Betlemme Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/betlemme/ Settimanale di informazione regionale Thu, 21 Dec 2023 18:14:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Betlemme Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/betlemme/ 32 32 Sulla mangiatoia vuota, come a Greccio, lo strappo delle guerre https://www.lavoce.it/sulla-mangiatoia-vuota-come-a-greccio-lo-strappo-delle-guerre/ https://www.lavoce.it/sulla-mangiatoia-vuota-come-a-greccio-lo-strappo-delle-guerre/#respond Thu, 21 Dec 2023 12:00:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74366

Le sfilate di babbinatale e le misurazioni dei consumi natalizi, hanno fatto crescere la sete dell’anima per un Natale più autentico. C’è bisogno di risvegliare il senso e il calore della nascita del bambino di Betlemme come capofila di un Natale che venga celebrato quale solidarietà verso tutte le popolazioni sferzate dai nuovi Erode.

La festa cristiana deve portarci a riconoscere la condizione dell’infanzia tradita in troppe aree del mondo calpestate dai conflitti armati e dal mancato riconoscimento dei diritti umani. Diritti che sono la traduzione laica della dignità impressa dal Creatore nel profondo di ogni sua creatura.

È tempo di ritrovare l’incanto dei pastori verso il vagito della vita. Per queste ragioni la Pro Civitate Christiana propone una provocazione che si può visitare e meditare presso Palazzo Franchi in Assisi. Una mangiatoia vuota come la volle Francesco a Greccio. “Ucraina, Gaza, Israele, Yemen, Sud Sudan… - si legge sul pannello sopra la mangiatoia – Uno strappo dal grembo. Molto meno dell’assenza che avverti in una mangiatoia natalizia. Attenderlo o andargli incontro”.

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Le sfilate di babbinatale e le misurazioni dei consumi natalizi, hanno fatto crescere la sete dell’anima per un Natale più autentico. C’è bisogno di risvegliare il senso e il calore della nascita del bambino di Betlemme come capofila di un Natale che venga celebrato quale solidarietà verso tutte le popolazioni sferzate dai nuovi Erode.

La festa cristiana deve portarci a riconoscere la condizione dell’infanzia tradita in troppe aree del mondo calpestate dai conflitti armati e dal mancato riconoscimento dei diritti umani. Diritti che sono la traduzione laica della dignità impressa dal Creatore nel profondo di ogni sua creatura.

È tempo di ritrovare l’incanto dei pastori verso il vagito della vita. Per queste ragioni la Pro Civitate Christiana propone una provocazione che si può visitare e meditare presso Palazzo Franchi in Assisi. Una mangiatoia vuota come la volle Francesco a Greccio. “Ucraina, Gaza, Israele, Yemen, Sud Sudan… - si legge sul pannello sopra la mangiatoia – Uno strappo dal grembo. Molto meno dell’assenza che avverti in una mangiatoia natalizia. Attenderlo o andargli incontro”.

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Lo sguardo a Betlemme https://www.lavoce.it/lo-sguardo-a-betlemme/ https://www.lavoce.it/lo-sguardo-a-betlemme/#respond Wed, 20 Dec 2023 13:54:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74351

Ancora una volta lo sguardo si rivolge a Betlemme. L’attenzione è attratta da quella donna e quell’uomo che, pellegrini, custodiscono il Dio fatto bambino. Un giaciglio rimediato nel quale è adagiato l’autore della vita. Un bagliore poi illumina la notte, e un canto di angeli a gente semplice: “Gloria a Dio nei cieli, e in terra pace agli uomini”. E ancora, luce nell’oscurità della notte per guidare uomini da Oriente fino al luogo dove si trovano il Bambino con la madre. Nel piccolo villaggio di Giudea la grande opera di Dio: è nato per noi il Salvatore, Cristo Signore.

Oggi come allora, nel Natale si sosta stupiti di fronte al presepe, espressione della bellezza del Verbo che si fa carne prendendo dimora in mezzo a noi. Oggi come allora, però, vorremo vedere la notte di Betlemme illuminata dalle schiere angeliche, dalla stella che brilla… invece il cielo notturno di quella terra è illuminato non da luci che sanno di vita, bensì dal bagliore delle armi. La terra che ha accolto il Principe della pace è ora in conflitto. Il profeta aveva annunciato che, allo spuntare del virgulto di Iesse, il lupo e l’agnello avrebbero pascolato insieme, il capretto e il leopardo si sarebbero insieme sdraiati, come la mucca e l’orsa, e il vitello e il leoncello avrebbero pascolato insieme. Armonia delle differenze.

La durezza dei cuori, invece, oggi non lo rende possibile: hanno prevalso divisione e sospetto. Ed ecco lo sguardo è nuovamente rivolto a Betlemme perché la profezia possa avverarsi, perché il discendente davidico possa ancora donare la pace, perché le persone di buona volontà possano accoglierla, perché non si oda più pianto e lamento. Betlemme interpella ancora i cuori affinché possano contribuire all’edificazione di una cultura della pace, dove la convivenza delle differenze prende il posto della divisione, dove prevale la vicendevole fiducia e non l’equilibrio delle forze, dove l’accoglienza, l’amicizia, la fratellanza umana soppiantano l’oppressione, la violenza, l’ingiustizia. Il Natale solo allora tornerà a essere memoria di ciò che duemila anni fa avvenne, e che rinnovò l’intero mondo, perché su tutta la terra sia pace!

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Ancora una volta lo sguardo si rivolge a Betlemme. L’attenzione è attratta da quella donna e quell’uomo che, pellegrini, custodiscono il Dio fatto bambino. Un giaciglio rimediato nel quale è adagiato l’autore della vita. Un bagliore poi illumina la notte, e un canto di angeli a gente semplice: “Gloria a Dio nei cieli, e in terra pace agli uomini”. E ancora, luce nell’oscurità della notte per guidare uomini da Oriente fino al luogo dove si trovano il Bambino con la madre. Nel piccolo villaggio di Giudea la grande opera di Dio: è nato per noi il Salvatore, Cristo Signore.

Oggi come allora, nel Natale si sosta stupiti di fronte al presepe, espressione della bellezza del Verbo che si fa carne prendendo dimora in mezzo a noi. Oggi come allora, però, vorremo vedere la notte di Betlemme illuminata dalle schiere angeliche, dalla stella che brilla… invece il cielo notturno di quella terra è illuminato non da luci che sanno di vita, bensì dal bagliore delle armi. La terra che ha accolto il Principe della pace è ora in conflitto. Il profeta aveva annunciato che, allo spuntare del virgulto di Iesse, il lupo e l’agnello avrebbero pascolato insieme, il capretto e il leopardo si sarebbero insieme sdraiati, come la mucca e l’orsa, e il vitello e il leoncello avrebbero pascolato insieme. Armonia delle differenze.

La durezza dei cuori, invece, oggi non lo rende possibile: hanno prevalso divisione e sospetto. Ed ecco lo sguardo è nuovamente rivolto a Betlemme perché la profezia possa avverarsi, perché il discendente davidico possa ancora donare la pace, perché le persone di buona volontà possano accoglierla, perché non si oda più pianto e lamento. Betlemme interpella ancora i cuori affinché possano contribuire all’edificazione di una cultura della pace, dove la convivenza delle differenze prende il posto della divisione, dove prevale la vicendevole fiducia e non l’equilibrio delle forze, dove l’accoglienza, l’amicizia, la fratellanza umana soppiantano l’oppressione, la violenza, l’ingiustizia. Il Natale solo allora tornerà a essere memoria di ciò che duemila anni fa avvenne, e che rinnovò l’intero mondo, perché su tutta la terra sia pace!

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Anci Umbria in udienza da Papa Francesco in Vaticano https://www.lavoce.it/anci-umbria-papa-francesco/ Sat, 05 Feb 2022 14:41:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64856 anci umbria papa francesco

Un'udienza per accogliere, simbolicamente, tutti i sindaci d'Italia. Sabato mattina Papa Francesco ha accolto in Vaticano, nella sala Clementina, 118 primi cittadini provenienti da tutta Italia. A guidare la delegazione il presidente di Anci Antonio Decaro, il vice presidente Roberto Pella, il Presidente del Consiglio Nazionale Enzo Bianco, il segretario generale Veronica Nicotra. Per l'Umbria sono intervenuti il presidente di Anci Umbria Michele Toniaccini, sindaco di Deruta, il segretario generale Silvio Ranieri e il sindaco di Perugia Andrea Romizi. Il presidente di Anci Umbria ha portato come omaggio da parte di tutti i sindaci umbri un quadro raffigurante la Madonna con il bambino del Beato Angelico, riprodotta a mano con smalti tradizionali su ceramica di Deruta.

Emozione unica e straordinaria

"Un incontro dal grande valore" lo ha definito il presidente Toniaccini, che si è detto particolarmente emozionato. "Le parole del Santo Padre - ha affermato, in una nota - sono state ricche di significato e, ancora una volta, spunto di riflessione per noi sindaci. Rappresentare i sindaci umbri in momenti come quello di oggi è un vero onore e motivo di orgoglio, e sempre occasione di crescita". “Una giornata indimenticabile che ha reso ancora più forte il legame fra noi Sindaci, i cittadini, i territori, le persone; che ha rafforzato il concetto del prendersi cura dell’altro, delle famiglie, della solidarietà, dei gesti quotidiani che hanno, ciascuno, un profondo significato di umanità e dignità”. Parole ricche di emozione, quelle che il sindaco di Deruta ha rilasciato al nostro settimanale (l'intervista completa nel prossimo numero de La Voce). “Difficile descrivere l'emozione unica, straordinaria che ho provato” racconta il primo cittadino derutese. “Sono stati momenti di grande valore, di forte intensità, di straordinaria suggestione che porterò sempre nel mio cuore". “Papa Francesco ci ha esortato a investire in bellezza dove c’è degrado, in educazione dove c’è disagio sociale, in legalità dove c’è corruzione. A sognare città migliori, un sogno da condividere con tutti i cittadini”. Racconta il sindaco di Perugia Andre Romizi colpito, particolarmente, dall’esortazione del Santo Padre a "diventare degli ‘strumenti di pace’ nelle comunità”. Un ringraziamento a Papa Francesco “che ci esorta a riflettere e ad attuare una politica fondata sul dialogo, sull’attenzione al prossimo, sulla solidarietà. Non soltanto parole sagge - conclude Romizi - ma messaggi di grande ispirazione nella nostra opera di servizio nei confronti dei cittadini e delle nostre collettività”.  L'intervista audio al sindaco Michele Toniaccini, presidente di Anci Umbria [audio mp3="https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2022/02/toniaccini.mp3"][/audio]

Il discorso integrale di Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Ringrazio il Presidente per le sue parole di saluto. Sono contento di accogliervi per un momento di riflessione sul vostro servizio per la difesa e la promozione del bene comune nelle città e nelle comunità che amministrate. Attraverso di voi, saluto i Sindaci di tutto il territorio nazionale, con grato apprezzamento, in particolare, per ciò che state facendo e che avete fatto in questi due anni di pandemia. La vostra presenza è stata determinante per incoraggiare le persone a continuare a guardare avanti. Siete stati punto di riferimento nel far rispettare normative a volte gravose, ma necessarie per la salute dei cittadini. Anzi, la vostra voce ha aiutato anche chi aveva responsabilità legislative a prendere decisioni tempestive per il bene di tutti. Grazie! Se penso al vostro lavoro mi rendo conto di quanto sia complesso. A momenti di consolazione si affiancano tante difficoltà. Da una parte, infatti, la vostra vicinanza alla gente è una grande opportunità per servire i cittadini, che vi vogliono bene per la vostra presenza in mezzo a loro. La vicinanza. Dall’altra parte, immagino che a volte sentiate la solitudine della responsabilità. Spesso la gente pensa che la democrazia si riduca a delegare col voto, dimenticando il principio della partecipazione, essenziale perché una città possa essere bene amministrata. Si pretende che i sindaci abbiano la soluzione a tutti i problemi! Ma questi – lo sappiamo – non si risolvono solo ricorrendo alle risorse finanziarie. Quanto è importante poter contare sulla presenza di reti solidali, che mettano a disposizione competenze per affrontarle! La pandemia ha fatto emergere tante fragilità, ma anche la generosità di volontari, vicini di casa, personale sanitario e amministratori che si sono spesi per alleviare le sofferenze e le solitudini di poveri e anziani. Questa rete di relazioni solidali è una ricchezza che va custodita e rafforzata. Guardando al vostro servizio, vorrei offrirvi tre parole di incoraggiamento. Paternità – o maternità –, periferie e pace. Paternità o maternità. Il servizio al bene comune è una forma alta di carità, paragonabile a quello dei genitori in una famiglia. Anche in una città, a situazioni differenti si deve rispondere con attenzioni diversificate; perciò la paternità – o maternità – si attua anzitutto attraverso l’ascolto. Il sindaco o la sindaca sa ascoltare. Non temete di “perdere tempo” ascoltando le persone e i loro problemi! Un buon ascolto aiuta a fare discernimento, per capire le priorità su cui intervenire. Non mancano, grazie a Dio, le testimonianze di sindaci che hanno dedicato gran parte del tempo ad ascoltare e raccogliere le preoccupazioni della gente. E con l’ascolto non deve mancare il coraggio dell’immaginazione. A volte ci si illude che per risolvere i problemi bastino finanziamenti adeguati. Non è vero, in realtà, occorre anche un progetto di convivenza civile e di cittadinanza: occorre investire in bellezza laddove c’è più degrado, in educazione laddove regna il disagio sociale, in luoghi di aggregazione sociale laddove si vedono reazioni violente, in formazione alla legalità laddove domina la corruzione. Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà è un indice di cura sociale. È un po’ il mestiere del sindaco e della sindaca. La seconda parola è periferie. Fa pensare il fatto che Gesù sia nato in una stalla a Betlemme e sia morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario. Ci ricorda la “centralità” evangelica delle periferie. Mi piace ripetere che dalle periferie si vede meglio la totalità: non dal centro, dalle periferie. Spesso voi avvertite il dramma che si vive in periferie degradate, dove la trascuratezza sociale genera violenza e forme di esclusione. Partire dalle periferie non vuol dire escludere qualcuno, è una scelta di metodo; non una scelta ideologica, ma di partire dai poveri per servire il bene di tutti. Voi lo sapete molto bene: non c’è città senza poveri. Aggiungerei che i poveri sono la ricchezza di una città. Questo a qualcuno sembrerebbe cinico; no, non è così; ci ricordano – loro, i poveri – le nostre fragilità e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ci chiamano alla solidarietà, che è un valore-cardine della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente sviluppato da San Giovanni Paolo II. In tempo di pandemia abbiamo scoperto solitudini e conflitti all’interno delle case, che erano nascosti; il dramma di chi ha dovuto chiudere la propria attività economica, l’isolamento degli anziani, la depressione di adolescenti e giovani – pensate al numero dei suicidi dei giovani! –, le disuguaglianze sociali che hanno favorito chi godeva già di condizioni economiche agiate, le fatiche di famiglie che non arrivano a fine mese… E anche, mi permetto di menzionarli, gli usurai che bussano alle porte. E questo succede nelle città, almeno qui a Roma. Quante sofferenze avete incontrato! Ma le periferie non vanno solo aiutate, devono trasformarsi in laboratori di un’economia e di una società diverse. Infatti, quando abbiamo a che fare con i volti delle persone, non basta dare un pacco alimentare. La loro dignità chiede un lavoro, e quindi un progetto in cui ciascuno sia valorizzato per quello che può offrire agli altri. Il lavoro è davvero unzione di dignità! Il modo più sicuro per togliere la dignità a una persona o a un popolo è togliere il lavoro. Non si tratta di portare il pane a casa: questo non ti dà dignità. Si tratta di guadagnare il pane che tu porti a casa. E quello sì, ti unge di dignità. Terza parola: pace. Una delle indicazioni offerte da Gesù ai discepoli inviati in missione è quella di portare pace nelle case: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”» (Lc 10,5). Tra le mura domestiche si vivono tanti conflitti, c’è bisogno di serenità e di pace. E siamo certi che la buona qualità delle relazioni è la vera sicurezza sociale in una città. Per questo c’è un compito storico che coinvolge tutti: creare un tessuto comune di valori che porti a disarmare le tensioni tra le differenze culturali e sociali. La stessa politica di cui siete protagonisti può essere una palestra di dialogo tra culture, prima ancora che contrattazione tra schieramenti diversi. La pace non è assenza di conflitto, ma la capacità di farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l’altro. «Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse […]. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri […]. Vi è però un terzo modo, il più adeguato […]: accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9)» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 227). Il conflitto è pericoloso se rimane chiuso in sé stesso. Non dobbiamo confondere la crisi con il conflitto. Per esempio, la pandemia ci ha messo in crisi, questo è buono. La crisi è buona, perché la crisi ti fa risolvere e fare passi avanti. Ma la cosa cattiva è quando la crisi si trasforma in conflitto e il conflitto è chiuso, il conflitto è guerra, il conflitto è difficile che trovi una soluzione che vada più avanti. Crisi sì, conflitto no. Fuggire dai conflitti ma vivere in crisi. La pace sociale è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse. È fondamentale favorire l’intraprendenza e la creatività delle persone, in modo che possano tessere relazioni significative all’interno dei quartieri. Tante piccole responsabilità sono la premessa di una pacificazione concreta e che si costruisce quotidianamente. È bene ricordare qui il principio di sussidiarietà, che dà valore agli enti intermedi e non mortifica la libera iniziativa personale. Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a rimanere vicini alla gente. Perché una tentazione di fronte alle responsabilità è quella di fuggire. Isolarsi, fuggire… Isolarsi è un modo di fuggire. San Giovanni Crisostomo, vescovo e padre della Chiesa, pensando proprio a questa tentazione, esortava a spendersi per gli altri, piuttosto che restare sulle montagne a guardarli con indifferenza. Spendersi. È un insegnamento da custodire, soprattutto quando rischiamo di farci prendere dallo scoraggiamento e dalla delusione. Vi accompagno con la mia preghiera e vi benedico, benedico tutti voi: ognuno nel suo cuore, nel suo mestiere, benedico i vostri uffici di sindaco, benedico i vostri collaboratori, il vostro lavoro. E ognuno riceva questa benedizione nella misura della propria fede. E vi chiedo per favore di pregare per me, perché anch’io sono “sindaco” di qualcosa! Grazie.
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Un'udienza per accogliere, simbolicamente, tutti i sindaci d'Italia. Sabato mattina Papa Francesco ha accolto in Vaticano, nella sala Clementina, 118 primi cittadini provenienti da tutta Italia. A guidare la delegazione il presidente di Anci Antonio Decaro, il vice presidente Roberto Pella, il Presidente del Consiglio Nazionale Enzo Bianco, il segretario generale Veronica Nicotra. Per l'Umbria sono intervenuti il presidente di Anci Umbria Michele Toniaccini, sindaco di Deruta, il segretario generale Silvio Ranieri e il sindaco di Perugia Andrea Romizi. Il presidente di Anci Umbria ha portato come omaggio da parte di tutti i sindaci umbri un quadro raffigurante la Madonna con il bambino del Beato Angelico, riprodotta a mano con smalti tradizionali su ceramica di Deruta.

Emozione unica e straordinaria

"Un incontro dal grande valore" lo ha definito il presidente Toniaccini, che si è detto particolarmente emozionato. "Le parole del Santo Padre - ha affermato, in una nota - sono state ricche di significato e, ancora una volta, spunto di riflessione per noi sindaci. Rappresentare i sindaci umbri in momenti come quello di oggi è un vero onore e motivo di orgoglio, e sempre occasione di crescita". “Una giornata indimenticabile che ha reso ancora più forte il legame fra noi Sindaci, i cittadini, i territori, le persone; che ha rafforzato il concetto del prendersi cura dell’altro, delle famiglie, della solidarietà, dei gesti quotidiani che hanno, ciascuno, un profondo significato di umanità e dignità”. Parole ricche di emozione, quelle che il sindaco di Deruta ha rilasciato al nostro settimanale (l'intervista completa nel prossimo numero de La Voce). “Difficile descrivere l'emozione unica, straordinaria che ho provato” racconta il primo cittadino derutese. “Sono stati momenti di grande valore, di forte intensità, di straordinaria suggestione che porterò sempre nel mio cuore". “Papa Francesco ci ha esortato a investire in bellezza dove c’è degrado, in educazione dove c’è disagio sociale, in legalità dove c’è corruzione. A sognare città migliori, un sogno da condividere con tutti i cittadini”. Racconta il sindaco di Perugia Andre Romizi colpito, particolarmente, dall’esortazione del Santo Padre a "diventare degli ‘strumenti di pace’ nelle comunità”. Un ringraziamento a Papa Francesco “che ci esorta a riflettere e ad attuare una politica fondata sul dialogo, sull’attenzione al prossimo, sulla solidarietà. Non soltanto parole sagge - conclude Romizi - ma messaggi di grande ispirazione nella nostra opera di servizio nei confronti dei cittadini e delle nostre collettività”.  L'intervista audio al sindaco Michele Toniaccini, presidente di Anci Umbria [audio mp3="https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2022/02/toniaccini.mp3"][/audio]

Il discorso integrale di Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Ringrazio il Presidente per le sue parole di saluto. Sono contento di accogliervi per un momento di riflessione sul vostro servizio per la difesa e la promozione del bene comune nelle città e nelle comunità che amministrate. Attraverso di voi, saluto i Sindaci di tutto il territorio nazionale, con grato apprezzamento, in particolare, per ciò che state facendo e che avete fatto in questi due anni di pandemia. La vostra presenza è stata determinante per incoraggiare le persone a continuare a guardare avanti. Siete stati punto di riferimento nel far rispettare normative a volte gravose, ma necessarie per la salute dei cittadini. Anzi, la vostra voce ha aiutato anche chi aveva responsabilità legislative a prendere decisioni tempestive per il bene di tutti. Grazie! Se penso al vostro lavoro mi rendo conto di quanto sia complesso. A momenti di consolazione si affiancano tante difficoltà. Da una parte, infatti, la vostra vicinanza alla gente è una grande opportunità per servire i cittadini, che vi vogliono bene per la vostra presenza in mezzo a loro. La vicinanza. Dall’altra parte, immagino che a volte sentiate la solitudine della responsabilità. Spesso la gente pensa che la democrazia si riduca a delegare col voto, dimenticando il principio della partecipazione, essenziale perché una città possa essere bene amministrata. Si pretende che i sindaci abbiano la soluzione a tutti i problemi! Ma questi – lo sappiamo – non si risolvono solo ricorrendo alle risorse finanziarie. Quanto è importante poter contare sulla presenza di reti solidali, che mettano a disposizione competenze per affrontarle! La pandemia ha fatto emergere tante fragilità, ma anche la generosità di volontari, vicini di casa, personale sanitario e amministratori che si sono spesi per alleviare le sofferenze e le solitudini di poveri e anziani. Questa rete di relazioni solidali è una ricchezza che va custodita e rafforzata. Guardando al vostro servizio, vorrei offrirvi tre parole di incoraggiamento. Paternità – o maternità –, periferie e pace. Paternità o maternità. Il servizio al bene comune è una forma alta di carità, paragonabile a quello dei genitori in una famiglia. Anche in una città, a situazioni differenti si deve rispondere con attenzioni diversificate; perciò la paternità – o maternità – si attua anzitutto attraverso l’ascolto. Il sindaco o la sindaca sa ascoltare. Non temete di “perdere tempo” ascoltando le persone e i loro problemi! Un buon ascolto aiuta a fare discernimento, per capire le priorità su cui intervenire. Non mancano, grazie a Dio, le testimonianze di sindaci che hanno dedicato gran parte del tempo ad ascoltare e raccogliere le preoccupazioni della gente. E con l’ascolto non deve mancare il coraggio dell’immaginazione. A volte ci si illude che per risolvere i problemi bastino finanziamenti adeguati. Non è vero, in realtà, occorre anche un progetto di convivenza civile e di cittadinanza: occorre investire in bellezza laddove c’è più degrado, in educazione laddove regna il disagio sociale, in luoghi di aggregazione sociale laddove si vedono reazioni violente, in formazione alla legalità laddove domina la corruzione. Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà è un indice di cura sociale. È un po’ il mestiere del sindaco e della sindaca. La seconda parola è periferie. Fa pensare il fatto che Gesù sia nato in una stalla a Betlemme e sia morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario. Ci ricorda la “centralità” evangelica delle periferie. Mi piace ripetere che dalle periferie si vede meglio la totalità: non dal centro, dalle periferie. Spesso voi avvertite il dramma che si vive in periferie degradate, dove la trascuratezza sociale genera violenza e forme di esclusione. Partire dalle periferie non vuol dire escludere qualcuno, è una scelta di metodo; non una scelta ideologica, ma di partire dai poveri per servire il bene di tutti. Voi lo sapete molto bene: non c’è città senza poveri. Aggiungerei che i poveri sono la ricchezza di una città. Questo a qualcuno sembrerebbe cinico; no, non è così; ci ricordano – loro, i poveri – le nostre fragilità e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ci chiamano alla solidarietà, che è un valore-cardine della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente sviluppato da San Giovanni Paolo II. In tempo di pandemia abbiamo scoperto solitudini e conflitti all’interno delle case, che erano nascosti; il dramma di chi ha dovuto chiudere la propria attività economica, l’isolamento degli anziani, la depressione di adolescenti e giovani – pensate al numero dei suicidi dei giovani! –, le disuguaglianze sociali che hanno favorito chi godeva già di condizioni economiche agiate, le fatiche di famiglie che non arrivano a fine mese… E anche, mi permetto di menzionarli, gli usurai che bussano alle porte. E questo succede nelle città, almeno qui a Roma. Quante sofferenze avete incontrato! Ma le periferie non vanno solo aiutate, devono trasformarsi in laboratori di un’economia e di una società diverse. Infatti, quando abbiamo a che fare con i volti delle persone, non basta dare un pacco alimentare. La loro dignità chiede un lavoro, e quindi un progetto in cui ciascuno sia valorizzato per quello che può offrire agli altri. Il lavoro è davvero unzione di dignità! Il modo più sicuro per togliere la dignità a una persona o a un popolo è togliere il lavoro. Non si tratta di portare il pane a casa: questo non ti dà dignità. Si tratta di guadagnare il pane che tu porti a casa. E quello sì, ti unge di dignità. Terza parola: pace. Una delle indicazioni offerte da Gesù ai discepoli inviati in missione è quella di portare pace nelle case: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”» (Lc 10,5). Tra le mura domestiche si vivono tanti conflitti, c’è bisogno di serenità e di pace. E siamo certi che la buona qualità delle relazioni è la vera sicurezza sociale in una città. Per questo c’è un compito storico che coinvolge tutti: creare un tessuto comune di valori che porti a disarmare le tensioni tra le differenze culturali e sociali. La stessa politica di cui siete protagonisti può essere una palestra di dialogo tra culture, prima ancora che contrattazione tra schieramenti diversi. La pace non è assenza di conflitto, ma la capacità di farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l’altro. «Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse […]. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri […]. Vi è però un terzo modo, il più adeguato […]: accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9)» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 227). Il conflitto è pericoloso se rimane chiuso in sé stesso. Non dobbiamo confondere la crisi con il conflitto. Per esempio, la pandemia ci ha messo in crisi, questo è buono. La crisi è buona, perché la crisi ti fa risolvere e fare passi avanti. Ma la cosa cattiva è quando la crisi si trasforma in conflitto e il conflitto è chiuso, il conflitto è guerra, il conflitto è difficile che trovi una soluzione che vada più avanti. Crisi sì, conflitto no. Fuggire dai conflitti ma vivere in crisi. La pace sociale è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse. È fondamentale favorire l’intraprendenza e la creatività delle persone, in modo che possano tessere relazioni significative all’interno dei quartieri. Tante piccole responsabilità sono la premessa di una pacificazione concreta e che si costruisce quotidianamente. È bene ricordare qui il principio di sussidiarietà, che dà valore agli enti intermedi e non mortifica la libera iniziativa personale. Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a rimanere vicini alla gente. Perché una tentazione di fronte alle responsabilità è quella di fuggire. Isolarsi, fuggire… Isolarsi è un modo di fuggire. San Giovanni Crisostomo, vescovo e padre della Chiesa, pensando proprio a questa tentazione, esortava a spendersi per gli altri, piuttosto che restare sulle montagne a guardarli con indifferenza. Spendersi. È un insegnamento da custodire, soprattutto quando rischiamo di farci prendere dallo scoraggiamento e dalla delusione. Vi accompagno con la mia preghiera e vi benedico, benedico tutti voi: ognuno nel suo cuore, nel suo mestiere, benedico i vostri uffici di sindaco, benedico i vostri collaboratori, il vostro lavoro. E ognuno riceva questa benedizione nella misura della propria fede. E vi chiedo per favore di pregare per me, perché anch’io sono “sindaco” di qualcosa! Grazie.
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Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani celebrata dal vescovo Soddu https://www.lavoce.it/settimana-di-preghiera-per-lunita-dei-cristiani-celebrata-dal-vescovo-soddu/ Mon, 17 Jan 2022 11:48:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64542 Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Sarà celebrata dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, uno dei principali incontri ecumenici delle Chiese cristiane.

In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo è il tema della Settimana, che prolunga la riflessione e il clima natalizio, ed è stato preparato dal consiglio delle chiese cristiane del Medio Oriente (Libano).

"L’Incarnazione di Cristo e la Sua entrata nello spazio e nel tempo diventano l’occasione in cui angeli e uomini si uniscono in un’unica lode, gli abitanti di Betlemme si abbracciano con i Magi che provengono dal lontano oriente e tutti insieme offrono i loro i doni al Grande Visitatore. Le regioni celesti e terrestri si congiungono con gli uomini per venerare Colui che diventa uomo per la nostra salvezza".

Una settimana che sarà vissuta in forma ridotta negli appuntamenti, rispetto agli anni precedenti a causa delle limitazioni per la pandemia Covid 19, ma più che mai intensa nella preghiera e nell’impegno comune grazie ai sussidi liturgici e di riflessione offerti ogni anno dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e del Consiglio Ecumenico delle chiese.

In diocesi, d’accordo con gli altri ministri di culto delle Chiese cristiane, si vivranno alcuni momenti di preghiera: martedì 18 gennaio nella parrocchia di Santa Maria del Carmelo a Terni alle ore 17.30 Preghiera Ecumenica presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, con i rappresentanti delle diverse confessioni. La preghiera sarà trasmessa in diretta sulla pagina Facebook della Diocesi di Terni-Narni-Amelia.

Giovedì 20 gennaio nella chiesa di San Matteo a Campitelli, alle ore 17.30 Vespro ortodosso con la comunità ortodossa rumena e la presenza di monsignor Francesco Antonio Soddu. Lunedì 24 gennaio presso la chiesa Evangelica metodista di Terni alle ore 17.30 preghiera ecumenica della Parola di Dio con la presenza del vescovo Francesco Antonio Soddu, con il Pastore Pawel Gawjeski, don Vincenzo Greco e padre Vasile Andreica.

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani come momento di comunione tra le chiese

"La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani merita particolare attenzione -spiega don Enzo Greco direttore dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e dialogo- perchè esprime il desiderio e l’impegno di comunione tra le chiese, per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità, solidarietà e collaborazione. In diocesi, da alcuni anni, stiamo proponendo un cammino comune nel consiglio delle Chiese cristiane per promuovere il dialogo e le attività ecumeniche tra le diverse confessioni religiose cristiane presenti a livello territoriale, valdesi-metodisti, cattolici, ortodossi rumeni, per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso".

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Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Sarà celebrata dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, uno dei principali incontri ecumenici delle Chiese cristiane.

In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo è il tema della Settimana, che prolunga la riflessione e il clima natalizio, ed è stato preparato dal consiglio delle chiese cristiane del Medio Oriente (Libano).

"L’Incarnazione di Cristo e la Sua entrata nello spazio e nel tempo diventano l’occasione in cui angeli e uomini si uniscono in un’unica lode, gli abitanti di Betlemme si abbracciano con i Magi che provengono dal lontano oriente e tutti insieme offrono i loro i doni al Grande Visitatore. Le regioni celesti e terrestri si congiungono con gli uomini per venerare Colui che diventa uomo per la nostra salvezza".

Una settimana che sarà vissuta in forma ridotta negli appuntamenti, rispetto agli anni precedenti a causa delle limitazioni per la pandemia Covid 19, ma più che mai intensa nella preghiera e nell’impegno comune grazie ai sussidi liturgici e di riflessione offerti ogni anno dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e del Consiglio Ecumenico delle chiese.

In diocesi, d’accordo con gli altri ministri di culto delle Chiese cristiane, si vivranno alcuni momenti di preghiera: martedì 18 gennaio nella parrocchia di Santa Maria del Carmelo a Terni alle ore 17.30 Preghiera Ecumenica presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, con i rappresentanti delle diverse confessioni. La preghiera sarà trasmessa in diretta sulla pagina Facebook della Diocesi di Terni-Narni-Amelia.

Giovedì 20 gennaio nella chiesa di San Matteo a Campitelli, alle ore 17.30 Vespro ortodosso con la comunità ortodossa rumena e la presenza di monsignor Francesco Antonio Soddu. Lunedì 24 gennaio presso la chiesa Evangelica metodista di Terni alle ore 17.30 preghiera ecumenica della Parola di Dio con la presenza del vescovo Francesco Antonio Soddu, con il Pastore Pawel Gawjeski, don Vincenzo Greco e padre Vasile Andreica.

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani come momento di comunione tra le chiese

"La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani merita particolare attenzione -spiega don Enzo Greco direttore dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e dialogo- perchè esprime il desiderio e l’impegno di comunione tra le chiese, per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità, solidarietà e collaborazione. In diocesi, da alcuni anni, stiamo proponendo un cammino comune nel consiglio delle Chiese cristiane per promuovere il dialogo e le attività ecumeniche tra le diverse confessioni religiose cristiane presenti a livello territoriale, valdesi-metodisti, cattolici, ortodossi rumeni, per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso".

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Messa dell’Epifania in cattedrale con l’ammissione all’Ordine sacro del seminarista Samuele Betti https://www.lavoce.it/messa-epifania-cattedrale-ammissione-ordine-sacro-seminarista-samuele-betti/ Wed, 05 Jan 2022 10:33:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64370

Il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti è dal 3 gennaio negativo al Covid-19. Era risultato positivo lo scorso 25 dicembre, restando in isolamento e annullando i suoi impegni pastorali natalizi.

Messa dell'Epifania in cattedrale con l'ammissione all'Ordine sacro del seminarista Samuele Betti

Riprenderà la sua attività in diocesi e fuori nei prossimi giorni, a partire dal 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore. Presiederà al mattino (ore 11), nella cattedrale di San Lorenzo, la celebrazione eucaristica con l'Ammissione tra i candidati all'Ordine Sacro del seminarista perugino Samuele Betti (classe 1994), alunno al terzo anno del Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI”, originario dell'Unità Pastorale “Giovanni Paolo II” di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino. L'ammissione è un rito nel quale il candidato manifesta pubblicamente la volontà di offrirsi a Dio e alla Chiesa, ed egli viene accolto e chiamato perché si prepari a ricevere l'Ordine Sacro.

Annullata la Sacra rappresentazione dell'arrivo dei Magi

Sempre nel pomeriggio del 6 gennaio il cardinale Bassetti si sarebbe dovuto recare in visita alla comunità parrocchiale di San Giovanni Battista in Ferro di Cavallo di Perugia per assistere alla tradizionale Sacra rappresentazione dell’arrivo dei Magi; evento programmato all’esterno per permettere una maggiore partecipazione di fedeli, ma che è stato annullato a seguito delle disposizioni governative per il contenimento del contagio da Covid-19. È da un ventennio che l’Ufficio diocesano di pastorale familiare, in collaborazione con le parrocchie, promuove quest’evento a conclusione delle festività natalizie molto sentito, con il coinvolgimento-animazione di diverse famiglie. Negli ultimi anni, su indicazione dello stesso cardinale, è diventato un appuntamento itinerante nelle periferie, segno di una Chiesa in uscita e in cammino, che va incontro ai "lontani" alla ricerca di Dio, come accadde ai Magi.

L'esempio dei Magi in questo difficile momento

“Questa pandemia, che continua a metterci a dura prova nel corpo e nello spirito – commenta il cardinale Bassetti –, ci priva nuovamente dell’arrivo dei Magi, un arrivo tanto atteso dai più piccoli e di grande insegnamento per noi adulti chiamati a educare i giovani alla fede e ad essere buoni cittadini. L’Epifania ci rammenta il dono più grande di Dio all’umanità: il Bambino Gesù, venuto a salvarci dai tanti mali, dalle tante pandemie, sofferenze e ingiustizie con cui dobbiamo confrontarci nella vita, che a volte ci abbrutiscono e ci rendono malvagi come Erode. Il Signore, però, ha voluto mettere sul nostro cammino tre personaggi misteriosi giunti da Oriente a Betlemme dove Dio si è fatto carne tra gli ‘ultimi’ nel rivelarsi al mondo. Il cammino di vita di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare sia di esempio e di incoraggiamento per tutti, soprattutto nel difficile momento del nostro tempo”.]]>

Il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti è dal 3 gennaio negativo al Covid-19. Era risultato positivo lo scorso 25 dicembre, restando in isolamento e annullando i suoi impegni pastorali natalizi.

Messa dell'Epifania in cattedrale con l'ammissione all'Ordine sacro del seminarista Samuele Betti

Riprenderà la sua attività in diocesi e fuori nei prossimi giorni, a partire dal 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore. Presiederà al mattino (ore 11), nella cattedrale di San Lorenzo, la celebrazione eucaristica con l'Ammissione tra i candidati all'Ordine Sacro del seminarista perugino Samuele Betti (classe 1994), alunno al terzo anno del Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI”, originario dell'Unità Pastorale “Giovanni Paolo II” di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino. L'ammissione è un rito nel quale il candidato manifesta pubblicamente la volontà di offrirsi a Dio e alla Chiesa, ed egli viene accolto e chiamato perché si prepari a ricevere l'Ordine Sacro.

Annullata la Sacra rappresentazione dell'arrivo dei Magi

Sempre nel pomeriggio del 6 gennaio il cardinale Bassetti si sarebbe dovuto recare in visita alla comunità parrocchiale di San Giovanni Battista in Ferro di Cavallo di Perugia per assistere alla tradizionale Sacra rappresentazione dell’arrivo dei Magi; evento programmato all’esterno per permettere una maggiore partecipazione di fedeli, ma che è stato annullato a seguito delle disposizioni governative per il contenimento del contagio da Covid-19. È da un ventennio che l’Ufficio diocesano di pastorale familiare, in collaborazione con le parrocchie, promuove quest’evento a conclusione delle festività natalizie molto sentito, con il coinvolgimento-animazione di diverse famiglie. Negli ultimi anni, su indicazione dello stesso cardinale, è diventato un appuntamento itinerante nelle periferie, segno di una Chiesa in uscita e in cammino, che va incontro ai "lontani" alla ricerca di Dio, come accadde ai Magi.

L'esempio dei Magi in questo difficile momento

“Questa pandemia, che continua a metterci a dura prova nel corpo e nello spirito – commenta il cardinale Bassetti –, ci priva nuovamente dell’arrivo dei Magi, un arrivo tanto atteso dai più piccoli e di grande insegnamento per noi adulti chiamati a educare i giovani alla fede e ad essere buoni cittadini. L’Epifania ci rammenta il dono più grande di Dio all’umanità: il Bambino Gesù, venuto a salvarci dai tanti mali, dalle tante pandemie, sofferenze e ingiustizie con cui dobbiamo confrontarci nella vita, che a volte ci abbrutiscono e ci rendono malvagi come Erode. Il Signore, però, ha voluto mettere sul nostro cammino tre personaggi misteriosi giunti da Oriente a Betlemme dove Dio si è fatto carne tra gli ‘ultimi’ nel rivelarsi al mondo. Il cammino di vita di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare sia di esempio e di incoraggiamento per tutti, soprattutto nel difficile momento del nostro tempo”.]]>
Su Rai 3 “Tu che scendi dalle stelle” un viaggio nei luoghi del Natale https://www.lavoce.it/rai-3-tu-che-scendi-dalle-stelle-viaggio-luoghi-natale/ Tue, 04 Jan 2022 09:28:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64361

Martedì 4 gennaio, alle 15.25 su Rai3, andrà in onda il programma Tu che scendi dalle stelle, condotto dalla giornalista Simona Vanni che, accompagnata da padre Enzo Fortunato, proporrà un viaggio in tre i luoghi significativi che esprimono in modo intenso e forte la spiritualità del Natale: Betlemme, dove, nella notte delle notti, è nata la storia della civiltà cristiana; Greccio, dove San Francesco d'Assisi ha inventato il primo Presepe nel 1223; e Scala, il paese più antico della Costiera Amalfitana, dove Sant’Alfonso Maria de’ Liguori trovò ispirazione, tra pastori, grotte e greggi, per la composizione di quello che sarebbe divenuto il più celebre canto natalizio: Tu che scendi dalle Stelle. Al racconto natalizio hanno partecipato: il vescovo di Rieti, Mons. Domenico Pompili, padre Ibrahim Faltas, i cantanti Al Bano e Giovanni Caccamo, il critico d'arte Vittorio Sgarbi e il sociologo Domenico De Masi. Tutti riveleranno le proprie suggestioni e i ricordi legati al Presepe e al Natale. Tra gli ospiti anche il violoncellista Stjepan Hauser, che eseguirà proprio da Scala un'inedita versione del brano Tu che scendi dalle stelle. Di seguito il link video promo: https://fb.watch/aiOfVOM7gC/]]>

Martedì 4 gennaio, alle 15.25 su Rai3, andrà in onda il programma Tu che scendi dalle stelle, condotto dalla giornalista Simona Vanni che, accompagnata da padre Enzo Fortunato, proporrà un viaggio in tre i luoghi significativi che esprimono in modo intenso e forte la spiritualità del Natale: Betlemme, dove, nella notte delle notti, è nata la storia della civiltà cristiana; Greccio, dove San Francesco d'Assisi ha inventato il primo Presepe nel 1223; e Scala, il paese più antico della Costiera Amalfitana, dove Sant’Alfonso Maria de’ Liguori trovò ispirazione, tra pastori, grotte e greggi, per la composizione di quello che sarebbe divenuto il più celebre canto natalizio: Tu che scendi dalle Stelle. Al racconto natalizio hanno partecipato: il vescovo di Rieti, Mons. Domenico Pompili, padre Ibrahim Faltas, i cantanti Al Bano e Giovanni Caccamo, il critico d'arte Vittorio Sgarbi e il sociologo Domenico De Masi. Tutti riveleranno le proprie suggestioni e i ricordi legati al Presepe e al Natale. Tra gli ospiti anche il violoncellista Stjepan Hauser, che eseguirà proprio da Scala un'inedita versione del brano Tu che scendi dalle stelle. Di seguito il link video promo: https://fb.watch/aiOfVOM7gC/]]>
“Non vergognarsi del Natale… Ritrovare e riscoprire le nostre radici profonde”. Lettera del cardinale Bassetti alla comunità diocesana https://www.lavoce.it/non-vergognarsi-del-natale-ritrovare-e-riscoprire-le-nostre-radici-profonde-lettera-del-cardinale-bassetti-alla-comunita-diocesana/ Wed, 29 Dec 2021 11:16:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64291 lettera bassetti

Il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti scrive una lettera per questo tempo di Natale, durante il suo isolamento per il contagio da Covid-19, rivolta a tutti i sacerdoti diocesani e religiosi, ai consacrati, ai diaconi permanenti, ai seminaristi, ai giovani, a tutte le famiglie, a tutte le donne e gli uomini amati da Dio.

Il testo della lettera per il tempo di Natale

Carissimi, ancora una volta, se pure in forma più lieve, il Signore ha voluto che, durante queste Feste, condividessi il disagio di tutti coloro che stanno soffrendo, colpiti dal Covid 19. Ciò mi costringe a non essere presente alle celebrazioni liturgiche e ai vari incontri di questo periodo benedetto.

Come abbiamo riflettuto durante l’Avvento, la nascita del Salvatore, con tutto il Mistero dell’Incarnazione, è il più grande connubio che si possa immaginare fra cielo e terra, ed esprime tutta la tenerezza del nostro Dio.

Tornano in mente le parole del profeta Isaia, riportate dall’antifona di ingresso della IV Domenica di Avvento: Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto; si apra la terra, germogli il Salvatore (Is 45,8). Il Salvatore viene dal Padre, ma ha bisogno di un grembo materno che lo accolga.

Scrive un grande convertito, Giovanni Testori, in un piccolo libro dal suggestivo titolo Un bambino per sempre: Ci siamo dimenticati e vergognati perfino del Natale. Invece il Natale è il momento in cui l’uomo domanda di ritrovare la propria nascita. Occorre, sottolineo anch’io come lui, trovare dentro di noi il Bambino che il Padre ha creato.

Parto dal cuore del Natale: la nascita di Gesù in una grotta. Da millenni l’uomo porta in sé l’immagine della grotta, del rifugio scavato nella roccia, del tepore della terra nascosta: pensiamo alle grotte di Greccio, della Verna, delle Celle di Cortona. La grotta è il simbolo delle origini, della nascita e della rinascita.

Gesù è nato in una grotta e in una grotta fu sepolto, da dove è risorto nella pienezza della vita. Nella grotta il Bambino Gesù nasce fuori dalla civiltà costruita dall’uomo, dalla cultura ufficiale. Io sono certo che nella grotta profonda del nostro inconscio sia racchiuso un desiderio inespresso di nascita e rinascita: per questo, il Figlio di Dio, venendo nel mondo, l’ha scelta per la sua nascita.

Sono convinto che il grande mistero della Notte Santa si ripeta per ogni creatura umana molto più di quanto possiamo pensare. La grotta di Betlemme ha il suo fanciullo che lì nasce, e la Vergine lo depone come pane vero di vita nella mangiatoia. La mangiatoia indica appunto un bacino, una cavità ricavata dalla parete della grotta per deporre non solo il mangiare del bestiame, ma anche il cibo dei pastori. A loro aveva detto l’angelo: Non temete: ecco, oggi vi annuncio una grande gioia… oggi, nella città di Davide, è nato per noi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Noi sappiamo che il Bambino della mangiatoia è il pane vero disceso dal cielo: Chi mangia di questo pane avrà la vita, dice Gesù.

Cari fratelli, c’è chi si è dimenticato o forse arriva anche a vergognarsi del Natale, oppure è semplicemente smarrito. Perciò arriva pressante per ognuno di noi, in qualsiasi situazione interiore possa trovarsi, l’invito a ritrovare la propria nascita!

Trovare dentro di noi il bambino che il Padre ci dona significa ritrovare e riscoprire le nostre radici profonde. È questo il Natale che il vostro Vescovo augura ai cristiani e a tutti gli uomini e le donne amati dal Signore.

Gualtiero card. Bassetti

Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

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lettera bassetti

Il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti scrive una lettera per questo tempo di Natale, durante il suo isolamento per il contagio da Covid-19, rivolta a tutti i sacerdoti diocesani e religiosi, ai consacrati, ai diaconi permanenti, ai seminaristi, ai giovani, a tutte le famiglie, a tutte le donne e gli uomini amati da Dio.

Il testo della lettera per il tempo di Natale

Carissimi, ancora una volta, se pure in forma più lieve, il Signore ha voluto che, durante queste Feste, condividessi il disagio di tutti coloro che stanno soffrendo, colpiti dal Covid 19. Ciò mi costringe a non essere presente alle celebrazioni liturgiche e ai vari incontri di questo periodo benedetto.

Come abbiamo riflettuto durante l’Avvento, la nascita del Salvatore, con tutto il Mistero dell’Incarnazione, è il più grande connubio che si possa immaginare fra cielo e terra, ed esprime tutta la tenerezza del nostro Dio.

Tornano in mente le parole del profeta Isaia, riportate dall’antifona di ingresso della IV Domenica di Avvento: Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto; si apra la terra, germogli il Salvatore (Is 45,8). Il Salvatore viene dal Padre, ma ha bisogno di un grembo materno che lo accolga.

Scrive un grande convertito, Giovanni Testori, in un piccolo libro dal suggestivo titolo Un bambino per sempre: Ci siamo dimenticati e vergognati perfino del Natale. Invece il Natale è il momento in cui l’uomo domanda di ritrovare la propria nascita. Occorre, sottolineo anch’io come lui, trovare dentro di noi il Bambino che il Padre ha creato.

Parto dal cuore del Natale: la nascita di Gesù in una grotta. Da millenni l’uomo porta in sé l’immagine della grotta, del rifugio scavato nella roccia, del tepore della terra nascosta: pensiamo alle grotte di Greccio, della Verna, delle Celle di Cortona. La grotta è il simbolo delle origini, della nascita e della rinascita.

Gesù è nato in una grotta e in una grotta fu sepolto, da dove è risorto nella pienezza della vita. Nella grotta il Bambino Gesù nasce fuori dalla civiltà costruita dall’uomo, dalla cultura ufficiale. Io sono certo che nella grotta profonda del nostro inconscio sia racchiuso un desiderio inespresso di nascita e rinascita: per questo, il Figlio di Dio, venendo nel mondo, l’ha scelta per la sua nascita.

Sono convinto che il grande mistero della Notte Santa si ripeta per ogni creatura umana molto più di quanto possiamo pensare. La grotta di Betlemme ha il suo fanciullo che lì nasce, e la Vergine lo depone come pane vero di vita nella mangiatoia. La mangiatoia indica appunto un bacino, una cavità ricavata dalla parete della grotta per deporre non solo il mangiare del bestiame, ma anche il cibo dei pastori. A loro aveva detto l’angelo: Non temete: ecco, oggi vi annuncio una grande gioia… oggi, nella città di Davide, è nato per noi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Noi sappiamo che il Bambino della mangiatoia è il pane vero disceso dal cielo: Chi mangia di questo pane avrà la vita, dice Gesù.

Cari fratelli, c’è chi si è dimenticato o forse arriva anche a vergognarsi del Natale, oppure è semplicemente smarrito. Perciò arriva pressante per ognuno di noi, in qualsiasi situazione interiore possa trovarsi, l’invito a ritrovare la propria nascita!

Trovare dentro di noi il bambino che il Padre ci dona significa ritrovare e riscoprire le nostre radici profonde. È questo il Natale che il vostro Vescovo augura ai cristiani e a tutti gli uomini e le donne amati dal Signore.

Gualtiero card. Bassetti

Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

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Spoleto, mons. Boccardo celebra il Natale col progetto “adotta un pasto” https://www.lavoce.it/spoleto-mons-boccardo-celebra-il-natale-col-progetto-adotta-un-pasto/ Sat, 25 Dec 2021 17:05:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64278

Nella notte e nel giorno di Natale 2021 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto la Messa nella Basilica Cattedrale di Spoleto. Hanno concelebrato i parroci della Città e la liturgia è stata animata dal coro della Pievania di Santa Maria. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino. All’ingresso della Cattedrale c’erano dei posti tavola confezionati dalla Caritas (piatto, bicchiere, tovagliolo). Si tratta del progetto “adotta un pasto”: le persone hanno lasciato un’offerta e hanno preso il posto tavola, consentendo così alle famiglie povere di trascorrere un Natale sereno e di portare, idealmente, nelle loro case i fratelli e le sorelle più in difficoltà. Davvero generosa è stata la risposta dei fedeli presenti in Duomo. [gallery columns="4" td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="La messa di Natale nella cattedrale di Spoleto" ids="64279,64280,64281,64282"]

Dio-con-noi e mai Dio-contro-gli-altri

Il Natale – ha detto il Presule – nell’omelia della notte «non è una “apparizione" di Dio tra gli umani, ma la nascita di un bambino che soltanto Dio poteva dare all'umanità, un “nato da donna” che veniva da Dio e di lui era racconto e spiegazione (cf Gv 1,18)». I cristiani a Natale «stanno in mezzo agli altri con la stessa gioia con cui Dio è venuto in mezzo a noi nel Figlio, l'Emmanuele, il Dio-con-noi, che non può e non deve mai diventare Dio-contro-gli-altri. Allora il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo - non finirà bruciato nel consumarsi di poche ore e di molti beni, ma si dilaterà moltiplicandosi nel vissuto quotidiano: sarà il pegno di una vita più umana, abitata da relazioni autentiche, capace di esprimere in gesti e parole la bellezza e la luce, come eco di quella luce che brillò nella notte di Betlemme e che deve brillare ancora oggi in ogni luogo avvolto dalle tenebre della pandemia, del dolore e della paura».

Il rischio di cancellare la parola Natale

“Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18). «Questo mistero – ha detto l’arcivescovo Boccardo nell’omelia della Messa del giorno - è ciò che noi chiamiamo “Natale”, il suo messaggio e il suo contenuto. Anche se “Natale” è una parola che qualche lobby europea neanche tanto nascosta vorrebbe cancellare dal vocabolario comune in nome di una “comunicazione inclusiva”. Fondamento di tale modo di vedere è il principio secondo cui l’uguaglianza richiede l’annullamento delle differenze. Con questa autentica aggressione del linguaggio ereditato da secoli di fede e di cultura, si tende a formare individui che non si riconoscano appartenenti a nessuna categoria ma solo a sé stessi. È il trionfo del puro individualismo. Ed è anche l’annegamento del singolo in una massa informe e indistinta, nella quale egli perde alla fine la propria identità, che per definirsi ha bisogno delle relazioni. Ma le relazioni diventano impossibili, o meramente formali, in una società dove al posto delle differenze ci sono persone che sono solo sé stessi e che non hanno in comune né l’essere uomini né l’essere donne, né l’essere cristiani né l’essere islamici, né l’essere credenti né non credenti. Purtroppo queste non sono solo teorie; è la tendenza ad imporre - attraverso le mode, oltre che attraverso il linguaggio - la logica dell’omologazione, che rende tutti uguali annullando le differenze culturali e lasciando in vita individui sradicati e incapaci di relazioni profonde. Chiunque ragioni libero da ideologie e pregiudizi sa bene che per un mondo dove si realizza la vera uguaglianza non si può puntare sull’annullamento dell’appartenenza dei singoli alle loro rispettive comunità locali, ma piuttosto sull’apertura di ciascuna di esse alle altre e al mondo intero. Insomma, il “rispetto dell’uguale dignità delle persone” non si realizza a spese delle differenze, ma attraverso di esse. Pertanto, noi continuiamo a parlare, con serenità, convinzione e fermezza, del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo».

Lasciamoci illuminare dalla Luce

«Celebrare con frutto il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo - significa perciò lasciarci illuminare dalla luce che viene in questo mondo, senza stancarci o scoraggiarci della strada che dobbiamo ancora percorrere per diventare in pienezza figli di Dio. Celebrare con frutto il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell'uomo, sperimentare la gioia e la pace proprie di chi sa riconoscere in Dio il volto del Padre, di chi sa di poterlo invocare, come e in Gesù, «Abbà» e, per questo, sa riconoscere la grandezza e la dignità di ogni uomo, a qualunque razza, religione e popolo appartenga. Celebrare con frutto il Natale, come evento del nostro cuore, significa irradiare e diffondere l'amore del Padre, testimoniare la sua paternità vivendo la carità verso tutti i fratelli, condividendo le loro situazioni, provvedendo alle necessità materiali dei più bisognosi, mettendoci al servizio della pace e della riconciliazione».]]>

Nella notte e nel giorno di Natale 2021 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto la Messa nella Basilica Cattedrale di Spoleto. Hanno concelebrato i parroci della Città e la liturgia è stata animata dal coro della Pievania di Santa Maria. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino. All’ingresso della Cattedrale c’erano dei posti tavola confezionati dalla Caritas (piatto, bicchiere, tovagliolo). Si tratta del progetto “adotta un pasto”: le persone hanno lasciato un’offerta e hanno preso il posto tavola, consentendo così alle famiglie povere di trascorrere un Natale sereno e di portare, idealmente, nelle loro case i fratelli e le sorelle più in difficoltà. Davvero generosa è stata la risposta dei fedeli presenti in Duomo. [gallery columns="4" td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="La messa di Natale nella cattedrale di Spoleto" ids="64279,64280,64281,64282"]

Dio-con-noi e mai Dio-contro-gli-altri

Il Natale – ha detto il Presule – nell’omelia della notte «non è una “apparizione" di Dio tra gli umani, ma la nascita di un bambino che soltanto Dio poteva dare all'umanità, un “nato da donna” che veniva da Dio e di lui era racconto e spiegazione (cf Gv 1,18)». I cristiani a Natale «stanno in mezzo agli altri con la stessa gioia con cui Dio è venuto in mezzo a noi nel Figlio, l'Emmanuele, il Dio-con-noi, che non può e non deve mai diventare Dio-contro-gli-altri. Allora il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo - non finirà bruciato nel consumarsi di poche ore e di molti beni, ma si dilaterà moltiplicandosi nel vissuto quotidiano: sarà il pegno di una vita più umana, abitata da relazioni autentiche, capace di esprimere in gesti e parole la bellezza e la luce, come eco di quella luce che brillò nella notte di Betlemme e che deve brillare ancora oggi in ogni luogo avvolto dalle tenebre della pandemia, del dolore e della paura».

Il rischio di cancellare la parola Natale

“Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18). «Questo mistero – ha detto l’arcivescovo Boccardo nell’omelia della Messa del giorno - è ciò che noi chiamiamo “Natale”, il suo messaggio e il suo contenuto. Anche se “Natale” è una parola che qualche lobby europea neanche tanto nascosta vorrebbe cancellare dal vocabolario comune in nome di una “comunicazione inclusiva”. Fondamento di tale modo di vedere è il principio secondo cui l’uguaglianza richiede l’annullamento delle differenze. Con questa autentica aggressione del linguaggio ereditato da secoli di fede e di cultura, si tende a formare individui che non si riconoscano appartenenti a nessuna categoria ma solo a sé stessi. È il trionfo del puro individualismo. Ed è anche l’annegamento del singolo in una massa informe e indistinta, nella quale egli perde alla fine la propria identità, che per definirsi ha bisogno delle relazioni. Ma le relazioni diventano impossibili, o meramente formali, in una società dove al posto delle differenze ci sono persone che sono solo sé stessi e che non hanno in comune né l’essere uomini né l’essere donne, né l’essere cristiani né l’essere islamici, né l’essere credenti né non credenti. Purtroppo queste non sono solo teorie; è la tendenza ad imporre - attraverso le mode, oltre che attraverso il linguaggio - la logica dell’omologazione, che rende tutti uguali annullando le differenze culturali e lasciando in vita individui sradicati e incapaci di relazioni profonde. Chiunque ragioni libero da ideologie e pregiudizi sa bene che per un mondo dove si realizza la vera uguaglianza non si può puntare sull’annullamento dell’appartenenza dei singoli alle loro rispettive comunità locali, ma piuttosto sull’apertura di ciascuna di esse alle altre e al mondo intero. Insomma, il “rispetto dell’uguale dignità delle persone” non si realizza a spese delle differenze, ma attraverso di esse. Pertanto, noi continuiamo a parlare, con serenità, convinzione e fermezza, del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo».

Lasciamoci illuminare dalla Luce

«Celebrare con frutto il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo - significa perciò lasciarci illuminare dalla luce che viene in questo mondo, senza stancarci o scoraggiarci della strada che dobbiamo ancora percorrere per diventare in pienezza figli di Dio. Celebrare con frutto il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell'uomo, sperimentare la gioia e la pace proprie di chi sa riconoscere in Dio il volto del Padre, di chi sa di poterlo invocare, come e in Gesù, «Abbà» e, per questo, sa riconoscere la grandezza e la dignità di ogni uomo, a qualunque razza, religione e popolo appartenga. Celebrare con frutto il Natale, come evento del nostro cuore, significa irradiare e diffondere l'amore del Padre, testimoniare la sua paternità vivendo la carità verso tutti i fratelli, condividendo le loro situazioni, provvedendo alle necessità materiali dei più bisognosi, mettendoci al servizio della pace e della riconciliazione».]]>
Terni, il vescovo Piemontese: “Affidiamoci alla forza e alla grazia del Bambino” https://www.lavoce.it/terni-messa-natale-piemontese/ Sat, 25 Dec 2021 16:12:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64266

Nella celebrazione della notte di Natale nella Cattedrale di Terni, il vescovo Giuseppe Piemontese ha ricordato la gioia e la speranza che viene dal Natale, la grandezza dell’amore di Dio che diventa uomo e «prende su di sé le qualità, i limiti, le sofferenze e le dinamiche di ogni uomo per farsi vicino, prossimo ad ogni uomo». E poi un monito ai cristiani a vivere pienamente e il mistero del Natale e la sua spiritualità: «Alcuni hanno smarrito il senso del Natale, non solo del presepio, ma si consolano con surrogati di luci, di spari, di consumi, di baldoria e di regali. Altri, novelli Erode, vorrebbero cancellare, quasi usando il tasto del computer “canc-delete” il Natale di Gesù. Sappiamo che chi vuole cancellare Dio, immancabilmente uccide l’uomo e smarrisce sé stesso. Anche noi, lasciandoci abbagliare da tante luci artificiali o volgendo lo sguardo altrove di fronte all’umanità affamata, in guerra, in cerca di condizioni di vita dignitose, deformiamo il senso del presepe e del Natale. Questa notte, questo giorno, ognuno di noi alimenti nel suo cuore, nella sua casa, nella sua famiglia il presepio vivo, faccia destare e rendere palpitante quella statuina di Gesù bambino, come avvenne con san Francesco. Diamo vita a Gesù, che dorme nel nostro cuore, destiamolo nel cuore del prossimo, dei bambini, degli uomini e delle donne, tutti fratelli. Quel bambinello porta pace, gioia, amore e benessere. In questo tempo mortifero della pandemia affidiamoci alla forza e alla grazia del Bambino di Betlemme, che veramente nasce tra noi e per noi». [gallery td_gallery_title_input="La messa di Natale nella cattedrale di Terni" td_select_gallery_slide="slide" ids="64273,64272,64271,64270,64268,64267"] La messa è stata concelebrata dal parroco della Cattedrale don Alessandro Rossini e dal viceparroco don Saul Bileo e animata dalla coro del Duomo. Di seguito l’omelia della notte di Natale di mons. Piemontese: “Uno dei capolavori della letteratura italiana, delle rappresentazioni teatrali è certamente “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo. Gli amanti del teatro, dei buoni sentimenti e soprattutto della recitazione di De Filippo in questo periodo sono indotti dall’emozione oltre che dal gusto artistico a rileggere tale commedia. Nello sviluppo della messinscena si descrivono, alternandosi e confondendosi, la realtà dell’esistenza familiare con i problemi di sussistenza, i piccoli e grandi drammi dei singoli componenti, le relazioni, cariche di contraddizioni tra di loro e soprattutto le manie del capofamiglia Luca Cupiello. La tradizione natalizia, profondamente attaccata al contesto sociale e popolare napoletano, con i suoi riti e le sue espressioni fantastiche, viene riproposta nei giorni intorno alla festa di Natale, nei quali Luca Cupiello non vede l'ora di potersi dedicare all’allestimento del Presepe, nonostante le critiche della moglie e del figlio, che lo ritengono anacronistico. Protagonisti sono, oltre il capofamiglia, il presepio con i personaggi rappresentati dalle statuine, diventate ormai personaggi di famiglia, la ritualità ricorrente ogni anno nell’allestire il mondo dove nasce Cristo. E poi la precisione maniacale e la cura dell’ordine perché ogni personaggio sia integro, al suo posto e in armonia con tutto il contesto. In vista di una gioiosa soddisfazione per la memoria natalizia, sintesi delle nostre rimembranze dell’infanzia e della giovinezza e premessa della speranza di tempi migliori e del benessere materiale, morale e sentimentale dei componenti la famiglia. Proprio la famiglia, ricomposta e risanata dalle molteplici contraddizioni in cui viene a trovarsi, è il sogno di Luca Cupiello, che aspira all’intreccio tra rappresentazione del presepe, allestito nella sua casa, presepe celeste che intravede mentre è in preda alle allucinazioni dell’agonia, e pacificazione degli animi umani. Questa notte rivolgo a ciascuno di voi la domanda di Luca Cupiello: “te piace 'o presepe?”. Ovviamente non mi riferisco principalmente al presepio, che viene allestito nelle case, nei negozi, nelle scuole, che pure molti vorrebbero abolire. Mi riferisco al mistero, amabilmente rappresentato secondo l’invenzione di san Francesco, e che ci ricorda che duemila anni addietro, nel paesino di Betlemme in Palestina, Gesù Cristo, figlio di Dio e di Maria di Nazareth è diventato uomo. Mi riferisco alle condizioni di disagio nelle quali, come recitano i vangeli, è nato Gesù. Mi riferisco alla gioia dei pastori e di tanta gente semplice nel contemplare un mistero di cui non avevano piena conoscenza. Mi riferisco ai sapienti venuti da oriente, attratti dalla stella, simbolo della sapienza umana e divina, a cui l’uomo aspira. Mi riferisco a quel Bambino, impastato della nostra stessa carne, che è per noi segno e premessa di speranza, senso dell’esistenza e inizio di un futuro gioioso. Alcuni hanno smarrito il senso del Natale, non solo del presepio, ma si consolano con surrogati di luci, di spari, di consumi, di baldoria e di regali. Altri, novelli Erode, vorrebbero cancellare, quasi usando il tasto del computer “canc-delete” il Natale di Gesù. Sappiamo che chi vuole cancellare Dio, immancabilmente uccide l’uomo e smarrisce sé stesso. Anche noi, lasciandoci abbagliare da tante luci artificiali o volgendo lo sguardo altrove di fronte all’umanità affamata, in guerra, in cerca di condizioni di vita dignitose, deformiamo il senso del presepe e del Natale. Questa notte, questo giorno, ognuno di noi alimenti nel suo cuore, nella sua casa, nella sua famiglia il presepio vivo, faccia destare e rendere palpitante quella statuina di Gesù bambino, come avvenne con San Francesco. Diamo vita a Gesù, che dorme nel nostro cuore, destiamolo nel cuore del prossimo, dei bambini, degli uomini e delle donne, tutti fratelli. Quel bambinello porta pace, gioia, amore e benessere. In questo tempo mortifero della pandemia affidiamoci alla forza e alla grazia del Bambino di Betlemme, che veramente nasce tra noi e per noi. Ad ognuno di voi, dicendo Buon Natale, auguro la pace e la gioia, promessa agli uomini, amati dal Signore”.]]>

Nella celebrazione della notte di Natale nella Cattedrale di Terni, il vescovo Giuseppe Piemontese ha ricordato la gioia e la speranza che viene dal Natale, la grandezza dell’amore di Dio che diventa uomo e «prende su di sé le qualità, i limiti, le sofferenze e le dinamiche di ogni uomo per farsi vicino, prossimo ad ogni uomo». E poi un monito ai cristiani a vivere pienamente e il mistero del Natale e la sua spiritualità: «Alcuni hanno smarrito il senso del Natale, non solo del presepio, ma si consolano con surrogati di luci, di spari, di consumi, di baldoria e di regali. Altri, novelli Erode, vorrebbero cancellare, quasi usando il tasto del computer “canc-delete” il Natale di Gesù. Sappiamo che chi vuole cancellare Dio, immancabilmente uccide l’uomo e smarrisce sé stesso. Anche noi, lasciandoci abbagliare da tante luci artificiali o volgendo lo sguardo altrove di fronte all’umanità affamata, in guerra, in cerca di condizioni di vita dignitose, deformiamo il senso del presepe e del Natale. Questa notte, questo giorno, ognuno di noi alimenti nel suo cuore, nella sua casa, nella sua famiglia il presepio vivo, faccia destare e rendere palpitante quella statuina di Gesù bambino, come avvenne con san Francesco. Diamo vita a Gesù, che dorme nel nostro cuore, destiamolo nel cuore del prossimo, dei bambini, degli uomini e delle donne, tutti fratelli. Quel bambinello porta pace, gioia, amore e benessere. In questo tempo mortifero della pandemia affidiamoci alla forza e alla grazia del Bambino di Betlemme, che veramente nasce tra noi e per noi». [gallery td_gallery_title_input="La messa di Natale nella cattedrale di Terni" td_select_gallery_slide="slide" ids="64273,64272,64271,64270,64268,64267"] La messa è stata concelebrata dal parroco della Cattedrale don Alessandro Rossini e dal viceparroco don Saul Bileo e animata dalla coro del Duomo. Di seguito l’omelia della notte di Natale di mons. Piemontese: “Uno dei capolavori della letteratura italiana, delle rappresentazioni teatrali è certamente “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo. Gli amanti del teatro, dei buoni sentimenti e soprattutto della recitazione di De Filippo in questo periodo sono indotti dall’emozione oltre che dal gusto artistico a rileggere tale commedia. Nello sviluppo della messinscena si descrivono, alternandosi e confondendosi, la realtà dell’esistenza familiare con i problemi di sussistenza, i piccoli e grandi drammi dei singoli componenti, le relazioni, cariche di contraddizioni tra di loro e soprattutto le manie del capofamiglia Luca Cupiello. La tradizione natalizia, profondamente attaccata al contesto sociale e popolare napoletano, con i suoi riti e le sue espressioni fantastiche, viene riproposta nei giorni intorno alla festa di Natale, nei quali Luca Cupiello non vede l'ora di potersi dedicare all’allestimento del Presepe, nonostante le critiche della moglie e del figlio, che lo ritengono anacronistico. Protagonisti sono, oltre il capofamiglia, il presepio con i personaggi rappresentati dalle statuine, diventate ormai personaggi di famiglia, la ritualità ricorrente ogni anno nell’allestire il mondo dove nasce Cristo. E poi la precisione maniacale e la cura dell’ordine perché ogni personaggio sia integro, al suo posto e in armonia con tutto il contesto. In vista di una gioiosa soddisfazione per la memoria natalizia, sintesi delle nostre rimembranze dell’infanzia e della giovinezza e premessa della speranza di tempi migliori e del benessere materiale, morale e sentimentale dei componenti la famiglia. Proprio la famiglia, ricomposta e risanata dalle molteplici contraddizioni in cui viene a trovarsi, è il sogno di Luca Cupiello, che aspira all’intreccio tra rappresentazione del presepe, allestito nella sua casa, presepe celeste che intravede mentre è in preda alle allucinazioni dell’agonia, e pacificazione degli animi umani. Questa notte rivolgo a ciascuno di voi la domanda di Luca Cupiello: “te piace 'o presepe?”. Ovviamente non mi riferisco principalmente al presepio, che viene allestito nelle case, nei negozi, nelle scuole, che pure molti vorrebbero abolire. Mi riferisco al mistero, amabilmente rappresentato secondo l’invenzione di san Francesco, e che ci ricorda che duemila anni addietro, nel paesino di Betlemme in Palestina, Gesù Cristo, figlio di Dio e di Maria di Nazareth è diventato uomo. Mi riferisco alle condizioni di disagio nelle quali, come recitano i vangeli, è nato Gesù. Mi riferisco alla gioia dei pastori e di tanta gente semplice nel contemplare un mistero di cui non avevano piena conoscenza. Mi riferisco ai sapienti venuti da oriente, attratti dalla stella, simbolo della sapienza umana e divina, a cui l’uomo aspira. Mi riferisco a quel Bambino, impastato della nostra stessa carne, che è per noi segno e premessa di speranza, senso dell’esistenza e inizio di un futuro gioioso. Alcuni hanno smarrito il senso del Natale, non solo del presepio, ma si consolano con surrogati di luci, di spari, di consumi, di baldoria e di regali. Altri, novelli Erode, vorrebbero cancellare, quasi usando il tasto del computer “canc-delete” il Natale di Gesù. Sappiamo che chi vuole cancellare Dio, immancabilmente uccide l’uomo e smarrisce sé stesso. Anche noi, lasciandoci abbagliare da tante luci artificiali o volgendo lo sguardo altrove di fronte all’umanità affamata, in guerra, in cerca di condizioni di vita dignitose, deformiamo il senso del presepe e del Natale. Questa notte, questo giorno, ognuno di noi alimenti nel suo cuore, nella sua casa, nella sua famiglia il presepio vivo, faccia destare e rendere palpitante quella statuina di Gesù bambino, come avvenne con San Francesco. Diamo vita a Gesù, che dorme nel nostro cuore, destiamolo nel cuore del prossimo, dei bambini, degli uomini e delle donne, tutti fratelli. Quel bambinello porta pace, gioia, amore e benessere. In questo tempo mortifero della pandemia affidiamoci alla forza e alla grazia del Bambino di Betlemme, che veramente nasce tra noi e per noi. Ad ognuno di voi, dicendo Buon Natale, auguro la pace e la gioia, promessa agli uomini, amati dal Signore”.]]>
Perugia, il card. Bassetti: la Natività sfida crisi demografica e pandemia https://www.lavoce.it/messa-natale-bassetti-perugia/ Sat, 25 Dec 2021 10:34:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64261 natale nella cattedrale di perugia

Questo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, alla santa messa della Notte di Natale nella cattedrale perugina di San Lorenzo.

Le parole del profeta Isaia

[caption id="attachment_62349" align="alignleft" width="400"]Il Cardinale Gualtiero Bassetti Il cardinale Gualtiero Bassetti[/caption] «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). È in questo modo che il profeta Isaia riferisce la notizia della nascita di un figlio appartenente alla dinastia del re Davide. La gioia però, ancor prima che per la continuazione della corona, scaturisce dalla nascita di un bambino. Comprendiamo bene, in un tempo difficile come il nostro, cosa questo significhi. Nel contesto della crisi demografica in cui versa il nostro paese, nel timore che la pandemia duri ancora a lungo e ci blocchi nelle difficoltà e nelle paure, la nascita di un bambino è il segno della vita che continua, della speranza che rinasce. Il messaggio del Natale è, a guardar bene, di una disarmante semplicità: è nato un bambino. Lo capiscono le famiglie, che attorno alla culla possono riprendere a sorridere, contemplando il mistero della vita che continua. Ecco perché un bambino può venire alla luce in qualsiasi situazione: nei momenti di crisi, come il nostro, o nei luoghi meno adatti o impensabili. Anche negli scenari di guerra, o nei campi profughi, o in una favela, o in un piccolo villaggio di provincia, in Giudea, durante la dominazione romana: ogni nascita, come la nascita di Gesù, è la celebrazione di un dono che viene dato in qualsiasi condizione ci possiamo ritrovare.

Gioisce Gerusalemme

C’è un inno natalizio medievale, intitolato Puer natus, che inizia cantando non tanto la nascita di un principe, ma, in primo luogo, la nascita di un bambino: «Puer natus in Bethlehem, alleluia». Un bambino è nato a Betlemme, alleluia! Ma la nascita di quel bambino di Betlemme esprime molto più di quanto detto finora. L’inno continua infatti con le parole «Unde gaudet Jerusalem»: se un bambino è nato a Betlemme, non sono solo Giuseppe e Maria, i genitori, a gioire: grazie a quel bambino, «gioisce gerusalemme». Quella nascita è un segno per tutta la città santa, per l’intero popolo di Israele, per tutte le nazioni chiamate a salire al tempio ad adorare il Dio di Abramo. Per tale ragione san Gregorio Nazianzeno scriveva: «Celebra la Natività, grazie alla quale sei stato liberato dai legami di una nascita puramente umana, per rinascere a quella divina; onora la piccola Betlemme che ti ha ricondotto in paradiso, adora la mangiatoia» (Discorso 38,17).

In una mangiatoia

Cosa significa per noi contemplare oggi quella mangiatoia? In primo luogo, la tenerezza di Maria e di Giuseppe verso Gesù. Alla nascita di un bambino si accompagna sempre, per i genitori, l’impegno e la responsabilità della custodia di quella vita. Maria, si legge nel racconto di Luca, dopo aver partorito il suo figlio primogenito, «lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Quanto scrive l’evangelista non deve necessariamente implicare che i genitori di Gesù non avessero pensato al parto imminente, e nemmeno che non ci fu ospitalità, a Betlemme, per quella giovane puerpera. Le case di quel tempo, molto semplici, avevano degli ambienti in muratura all’esterno, ma potevano anche sfruttare cavità naturali, grotte, che diventavano i vani più interni e più caldi, adatti per mettere al mondo Gesù. Quella mangiatoia era il luogo dove si trovavano gli animali, ma diventerà un segno più grande, l’unico segno che verrà dato dagli angeli ai pastori: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Se questo dettaglio così umile, la mangiatoia, ha orientato un giorno i pastori, permettendo loro di entrare in una casa e adorare il Figlio di Dio, e così prendere parte così a una «gioia grande» (Lc 2,10), che cosa dice a noi, oggi, quel segno?

Nutrirsi di Cristo

Sin dall’antichità, e poi nel medioevo, la mangiatoia è stata vista non solo come il luogo dove si nutrivano gli animali, ma come il luogo da dove i credenti potevano nutrirsi di Cristo. Un santo monaco, Aelredo (di Rievaulx), scriveva così, ancora nel dodicesimo secolo: «La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce, ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande ed evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare: ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria. Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore (Discorso secondo per il Natale). Sarà quello che poi scriverà anche san Francesco d’Assisi nella prima Ammonizione, collegando strettamente l’incarnazione all’eucaristia: «Ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalle sedi regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote» (FF 144).

Il presepe, segno inclusivo

«Hic iacet in praesepio, qui regnat sine termino». Prosegue in questo modo il canto Puer natus: «Colui che regna per sempre, giace in un presepio». Ecco perché, fratelli e sorelle, dobbiamo ancora andare a quel presepio, e adorare quella mangiatoia. Il presepe è un segno semplice, perché parla a tutti, ai bambini e agli adulti. E se è capace di comunicare il mistero dell’incarnazione ai bambini, allora a noi adulti viene chiesto di diventare – diceva Gesù – come loro, per poter entrare nel regno dei cieli (cf. Mt 18,3) e stupirci di quello che è accaduto una volta a Betlemme e accade ogni volta che celebriamo la memoria della cena del Signore. Il presepe è un segno inclusivo: nel presepe, come si vede bene dalla bella tradizione che continuamente lo aggiorna e vi aggiunge statuine, ci sono tutti; tutti possono accedere a quello spazio, per incontrare Gesù, nessuno è escluso.

Dio ha preso la carne umana

Il presepe, ancora, ci dice che possiamo stare, come mai era avvenuto prima, alla presenza di Dio. Il Dio lontano, che la fede di Israele ci ha insegnato a rispettare come “totalmente Altro”, si fa vicino tanto da poter essere preso in braccio. È quello che farà Simeone, quando accoglierà tra le sue braccia il bambino portato dalla madre e dal padre a Gerusalemme. Prima i pastori, poi i sapienti magi che vengono da lontano, e poi chissà quanti altri uomini e donne avranno potuto gioire in quel giorno, così come gioiamo oggi noi, nel sapere che Dio ha preso la carne umana, e in questa carne si lascia incontrare e accogliere tra le nostre braccia e ora, mentre tra poco celebreremo i riti eucaristici, anche nelle nostre mani. Gualtiero card. Bassetti arcivescovo di Perugia-Città della Pieve]]>
natale nella cattedrale di perugia

Questo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, alla santa messa della Notte di Natale nella cattedrale perugina di San Lorenzo.

Le parole del profeta Isaia

[caption id="attachment_62349" align="alignleft" width="400"]Il Cardinale Gualtiero Bassetti Il cardinale Gualtiero Bassetti[/caption] «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). È in questo modo che il profeta Isaia riferisce la notizia della nascita di un figlio appartenente alla dinastia del re Davide. La gioia però, ancor prima che per la continuazione della corona, scaturisce dalla nascita di un bambino. Comprendiamo bene, in un tempo difficile come il nostro, cosa questo significhi. Nel contesto della crisi demografica in cui versa il nostro paese, nel timore che la pandemia duri ancora a lungo e ci blocchi nelle difficoltà e nelle paure, la nascita di un bambino è il segno della vita che continua, della speranza che rinasce. Il messaggio del Natale è, a guardar bene, di una disarmante semplicità: è nato un bambino. Lo capiscono le famiglie, che attorno alla culla possono riprendere a sorridere, contemplando il mistero della vita che continua. Ecco perché un bambino può venire alla luce in qualsiasi situazione: nei momenti di crisi, come il nostro, o nei luoghi meno adatti o impensabili. Anche negli scenari di guerra, o nei campi profughi, o in una favela, o in un piccolo villaggio di provincia, in Giudea, durante la dominazione romana: ogni nascita, come la nascita di Gesù, è la celebrazione di un dono che viene dato in qualsiasi condizione ci possiamo ritrovare.

Gioisce Gerusalemme

C’è un inno natalizio medievale, intitolato Puer natus, che inizia cantando non tanto la nascita di un principe, ma, in primo luogo, la nascita di un bambino: «Puer natus in Bethlehem, alleluia». Un bambino è nato a Betlemme, alleluia! Ma la nascita di quel bambino di Betlemme esprime molto più di quanto detto finora. L’inno continua infatti con le parole «Unde gaudet Jerusalem»: se un bambino è nato a Betlemme, non sono solo Giuseppe e Maria, i genitori, a gioire: grazie a quel bambino, «gioisce gerusalemme». Quella nascita è un segno per tutta la città santa, per l’intero popolo di Israele, per tutte le nazioni chiamate a salire al tempio ad adorare il Dio di Abramo. Per tale ragione san Gregorio Nazianzeno scriveva: «Celebra la Natività, grazie alla quale sei stato liberato dai legami di una nascita puramente umana, per rinascere a quella divina; onora la piccola Betlemme che ti ha ricondotto in paradiso, adora la mangiatoia» (Discorso 38,17).

In una mangiatoia

Cosa significa per noi contemplare oggi quella mangiatoia? In primo luogo, la tenerezza di Maria e di Giuseppe verso Gesù. Alla nascita di un bambino si accompagna sempre, per i genitori, l’impegno e la responsabilità della custodia di quella vita. Maria, si legge nel racconto di Luca, dopo aver partorito il suo figlio primogenito, «lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Quanto scrive l’evangelista non deve necessariamente implicare che i genitori di Gesù non avessero pensato al parto imminente, e nemmeno che non ci fu ospitalità, a Betlemme, per quella giovane puerpera. Le case di quel tempo, molto semplici, avevano degli ambienti in muratura all’esterno, ma potevano anche sfruttare cavità naturali, grotte, che diventavano i vani più interni e più caldi, adatti per mettere al mondo Gesù. Quella mangiatoia era il luogo dove si trovavano gli animali, ma diventerà un segno più grande, l’unico segno che verrà dato dagli angeli ai pastori: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Se questo dettaglio così umile, la mangiatoia, ha orientato un giorno i pastori, permettendo loro di entrare in una casa e adorare il Figlio di Dio, e così prendere parte così a una «gioia grande» (Lc 2,10), che cosa dice a noi, oggi, quel segno?

Nutrirsi di Cristo

Sin dall’antichità, e poi nel medioevo, la mangiatoia è stata vista non solo come il luogo dove si nutrivano gli animali, ma come il luogo da dove i credenti potevano nutrirsi di Cristo. Un santo monaco, Aelredo (di Rievaulx), scriveva così, ancora nel dodicesimo secolo: «La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce, ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande ed evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare: ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria. Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore (Discorso secondo per il Natale). Sarà quello che poi scriverà anche san Francesco d’Assisi nella prima Ammonizione, collegando strettamente l’incarnazione all’eucaristia: «Ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalle sedi regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote» (FF 144).

Il presepe, segno inclusivo

«Hic iacet in praesepio, qui regnat sine termino». Prosegue in questo modo il canto Puer natus: «Colui che regna per sempre, giace in un presepio». Ecco perché, fratelli e sorelle, dobbiamo ancora andare a quel presepio, e adorare quella mangiatoia. Il presepe è un segno semplice, perché parla a tutti, ai bambini e agli adulti. E se è capace di comunicare il mistero dell’incarnazione ai bambini, allora a noi adulti viene chiesto di diventare – diceva Gesù – come loro, per poter entrare nel regno dei cieli (cf. Mt 18,3) e stupirci di quello che è accaduto una volta a Betlemme e accade ogni volta che celebriamo la memoria della cena del Signore. Il presepe è un segno inclusivo: nel presepe, come si vede bene dalla bella tradizione che continuamente lo aggiorna e vi aggiunge statuine, ci sono tutti; tutti possono accedere a quello spazio, per incontrare Gesù, nessuno è escluso.

Dio ha preso la carne umana

Il presepe, ancora, ci dice che possiamo stare, come mai era avvenuto prima, alla presenza di Dio. Il Dio lontano, che la fede di Israele ci ha insegnato a rispettare come “totalmente Altro”, si fa vicino tanto da poter essere preso in braccio. È quello che farà Simeone, quando accoglierà tra le sue braccia il bambino portato dalla madre e dal padre a Gerusalemme. Prima i pastori, poi i sapienti magi che vengono da lontano, e poi chissà quanti altri uomini e donne avranno potuto gioire in quel giorno, così come gioiamo oggi noi, nel sapere che Dio ha preso la carne umana, e in questa carne si lascia incontrare e accogliere tra le nostre braccia e ora, mentre tra poco celebreremo i riti eucaristici, anche nelle nostre mani. Gualtiero card. Bassetti arcivescovo di Perugia-Città della Pieve]]>
A Terni illuminazione artistica della facciata della cattedrale e presepe in cripta https://www.lavoce.it/terni-illuminazione-artistica-facciata-cattedrale-presepe-cripta/ Wed, 22 Dec 2021 16:39:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64219

La facciata del Duomo di Terni si illumina in questo Natale per mandare dei messaggi di auguri e saluti. L’augurio di buona salute per tutte le persone malate, di solidarietà per gli emarginati, gli immigrati e tutte le persone rimaste sole in un momento storico molto delicato in cui i rapporti sociali sono minati dai comportamenti da tenere per difendersi dalla pandemia.

Un saluto e un ringraziamento al vescovo mons. Giuseppe Piemontese per tutto quello che ha fatto per la nostra diocesi perché sta per lasciare il posto a mons. Francesco Soddu che si insedierà ad inizio gennaio.

Illuminazione della cattedrale e presepe in cripta

Questa emanazione di luce positiva, è stata possibile grazie alle collaborazioni di varie realtà ternane, al primo posto la Telelettra srl nella persona di Gianfranco Di Matteo, che ha donato tutte le luminarie, poi la ditta Crispoldi Eventi che ha effettuato il montaggio delle luci e poi il direttivo dell’oratorio San Gabriele del Duomo che a vario titolo ha coordinato il tutto e invita i cittadini a far visita serale alla Cattedrale Santa Maria Assunta di Terni per vedere dal vivo il suggestivo scenario e fare visita al presepe realizzato con statue artistiche di pregiata fattura nella Cripta all’interno della Cattedrale in un ambiente veramente suggestivo, quasi una traslazione nella chiesa della Natività a Betlemme.

[caption id="attachment_64224" align="alignnone" width="400"] II presepe nella cripta[/caption]]]>

La facciata del Duomo di Terni si illumina in questo Natale per mandare dei messaggi di auguri e saluti. L’augurio di buona salute per tutte le persone malate, di solidarietà per gli emarginati, gli immigrati e tutte le persone rimaste sole in un momento storico molto delicato in cui i rapporti sociali sono minati dai comportamenti da tenere per difendersi dalla pandemia.

Un saluto e un ringraziamento al vescovo mons. Giuseppe Piemontese per tutto quello che ha fatto per la nostra diocesi perché sta per lasciare il posto a mons. Francesco Soddu che si insedierà ad inizio gennaio.

Illuminazione della cattedrale e presepe in cripta

Questa emanazione di luce positiva, è stata possibile grazie alle collaborazioni di varie realtà ternane, al primo posto la Telelettra srl nella persona di Gianfranco Di Matteo, che ha donato tutte le luminarie, poi la ditta Crispoldi Eventi che ha effettuato il montaggio delle luci e poi il direttivo dell’oratorio San Gabriele del Duomo che a vario titolo ha coordinato il tutto e invita i cittadini a far visita serale alla Cattedrale Santa Maria Assunta di Terni per vedere dal vivo il suggestivo scenario e fare visita al presepe realizzato con statue artistiche di pregiata fattura nella Cripta all’interno della Cattedrale in un ambiente veramente suggestivo, quasi una traslazione nella chiesa della Natività a Betlemme.

[caption id="attachment_64224" align="alignnone" width="400"] II presepe nella cripta[/caption]]]>
Per la crisi in Ucraina la migliore via d’uscita sarebbe la pace https://www.lavoce.it/per-la-crisi-in-ucraina-la-migliore-via-duscita-sarebbe-la-pace/ Fri, 17 Dec 2021 10:43:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64135 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

“Niente di nuovo sotto il sole” verrebbe da ripetere guardando da vicino la crisi Ucraina-Russia. Non sono nuovi gli appetiti economici e di approvvigionamento energetico: già visto lo schieramento in campo, che non comprende solo quei due Paesi ma vede Nato, Ue, Cina e gli altri Stati della stessa area coinvolti e, soprattutto, interessati. Film già visto anche il trasferimento di armamenti destinato alla nazione alleata.

Nemmeno l’intricata matassa della separazione religiosa è cosa nuova, e non manca di avere il suo peso. Insomma, tutti gli analisti di politica estera sono concordi nell’affermare che la questione è assai ingarbugliata.

Quanto sarebbe importante che tutti i soggetti a vario titolo coinvolti riuscissero a dire che la guerra è da escludere! Perché la guerra direbbe solo chi è il più forte, e non chi ha ragione. Ma il bene primario da preservare, garantire e proteggere è la vita delle persone, e la strada maestra deve restare quella del dialogo.

Detto questo, la comunità internazionale dovrebbe prodigarsi non per complimentarsi dei muscoli di uno dei contendenti, quanto per mediare in quel difficile dialogo. Tutti i credenti sono chiamati ad accompagnare con la preghiera una crisi che deve sfociare nella pace autentica. La stessa che gli angeli annunceranno a Betlemme per tutto il mondo.

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colline e sole, logo rubrica oltre i confini

“Niente di nuovo sotto il sole” verrebbe da ripetere guardando da vicino la crisi Ucraina-Russia. Non sono nuovi gli appetiti economici e di approvvigionamento energetico: già visto lo schieramento in campo, che non comprende solo quei due Paesi ma vede Nato, Ue, Cina e gli altri Stati della stessa area coinvolti e, soprattutto, interessati. Film già visto anche il trasferimento di armamenti destinato alla nazione alleata.

Nemmeno l’intricata matassa della separazione religiosa è cosa nuova, e non manca di avere il suo peso. Insomma, tutti gli analisti di politica estera sono concordi nell’affermare che la questione è assai ingarbugliata.

Quanto sarebbe importante che tutti i soggetti a vario titolo coinvolti riuscissero a dire che la guerra è da escludere! Perché la guerra direbbe solo chi è il più forte, e non chi ha ragione. Ma il bene primario da preservare, garantire e proteggere è la vita delle persone, e la strada maestra deve restare quella del dialogo.

Detto questo, la comunità internazionale dovrebbe prodigarsi non per complimentarsi dei muscoli di uno dei contendenti, quanto per mediare in quel difficile dialogo. Tutti i credenti sono chiamati ad accompagnare con la preghiera una crisi che deve sfociare nella pace autentica. La stessa che gli angeli annunceranno a Betlemme per tutto il mondo.

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VIII centenario francescano. Nasce il coordinamento per i tre anni di celebrazioni. https://www.lavoce.it/viii-centenario-francescano-nasce-il-coordinamento-per-i-tre-anni-di-celebrazioni/ Sun, 28 Nov 2021 12:00:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63368

Domani 29 novembre 2021 alle ore 17, nel giorno della festa dei Santi Francescani, si terrà al Santuario di Greccio la cerimonia per l’Annuncio dell’VIII Centenario Francescano 2023-2026. Un “centenario” lungo tre anni che attraversa momenti signficativi della vita di san Francesco: la “Regola Bollata” a Fonte Colombo (Rieti) e il Primo Presepe di Greccio  nel 1223, le Stimmate della Verna nel 1224, la composizione del Cantico delle Creature nel 1225 e della morte del Santo avvenuta il 3 ottobre del 1226.

Coordinamento tra diocesi e Province dei frati minori

Per l'occasione sarà siglato un Coordinamento ecclesiale tra i soggetti a diverso titolo impegnati a promuovere la celebrazione di tali ricorrenze, perché le celebrazioni avvengano nel modo più coordinato e fruttuoso. I firmatari del Coordinamento saranno: monsignor Domenico Sorrentino per la Diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, monsignor Domenico Pompili per la Diocesi di Rieti, monsignor Riccardo Fontana per la Diocesi di Arezzo, padre Francesco Piloni per la Provincia Serafica dei Frati Minori di San Francesco (Umbria e Sardegna), padre Luciano De Giusti per la Provincia dei Frati Minori di San Bonaventura da Bagnoregio (Abruzzo e Lazio) e padre Livio Crisci per la Provincia dei Frati Minori di San Francesco Stimmatizzato (Toscana).

In diretta da Betlemme ... e in tv

Nel corso della cerimonia interverrà in collegamento da Betlemme il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton e l’evento sarà trasmesso in diretta da TV2000.

Dai santuari del centro Italia a tutto il mondo

«Non ci sfugge l'importanza di questo Centenario che non riguarda solo alcune celebrazioni nei Santuari del centro Italia, ma - scrivono i Ministri Generali dei diversi Ordini - vuole aiutarci in tutto il mondo a riprendere e approfondire insieme i punti essenziali della nostra identità carismatica francescana. Vogliamo vivere in profonda comunione come Famiglia questo Centenario Francescano, in tutti i Paesi e i contesti del mondo in cui siamo presenti».    ]]>

Domani 29 novembre 2021 alle ore 17, nel giorno della festa dei Santi Francescani, si terrà al Santuario di Greccio la cerimonia per l’Annuncio dell’VIII Centenario Francescano 2023-2026. Un “centenario” lungo tre anni che attraversa momenti signficativi della vita di san Francesco: la “Regola Bollata” a Fonte Colombo (Rieti) e il Primo Presepe di Greccio  nel 1223, le Stimmate della Verna nel 1224, la composizione del Cantico delle Creature nel 1225 e della morte del Santo avvenuta il 3 ottobre del 1226.

Coordinamento tra diocesi e Province dei frati minori

Per l'occasione sarà siglato un Coordinamento ecclesiale tra i soggetti a diverso titolo impegnati a promuovere la celebrazione di tali ricorrenze, perché le celebrazioni avvengano nel modo più coordinato e fruttuoso. I firmatari del Coordinamento saranno: monsignor Domenico Sorrentino per la Diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, monsignor Domenico Pompili per la Diocesi di Rieti, monsignor Riccardo Fontana per la Diocesi di Arezzo, padre Francesco Piloni per la Provincia Serafica dei Frati Minori di San Francesco (Umbria e Sardegna), padre Luciano De Giusti per la Provincia dei Frati Minori di San Bonaventura da Bagnoregio (Abruzzo e Lazio) e padre Livio Crisci per la Provincia dei Frati Minori di San Francesco Stimmatizzato (Toscana).

In diretta da Betlemme ... e in tv

Nel corso della cerimonia interverrà in collegamento da Betlemme il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton e l’evento sarà trasmesso in diretta da TV2000.

Dai santuari del centro Italia a tutto il mondo

«Non ci sfugge l'importanza di questo Centenario che non riguarda solo alcune celebrazioni nei Santuari del centro Italia, ma - scrivono i Ministri Generali dei diversi Ordini - vuole aiutarci in tutto il mondo a riprendere e approfondire insieme i punti essenziali della nostra identità carismatica francescana. Vogliamo vivere in profonda comunione come Famiglia questo Centenario Francescano, in tutti i Paesi e i contesti del mondo in cui siamo presenti».    ]]>
Celebrata la Solennità dell’Epifania nella Cattedrale di Perugia e nel Duomo di Spoleto https://www.lavoce.it/celebrata-la-solennita-dellepifania-nella-cattedrale-di-perugia-e-nel-duomo-di-spoleto/ Thu, 07 Jan 2021 10:06:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58780

PERUGIA-SPOLETO- "L’Epifania del Signore è un messaggio di grande speranza, anche in questa pandemia, perché l’Epifania è una manifestazione di luce per tutti". Lo ha detto il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, il 6 gennaio, Solennità dell’Epifania del Signore, al Tg3 Rai Regione nel corso di una intervista nell’Arcivescovado di Perugia. "L’Epifania -ha proseguito il presule- è la festa che più rassomiglia al Natale dove abbiamo la luce del Cielo che si espande sulla capanna di Betlemme e illumina, oltre il presepe, i pastori. Nell’Epifania c’è sempre la stessa la luce, la luce del Verbo incarnato, che risplende sui Re Magi e li conduce. In questa luce si possono cogliere i due aspetti della vita cristiana: da una parte i pastori vengono illuminati all’improvviso, perché Dio si manifesta loro di colpo, con la sua potenza; dall’altra i Magi, che rassomigliano più a noi, perché devono fare un lungo cammino. I Re Magi sono sottoposti a tante prove con la Stella che gli appare e scompare, proprio come l’incertezza della nostra vita, ma con la fede profonda di incontrare il Signore Gesù".

"Credo che anche noi, in questo momento -ha sottolineato il cardinale- stiamo attraversando delle prove tremende, ad iniziare dalla pandemia con tutte le conseguenze che comporta, anche con le incertezze della politica, delle istituzioni. Siamo di fronte ad un avvenire che nessuno è in grado di fare dei pronostici precisi. Questo è il momento per i credenti di farsi illuminare ancora di più dalla fede. Noi siamo chiamati ad annunciare il piano di Dio sulla storia, nonostante le prove che stiamo attraversando".

La pandemia ha anche aggravato la crisi sociale e per fronteggiarla, ha detto il cardinale Bassettibisogna che tutti - cominciando da noi credenti, dalla Chiesa - facciano il possibile per salvare l’umano, Cristo si è fatto uomo.

"C’è una umanità da salvare e da recuperare con tutti i valori del Vangelo, ma anche con tutti i valori della Dottrina sociale della Chiesa. Abbiamo in Italia delle figure formidabili da imitare: La Pira e Toniolo. Entrambi ci hanno insegnato che bisogna sempre partire dall’uomo e dai suoi problemi, perché sono gli stessi problemi di Dio quando sono posti in una giusta luce. Quindi -ha concluso il presule- occorre impegnarsi anche come Chiesa per salvare, in questo momento di prova, l’umano che è poi anche il cristiano per noi".

Anche l’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo, ha celebrato la Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore nel Duomo di Spoleto. Col presule hanno concelebrato: don Sem Fioretti, Vicario generale; don Bruno Molinari parroco della Cattedrale, di San Gregorio e dei Santi Pietro e Paolo; padre Gregorio Cibwabwa Lwaba Mambezi, OAD, vicario parrocchiale di Santa Rita; monsignor Luigi Piccioli, priore del Capitolo dei Canonici del Duomo; monsignor Vincenzo Alimenti, canonico della Cattedrale. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi diocesani e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino.

La liturgia è stata animata dalla corale diocesana diretta da Loretta Carlini; all’organo, Maurizio Torelli. Presenti i ragazzi, con i rispettivi genitori, della catechesi delle parrocchie del centro cittadino.

"L'Epifania -ha detto l’Arcivescovo nell’omelia- è la Festa del viaggio dell'uomo che cerca Dio e dell'uomo che, avendolo cercato e trovato, ancora lo cerca: è un pellegrinaggio che si compie con pazienza e con perseveranza, ricominciando ogni giorno in mezzo a tante difficoltà, lasciandosi guidare dal segno di una stella così da superare le indifferenze e le ostilità dell'ambiente che lo circonda.

La storia dei Magi -ha proseguito monsignor Boccardo- è anche quella di tutti gli uomini e le donne della terra che cercano Dio in Gesù Cristo, persone per le quali Gesù diventa norma di vita; nella loro ricerca essi sono perciò anche trasformati dalla luce divina in modo da diventare stella luminosa per altri nella notte del Mondo.

E noi impariamo che ripartire da Dio è l'esigenza prima, che occorre non stancarsi di cercarlo con insistenza e perseveranza, come la notte cerca l'aurora; significa vivere in sé e contagiare gli altri di una santa nostalgia del volto del Padre rivelatosi in Cristo Gesù. Come cristiani, con lo stile della nostra vita dobbiamo denunciare ai nostri contemporanei la miopia di personaggi che, al pari di Erode, si accontentano di ciò che è meno di Dio, di tutto quanto può diventare idolo. Perché Dio è infinitamente più grande del nostro cuore, delle nostre attese, delle nostre corte speranze!".

Al termine della Messa sono giunti in Duomo, dinanzi all’altare maggiore, i Magi : hanno consegnato ai ragazzi della catechesi un piccolo dono.

Questo momento, a ricordo dei doni (oro, incenso e mirra) che questi Re fecero al Bambino Gesù, è stato organizzato dalle parrocchie del centro di Spoleto guidate da don Bruno Molinari e da don Pier Luigi Morlino.

Domenica scorsa, 3 gennaio, II dopo Natale, monsignor Boccardo ha celebrato la Messa a Norcia, nel centro di Comunità Madonna delle Grazie. Col Presule ha concelebrato il parroco in solido don Davide Tononi; ha animato la liturgia la corale parrocchiale.

L’invito che monsignor Boccardo ha fatto nell’omelia è stato quello di far nascere Gesù nel nostro cuore, altrimenti il Natale non c’è.

"In questi giorni -ha proseguito il Presule- in cui il clima è pesante a causa del Coronavirus e dove tutti sperimentiamo la precarietà e la fragilità, siamo chiamati a far fiorire in noi e intorno a noi la benevolenza, il perdono e soprattutto la cura dell’altro".

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PERUGIA-SPOLETO- "L’Epifania del Signore è un messaggio di grande speranza, anche in questa pandemia, perché l’Epifania è una manifestazione di luce per tutti". Lo ha detto il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, il 6 gennaio, Solennità dell’Epifania del Signore, al Tg3 Rai Regione nel corso di una intervista nell’Arcivescovado di Perugia. "L’Epifania -ha proseguito il presule- è la festa che più rassomiglia al Natale dove abbiamo la luce del Cielo che si espande sulla capanna di Betlemme e illumina, oltre il presepe, i pastori. Nell’Epifania c’è sempre la stessa la luce, la luce del Verbo incarnato, che risplende sui Re Magi e li conduce. In questa luce si possono cogliere i due aspetti della vita cristiana: da una parte i pastori vengono illuminati all’improvviso, perché Dio si manifesta loro di colpo, con la sua potenza; dall’altra i Magi, che rassomigliano più a noi, perché devono fare un lungo cammino. I Re Magi sono sottoposti a tante prove con la Stella che gli appare e scompare, proprio come l’incertezza della nostra vita, ma con la fede profonda di incontrare il Signore Gesù".

"Credo che anche noi, in questo momento -ha sottolineato il cardinale- stiamo attraversando delle prove tremende, ad iniziare dalla pandemia con tutte le conseguenze che comporta, anche con le incertezze della politica, delle istituzioni. Siamo di fronte ad un avvenire che nessuno è in grado di fare dei pronostici precisi. Questo è il momento per i credenti di farsi illuminare ancora di più dalla fede. Noi siamo chiamati ad annunciare il piano di Dio sulla storia, nonostante le prove che stiamo attraversando".

La pandemia ha anche aggravato la crisi sociale e per fronteggiarla, ha detto il cardinale Bassettibisogna che tutti - cominciando da noi credenti, dalla Chiesa - facciano il possibile per salvare l’umano, Cristo si è fatto uomo.

"C’è una umanità da salvare e da recuperare con tutti i valori del Vangelo, ma anche con tutti i valori della Dottrina sociale della Chiesa. Abbiamo in Italia delle figure formidabili da imitare: La Pira e Toniolo. Entrambi ci hanno insegnato che bisogna sempre partire dall’uomo e dai suoi problemi, perché sono gli stessi problemi di Dio quando sono posti in una giusta luce. Quindi -ha concluso il presule- occorre impegnarsi anche come Chiesa per salvare, in questo momento di prova, l’umano che è poi anche il cristiano per noi".

Anche l’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo, ha celebrato la Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore nel Duomo di Spoleto. Col presule hanno concelebrato: don Sem Fioretti, Vicario generale; don Bruno Molinari parroco della Cattedrale, di San Gregorio e dei Santi Pietro e Paolo; padre Gregorio Cibwabwa Lwaba Mambezi, OAD, vicario parrocchiale di Santa Rita; monsignor Luigi Piccioli, priore del Capitolo dei Canonici del Duomo; monsignor Vincenzo Alimenti, canonico della Cattedrale. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi diocesani e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino.

La liturgia è stata animata dalla corale diocesana diretta da Loretta Carlini; all’organo, Maurizio Torelli. Presenti i ragazzi, con i rispettivi genitori, della catechesi delle parrocchie del centro cittadino.

"L'Epifania -ha detto l’Arcivescovo nell’omelia- è la Festa del viaggio dell'uomo che cerca Dio e dell'uomo che, avendolo cercato e trovato, ancora lo cerca: è un pellegrinaggio che si compie con pazienza e con perseveranza, ricominciando ogni giorno in mezzo a tante difficoltà, lasciandosi guidare dal segno di una stella così da superare le indifferenze e le ostilità dell'ambiente che lo circonda.

La storia dei Magi -ha proseguito monsignor Boccardo- è anche quella di tutti gli uomini e le donne della terra che cercano Dio in Gesù Cristo, persone per le quali Gesù diventa norma di vita; nella loro ricerca essi sono perciò anche trasformati dalla luce divina in modo da diventare stella luminosa per altri nella notte del Mondo.

E noi impariamo che ripartire da Dio è l'esigenza prima, che occorre non stancarsi di cercarlo con insistenza e perseveranza, come la notte cerca l'aurora; significa vivere in sé e contagiare gli altri di una santa nostalgia del volto del Padre rivelatosi in Cristo Gesù. Come cristiani, con lo stile della nostra vita dobbiamo denunciare ai nostri contemporanei la miopia di personaggi che, al pari di Erode, si accontentano di ciò che è meno di Dio, di tutto quanto può diventare idolo. Perché Dio è infinitamente più grande del nostro cuore, delle nostre attese, delle nostre corte speranze!".

Al termine della Messa sono giunti in Duomo, dinanzi all’altare maggiore, i Magi : hanno consegnato ai ragazzi della catechesi un piccolo dono.

Questo momento, a ricordo dei doni (oro, incenso e mirra) che questi Re fecero al Bambino Gesù, è stato organizzato dalle parrocchie del centro di Spoleto guidate da don Bruno Molinari e da don Pier Luigi Morlino.

Domenica scorsa, 3 gennaio, II dopo Natale, monsignor Boccardo ha celebrato la Messa a Norcia, nel centro di Comunità Madonna delle Grazie. Col Presule ha concelebrato il parroco in solido don Davide Tononi; ha animato la liturgia la corale parrocchiale.

L’invito che monsignor Boccardo ha fatto nell’omelia è stato quello di far nascere Gesù nel nostro cuore, altrimenti il Natale non c’è.

"In questi giorni -ha proseguito il Presule- in cui il clima è pesante a causa del Coronavirus e dove tutti sperimentiamo la precarietà e la fragilità, siamo chiamati a far fiorire in noi e intorno a noi la benevolenza, il perdono e soprattutto la cura dell’altro".

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Celebrata la messa di fine anno nella cattedrale di Terni con il canto del Te Deum https://www.lavoce.it/celebrata-la-messa-di-fine-anno-nella-cattedrale-di-terni-con-il-canto-del-te-deum/ Fri, 01 Jan 2021 10:37:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58665 Il vescovo Giuseppe Piemontese celebra la messa con il canto del Te Teum in cattedrale

Celebrata dal vescovo Giuseppe Piemontese nella Cattedrale di Terni la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”. Alla celebrazione erano presenti i canonici della cattedrale di Terni, il sindaco di Terni Leonardo Latini, il vice prefetto Andrea Gambassi, il Questore di Terni Roberto Massucci, il presidente della Fondazione Carit Luigi Carlini, i rappresentanti delle altre autorità militari, delle associazioni e movimenti ecclesiali. "La conclusione di questo anno appare molto diversa dagli altri anni – ha detto il Vescovo - Le considerazioni possono fluire con una certa dose di spontaneità e di ovvietà visto che tutti siamo stati sovrastati dalla pandemia del Covid-19. Fermiamo per qualche istante la nostra attenzione sul tempo che abbiamo vissuto per coglierne gli aspetti di pesantezza, di drammaticità prevalente, ma anche gli aspetti positivi e di singolarità in riferimento alla vita personale, familiare, civile, sociale ed ecclesiale». La speranza della fede "La venuta di Gesù da duemila anni è segno di speranza per l’umanità e per ciascuno. È questa la ragione e l’àncora di speranza per noi che vediamo scorrere il tempo, che conduce anche noi inesorabilmente verso il compimento, la fine, la morte terrena. Noi che siamo animati dalla fede, in qualunque situazione possiamo guardare con fiducia allo scorrere del tempo e al futuro perché Dio è con noi; il bambino di Betlemme ci conferma l’interesse di Dio per le vicende dell’umanità e per ciascuno di noi, non ci ha abbandonati. Questa sera, facendo memoria dell’anno trascorso, questo pensiero ci è di conforto e suscita sentimenti di gratitudine in ognuno. Si, proprio nell’anno della pandemia, confortati da queste considerazioni, siamo qui per coltivare ed esprimere gratitudine e speranza".   La pandemia, la sofferenza, la solidarietà, la crisi economica e la ricerca medica. Nell’omelia molti sono stati i riferimenti del Vescovo a quanto accaduto nell’anno trascorso "che hanno inciso un segno indelebile e che influiranno nel futuro della nostra storia personale, della società e della Chiesa. Tutti noi abbiamo vissuto giorni di smarrimento e di preoccupazione. Diversi di noi hanno attraversato ore di angoscia: mancanza di respiro, dolori su tutto il corpo, rifiuto del cibo, isolamento medico, sociale e affettivo; interminabili giorni di solitudine e di incertezza sull’esito del morbo. Abbiamo assistito, increduli ed estasiati a gesti anche eroici di altruismo e di generosità, emersi dal profondo di una umanità e che pensavamo scomparsi. Medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, forze dell’ordine, Istituzioni…. Ma anche genitori, figli, amici, giovani volontari che si sono prodigati e inventati modi per portare cure, aiuti e sollievo a chi era nel bisogno e nella solitudine: per tanto bene ringraziamo il Signore. Abbiamo osservato con meraviglia mista a sbigottimento le tante file di indigenti soccorsi alle mense della Caritas o di altre istituzioni benefiche. Anche le Istituzioni civili, militari, gli scienziati di ogni parte del mondo hanno assicurato la vicinanza operosa e benefica al popolo. Le ristrettezze economiche di famiglie, aziende, imprese hanno accresciuto la sofferenza e la preoccupazione per il presente e per il futuro. I progetti di sostegno economico, messi in campo dell’Unione europea e dai singoli Stati, alimentano la speranza nella ripresa economica, civile, sociale, culturale. I farmaci resi disponibili per tutti i malati e soprattutto il vaccino anticovid, distribuito in questi giorni in varie parti del mondo e anche in Italia, è frutto della collaborazione tra scienziati, ma anche della sinergia di governi e autorità varie. Anche ciò è segno della benevolenza e Provvidenza del Signore che ispira il volere e l’operare per la diffusione del bene tra gli uomini".    La riscoperta della meditazione e del senso della comunità civile ed ecclesiale durante il lock down "Nel tempo del lockdown siamo rientrati in noi stessi e abbiamo potuto riscoprire la riflessione, la meditazione della parola di Dio, la preghiera e la contemplazione del volto di Dio. La solitudine tra le quatto mura di casa e l’impossibilità di partecipare alla santa Messa col digiuno eucaristico ha rafforzato in noi il bisogno del Pane eucaristico e della comunità e ci ha fatto scoprire che siamo veramente tutti sulla stessa barca: ognuno deve remare in maniera ordinata e sincronica per poter raggiungere il porto sospirato e la salvezza. Questa pandemia dove rafforzare in ciascuno il senso della responsabilità nelle scelte e nei comportamenti; il senso della comunità civile ed ecclesiale: nessuno si salva da solo e Dio non ci salva da soli, ma come popolo.   Leggere i segni dei tempi Il popolo di Dio che sa leggere i segni dei tempi, anche di questa pandemia; sa riconoscere la presenza misericordiosa di Dio, impara ad apprezzare, a rispettare, custodire e curare il creato e i frutti della terra e del lavoro dell’uomo per un universo sano, ordinato per il benessere materiale e spirituale dell’umanità.   Gli auguri per il nuovo anno "Allo spegnersi di questo anno 2020, che vorremmo cancellare dalla storia, vogliamo ripetere a noi stessi che tutto è Grazia e impegnarci ad approfondire con saggezza il senso di questi eventi per le nostre comunità e per ciascuno. Lasciamo posare su di noi la benedizione del Signore perché la consolazione di Dio ci conforti e ognuno comprenda con responsabilità la propria parte da compiere per rinnovare l’esistenza propria e della comunità". [gallery ids="58671,58670,58669,58673,58672"]  ]]>
Il vescovo Giuseppe Piemontese celebra la messa con il canto del Te Teum in cattedrale

Celebrata dal vescovo Giuseppe Piemontese nella Cattedrale di Terni la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”. Alla celebrazione erano presenti i canonici della cattedrale di Terni, il sindaco di Terni Leonardo Latini, il vice prefetto Andrea Gambassi, il Questore di Terni Roberto Massucci, il presidente della Fondazione Carit Luigi Carlini, i rappresentanti delle altre autorità militari, delle associazioni e movimenti ecclesiali. "La conclusione di questo anno appare molto diversa dagli altri anni – ha detto il Vescovo - Le considerazioni possono fluire con una certa dose di spontaneità e di ovvietà visto che tutti siamo stati sovrastati dalla pandemia del Covid-19. Fermiamo per qualche istante la nostra attenzione sul tempo che abbiamo vissuto per coglierne gli aspetti di pesantezza, di drammaticità prevalente, ma anche gli aspetti positivi e di singolarità in riferimento alla vita personale, familiare, civile, sociale ed ecclesiale». La speranza della fede "La venuta di Gesù da duemila anni è segno di speranza per l’umanità e per ciascuno. È questa la ragione e l’àncora di speranza per noi che vediamo scorrere il tempo, che conduce anche noi inesorabilmente verso il compimento, la fine, la morte terrena. Noi che siamo animati dalla fede, in qualunque situazione possiamo guardare con fiducia allo scorrere del tempo e al futuro perché Dio è con noi; il bambino di Betlemme ci conferma l’interesse di Dio per le vicende dell’umanità e per ciascuno di noi, non ci ha abbandonati. Questa sera, facendo memoria dell’anno trascorso, questo pensiero ci è di conforto e suscita sentimenti di gratitudine in ognuno. Si, proprio nell’anno della pandemia, confortati da queste considerazioni, siamo qui per coltivare ed esprimere gratitudine e speranza".   La pandemia, la sofferenza, la solidarietà, la crisi economica e la ricerca medica. Nell’omelia molti sono stati i riferimenti del Vescovo a quanto accaduto nell’anno trascorso "che hanno inciso un segno indelebile e che influiranno nel futuro della nostra storia personale, della società e della Chiesa. Tutti noi abbiamo vissuto giorni di smarrimento e di preoccupazione. Diversi di noi hanno attraversato ore di angoscia: mancanza di respiro, dolori su tutto il corpo, rifiuto del cibo, isolamento medico, sociale e affettivo; interminabili giorni di solitudine e di incertezza sull’esito del morbo. Abbiamo assistito, increduli ed estasiati a gesti anche eroici di altruismo e di generosità, emersi dal profondo di una umanità e che pensavamo scomparsi. Medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, forze dell’ordine, Istituzioni…. Ma anche genitori, figli, amici, giovani volontari che si sono prodigati e inventati modi per portare cure, aiuti e sollievo a chi era nel bisogno e nella solitudine: per tanto bene ringraziamo il Signore. Abbiamo osservato con meraviglia mista a sbigottimento le tante file di indigenti soccorsi alle mense della Caritas o di altre istituzioni benefiche. Anche le Istituzioni civili, militari, gli scienziati di ogni parte del mondo hanno assicurato la vicinanza operosa e benefica al popolo. Le ristrettezze economiche di famiglie, aziende, imprese hanno accresciuto la sofferenza e la preoccupazione per il presente e per il futuro. I progetti di sostegno economico, messi in campo dell’Unione europea e dai singoli Stati, alimentano la speranza nella ripresa economica, civile, sociale, culturale. I farmaci resi disponibili per tutti i malati e soprattutto il vaccino anticovid, distribuito in questi giorni in varie parti del mondo e anche in Italia, è frutto della collaborazione tra scienziati, ma anche della sinergia di governi e autorità varie. Anche ciò è segno della benevolenza e Provvidenza del Signore che ispira il volere e l’operare per la diffusione del bene tra gli uomini".    La riscoperta della meditazione e del senso della comunità civile ed ecclesiale durante il lock down "Nel tempo del lockdown siamo rientrati in noi stessi e abbiamo potuto riscoprire la riflessione, la meditazione della parola di Dio, la preghiera e la contemplazione del volto di Dio. La solitudine tra le quatto mura di casa e l’impossibilità di partecipare alla santa Messa col digiuno eucaristico ha rafforzato in noi il bisogno del Pane eucaristico e della comunità e ci ha fatto scoprire che siamo veramente tutti sulla stessa barca: ognuno deve remare in maniera ordinata e sincronica per poter raggiungere il porto sospirato e la salvezza. Questa pandemia dove rafforzare in ciascuno il senso della responsabilità nelle scelte e nei comportamenti; il senso della comunità civile ed ecclesiale: nessuno si salva da solo e Dio non ci salva da soli, ma come popolo.   Leggere i segni dei tempi Il popolo di Dio che sa leggere i segni dei tempi, anche di questa pandemia; sa riconoscere la presenza misericordiosa di Dio, impara ad apprezzare, a rispettare, custodire e curare il creato e i frutti della terra e del lavoro dell’uomo per un universo sano, ordinato per il benessere materiale e spirituale dell’umanità.   Gli auguri per il nuovo anno "Allo spegnersi di questo anno 2020, che vorremmo cancellare dalla storia, vogliamo ripetere a noi stessi che tutto è Grazia e impegnarci ad approfondire con saggezza il senso di questi eventi per le nostre comunità e per ciascuno. Lasciamo posare su di noi la benedizione del Signore perché la consolazione di Dio ci conforti e ognuno comprenda con responsabilità la propria parte da compiere per rinnovare l’esistenza propria e della comunità". [gallery ids="58671,58670,58669,58673,58672"]  ]]>
Messaggio per il Natale del Consiglio episcopale permanente della Cei https://www.lavoce.it/messaggio-per-il-natale-del-consiglio-episcopale-permanente-della-cei/ Tue, 22 Dec 2020 10:10:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58523 Il presepe

"Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza"(Is 52,7) Quante volte ci è capitato di attendere trepidanti una buona notizia che riguarda noi stessi, i nostri cari, i nostri amici o la comunità in cui viviamo? Sembrano momenti interminabili, lunghissimi, talora angosciosi. E questo, soprattutto, quando è in gioco qualcosa d’importante o la vita stessa. Sono istanti in cui scorrono i fotogrammi della storia personale e, guardandoli attentamente, si ridimensionano le velleità, si rimpiange il tempo perduto, si apprezzano le cose genuine anche se piccole, si ringrazia per i doni ricevuti immeritatamente. Proprio l’attesa di una novità radicale e definitiva in una situazione di oppressione e di affanno era la condizione del popolo d’Israele, descritta dal profeta Isaia tanti secoli fa. Ma è anche la condizione di ciascuno di noi, delle nostre comunità, delle nostre famiglie, della nostra società. Una condizione resa ancora più precaria dalla crisi sanitaria e sociale che stiamo attraversando e che ci ha messo di fronte, una volta ancora, alla nostra vulnerabilità di fronte agli eventi. Guardiamo con preoccupazione alla situazione del nostro Paese, dove le immagini dello shopping natalizio si sovrappongono ai volti delle persone che ingrossano le file davanti alle Caritas diocesane e all’elenco sempre più lungo delle vittime del Covid-19. Tutti insieme siamo in ascolto delle fatiche, delle speranze, dei bisogni materiali - ma anche spirituali - di un popolo che non smette di guardare alla speranza, alla Stella. L’ascolto si fa preghiera e questa spinge all’impegno concreto. Lo abbiamo ricordato nel recente “Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia”: "Ci sembra di intravedere, nonostante le immani difficoltà che ci troviamo ad affrontare, la dimostrazione che stiamo vivendo un tempo di possibile rinascita sociale". Ed ecco che nel silenzio della notte, prolungata dalla pandemia, sappiamo per fede che sta per fare capolino la voce dell’angelo, che porterà la notizia attesa da sempre: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore" (cf. Lc 2,10-11). La luce del Mistero incarnato squarcia le tenebre. L’attesa diventa inno di lode e ringraziamento. Nella Messa celebrata nella notte del Natale diventa invocazione: "O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra contempliamo i suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo".
Questo l’annuncio, antico e sempre nuovo, che abbiamo cominciato a contemplare in Avvento e che vorremmo consegnare idealmente ancora una volta alla comunità cristiana in questo Natale: il “vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Nella grotta di Betlemme, in modo paradossale, risplende tutta la luce gentile del nostro Dio. In ginocchio davanti al Bambino, insieme con Maria e Giuseppe, siamo consapevoli della nostra finitudine e vulnerabilità, percepiamo appieno la nostra debolezza di fronte alla potenza della nascita del Salvatore, che non ha esitato a farsi piccolo tra i piccoli per venire in mezzo a noi. Quel Bambino è la notizia che attendevamo; è lui il Messia che incoraggia i discepoli ad andare per le strade del mondo; è lui la pace che vince le guerre e le paure; è lui la salvezza che viene dall’alto e che ci rende una comunità di risorti. Ogni Natale è diverso dagli altri e questo, in particolare, sarà probabilmente Il presepeil più difficile per molti, se non per tutti. Ma un Natale meno scintillante non è un Natale meno autentico: ricerchiamo nel nostro cuore quello che conta realmente, ciò che ci rende uniti a chi amiamo, ciò che è davvero indispensabile. Come Pastori, come sacerdoti, ma prima ancora come membra di uno stesso corpo, siamo accanto alla sofferenza e alla solitudine di ciascuno per prenderne una parte, per sollevare insieme un pezzo di croce e renderla meno pesante. A tutti i credenti e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà auguriamo di farsi trovare pronti la Notte di Natale, quando la buona notizia del Bambino Gesù busserà alla porta dei nostri cuori. Aprite la porta al Signore che nasce e non abbiate timore di salire, un passo alla volta, tenendo la mano del fratello, sul monte del dolore dell’umanità per annunciare a tutti che il nostro Dio è ancora l’Emmanuele, è il Dio-con-noi.
Buon Natale. Roma, 20 dicembre 2020 IV Domenica di Avvento
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Il presepe

"Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza"(Is 52,7) Quante volte ci è capitato di attendere trepidanti una buona notizia che riguarda noi stessi, i nostri cari, i nostri amici o la comunità in cui viviamo? Sembrano momenti interminabili, lunghissimi, talora angosciosi. E questo, soprattutto, quando è in gioco qualcosa d’importante o la vita stessa. Sono istanti in cui scorrono i fotogrammi della storia personale e, guardandoli attentamente, si ridimensionano le velleità, si rimpiange il tempo perduto, si apprezzano le cose genuine anche se piccole, si ringrazia per i doni ricevuti immeritatamente. Proprio l’attesa di una novità radicale e definitiva in una situazione di oppressione e di affanno era la condizione del popolo d’Israele, descritta dal profeta Isaia tanti secoli fa. Ma è anche la condizione di ciascuno di noi, delle nostre comunità, delle nostre famiglie, della nostra società. Una condizione resa ancora più precaria dalla crisi sanitaria e sociale che stiamo attraversando e che ci ha messo di fronte, una volta ancora, alla nostra vulnerabilità di fronte agli eventi. Guardiamo con preoccupazione alla situazione del nostro Paese, dove le immagini dello shopping natalizio si sovrappongono ai volti delle persone che ingrossano le file davanti alle Caritas diocesane e all’elenco sempre più lungo delle vittime del Covid-19. Tutti insieme siamo in ascolto delle fatiche, delle speranze, dei bisogni materiali - ma anche spirituali - di un popolo che non smette di guardare alla speranza, alla Stella. L’ascolto si fa preghiera e questa spinge all’impegno concreto. Lo abbiamo ricordato nel recente “Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia”: "Ci sembra di intravedere, nonostante le immani difficoltà che ci troviamo ad affrontare, la dimostrazione che stiamo vivendo un tempo di possibile rinascita sociale". Ed ecco che nel silenzio della notte, prolungata dalla pandemia, sappiamo per fede che sta per fare capolino la voce dell’angelo, che porterà la notizia attesa da sempre: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore" (cf. Lc 2,10-11). La luce del Mistero incarnato squarcia le tenebre. L’attesa diventa inno di lode e ringraziamento. Nella Messa celebrata nella notte del Natale diventa invocazione: "O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra contempliamo i suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo".
Questo l’annuncio, antico e sempre nuovo, che abbiamo cominciato a contemplare in Avvento e che vorremmo consegnare idealmente ancora una volta alla comunità cristiana in questo Natale: il “vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Nella grotta di Betlemme, in modo paradossale, risplende tutta la luce gentile del nostro Dio. In ginocchio davanti al Bambino, insieme con Maria e Giuseppe, siamo consapevoli della nostra finitudine e vulnerabilità, percepiamo appieno la nostra debolezza di fronte alla potenza della nascita del Salvatore, che non ha esitato a farsi piccolo tra i piccoli per venire in mezzo a noi. Quel Bambino è la notizia che attendevamo; è lui il Messia che incoraggia i discepoli ad andare per le strade del mondo; è lui la pace che vince le guerre e le paure; è lui la salvezza che viene dall’alto e che ci rende una comunità di risorti. Ogni Natale è diverso dagli altri e questo, in particolare, sarà probabilmente Il presepeil più difficile per molti, se non per tutti. Ma un Natale meno scintillante non è un Natale meno autentico: ricerchiamo nel nostro cuore quello che conta realmente, ciò che ci rende uniti a chi amiamo, ciò che è davvero indispensabile. Come Pastori, come sacerdoti, ma prima ancora come membra di uno stesso corpo, siamo accanto alla sofferenza e alla solitudine di ciascuno per prenderne una parte, per sollevare insieme un pezzo di croce e renderla meno pesante. A tutti i credenti e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà auguriamo di farsi trovare pronti la Notte di Natale, quando la buona notizia del Bambino Gesù busserà alla porta dei nostri cuori. Aprite la porta al Signore che nasce e non abbiate timore di salire, un passo alla volta, tenendo la mano del fratello, sul monte del dolore dell’umanità per annunciare a tutti che il nostro Dio è ancora l’Emmanuele, è il Dio-con-noi.
Buon Natale. Roma, 20 dicembre 2020 IV Domenica di Avvento
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Perugia: Veglie di preghiere di Avvento dei giovani nelle sette Zone pastorali https://www.lavoce.it/perugia-veglie-di-preghiere-di-avvento-dei-giovani-nelle-sette-zone-pastorali/ Fri, 18 Dec 2020 10:20:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58476

PERUGIA- Come da programma si sono tenute nelle sette Zone pastorali dell'Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, all'ora di cena di giovedì 17 dicembre, le Veglie di preghiere di Avvento dei giovani, un appuntamento tradizionale e molto partecipato che prima del Covid si teneva nella Cattedrale di San Lorenzo dove centinaia di ragazzi e ragazze, provenienti un po'da tutte le parrocchie, si radunavano attorno al loro Pastore, il cardinale Gualtiero Bassetti.
Le Veglie di preghiere, partecipate, ma non troppo, nel rispetto delle norme per prevenire il contagio da Coronavirus, si sono tenute in sette chiese parrocchiali con la presenza di parroci, religiosi e religiose, diaconi e seminaristi: Madonna Alta di Perugia (I Zona); San Sisto di Perugia (II Zona); Torgiano (III Zona); Montelaguardia (IV Zona); Papiano (V Zona); Passignano (VI Zona); Castiglione del Lago (VII Zona), organizzate dalle costituenti equipe zonali giovanili e promosse, come ogni anno, dagli Uffici diocesani per le Pastorali giovanile, vocazionale ed universitaria, guidate da don Luca Delunghi, don Alessandro Scarda e don Riccardo Pascolini. Apertesi con il video-messaggio augurale del cardinale Bassetti (dove non è stato possibile trasmetterlo è stato letto) e la meditazione della Parola di Dio, sono culminate con l'adorazione eucaristica animata dagli stessi giovani, alcuni dei quali hanno tenuto delle testimonianze di fede su questo difficile periodo che trova risposte nel passo biblico del profeta Isaia: Sentinella quanto resta della notte? (Is 21, 11), tema delle sette Veglie di Avvento.
"Il momento di preghiera è stata certamente una buona occasione per permettere ai ragazzi di non considerarsi soli -ha sottolineato il direttore don Luca Delunghi- né tantomeno abbandonati in questo tempo in cui tutto rischia di farcelo pensare. La sentinella è chiamata a restare nel suo posto di guardia nonostante sia consapevole che ci sia una notte in quel frammento della sua vita, è chiamata ad ascoltare le domande di chi,
come tanti, nella propria vita si chiedono quando arriverà il termine della notte. Siamo certi che in questo Avvento possiamo vivere con speranza certa l'attesa di Colui che viene e che il cielo ha saputo indicare anche ai Magi e ai pastori. Viviamo, scegliendo e agendo con la consapevolezza che tutto concorre al Sommo Bene e certamente riusciremo a vedere l'alba di un nuovo tempo ma soprattutto le stelle buone del mattino. Come ha detto il Cardinale nel suo messaggio rivolto a tutti, iniziando dalle giovani generazioni a noi tutti è affidato il futuro della società".
Questo, il testo integrale del messaggio  che il cardinale Gualtiero Bassetti, ha rivolto  ai giovani, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo dell'Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, che hanno partecipato alle  Veglie di preghiere.
"Carissimi giovani, carissimi sacerdoti e animatori, che donate gocce di vita ai nostri ragazzi, è la prima volta, dopo tanti anni, che non ci incontreremo in Cattedrale, ma anche se siete costretti a rimanere divisi in gruppi nelle varie zone pastorali, io, questa sera, chiuderò gli occhi e contemplerò col cuore quel caleidoscopio di colori, di voci e di canti, che facevano della nostra Cattedrale il più bel tappeto, o meglio il più bel giardino, della Diocesi. C'è bisogno di gente nuova.
Il Vescovo è con voi, un po' invecchiato, più fragile, ma grazie anche alle vostre preghiere il suo cuore non ha ceduto sotto gli attacchi del virus, un nemico terribile che può portarti via la vita come il vento trasporta i fuscelli. Grazie a Dio ci sono e sono con voi, e continuerò a dirvi ciò che tante volte vi ho già comunicato.
La nostra società per cambiare ha bisogno di voi, perché è necessario ribaltare questa coltre di egoismo e di violenza che rischia di ricoprire il Mondo. C'è bisogno di gente nuova, che non vada secondo corrente, ma sappia essere coscienza critica. Mi auguro, e spero, che sia in voi questa coscienza critica. La nostra gente si sente sola, quasi abbandonata: ha bisogno del vostro sguardo limpido, della vostra amicizia. Spesso constatiamo attorno a
noi, anche nelle nostre parrocchie e comunità, apatia e stanchezza: perciò vivete la vostra vita con gioia e passione. Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci quindi di aprirsi agli altri.
Il sogno precede l'aurora. Siate capaci di sognare, come spesso ripete il nostro Papa Francesco. Perché, come diceva don Tonino Bello, che ho incontrato diverse volte negli anni della mia giovinezza, il sogno precede l'aurora. E ricordate sempre, miei cari ragazzi, che ognuno di voi è una parola importante del vocabolario di Dio, parola che non si ripeterà più, perché ognuno di noi è unico e irripetibile.
Possano crescere tanti fiori. Termino questa mia breve esortazione con un augurio che un Vescovo, morto in concetto di santità, fece ai giovani della sua Diocesi alla fine di un incontro simile al vostro: vi auguro una vita splendida, illuminata da quel sole che è Gesù, nato a Betlemme. Lui, che noi trepidi attendiamo, benedica i vostri passi per sempre. E sulle orme dei vostri passi possano crescere tanti fiori, così chi vi incontrerà potrà
sempre benedirvi.
Auguro a tutti un Natale buono, in cui possa realizzarsi per voi l'invito che Papa Francesco rivolge a tutto il Mondo alla fine della sua Enciclica Fratelli tutti. Si tratta della conclusione di un messaggio del Beato Charles de Foucauld, fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù: pregate Iddio affinché io sia davvero fratello di tutte le anime di questo paese". Voleva essere, in definitiva, il "fratello universale.
Dio Padre, mediante il suo Figlio incarnato e fatto uomo, ispiri questi
propositi in ciascuno di noi. Amen".
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PERUGIA- Come da programma si sono tenute nelle sette Zone pastorali dell'Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, all'ora di cena di giovedì 17 dicembre, le Veglie di preghiere di Avvento dei giovani, un appuntamento tradizionale e molto partecipato che prima del Covid si teneva nella Cattedrale di San Lorenzo dove centinaia di ragazzi e ragazze, provenienti un po'da tutte le parrocchie, si radunavano attorno al loro Pastore, il cardinale Gualtiero Bassetti.
Le Veglie di preghiere, partecipate, ma non troppo, nel rispetto delle norme per prevenire il contagio da Coronavirus, si sono tenute in sette chiese parrocchiali con la presenza di parroci, religiosi e religiose, diaconi e seminaristi: Madonna Alta di Perugia (I Zona); San Sisto di Perugia (II Zona); Torgiano (III Zona); Montelaguardia (IV Zona); Papiano (V Zona); Passignano (VI Zona); Castiglione del Lago (VII Zona), organizzate dalle costituenti equipe zonali giovanili e promosse, come ogni anno, dagli Uffici diocesani per le Pastorali giovanile, vocazionale ed universitaria, guidate da don Luca Delunghi, don Alessandro Scarda e don Riccardo Pascolini. Apertesi con il video-messaggio augurale del cardinale Bassetti (dove non è stato possibile trasmetterlo è stato letto) e la meditazione della Parola di Dio, sono culminate con l'adorazione eucaristica animata dagli stessi giovani, alcuni dei quali hanno tenuto delle testimonianze di fede su questo difficile periodo che trova risposte nel passo biblico del profeta Isaia: Sentinella quanto resta della notte? (Is 21, 11), tema delle sette Veglie di Avvento.
"Il momento di preghiera è stata certamente una buona occasione per permettere ai ragazzi di non considerarsi soli -ha sottolineato il direttore don Luca Delunghi- né tantomeno abbandonati in questo tempo in cui tutto rischia di farcelo pensare. La sentinella è chiamata a restare nel suo posto di guardia nonostante sia consapevole che ci sia una notte in quel frammento della sua vita, è chiamata ad ascoltare le domande di chi,
come tanti, nella propria vita si chiedono quando arriverà il termine della notte. Siamo certi che in questo Avvento possiamo vivere con speranza certa l'attesa di Colui che viene e che il cielo ha saputo indicare anche ai Magi e ai pastori. Viviamo, scegliendo e agendo con la consapevolezza che tutto concorre al Sommo Bene e certamente riusciremo a vedere l'alba di un nuovo tempo ma soprattutto le stelle buone del mattino. Come ha detto il Cardinale nel suo messaggio rivolto a tutti, iniziando dalle giovani generazioni a noi tutti è affidato il futuro della società".
Questo, il testo integrale del messaggio  che il cardinale Gualtiero Bassetti, ha rivolto  ai giovani, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo dell'Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, che hanno partecipato alle  Veglie di preghiere.
"Carissimi giovani, carissimi sacerdoti e animatori, che donate gocce di vita ai nostri ragazzi, è la prima volta, dopo tanti anni, che non ci incontreremo in Cattedrale, ma anche se siete costretti a rimanere divisi in gruppi nelle varie zone pastorali, io, questa sera, chiuderò gli occhi e contemplerò col cuore quel caleidoscopio di colori, di voci e di canti, che facevano della nostra Cattedrale il più bel tappeto, o meglio il più bel giardino, della Diocesi. C'è bisogno di gente nuova.
Il Vescovo è con voi, un po' invecchiato, più fragile, ma grazie anche alle vostre preghiere il suo cuore non ha ceduto sotto gli attacchi del virus, un nemico terribile che può portarti via la vita come il vento trasporta i fuscelli. Grazie a Dio ci sono e sono con voi, e continuerò a dirvi ciò che tante volte vi ho già comunicato.
La nostra società per cambiare ha bisogno di voi, perché è necessario ribaltare questa coltre di egoismo e di violenza che rischia di ricoprire il Mondo. C'è bisogno di gente nuova, che non vada secondo corrente, ma sappia essere coscienza critica. Mi auguro, e spero, che sia in voi questa coscienza critica. La nostra gente si sente sola, quasi abbandonata: ha bisogno del vostro sguardo limpido, della vostra amicizia. Spesso constatiamo attorno a
noi, anche nelle nostre parrocchie e comunità, apatia e stanchezza: perciò vivete la vostra vita con gioia e passione. Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci quindi di aprirsi agli altri.
Il sogno precede l'aurora. Siate capaci di sognare, come spesso ripete il nostro Papa Francesco. Perché, come diceva don Tonino Bello, che ho incontrato diverse volte negli anni della mia giovinezza, il sogno precede l'aurora. E ricordate sempre, miei cari ragazzi, che ognuno di voi è una parola importante del vocabolario di Dio, parola che non si ripeterà più, perché ognuno di noi è unico e irripetibile.
Possano crescere tanti fiori. Termino questa mia breve esortazione con un augurio che un Vescovo, morto in concetto di santità, fece ai giovani della sua Diocesi alla fine di un incontro simile al vostro: vi auguro una vita splendida, illuminata da quel sole che è Gesù, nato a Betlemme. Lui, che noi trepidi attendiamo, benedica i vostri passi per sempre. E sulle orme dei vostri passi possano crescere tanti fiori, così chi vi incontrerà potrà
sempre benedirvi.
Auguro a tutti un Natale buono, in cui possa realizzarsi per voi l'invito che Papa Francesco rivolge a tutto il Mondo alla fine della sua Enciclica Fratelli tutti. Si tratta della conclusione di un messaggio del Beato Charles de Foucauld, fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù: pregate Iddio affinché io sia davvero fratello di tutte le anime di questo paese". Voleva essere, in definitiva, il "fratello universale.
Dio Padre, mediante il suo Figlio incarnato e fatto uomo, ispiri questi
propositi in ciascuno di noi. Amen".
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Il cardinale Bassetti lascia il Gemelli e torna a Perugia https://www.lavoce.it/il-cardinale-bassetti-lascia-il-gemelli-e-torna-a-perugia/ Thu, 03 Dec 2020 16:06:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58358 Il card. Bassetti prima di lasciare il Gemelli di Roma

“È imminente il ritorno a casa del nostro Pastore Gualtiero, dopo più di un mese di ricovero in ospedale a seguito del contagio da Coronavirus”. Ad annunciarlo con gioia alla comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve è il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi. “Ringraziamo il Signore e i sanitari che si sono presi cura del nostro cardinale. Gli auguriamo con tutto il nostro affetto – prosegue mons. Salvi – di poter presto ritornare in mezzo al nostro Gregge. È quello che lui stesso desidera da giorni, pur nella consapevolezza di dover ancora recuperare tutte le forze. Il cardinale trascorrerà un periodo di riposo, ma non gli mancherà l’occasione di fare sentire la sua vicinanza, con preghiere e messaggi, a quanti sono stati in apprensione per la sua salute, soprattutto alle persone che stanno vivendo la dura prova della malattia. Siamo certi che la sua testimonianza sarà di conforto e incoraggiamento a tanti ammalati. Le prossime festività natalizie saranno occasione per farci ancor più vicini spiritualmente al nostro Pastore Gualtiero, come lo siamo stati in tanti nei momenti più difficili della sua degenza. Dal canto suo il cardinale – conclude mons. Salvi – non mancherà di testimoniarci quell’attesa vissuta dai pastori dinanzi alla Grotta di Betlemme per la venuta di Gesù, il Salvatore del mondo. Ci esorterà ad accogliere l’annuncio di meraviglia e di emozione dell’Angelo ai pastori, un annuncio che acquista oggi un significato in più di speranza nel poter presto uscire da questa pandemia e da tante altre, di varia natura, che arrecano dolore, povertà e sofferenza all’umanità intera”. Il cardinale ha lasciato nel pomeriggio il Gemelli, dove si trovava per la degenza, ed ora trascorrerà alcuni giorni di riposo e riabilitazione in casa.

Le parole di Bassetti

Aver affrontato il Covid "è stata una prova terribile”. Queste le parole usate dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, per raccontare la sua esperienza di positività al Covid. "Ad un certo punto ho pensato di essere giunto al limite, al mio limite - racconta Bassetti in un'intervista al quotidiano La Nazione - . Poi però, con il trascorrere dei giorni, ho avvertito come una spinta interiore, una mano tesa: stavo meglio, era la forza del Signore che mi ha letteralmente riacciuffato per i capelli". Questo virus, racconta ancora il presule, "va affrontato anche con la solidarietà, con l'altruismo disinteressato. Siamo messi tutti alla prova, malati e non" sottolinea il cardinale che esorta “è giunto il momento di fare la cosa giusta".]]>
Il card. Bassetti prima di lasciare il Gemelli di Roma

“È imminente il ritorno a casa del nostro Pastore Gualtiero, dopo più di un mese di ricovero in ospedale a seguito del contagio da Coronavirus”. Ad annunciarlo con gioia alla comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve è il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi. “Ringraziamo il Signore e i sanitari che si sono presi cura del nostro cardinale. Gli auguriamo con tutto il nostro affetto – prosegue mons. Salvi – di poter presto ritornare in mezzo al nostro Gregge. È quello che lui stesso desidera da giorni, pur nella consapevolezza di dover ancora recuperare tutte le forze. Il cardinale trascorrerà un periodo di riposo, ma non gli mancherà l’occasione di fare sentire la sua vicinanza, con preghiere e messaggi, a quanti sono stati in apprensione per la sua salute, soprattutto alle persone che stanno vivendo la dura prova della malattia. Siamo certi che la sua testimonianza sarà di conforto e incoraggiamento a tanti ammalati. Le prossime festività natalizie saranno occasione per farci ancor più vicini spiritualmente al nostro Pastore Gualtiero, come lo siamo stati in tanti nei momenti più difficili della sua degenza. Dal canto suo il cardinale – conclude mons. Salvi – non mancherà di testimoniarci quell’attesa vissuta dai pastori dinanzi alla Grotta di Betlemme per la venuta di Gesù, il Salvatore del mondo. Ci esorterà ad accogliere l’annuncio di meraviglia e di emozione dell’Angelo ai pastori, un annuncio che acquista oggi un significato in più di speranza nel poter presto uscire da questa pandemia e da tante altre, di varia natura, che arrecano dolore, povertà e sofferenza all’umanità intera”. Il cardinale ha lasciato nel pomeriggio il Gemelli, dove si trovava per la degenza, ed ora trascorrerà alcuni giorni di riposo e riabilitazione in casa.

Le parole di Bassetti

Aver affrontato il Covid "è stata una prova terribile”. Queste le parole usate dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, per raccontare la sua esperienza di positività al Covid. "Ad un certo punto ho pensato di essere giunto al limite, al mio limite - racconta Bassetti in un'intervista al quotidiano La Nazione - . Poi però, con il trascorrere dei giorni, ho avvertito come una spinta interiore, una mano tesa: stavo meglio, era la forza del Signore che mi ha letteralmente riacciuffato per i capelli". Questo virus, racconta ancora il presule, "va affrontato anche con la solidarietà, con l'altruismo disinteressato. Siamo messi tutti alla prova, malati e non" sottolinea il cardinale che esorta “è giunto il momento di fare la cosa giusta".]]>
Dalla periferia, la Salvezza https://www.lavoce.it/dalla-periferia-salvezza/ Fri, 24 Jan 2020 08:03:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56081 logo reubrica commento al Vangelo

La terza domenica del tempo ordinario segna il definitivo passaggio dalla profezia sul Regno alla realizzazione del Regno. Un tempo nuovo inizia: “Inizio della buona notizia (Evangelo) che è Gesù Cristo (Mc 1,1), questa buona novella può essere finalmente ascoltata dalla bocca stessa di Colui che è la Parola fatta carne. Questo passo parallelo dell’Evangelista Marco può fare da introduzione a questa domenica: Gesù Cristo è il Regno (Lc 17,21), questa è la vera buona notizia. Dopo il battesimo di Gesù e il compimento della missione profetica di Giovanni, “l’avvento” lascia il posto alla presenza della Parola incarnata che si fa Parola salvifica e sanante. Con L’uscita di scena gioiosa di Giovanni, amico dello sposo, (Gv 3,29-30) si apre la strada alla gioia del “popolo che abitava nelle tenebre”, la luce che è Cristo viene ad illuminare coloro che “abitavano in regione di morte” (Mt 4,16). È interessante cogliere l’indicazione temporale con cui inizia il Vangelo di questa settimana: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea”(Mt 4,12), perché sembra esprimere un certo atteggiamento rinunciatario da parte di Gesù motivato dal dolore per l’amico, ma in realtà sta germogliando il “Virgulto del tronco di Iesse” (Is 11,1) che spunta dalla dalla morte del chicco di grano, (Gv 12,24) macerato dalla testimonianza alla Verità. Non si può tralasciare nemmeno il riferimento geografico: il suo ritorno in Galilea, a Nazareth; non per sostare ma per ripartire ancora verso nord, verso la sua nuova dimora: Cafarnao. L’orizzonte della salvezza si sposta dai luoghi celebrati e cantati dai sacri testi, Gerusalemme e Betlemme, alla “via del mare, al di là del Giordano” (Mt 4,15), perché si adempisse la profezia di Isaia descritta al capitolo 9, un testo che abbiamo ascoltato per intero nella notte di Natale. La via del mare è illuminata dalla luce del Messia, un territorio sconosciuto, considerato al tempo di Gesù bisognoso di purificazione, perché “infestato” dalla promiscuità con altri popoli.  La terra di Zabulon e di Neftali, soggetta a continue invasioni e passaggio di popoli perché terra di confine, di periferia, non solo geograficamente, ma anche lontana dal cuore della fede d’Israele. A Nazareth, luogo “malfamato” e insignificante, come descritto da Natanaele (Gv 1,46) non giungono le melodie dei salmi cantati nel tempio di Gerusalemme, tantomeno raggiungono la città di Cafarnao, la cui melodia si compone delle voci del “compra e vendi” del commercio. Eppure Gesù sceglie come luogo delle sua residenza la città sul Mare di Galilea, anche se il suo domicilio risulterà sconosciuto a motivo del suo continuo peregrinare, senza la certezze di dove posare il capo (Lc 9,58). Un territorio che ci ricorda  Isaia “il Signore ha umiliato nel passato” (Is 8,23) ma ora renderà glorioso. Non sarà la liturgia del tempio di Gerusalemme a santificare quella terra, ma la presenza stessa di Colui che perennemente celebra il culto in Spirito e Verità. Non sarà nemmeno la memoria di antichi re come Davide di Betlemme, figure del Messia a garantire la traditio delle fede d’Israele, ma il “contaminarsi” con i peccatori e i pagani del Figlio di Dio, che porterà a compimento la storia della salvezza preannunciata dai profeti. La terra dei gentili diviene il luogo privilegiato da Dio, non solo per l’inizio dell’annuncio della buona notizia della venuta del Messia, ma lo diventa anche per la missione della Chiesa. Il Signore risorto attende i suoi in Galilea per essere inviati in tutto il mondo; il luogo della “ferialità” diviene il luogo della rivelazione del mistero della salvezza, dove la fede rende possibile i miracoli, dove la fede è accolta da cuori non incrostati da “superfetazioni teologiche” che rischiano di separare Dio dall’uomo. È qui, nella ferialità, luogo della vita quotidiana, che la risposta di fede all’incontro con il risorto, si trasforma nell’eccomi delle scelte della vita. Nelle “incursioni” del Risorto nella vita quotidiana dell’uomo, si celebra l’incontro d’amore di chi si è fatto dono e quando trova un cuore assetato d’amore e di giustizia, questo incontro genera un dinamismo che spinge al dono di sé. Solo un cuore semplice, non sopraffatto dagli egoismi, del potere, dei soldi, della sessualità smodata, consente di giocare la propria libertà investendola nel protagonismo della vita. Se l’alveo della risposta ad una chiamata all’amore che si fa dono, è il luogo della vita quotidiana e il contesto della ferialità, allora l’appello vocazionale non riguarda solo il singolo, ma le nostre stesse comunità affinché diventino grembo fecondo di umanità. Un importante insegnamento per le nostre comunità forse troppo assetate di preti e di culto, ma meno disposte a lasciarsi convertire da ciò che lo Spirito sta dicendo alle Chiese. È una comunità credente e credibile che è capace di generare vocazioni all’amore e quindi anche al sacerdozio, non è un prete in più che che può cambiare il contesto.

Don Andrea Rossi

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La terza domenica del tempo ordinario segna il definitivo passaggio dalla profezia sul Regno alla realizzazione del Regno. Un tempo nuovo inizia: “Inizio della buona notizia (Evangelo) che è Gesù Cristo (Mc 1,1), questa buona novella può essere finalmente ascoltata dalla bocca stessa di Colui che è la Parola fatta carne. Questo passo parallelo dell’Evangelista Marco può fare da introduzione a questa domenica: Gesù Cristo è il Regno (Lc 17,21), questa è la vera buona notizia. Dopo il battesimo di Gesù e il compimento della missione profetica di Giovanni, “l’avvento” lascia il posto alla presenza della Parola incarnata che si fa Parola salvifica e sanante. Con L’uscita di scena gioiosa di Giovanni, amico dello sposo, (Gv 3,29-30) si apre la strada alla gioia del “popolo che abitava nelle tenebre”, la luce che è Cristo viene ad illuminare coloro che “abitavano in regione di morte” (Mt 4,16). È interessante cogliere l’indicazione temporale con cui inizia il Vangelo di questa settimana: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea”(Mt 4,12), perché sembra esprimere un certo atteggiamento rinunciatario da parte di Gesù motivato dal dolore per l’amico, ma in realtà sta germogliando il “Virgulto del tronco di Iesse” (Is 11,1) che spunta dalla dalla morte del chicco di grano, (Gv 12,24) macerato dalla testimonianza alla Verità. Non si può tralasciare nemmeno il riferimento geografico: il suo ritorno in Galilea, a Nazareth; non per sostare ma per ripartire ancora verso nord, verso la sua nuova dimora: Cafarnao. L’orizzonte della salvezza si sposta dai luoghi celebrati e cantati dai sacri testi, Gerusalemme e Betlemme, alla “via del mare, al di là del Giordano” (Mt 4,15), perché si adempisse la profezia di Isaia descritta al capitolo 9, un testo che abbiamo ascoltato per intero nella notte di Natale. La via del mare è illuminata dalla luce del Messia, un territorio sconosciuto, considerato al tempo di Gesù bisognoso di purificazione, perché “infestato” dalla promiscuità con altri popoli.  La terra di Zabulon e di Neftali, soggetta a continue invasioni e passaggio di popoli perché terra di confine, di periferia, non solo geograficamente, ma anche lontana dal cuore della fede d’Israele. A Nazareth, luogo “malfamato” e insignificante, come descritto da Natanaele (Gv 1,46) non giungono le melodie dei salmi cantati nel tempio di Gerusalemme, tantomeno raggiungono la città di Cafarnao, la cui melodia si compone delle voci del “compra e vendi” del commercio. Eppure Gesù sceglie come luogo delle sua residenza la città sul Mare di Galilea, anche se il suo domicilio risulterà sconosciuto a motivo del suo continuo peregrinare, senza la certezze di dove posare il capo (Lc 9,58). Un territorio che ci ricorda  Isaia “il Signore ha umiliato nel passato” (Is 8,23) ma ora renderà glorioso. Non sarà la liturgia del tempio di Gerusalemme a santificare quella terra, ma la presenza stessa di Colui che perennemente celebra il culto in Spirito e Verità. Non sarà nemmeno la memoria di antichi re come Davide di Betlemme, figure del Messia a garantire la traditio delle fede d’Israele, ma il “contaminarsi” con i peccatori e i pagani del Figlio di Dio, che porterà a compimento la storia della salvezza preannunciata dai profeti. La terra dei gentili diviene il luogo privilegiato da Dio, non solo per l’inizio dell’annuncio della buona notizia della venuta del Messia, ma lo diventa anche per la missione della Chiesa. Il Signore risorto attende i suoi in Galilea per essere inviati in tutto il mondo; il luogo della “ferialità” diviene il luogo della rivelazione del mistero della salvezza, dove la fede rende possibile i miracoli, dove la fede è accolta da cuori non incrostati da “superfetazioni teologiche” che rischiano di separare Dio dall’uomo. È qui, nella ferialità, luogo della vita quotidiana, che la risposta di fede all’incontro con il risorto, si trasforma nell’eccomi delle scelte della vita. Nelle “incursioni” del Risorto nella vita quotidiana dell’uomo, si celebra l’incontro d’amore di chi si è fatto dono e quando trova un cuore assetato d’amore e di giustizia, questo incontro genera un dinamismo che spinge al dono di sé. Solo un cuore semplice, non sopraffatto dagli egoismi, del potere, dei soldi, della sessualità smodata, consente di giocare la propria libertà investendola nel protagonismo della vita. Se l’alveo della risposta ad una chiamata all’amore che si fa dono, è il luogo della vita quotidiana e il contesto della ferialità, allora l’appello vocazionale non riguarda solo il singolo, ma le nostre stesse comunità affinché diventino grembo fecondo di umanità. Un importante insegnamento per le nostre comunità forse troppo assetate di preti e di culto, ma meno disposte a lasciarsi convertire da ciò che lo Spirito sta dicendo alle Chiese. È una comunità credente e credibile che è capace di generare vocazioni all’amore e quindi anche al sacerdozio, non è un prete in più che che può cambiare il contesto.

Don Andrea Rossi

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Che sia un Natale di pace https://www.lavoce.it/natale-pace/ Tue, 24 Dec 2019 16:31:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56010

Chiudiamo questo numero - l’ultimo del 2019 - con l’affresco in cui Giotto (nella Basilica superiore di San Francesco, ad Assisi) rappresenta il Natale di Greccio, o meglio la visione narrata da Tommaso da Celano: mentre Francesco predicava, ad uno dei presenti “gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo”.

“Per i meriti del Santo - commenta il Celano - Gesù veniva risuscitato nel cuore di molti, che l’avevano dimenticato”.

Abbiamo ancora negli occhi le immagini di Papa Francesco che nel santuario di Greccio prega e firma la Lettera apostolica “Admirabile signum nella quale ricorda che “fin dall’origine francescana il presepe è un invito a ‘sentire’, a ‘toccare’ la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. 

E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”. Il presepio, e la festa di Natale, è capace di parlare a tutti, anche ai non credenti. La tenerezza di Dio che si manifesta in un bambino, parla di una fede disarmata, una fede che non esclude, non condanna, non aggredisce, non alza muri.

L’annuncio che l’Angelo fa ai pastori, invitandoli ad andare dal bambino, parla di “Pace”. Eppure, ci ricorda don Verzini, “ fin dalla nascita del Signore è iniziata la ‘fase’ di accoglienza e rifiuto dell’annuncio evangelico e del Cristo” e la Liturgia ci presenta subito i primi martiri cristiani. Una fase che ancora oggi prosegue con i cristiani perseguitati, “martiri” perché fedeli alla propria fede.

La pace evangelica non è “irenismo” che scolora e nasconde le differenze. No, e il Natale è un grande annuncio di pace per il mondo. Non è un caso che da 53 anni il Papa invia ai potenti del mondo un Messaggio per la pace proprio il 1 gennaio, nel Tempo di Natale, solennità della madre di Dio.

Lo abbiamo pubblicato per augurare a tutti noi un Natale sereno ed un futuro di pace. Un augurio che richiede un impegno personale che non si esaurisce nel privato o nel segreto della propria coscienza ma si manifesta nelle scelte e nelle azioni di ogni giorno.

Che sia un Natale di pace.

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Chiudiamo questo numero - l’ultimo del 2019 - con l’affresco in cui Giotto (nella Basilica superiore di San Francesco, ad Assisi) rappresenta il Natale di Greccio, o meglio la visione narrata da Tommaso da Celano: mentre Francesco predicava, ad uno dei presenti “gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo”.

“Per i meriti del Santo - commenta il Celano - Gesù veniva risuscitato nel cuore di molti, che l’avevano dimenticato”.

Abbiamo ancora negli occhi le immagini di Papa Francesco che nel santuario di Greccio prega e firma la Lettera apostolica “Admirabile signum nella quale ricorda che “fin dall’origine francescana il presepe è un invito a ‘sentire’, a ‘toccare’ la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. 

E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”. Il presepio, e la festa di Natale, è capace di parlare a tutti, anche ai non credenti. La tenerezza di Dio che si manifesta in un bambino, parla di una fede disarmata, una fede che non esclude, non condanna, non aggredisce, non alza muri.

L’annuncio che l’Angelo fa ai pastori, invitandoli ad andare dal bambino, parla di “Pace”. Eppure, ci ricorda don Verzini, “ fin dalla nascita del Signore è iniziata la ‘fase’ di accoglienza e rifiuto dell’annuncio evangelico e del Cristo” e la Liturgia ci presenta subito i primi martiri cristiani. Una fase che ancora oggi prosegue con i cristiani perseguitati, “martiri” perché fedeli alla propria fede.

La pace evangelica non è “irenismo” che scolora e nasconde le differenze. No, e il Natale è un grande annuncio di pace per il mondo. Non è un caso che da 53 anni il Papa invia ai potenti del mondo un Messaggio per la pace proprio il 1 gennaio, nel Tempo di Natale, solennità della madre di Dio.

Lo abbiamo pubblicato per augurare a tutti noi un Natale sereno ed un futuro di pace. Un augurio che richiede un impegno personale che non si esaurisce nel privato o nel segreto della propria coscienza ma si manifesta nelle scelte e nelle azioni di ogni giorno.

Che sia un Natale di pace.

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