofferenza degli oppressi, al grido di chi è sottoposto a violenza, ridotto in schiavitù, condannato a morte. È una dolorosa realtà che affligge ogni epoca, compresa la nostra, e che fa sentire spesso impotenti, tentati di indurire il cuore, e pensare ad altro”.
Ma “il Dio di misericordia risponde e si prende cura dei poveri, di coloro che gridano la loro disperazione. Dio ascolta e interviene per salvare, suscitando uomini capaci di sentire il gemito della sofferenza e di operare in favore degli oppressi…
È così che comincia la storia di Mosè come mediatore di liberazione per il popolo. Egli affronta il faraone per convincerlo a lasciare partire Israele; e poi guiderà il popolo, attraverso il Mar Rosso e il deserto, verso la libertà”. Ciò che è avvenuto millenni fa, vale ancora oggi: “La misericordia di Dio agisce sempre per salvare. È tutto il contrario dell’opera di quelli che agiscono sempre per uccidere, ad esempio quelli che fanno le guerre. Il Signore, mediante il suo servo Mosè, guida Israele nel deserto come fosse un figlio, lo educa alla fede e fa alleanza con lui, creando un legame d’amore fortissimo, come quello del padre con il figlio e dello sposo con la sposa”.
Ma ha senso – si è chiesto il Papa – parlare di scelta, predilezione, per Dio che è già Signore di tutto e di tutti? “Certo ha risposto -, Dio possiede già tutta la Terra perché l’ha creata, ma il popolo diventa per Lui un possesso diverso, speciale: la sua personale ‘riserva di oro e argento’…
Ebbene, tali noi diventiamo per Dio accogliendo la Sua alleanza e lasciandoci salvare da Lui. La misericordia del Signore rende l’uomo prezioso come una ricchezza personale che Gli appartiene, che Egli custodisce e in cui si compiace”. In conclusione, “sono queste le meraviglie della misericordia divina, che giunge a pieno compimento nel Signore Gesù, in quella nuova ed eterna alleanza consumata nel suo sangue, che con il perdono distrugge il nostro peccato e ci rende definitivamente figli di Dio (cfr. 1Gv 3,1), gioielli preziosi nelle mani del Padre buono e misericordioso”.

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Tempo di grazia e di gioia https://www.lavoce.it/tempo-di-grazia-e-di-gioia/ Fri, 02 May 2014 13:16:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24645 Abbiamo vissuto nei giorni passati un periodo di intensa partecipazione a fatti, che sono grandi eventi che hanno trascinato folle ed hanno impresso forti emozioni in tutto il mondo. La Chiesa riceve l’attenzione dell’umanità e sta al centro della storia, con dignità e nello stesso tempo con umiltà, quella che proviene dal concepire che tutto è dono, tutto è grazia, che non esiste la grazia pretesa.

La pretesa della grazia è una contraddizione in termini. Se dici: tu mi devi fare la grazia di tua spontanea volontà senza che io la chieda o che mi penta e riconosca un qualche sbaglio è un linguaggio contraddittorio. La Chiesa chiede perdono in ogni circostanza, nelle liturgie di ogni domenica di fronte a Dio e di fronte ai fratelli e invoca la grazia della misericordia. Ricordate il duemila, il grande Giubileo, con il santo papa Giovanni Paolo II che fece una pubblica e solenne confessione dei peccati accumulati dal popolo di Dio lungo i secoli? Ricordate anche le scuse e i pentimenti e le sanzioni e i risarcimenti per i casi di pedofilia del clero? Ebbene, questa è la Chiesa santa e bisognosa sempre di avere la grazia della misericordia e del perdono.

Ma oggi siamo al paradosso di chi ritiene di aver sempre ragione e di volerla affermare con le buone o con le cattive, a tutti i costi, facendo anche stragi e vittime innocenti, come nelle uccisioni di donne, mogli o amanti, o di bambini, nelle vendette e violenze di ogni tipo nel mondo. E c’è sempre qualcuno che storce il naso quando si parla di Chiesa o di cristiani e distoglie lo sguardo esaltando gruppi di credenti diversi e invitando, come hanno fatto due giornali nei giorni scorsi, uno a visitare la moschea e l’altro la sala del regno dei testimoni di Geova. Minuscoli e meschini pur legittimi, tentativi di distogliere l’attenzione da quanto avveniva a Roma.

L’attuale mentalità, impregnata di relativismo e indifferenza, rimane comunque scossa dalla libertà della Chiesa e del suo primo pastore che non teme di allacciare dialoghi e rapporti con persone che non fanno parte delle pecore segnate dal sigillo della fede, e tuttavia non escluse dal circuito vitale della carità. La Chiesa non si vanta, non si gonfia, non rifiuta il contatto, non considera nessuno uno scarto, né da scartare. Neppure gli embrioni. Figuratevi!

Francesco, quello antico del lebbroso e quello nuovo, attuale, vestito di bianco, ma con le scarpe ordinarie e il passo sbilenco, quello di Lampedusa e del bacio al piede dei poveracci nella lavanda del giovedì santo, non si arrogano alcun diritto o pretesa, se non quello di predicare la gioia e la misericordia, l’accoglienza e la pace, l’uguaglianza e la fraternità.

Un docente universitario mi ha domandato chi fosse il teologo francese che ha teorizzato la “risurezione totale”. Dopo qualche incertezza siamo arrivati al gesuita scienziato, geologo e teologo, Theilard de Chardin. Egli afferma che l’evoluzione del cosmo seguirà per fasi successive la traiettoria che Cristo, “nel quale sono state create e costituite tutte le cose”, ha predeterminato il passaggio dalla morte alla vita piena e al compimento del disegno di Dio. L’amico docente attribuisce ciò al “gesuita proibito”, così definito per le sue teorie sospettate di eresia. In realtà questo è scritto nella Bibbia: saranno cieli nuovi e terra nuova, una nuova umanità.

I fatti di questi giorni suscitano e favoriscono tali pensieri.

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L’immagine di Dio https://www.lavoce.it/limmagine-di-dio/ Thu, 03 Apr 2014 16:04:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24117 Scambio-Fedi-sposiPapa Francesco all’udienza generale di mercoledì ha proseguito il ciclo di catechesi sui sacramenti parlando del matrimonio. “Questo sacramento – ha detto – ci conduce nel cuore del disegno di Dio, che è un disegno di alleanza con il Suo popolo, con tutti noi, un disegno di comunione. All’inizio del libro della Genesi, il primo libro della Bibbia, a coronamento del racconto della creazione si dice: ‘Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò… Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne’ (Gen 1,27; 2,24)”.

A braccio ha proseguito: “L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale, è l’uomo e la donna, tutti e due. Non soltanto il maschio, l’uomo, non soltanto la donna, no: tutti e due. E questa è l’immagine di Dio; l’amore, l’alleanza di Dio con noi è lì, è rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna. E questo è molto bello, è molto bello! Siamo creati per amare, come riflesso di Dio e del Suo amore. E nell’unione coniugale l’uomo e la donna realizzano questa vocazione nel segno della reciprocità e della comunione di vita piena e definitiva. Quando un uomo, una donna celebrano il sacramento del matrimonio Dio, per così dire, si rispecchia in essi: imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del Suo amore.

Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio con noi. Anche Dio infatti è comunione. Le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta, ed è proprio questo il mistero del matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza.

La Bibbia è forte, dice: ‘Una sola carne’. Così intima è l’unione dell’uomo e la donna nel matrimonio. Ed è proprio questo il mistero del matrimonio: è l’amore di Dio che si rispecchia nel matrimonio, nella coppia che decide di vivere insieme. E per questo l’uomo lascia la sua casa, la casa dei suoi genitori e va a vivere con sua moglie e si unisce tanto fortemente a lei, che diventano, dice la Bibbia, una sola carne. Non sono due”.

“San Paolo nella Lettera agli Efesini – ha proseguito – mette in risalto che negli sposi cristiani si riflette un mistero grande: il rapporto instaurato da Cristo con la Chiesa, un rapporto nuziale (Ef 5,21-33). La Chiesa è la sposa di Cristo. Questo significa che il matrimonio risponde a una vocazione specifica e deve essere considerato come una consacrazione (cfr Gaudium et spes, 48; Familiaris consortio, 56). È una consacrazione. L’uomo e la donna sono consacrati per il loro amore, per amore. Gli sposi infatti, in forza del sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei, nella fedeltà e nel servizio”.

A braccio ha poi aggiunto: “Il vero legame è sempre con il Signore. Quando la famiglia prega, il legame si mantiene. Quando lo sposo prega per la sposa e la sposa prega per lo sposo, quel legame diviene forte. Uno prega con l’altro. È vero che nella vita matrimoniale ci sono tante difficoltà, tante, no? Che il lavoro, che i soldi non bastano, che i bambini hanno problemi… tante difficoltà. E tante volte il marito, la moglie, diventano un po’ nervosi e litigano fra loro. O no? Litigano! Sempre, sempre è così: sempre si litiga nel matrimonio. Anche, alcune volte, volano i piatti.

Voi ridete, ma è la verità! Ma non dobbiamo diventare tristi per questo. La condizione umana è così. Ma il segreto è che l’amore è più forte di quando si litiga. E per questo io consiglio agli sposi, sempre, di non finire la giornata in cui hanno litigato senza fare la pace. Sempre!”.

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Visione e ascolto https://www.lavoce.it/visione-e-ascolto/ Fri, 21 Mar 2014 13:08:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23797 Trasfigurazione, Pietro Perugino - Collegio del Cambio, Perugia, 1496-1500
Trasfigurazione, Pietro Perugino – Collegio del Cambio, Perugia, 1496-1500

All’Angelus di domenica, Papa Francesco ha ricordato che nella Bibbia la montagna rappresenta “il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore”. Sul Tabor, Gesù “si mostra ai tre discepoli trasfigurato, luminoso, bellissimo”.

Pietro, incapace di comprendere cosa sta accadendo, propone di restare e di costruire tre capanne: per Gesù, Mosè ed Elia. Ma a questo punto accade una cosa: “Una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: questi è il figlio mio, l’amato; in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”.

È importante questa parola, dice Francesco: “Il nostro Padre ha detto a questi apostoli, e dice anche a noi: ascoltate Gesù, perché è il mio Figlio prediletto. Teniamo, questa settimana, questa parola nella testa e nel cuore: ascoltate Gesù. E questo non lo dice il Papa, lo dice Dio Padre, a tutti: a me, a voi, a tutti, tutti. È come un aiuto per andare avanti nella strada della Quaresima”.

Interessante notare che ci troviamo di fronte a due elementi: il volto e la voce, l’incontro e la parola. In un certo senso, è l’esperienza del comunicare che caratterizza il nostro cammino. Davanti a noi abbiamo sempre questo duplice aspetto: uno sguardo che ci provoca accoglienza, attenzione, e una parola che ci chiede di essere ascoltata, capita, attuata. Come discepoli, dice Francesco all’Angelus, “siamo chiamati a essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole. Per ascoltare Gesù, bisogna essere vicino a lui, seguirlo, come facevano le folle del Vangelo che lo rincorrevano per le strade della Palestina. Gesù non aveva una cattedra o un pulpito fissi, ma era un maestro itinerante, che proponeva i suoi insegnamenti, che erano gli insegnamenti che gli aveva dato il Padre, lungo le strade, percorrendo tragitti non sempre prevedibili e a volte poco agevoli”. Così il Papa invita ad avere con noi un Vangelo per ascoltare la parola di Gesù.

Ma Francesco coglie anche due altre parole in questo brano di Matteo: salita e discesa. Dobbiamo salire al monte, cercare uno spazio di silenzio per trovare noi stessi e cogliere meglio la voce del Signore. Ma dobbiamo poi scendere dalla montagna: l’incontro con il Signore nella preghiera e nell’ascolto è importante, ma dobbiamo “ritornare in basso, nella pianura, dove incontriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta”.

La parola cresce se siamo capaci di darla all’altro. Diceva, prima di essere eletto Papa: “Penso a volte che Gesù bussi da dentro perché lo lasciamo uscire. La Chiesa auto-referenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire”.

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