Benedetto XVI Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/benedettoxvi/ Settimanale di informazione regionale Wed, 21 Aug 2024 15:53:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Benedetto XVI Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/benedettoxvi/ 32 32 La fiaccola benedettina Pro Pace 2023 ricevuta dal presidente della Camera Fontana https://www.lavoce.it/la-fiaccola-benedettina-pro-pace-2023-ricevuta-dal-presidente-della-camera-fontana/ https://www.lavoce.it/la-fiaccola-benedettina-pro-pace-2023-ricevuta-dal-presidente-della-camera-fontana/#comments Wed, 08 Feb 2023 14:48:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70457

La Fiaccola Benedettina Pro Pace 2023, che ha iniziato il suo cammino partendo dalle sedi delle massime istituzioni religiose e politiche, mercoledì 7 febbraio è stata ricevuta alla Camera dei Deputati dal presidente della Camera Lorenzo Fontana, presso il complesso di Vicolo Valdina, che ha accolto in maniera calorosa le delegazioni di Norcia, Subiaco e Cassino guidate dai rispettivi sindaci Nicola Alemanno, Domenico Petrini ed Enzo Salera. Insieme a loro alcuni amministratori, i tedofori dei gruppi podistici Norcia Run 2017, Marciatori Simbruini e Cus Cassino. La rappresentanza religiosa era composta dai Monaci del monastero di San Benedetto in Monte di Norcia, con il priore padre Benedetto Nivakoff, dom Luigi di Bussolo dell'abbazia di Monteccasino e dom Maurizio Vivera di Subiaco.

Nicola Alemanno: "Il messaggio di pace è entrato nel cuore del Parlamento"

Due giorni romani intensi come ha sottolineato il sindaco di Norcia Nicola Alemanno. “Il messaggio di pace è entrato nel cuore del Parlamento, e abbiamo ricevuto parole importanti e significative del Presidente, che ha evidenziato come anche dalla sede cuore della democrazia italiana, possa essere propagato il messaggio di pace universale benedettino, per poi transitare in altre sedi parlamentari d’Europa. Particolarmente emozionante - continua - il momento di raccoglimento davanti alle tombe di Papa Ratzinger e di San Pietro in Vaticano, e poi in quella di San Paolo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Abbiamo bisogno anche di gesti simbolici come questi, che consolidano la fede e rafforzano un'identità culturale e sociale chiara per noi e per l'Europa" conclude Alemanno.

Presidente Fontana: "san Benedetto una figura da ristudiare"

Il presidente Fontana ha rivolto un caloroso messaggio di benvenuto ai presenti sottolineando quanto le città di Norcia, Subiaco e Cassino siano state "fortunate ad avere questa figura fondamentale per l’Europa che è san Benedetto, una figura da ristudiare e da tener ben presente per le persone che vivono in quei luoghi ma per tutta l’Italia e per tutta l’Europa. Proviamo ad immaginare ora - prosegue - cosa volesse dire in quell’epoca aver fatto quello che ha fatto san Benedetto e anche coloro che lo hanno seguito, alla sua grande opera di ricostruzione e poi pensiamo a Norcia e al terremoto che l’ha distrutta qualche anno fa. Ad aprile sono stato in quella terra, viva e che ha voglia di vivere. Si sente forte il senso che da quelle basi benedettine anche le persone che sono state martoriate da quello che è accaduto qualche anno fa possano ripartire e ricostruire la propria cittadina. È per me un grande onore quindi avervi ricevuto - continua - ho fortemente voluto che ci fosse questo incontro anche perché siete stati in tanti Parlamenti in Europa e ancora mai nel nostro. Auspico sia questa la prima di tante altre volte. Che sia di buon auspicio per le vostre terre, per l'Europa e per l’Italia intera" ha concluso Fontana.

Priore Nivakoff: "san Benedetto 'grande legislatore'"

Il priore Nivakoff ha ricordato come san Benedetto è stato chiamato anche 'grande legislatore'."Spero che questo posto possa rispecchiare sempre lo spirito di san Benedetto che ha capito che la legge è un dono, non è un ostacolo alla felicità, e può aiutare a riparare quel disordine che trova in sé e diventare più felice" ha detto.

Benedizione della fiaccola da papa Francesco e visita della tomba del papa emerito Benedetto XVI

Mercoledì 8 febbraio la Fiaccola è stata benedetta da Papa Francesco nel corso dell’Udienza generale presso la sala Nervi in Vaticano. Le delegazioni poi sono scese nelle Grotte Vaticane per rendere omaggio alla tomba di San Pietro e di Benedetto XVI, recentemente scomparso e alle cui esequie hanno preso parte i primi cittadini delle città unite nel nome del Santo patrono d’Europa. In particolare, sulla tomba del Papa Emerito è stata deposta una lampada, recante la scritta ‘Fiaccola Pro Pace et Europa Una’. È una copia della stessa che viene consegnata ai monasteri benedettini in Europa, ogni anno, nel corso del cammino Continentale della Fiaccola.

Visita alla basilica di San Paolo fuori le Mura

Successivamente le tre delegazioni hanno raggiunto la basilica papale di San Paolo fuori le Mura dove sono state accolte e ricevute dall’abate dom Donato Ogliari, già di Montecassino, e dall’arcirprete della basilica, il cardinale James Michael Harvey. Nella Basilica papale è presente una comunità monastica benedettina dall'inizio dell' VIII secolo. "È molto significativa la vostra visita a Roma, alle radici del Cristianesimo e dello sviluppo della Fede. Un connubio che evidenzia la necessità di ricerca spirituale, racchiusa nel simbolo della Fiaccola benedettina, in raccordo con Pietro e Paolo che san Benedetto e i suoi monaci hanno contribuito a propagare in Europa" ha detto l'abate Ogliari. Il programma di tutte le iniziative del Marzo benedettino sarà presentato in conferenza stampa lunedì 20 febbraio, presso la sede del Parlamento Europeo in Italia. La fiaccola sarà accesa a Norcia sabato 25 febbraio, per poi partire alla volta del Portogallo. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="70468,70469,70470,70471,70472,70474,70475,70476,70477,70478,70479,70481,70483,70484"]  ]]>

La Fiaccola Benedettina Pro Pace 2023, che ha iniziato il suo cammino partendo dalle sedi delle massime istituzioni religiose e politiche, mercoledì 7 febbraio è stata ricevuta alla Camera dei Deputati dal presidente della Camera Lorenzo Fontana, presso il complesso di Vicolo Valdina, che ha accolto in maniera calorosa le delegazioni di Norcia, Subiaco e Cassino guidate dai rispettivi sindaci Nicola Alemanno, Domenico Petrini ed Enzo Salera. Insieme a loro alcuni amministratori, i tedofori dei gruppi podistici Norcia Run 2017, Marciatori Simbruini e Cus Cassino. La rappresentanza religiosa era composta dai Monaci del monastero di San Benedetto in Monte di Norcia, con il priore padre Benedetto Nivakoff, dom Luigi di Bussolo dell'abbazia di Monteccasino e dom Maurizio Vivera di Subiaco.

Nicola Alemanno: "Il messaggio di pace è entrato nel cuore del Parlamento"

Due giorni romani intensi come ha sottolineato il sindaco di Norcia Nicola Alemanno. “Il messaggio di pace è entrato nel cuore del Parlamento, e abbiamo ricevuto parole importanti e significative del Presidente, che ha evidenziato come anche dalla sede cuore della democrazia italiana, possa essere propagato il messaggio di pace universale benedettino, per poi transitare in altre sedi parlamentari d’Europa. Particolarmente emozionante - continua - il momento di raccoglimento davanti alle tombe di Papa Ratzinger e di San Pietro in Vaticano, e poi in quella di San Paolo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Abbiamo bisogno anche di gesti simbolici come questi, che consolidano la fede e rafforzano un'identità culturale e sociale chiara per noi e per l'Europa" conclude Alemanno.

Presidente Fontana: "san Benedetto una figura da ristudiare"

Il presidente Fontana ha rivolto un caloroso messaggio di benvenuto ai presenti sottolineando quanto le città di Norcia, Subiaco e Cassino siano state "fortunate ad avere questa figura fondamentale per l’Europa che è san Benedetto, una figura da ristudiare e da tener ben presente per le persone che vivono in quei luoghi ma per tutta l’Italia e per tutta l’Europa. Proviamo ad immaginare ora - prosegue - cosa volesse dire in quell’epoca aver fatto quello che ha fatto san Benedetto e anche coloro che lo hanno seguito, alla sua grande opera di ricostruzione e poi pensiamo a Norcia e al terremoto che l’ha distrutta qualche anno fa. Ad aprile sono stato in quella terra, viva e che ha voglia di vivere. Si sente forte il senso che da quelle basi benedettine anche le persone che sono state martoriate da quello che è accaduto qualche anno fa possano ripartire e ricostruire la propria cittadina. È per me un grande onore quindi avervi ricevuto - continua - ho fortemente voluto che ci fosse questo incontro anche perché siete stati in tanti Parlamenti in Europa e ancora mai nel nostro. Auspico sia questa la prima di tante altre volte. Che sia di buon auspicio per le vostre terre, per l'Europa e per l’Italia intera" ha concluso Fontana.

Priore Nivakoff: "san Benedetto 'grande legislatore'"

Il priore Nivakoff ha ricordato come san Benedetto è stato chiamato anche 'grande legislatore'."Spero che questo posto possa rispecchiare sempre lo spirito di san Benedetto che ha capito che la legge è un dono, non è un ostacolo alla felicità, e può aiutare a riparare quel disordine che trova in sé e diventare più felice" ha detto.

Benedizione della fiaccola da papa Francesco e visita della tomba del papa emerito Benedetto XVI

Mercoledì 8 febbraio la Fiaccola è stata benedetta da Papa Francesco nel corso dell’Udienza generale presso la sala Nervi in Vaticano. Le delegazioni poi sono scese nelle Grotte Vaticane per rendere omaggio alla tomba di San Pietro e di Benedetto XVI, recentemente scomparso e alle cui esequie hanno preso parte i primi cittadini delle città unite nel nome del Santo patrono d’Europa. In particolare, sulla tomba del Papa Emerito è stata deposta una lampada, recante la scritta ‘Fiaccola Pro Pace et Europa Una’. È una copia della stessa che viene consegnata ai monasteri benedettini in Europa, ogni anno, nel corso del cammino Continentale della Fiaccola.

Visita alla basilica di San Paolo fuori le Mura

Successivamente le tre delegazioni hanno raggiunto la basilica papale di San Paolo fuori le Mura dove sono state accolte e ricevute dall’abate dom Donato Ogliari, già di Montecassino, e dall’arcirprete della basilica, il cardinale James Michael Harvey. Nella Basilica papale è presente una comunità monastica benedettina dall'inizio dell' VIII secolo. "È molto significativa la vostra visita a Roma, alle radici del Cristianesimo e dello sviluppo della Fede. Un connubio che evidenzia la necessità di ricerca spirituale, racchiusa nel simbolo della Fiaccola benedettina, in raccordo con Pietro e Paolo che san Benedetto e i suoi monaci hanno contribuito a propagare in Europa" ha detto l'abate Ogliari. Il programma di tutte le iniziative del Marzo benedettino sarà presentato in conferenza stampa lunedì 20 febbraio, presso la sede del Parlamento Europeo in Italia. La fiaccola sarà accesa a Norcia sabato 25 febbraio, per poi partire alla volta del Portogallo. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="70468,70469,70470,70471,70472,70474,70475,70476,70477,70478,70479,70481,70483,70484"]  ]]>
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Le due visite ad Assisi di papa Benedetto XVI https://www.lavoce.it/le-due-visite-ad-assisi-di-papa-benedetto-xvi/ Sat, 31 Dec 2022 12:13:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69810

È morto oggi, 31 dicembre 2022, alle ore 9.34, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano il papa emerito Benedetto XVI. Aveva 95 anni anni e dopo l’improvviso "aggravamento dovuto all’avanzare dell’età" nella notte tra martedì e mercoledì, Papa Francesco aveva chiesto ai fedeli "una preghiera speciale per il papa emerito Benedetto che nel silenzio sta sostenendo la Chiesa. Ricordarlo: è molto malato chiedendo al Signore che lo consoli e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa fino alla fine".

Le due visite ad Assisi nel 2007 e nel 2011

Benedetto XVI è stato in Umbria come Papa in due occasioni, nel 2007 e nel 2011, ma era stato più volte ospite delle suore Cappuccine tedesche di Assisi. E un paio di anni prima di diventare Papa era stato a Norcia per la festa di San Benedetto. Il 7 dicembre 2011 è stato papa Ratzinger ad accendere l'albero di Natale di Gubbio nel corso di un collegamento web. Le immagini della visita del 27 ottobre 2011 [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="69877,69878,69879,69880,69881,69882"]   Le immagini dell'accenzione dell'albero di Natale di Gubbio nel 2011 [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="69835,69836,69837"]   La prima visita era avvenuta ad Assisi il 17 giugno 2007, in occasione dell’ottavo centenario della conversione di San Francesco. La seconda il 27 ottobre 2011 per i 25 anni dello “Spirito di Assisi”.

La visita del 17 giugno 2007, l'incontro con i giovani

Nel corso della visita ad Assisi il 17 giugno 2007 papa Benedetto incontrò anche tanti giovani della Pastorale giovanile delle varie diocesi dell'Umbria nella piazza della basilica di Santa Maria degli Angeli "per riproporre a tutti il mandato di san Francesco quale esempio di vita all’interno di una Chiesa di cui è instancabile edificatore" scrivevamo nell'articolo "Cento chitarre a festa, arriva Benedetto XVI" a firma di Martino Bozza.

Il pellegrinaggio di papa Benedetto XVI ad Assisi nel 2011

Assisi 2011 anticipata nelle parole di mons. Vincenzo Paglia

"L’Umbria si prepara ad un grande evento: Benedetto XVI tornerà pellegrino ad Assisi nell’ottobre prossimo. Per noi umbri è un importante momento ecclesiale ed è bene prepararci ad accoglierlo, consapevoli della straordinarietà del gesto e della sua opportunità in questo tempo segnato da una nuova 'primavera araba': così scriveva mons. Vincenzo Paglia nell'articolo "Pellegrinaggio di pace" pubblicato nel luglio del 2011 alla notizia dell'incontro di Assisi previsto ad ottobre per il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, promossa da Giovanni Paolo II. "Papa Benedetto - prosegue mons. Paglia - tornando ad Assisi il 27 ottobre, pertanto, non solo vuole confermare il valore di quella giornata ma anche “rinnovare solennemente” l’impegno dei credenti delle diverse tradizioni religiose a vivere la propria fede nella prospettiva del servizio alla pace tra i popoli. E come non vedere l’attualità di queste prospettive? Il mondo si è globalizzato, i popoli si sono avvicinati, ma non per questo sono diventati più “fraterni”. E continuiamo a vedere guerre che continuano e conflitti che si accendono. C’è bisogno di ribadire con decisione, come scrive il Papa, che la ricerca di Dio e l’impegno per la pace si intrecciano: “Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere la pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”.

Mons. Elio Bromuri: "Non si tratta di una semplice celebrazione"

"Dopo l’annuncio di questa celebrazione (il pellegrinaggio di papa Ratzinger ad Assisi il 27 ottobre 2011 ndr) - scriveva l'8 luglio 2011 il direttore de La Voce di allora mons. Elio Bromuri in un altro articolo dal titolo "Pellegrinaggio di pace e verità" - sono state fatte alcune precisazioni: in particolare, che non si tratta di una semplice celebrazione rievocativa, ma di un incontro in qualche maniera diverso, se non altro per l’allargamento dell’invito a rappresentanti della cultura non credenti, appartenenti a quel ceto di intellettuali che si pongono interrogativi sulla fede senza peraltro aderirvi esplicitamente. Questa categoria di persone, più numerosa di quanto si creda, è stata descritta idealmente da Benedetto XVI nell’espressione biblica di coloro che frequentano il “Cortile dei Gentili”: non sono dentro al Tempio, ma non sono neppure lontani, e possono percepire qualche eco che giunge dall’interno e provare forse anche un sentimento di attrazione".

Il card. Tauran: "Si cercherà di vedere come sia possibile contribuire alla pace e all'armonia"

"Non sarà una replica dell’evento di 25 anni fa. Sarà anche, ovviamente, la rievocazione di un avvenimento che, a suo modo, è stato storico; ma si cercherà soprattutto di vedere come sia possibile – tramite la fede – contribuire alla pace, all’armonia". Con queste parole il card. Jean-Louis Tauran, in Umbria in occasione dell’incontro-pellegrinaggio dei giovani di Azione cattolica ad Assisi nell'ottobre del 2011, ha anticipato nell'intervista "Il dialogo possibile anche con gli agnostici"a firma di M.R.V. pubblicata su La Voce il senso della visita di papa Benedetto XVI ad Assisi nel 2011.  

Due i contributi pubblicati a seguito dell'evento del 2011 da parte di mons. Vincenzo Paglia e di mons. Domenico Sorrentino.

Mons. Paglia: "Un messaggio di pace forte e universale"

"Papa Benedetto XVI e i vari leader religiosi hanno pregato e lanciato un messaggio di pace forte e universale - scriveva mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia nell'articolo Il messaggio di Assisi 2011 sulla rubrica de La Voce "Parola di vescovo" l'11 novembre 2011 -.  Un messaggio di estrema attualità in un mondo globalizzato, dove la convivenza quotidiana è attraversata dalle tensioni del pluralismo religioso ed etnico. Una pace che si fonda sulla capacità che gli uomini avranno di costruire una civiltà della convivenza.

Mons. Sorrentino: "L'importanza della verità a fondamento e garanzia della costruzione della pace" nel messaggio di papa Benedetto XVI

"Assisi 2011: verità e pace": così titolava l'articolo a firma di mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino a bilancio dell'incontro di Assisi del 2011. Sorrentino si rallegra di quanto si è realizzato il 27 ottobre. "Innanzitutto, la profezia di quell’evento è stata confermata e rilanciata - sottolinea mons. Sorrentino - Non era scontato. Molte voci avevano insistito sulla 'differenza', in questa materia, tra la sensibilità di Papa Wojtyla e quella di Papa Benedetto XVI. Si ricordava che questi non aveva personalmente preso parte all’evento del 1986 e si immaginava che ciò implicasse una presa di distanza. In realtà, già nella lettera che il Papa mi scrisse nel ventesimo, una tale lettura era ampiamente fugata. Il Papa sottolineava infatti la legittimità di quanto operato dal Beato predecessore". Ha poi proseguito sottolineando come "Il Pontefice ha voluto porre con forza, in relazione alla pace, la questione della verità. Tutto il suo discorso a Santa Maria degli Angeli è stato una vibrante perorazione dell’importanza della verità proprio a fondamento e garanzia della costruzione della pace".            ]]>

È morto oggi, 31 dicembre 2022, alle ore 9.34, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano il papa emerito Benedetto XVI. Aveva 95 anni anni e dopo l’improvviso "aggravamento dovuto all’avanzare dell’età" nella notte tra martedì e mercoledì, Papa Francesco aveva chiesto ai fedeli "una preghiera speciale per il papa emerito Benedetto che nel silenzio sta sostenendo la Chiesa. Ricordarlo: è molto malato chiedendo al Signore che lo consoli e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa fino alla fine".

Le due visite ad Assisi nel 2007 e nel 2011

Benedetto XVI è stato in Umbria come Papa in due occasioni, nel 2007 e nel 2011, ma era stato più volte ospite delle suore Cappuccine tedesche di Assisi. E un paio di anni prima di diventare Papa era stato a Norcia per la festa di San Benedetto. Il 7 dicembre 2011 è stato papa Ratzinger ad accendere l'albero di Natale di Gubbio nel corso di un collegamento web. Le immagini della visita del 27 ottobre 2011 [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="69877,69878,69879,69880,69881,69882"]   Le immagini dell'accenzione dell'albero di Natale di Gubbio nel 2011 [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="69835,69836,69837"]   La prima visita era avvenuta ad Assisi il 17 giugno 2007, in occasione dell’ottavo centenario della conversione di San Francesco. La seconda il 27 ottobre 2011 per i 25 anni dello “Spirito di Assisi”.

La visita del 17 giugno 2007, l'incontro con i giovani

Nel corso della visita ad Assisi il 17 giugno 2007 papa Benedetto incontrò anche tanti giovani della Pastorale giovanile delle varie diocesi dell'Umbria nella piazza della basilica di Santa Maria degli Angeli "per riproporre a tutti il mandato di san Francesco quale esempio di vita all’interno di una Chiesa di cui è instancabile edificatore" scrivevamo nell'articolo "Cento chitarre a festa, arriva Benedetto XVI" a firma di Martino Bozza.

Il pellegrinaggio di papa Benedetto XVI ad Assisi nel 2011

Assisi 2011 anticipata nelle parole di mons. Vincenzo Paglia

"L’Umbria si prepara ad un grande evento: Benedetto XVI tornerà pellegrino ad Assisi nell’ottobre prossimo. Per noi umbri è un importante momento ecclesiale ed è bene prepararci ad accoglierlo, consapevoli della straordinarietà del gesto e della sua opportunità in questo tempo segnato da una nuova 'primavera araba': così scriveva mons. Vincenzo Paglia nell'articolo "Pellegrinaggio di pace" pubblicato nel luglio del 2011 alla notizia dell'incontro di Assisi previsto ad ottobre per il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, promossa da Giovanni Paolo II. "Papa Benedetto - prosegue mons. Paglia - tornando ad Assisi il 27 ottobre, pertanto, non solo vuole confermare il valore di quella giornata ma anche “rinnovare solennemente” l’impegno dei credenti delle diverse tradizioni religiose a vivere la propria fede nella prospettiva del servizio alla pace tra i popoli. E come non vedere l’attualità di queste prospettive? Il mondo si è globalizzato, i popoli si sono avvicinati, ma non per questo sono diventati più “fraterni”. E continuiamo a vedere guerre che continuano e conflitti che si accendono. C’è bisogno di ribadire con decisione, come scrive il Papa, che la ricerca di Dio e l’impegno per la pace si intrecciano: “Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere la pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”.

Mons. Elio Bromuri: "Non si tratta di una semplice celebrazione"

"Dopo l’annuncio di questa celebrazione (il pellegrinaggio di papa Ratzinger ad Assisi il 27 ottobre 2011 ndr) - scriveva l'8 luglio 2011 il direttore de La Voce di allora mons. Elio Bromuri in un altro articolo dal titolo "Pellegrinaggio di pace e verità" - sono state fatte alcune precisazioni: in particolare, che non si tratta di una semplice celebrazione rievocativa, ma di un incontro in qualche maniera diverso, se non altro per l’allargamento dell’invito a rappresentanti della cultura non credenti, appartenenti a quel ceto di intellettuali che si pongono interrogativi sulla fede senza peraltro aderirvi esplicitamente. Questa categoria di persone, più numerosa di quanto si creda, è stata descritta idealmente da Benedetto XVI nell’espressione biblica di coloro che frequentano il “Cortile dei Gentili”: non sono dentro al Tempio, ma non sono neppure lontani, e possono percepire qualche eco che giunge dall’interno e provare forse anche un sentimento di attrazione".

Il card. Tauran: "Si cercherà di vedere come sia possibile contribuire alla pace e all'armonia"

"Non sarà una replica dell’evento di 25 anni fa. Sarà anche, ovviamente, la rievocazione di un avvenimento che, a suo modo, è stato storico; ma si cercherà soprattutto di vedere come sia possibile – tramite la fede – contribuire alla pace, all’armonia". Con queste parole il card. Jean-Louis Tauran, in Umbria in occasione dell’incontro-pellegrinaggio dei giovani di Azione cattolica ad Assisi nell'ottobre del 2011, ha anticipato nell'intervista "Il dialogo possibile anche con gli agnostici"a firma di M.R.V. pubblicata su La Voce il senso della visita di papa Benedetto XVI ad Assisi nel 2011.  

Due i contributi pubblicati a seguito dell'evento del 2011 da parte di mons. Vincenzo Paglia e di mons. Domenico Sorrentino.

Mons. Paglia: "Un messaggio di pace forte e universale"

"Papa Benedetto XVI e i vari leader religiosi hanno pregato e lanciato un messaggio di pace forte e universale - scriveva mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia nell'articolo Il messaggio di Assisi 2011 sulla rubrica de La Voce "Parola di vescovo" l'11 novembre 2011 -.  Un messaggio di estrema attualità in un mondo globalizzato, dove la convivenza quotidiana è attraversata dalle tensioni del pluralismo religioso ed etnico. Una pace che si fonda sulla capacità che gli uomini avranno di costruire una civiltà della convivenza.

Mons. Sorrentino: "L'importanza della verità a fondamento e garanzia della costruzione della pace" nel messaggio di papa Benedetto XVI

"Assisi 2011: verità e pace": così titolava l'articolo a firma di mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino a bilancio dell'incontro di Assisi del 2011. Sorrentino si rallegra di quanto si è realizzato il 27 ottobre. "Innanzitutto, la profezia di quell’evento è stata confermata e rilanciata - sottolinea mons. Sorrentino - Non era scontato. Molte voci avevano insistito sulla 'differenza', in questa materia, tra la sensibilità di Papa Wojtyla e quella di Papa Benedetto XVI. Si ricordava che questi non aveva personalmente preso parte all’evento del 1986 e si immaginava che ciò implicasse una presa di distanza. In realtà, già nella lettera che il Papa mi scrisse nel ventesimo, una tale lettura era ampiamente fugata. Il Papa sottolineava infatti la legittimità di quanto operato dal Beato predecessore". Ha poi proseguito sottolineando come "Il Pontefice ha voluto porre con forza, in relazione alla pace, la questione della verità. Tutto il suo discorso a Santa Maria degli Angeli è stato una vibrante perorazione dell’importanza della verità proprio a fondamento e garanzia della costruzione della pace".            ]]>
Mormorii e verità sul celibato dei preti (audio) https://www.lavoce.it/mormorii-celibato-preti/ Wed, 15 Jan 2020 17:58:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56027
Il libro uscito in Francia a firma di Papa Benedetto XVI e del card. Robert Sarah ha come titolo Dal profondo dei nostri cuori, e conta 180 pagine; e in alcune di queste, tratta del tema del celibato dei preti. In queste ore in cui andiamo in stampa prendiamo atto che non c’è testata giornalistica che non abbia affrontato il tema (e solo questo!) presentandolo col vigore di una clava, come una minaccia all’unità della Chiesa, come un duro attacco al pontificato di Papa Francesco da parte del suo predecessore.Noi riteniamo che – proprio grazie a uno stile di Chiesa che Papa Francesco intende rafforzare – non dobbiamo scandalizzarci per la differenza di opinioni, ma piuttosto auspicarla come ricchezza che nasce dal dialogo e dal confronto.

Ovvero, il fatto che il Papa emerito e un cardinale di Curia ritengano un bene e una ricchezza la tradizione cattolica di scegliere i propri presbiteri tra uomini celibi, è opinione legittima e seria, profonda e radicata nella Scrittura e nella riflessione teologica, nella spiritualità presbiterale nonché nella storia millenaria della Chiesa latina. Hanno espresso ad alta voce, con passione sincera e con studio profondo, questo valore. Sarebbe stato piuttosto da condannare il mormorio da corridoio, il pettegolezzo di palazzo, il giudizio malevolo bisbigliato all’orecchio.

 

Qui sopra puoi ascoltare l’intervista a don Tonio Dell’Olio sul celibato dei preti alla trasmissione di Radio 2 Caterpillar

Papa Francesco invita continuamente al dialogo, e al contempo a preservare il nucleo essenziale della fede, a custodire il bene e a guardare con attenzione alla gerarchia delle verità. Lo stile conciliare, di cui Papa Ratzinger, il card. Sarah e Papa Francesco sono figli, ci insegna che “non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo capiamo sempre meglio” (Giovanni XXIII); e in questo cambiamento d’epoca le mutazioni che ci vengono richieste sono molto più rapide e frequenti.

Si tratta di accogliere sfide nuove, di utilizzare linguaggi comprensibili, di far fronte a situazioni inedite. Piuttosto è in malafede chi, come Sandro Magister, titola Un libro bomba. Ratzinger e Sarah chiedono a Francesco di non aprire varchi ai preti sposati, facendo un torto innanzitutto agli stessi autori del libro.

Nell’articolo si arriva ad affermare che “il Sinodo amazzonico in realtà, più che su fiumi e foreste, è stata una furiosa discussione sul futuro del sacerdozio cattolico, se celibe o no, e se aperto in futuro alle donne”. Non è vero! Quello che si sta consumando in Amazzonia è un dramma di dimensioni che non riusciamo a comprendere, e investe fiumi e foreste, ma anche popolazioni indigene. Solo prendendo a cuore seriamente le sorti delle popolazioni che abitano quelle terre si può comprendere anche la richiesta proveniente da alcune comunità cristiane amazzoniche di ordinare preti alcuni uomini sposati di provata vita cristiana.

Peraltro, accanto alle riflessioni di Papa Benedetto e del prefetto della Congregazione per il culto divino vi sono altri apporti come quello di mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, che dice: “All’interno del territorio della mia arcidiocesi, si trova l’enclave cattolica di rito bizantino di Piana degli Albanesi dove convivono preti sposati e celibi. E non si può certo dire che nel clero uxorato la dedizione a Dio e alla Chiesa sia inferiore”.

Anche di questa tradizione bisognerà tenere conto per introdurre, eventualmente e senza scandalo, un ritorno alla tradizione antecedente alla scelta del celibato dei preti. Insomma, l’invito è ad assumere le differenze di opinione come contributo prezioso, a esercitare la nostra maturità cristiana, a discernere e distinguere il nucleo della verità di fede dalle tradizioni che si sono affermate, a mediare senza sconti l’annuncio del Vangelo in un mondo che cambia e grida dolori e bisogni.

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Papa Francesco per la prima volta in visita alla sinagoga di Roma https://www.lavoce.it/papa-francesco-per-la-prima-volta-in-visita-alla-sinagoga-di-roma/ Fri, 22 Jan 2016 11:51:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45114 Papa Francesco con il rabbino capo Riccardo Di Segni in visita alla sinagoga di Roma
Papa Francesco con il rabbino capo Riccardo Di Segni in visita alla sinagoga di Roma

Papa Francesco ha portato il “saluto di pace” agli ebrei, italiani e non solo, nel corso della sua “prima visita” alla sinagoga di Roma il 17 gennaio. Proprio così l’ha definita: “prima visita”, quasi a prometterne un’altra.
Bergoglio è il terzo Pontefice a mettere fisicamente piede nell’edificio, dopo Giovanni Paolo II nel 1986 e Benedetto XVI nel 2010.Entrambi erano però stati preceduti da Giovanni XXIII che benedisse la comunità ebraica all’esterno della sinagoga sul Lungotevere, suscitando scalpore e gioia.
La visita di Wojtyla fu “storica”. Quella di Ratzinger, “controversa” a causa delle voci che circolavano circa la possibile beatificazione di Pio XII. Un giorno probabilmente verrà riconosciuta in via ufficiale l’opera di Papa Pacelli a favore degli ebrei perseguitati, ma è giusto rispettare la sensibilità diffusa, specie su un tema così delicato; tant’è che Papa Francesco ha lasciato cadere il caso Pacelli. Quanto alla sua visita, avviene in un momento di tensioni e stragi causate dal terrorismo islamico.
“Nel dialogo interreligioso – ha detto il Papa – è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode; che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda, e cerchiamo di collaborare. Nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr. Nostra aetate , 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”.
Dopo aver richiamato, a questo proposito, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, ha aggiunto: “Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di un’ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze e ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità, e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia.
Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
Il rabbino capo Riccardo Di Segni ha sottolineato che, nella “tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte [come le visite papali, ndr ] diventa chazaqà , consuetudine fissa. È decisamente il segno concreto di una nuova Era”.
Quindi ha ricordato il Giubileo nella tradizione ebraica: “Non ci è sfuggito il momento iniziale in cui all’apertura della porta è stata recitata la formula liturgica ‘aprite le porte della giustizia’. Per un ebreo che ascolta è qualche cosa di noto e familiare, è la citazione del verso dei Salmi ” che “citiamo nella nostra liturgia festiva”. Tutti “attendiamo – ha detto ancora Di Segni – un momento chissà quanto lontano nella storia in cui le divisioni si risolveranno… Accogliamo il Papa per ribadire che le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono però essere giustificazione all’odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia e collaborazione; e che le esperienze, i valori, le tradizioni, le grandi idee che ci identificano devono essere messe al servizio della collettività”.
All’evento era anche presente un portavoce della Knesset , il Parlamento dello Stato di Israele, Yuli Edelstein . Il quale ha ringraziato il Papa per i suoi appelli a favore della Terra Santa: questo “aiuta l’economia, sia per ebrei che per gli arabi, e potrebbe favorire la stabilità e la pace” in Medio Oriente.

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Con lo sguardo al futuro https://www.lavoce.it/con-lo-sguardo-al-futuro/ Thu, 24 Sep 2015 09:13:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43492 Da sinistra Pellegrini, Giovagnoli, Truffarelli, Massini, Bassetti, Camaiani
Da sinistra Pellegrini, Giovagnoli, Truffarelli, Massini, Bassetti, Camaiani

Nella cornice dell’elegante Sala Brugnoli del Palazzo della Regione dell’Umbria, l’Azione cattolica diocesana di Perugia-Città della Pieve, nella mattinata di sabato 19 settembre ha concluso i festeggiamenti per il suo Centenario di presenza nel territorio perugino, con un convegno pubblico su “Un impegno di Umanità e Santità. La politica tanto denigrata, è una vocazione altissima” che ha visto coinvolta la Presidenza nazionale di Azione cattolica.

Nel saluto di benvenuto il presidente diocesano di Ac, Alessandro Fratini, ha sottolineato che la scelta di concludere l’anno del centenario con un incontro pubblico su un tema caldo come quello della politica è stata dettata dalla volontà di “essere testimoni coraggiosi e credibili in tutti gli ambiti di vita” secondo le indicazioni di Benedetto XVI, per dare un segno importante di attenzione e d’impegno alla città.

Nel titolo dell’incontro, come ha sottolineato il card. Gualtiero Bassetti nel suo discorso di prolusione, erano già delineate le due figure a cui l’Azione cattolica ha deciso di far riferimento nella sua riflessione storica sull’associazione e sulla Chiesa riguardo alla politica come vocazione: Giorgio La Pira e Papa Francesco.

Il Cardinale ha sottolineato l’emozione di poter parlare di queste due figure a lui molto care perché entrambe conosciute personalmente in tempi diversi della sua vita. Questi due grandi uomini, ha detto Bassetti, hanno in comune la logica del servizio che li ha portati a incarnare il Vangelo nella sua totalità, come diceva don Primo Mazzolari “carità significa non dare qualcosa ma dare tutto. Chi non dà tutto non è nella carità”.

Se per La Pira la vocazione di ciascuno è costruire la città dell’uomo, per farlo adeguatamente bisogna saper pensare, per questo mons. Paolo Giulietti, vescovo ausiliare di Perugia, si è rallegrato di vedere molti giovani tra i partecipanti, perché “oggi abbiamo bisogno che i giovani pensino” e “oggi c’è bisogno di chi ha grandi pensieri, pensa al mondo e ha purezza d’ideali”.

L’Azione cattolica, ha aggiunto, è attenta all’organicità del percorso umano, pregando, pensando e agendo e per questo in questa giornata “prova a dare – ha sottolineato Gigi Massini moderatore dei lavori – qualche coordinata su come amare Dio e l’uomo”. Ad aprire il convegno è stato lo storico Giancarlo Pellegrini, che ha raccontato il fermento associativo in Umbria e le sue relazioni con la storia sociale e politica del nostro Paese. Una storia, quella dell’Ac umbra e perugina in particolare, fatta di tanti nomi, volti e storie di gente che si è spesa al servizio della spiritualità, dell’evangelizzazione e della carità.

Una vera “palestra di santità” in cui si cresce insieme nella fede e ci si rimbocca le maniche per contribuire in diverse forme (educative, culturali, artigianali,…) alla vita sociale. Un luogo umano in cui si è formato un uomo come Vittorio Trancanelli.

Matteo Truffelli, docente presso l’Università degli Studi di Parma e presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, ha aggiunto tanti altri nomi di rilievo tra cui Giuseppe Toniolo, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giovanni Leone, Oscar Luigi Scalfaro e lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un incontro come questo, ha sottolineato Truffelli, serve “a fare memoria non con gli occhi all’indietro ma con lo sguardo al futuro, per comprendere come l’Ac ha avuto la capacità di rinnovarsi, ripensarsi e riorganizzarsi cercando le forme più efficaci per stare con uno sguardo illuminato dalla fede nel proprio tempo”.

Una storia che ha visto l’Associazione fare una scelta, ancora oggi a volte non compresa e contestata: la “scelta religiosa” con la quale si scelse di stare nel mondo rinunciando ai vantaggi del potere politico ed economico per puntare, disse il presidente Vittorio Bachelet in uno scritto del 1973, a “essere fermento, servizio di carità nella costruzione di una città comune in cui ci siano meno poveri, meno oppressi e meno gente che ha fame”.

Bruna Bocchini Camaiani, dell’Università degli Studi di Firenze, ha continuato su questo tema dei poveri e dell’impegno “politico”a cui i credenti sono chiamati, a partire dall’esperienza di Giorgio La Pira e dal suo testo ancora molto attuale L’attesa della povera gente.

Agostino Giovagnoli, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha evidenziato la relazione tra Chiesa e politica italiana a partire dalla figura di Papa Francesco, un papa non europeo e non italiano e per questo portatore di una visione più globale del mondo. Ripercorrendo la storia del rapporto tra l’Ac e la Democrazia Cristiana, e tra questa e i pontefici che si sono succeduti dopo il Concilio (con il sempre più importante ruolo dato alla Conferenza episcopale italiana dai pontefici non italiani, da Woityla a Bergoglio), si è arrivati a riflettere sul ruolo che i cattolici debbono avere oggi nel contesto ecclesiale e civile.

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Il Perdono per un mondo redento https://www.lavoce.it/un-mondo-redento/ https://www.lavoce.it/un-mondo-redento/#comments Thu, 30 Jul 2015 10:07:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=41127 San Bernardino cura un uomo rimasto ferito in un agguato (opera del Pinturicchio)
San Bernardino cura un uomo rimasto ferito in un agguato (opera del Pinturicchio)

La ricerca delle cause di conflitti, guerre e altre avversità, se condotta con onestà, mostra una realtà complessa in cui interessi nazionali ed egoismi personali si intrecciano a omertà e vendette, così come divisioni tribali e razzismo con avidità e menzogna.

Per dirla in termini teologici, ci si trova davanti a vere e proprie “strutture di peccato”, frutto di un insieme di colpe personali che si sedimentano in grovigli di violenza e soprusi.

Già nel 1986 il futuro Benedetto XVI affermava che “divenuto centro di se stesso, l’uomo peccatore tende ad affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti.

Così, da parte sua, contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare”. E di seguito: “La dirittura morale è condizione per una società sana. Bisogna dunque operare a un tempo per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, perché il peccato, che è all’origine delle situazioni ingiuste, è, in senso proprio e primario, un atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona”.

Quindi è la libertà dell’uomo, con le sue scelte di bene o male che decide dell’esito delle sue azioni e di conseguenze delle strutture a cui si dà vita; nel caso in cui il cuore dell’uomo è dominato dal male, l’esito non può essere che “strutture di peccato”.

Di conseguenza, fondamentale è una umanità rinnovata che sappia gestire le risorse umane, comprese quelle economiche, con una nuova modalità, ossia in prospettiva del bene comune. Non più quindi strutture di peccato, ma strutture della grazia. Ma questo è possibile soltanto se l’uomo accetta di essere redento dalla Misericordia.

Particolare della Pala di Sant’Ilario, dipinta nel 1393 e situata sopra l’altare all’interno della Porziuncola
Particolare della Pala di Sant’Ilario, dipinta nel 1393 e situata sopra l’altare all’interno della Porziuncola

Se l’uomo peccatore costruisce strutture di peccato, colui che si lascia redimere diventa capace – con la grazia di Dio – di costruire strutture di bene, ossia quel mondo riconciliato testimoniato dallo stesso frate Francesco nel Cantico di frate sole. Come il male personale produce “strutture di peccato”, solo da un cuore purificato possono nascere “strutture di pace”, come ricordato da Giovanni Paolo II nella memorabile Giornata interreligiosa di pellegrinaggio, digiuno e preghiera per la pace dell’ottobre 1986.

Di conseguenza, qualsiasi atto penitenziale è importante, qualora si voglia vincere il male. Tutto ciò conduce a riconoscere nuovamente la preziosità del rinnovamento nella misericordia che san Francesco richiese al Signore presso la Porziuncola e che è origine di un vero e proprio “spirito del perdono di Assisi”.

Sempre Benedetto XVI nel dicembre 2012, come per rispondere a obiezioni circa l’efficacia pratica della preghiera e purificazione del cuore davanti alle grandi problematiche mondiali, ha affermato: “Sono problemi che, certo, non possono essere risolti semplicemente mediante la religiosità, ma lo possono ancor meno senza quella purificazione interiore dei cuori che proviene dalla forza della fede, dall’incontro con Gesù Cristo”.

Papa Francesco nella recente enciclica Laudato si’ scrive: “Ricordiamo il modello di san Francesco d’Assisi per proporre una sana relazione con il creato come una dimensione della conversione integrale della persona. Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro”.

Proprio in vista di tale urgente conversione integrale vi sarà tra poco il Giubileo della Misericordia, che, grazie a san Francesco, si può già pregustare festeggiando il Perdono di Assisi. E tutto ciò è speranza fondata sulla certezza che la parola ultima è la misericordia, che compie la giustizia e che aiuta a non cedere alla tentazione della disperazione.

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Con disponibilità e discrezione https://www.lavoce.it/con-disponibilita-e-discrezione/ Thu, 23 Jul 2015 07:54:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39756 Il monastero Ss. Annunziata
Il monastero Ss. Annunziata

Nel borgo antico di Todi, nel cuore dell’Umbria, si trova il monastero Ss. Annunziata, dal 1600 fino alla prima metà del 1900 monastero di clausura delle Serve di Maria, poi trasformato in casa per ferie dalle suore Serve di Maria Riparatrici. Qui attualmente vive e opera una comunità di tre suore, coadiuvate nel servizio di accoglienza da personale laico.

Nel 2010 Papa Benedetto XVI riconosceva le virtù eroiche di madre Maria Elisa Andreoli, fondatrice della congregazione, che, agli inizi del 1900 a Vidor (Treviso) vede realizzata l’ispirazione di vivere al femminile la spiritualità dell’Ordine dei Servi di Maria, di cui Maria ai piedi della croce è l’immagine conduttrice. Con totale fiducia nella divina Provvidenza e attenta ai segni dei tempi nei vari momenti della storia, madre Elisa non esita a rispondere a ogni appello dell’umanità sofferente che richieda la presenza e il servizio delle sue suore.

Profondamente inserita nella Chiesa, la congregazione, composta da una sessantina di comunità religiose, si diffonde dal Nord al Sud dell’Italia e oltre, nei luoghi di missione più bisognosi di aiuto spirituale, morale e materiale: dapprima nell’Acre-Purus (Brasile) poi in Argentina, Bolivia, Portogallo, Albania, Filippine, Costa d’Avorio, Togo, Perù, Messico, dove attualmente tante sorelle svolgono la loro missione a servizio di Dio e dell’uomo, impegnate nell’evangelizzazione e nella promozione umana nelle scuole, con i giovani e le famiglie e, in campo socio-sanitario, tra gli infermi, gli anziani, i carcerati.

Nel carisma dei Servi di Maria, le Serve di Maria hanno accolto la “riparazione mariana” – portata dalla serva di Dio suor Maria Dolores Inglese – che diventa uno degli elementi costitutivi della spiritualità della congregazione. È un ideale a misura di ogni persona interpellata a cooperare all’azione redentiva di Cristo con atteggiamento umile e semplice, ed è un impegno a riparare con la preghiera e l’azione il danno che il peccato reca all’edificazione del Regno; ideale riproposto con rinnovata formulazione nei vari momenti e situazioni della vita per essere accanto alle tante croci di ogni fratello e sorella che soffrono.

Suor M. Sebastiana Posati
Suor M. Sebastiana Posati

Nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto nel dopoguerra, il carisma si è posto a servizio degli orfani, delle famiglie, degli ammalati. Oggi si vuole dare risposta ad alcune delle piaghe della nostra società: il recupero di donne sfruttate e in pericolo morale e fisico, o dare sostegno e fiducia ai genitori di giovani con disturbi alimentari in cura presso l’istituto Francisci di Todi, ospiti privilegiati della nostra casa.

L’accoglienza è una caratteristica che in questo luogo ha radici lontane ed è l’attività principale del monastero; è rivolta con disponibilità e discrezione a persone singole, a famiglie, a gruppi per ritiri spirituali, per sessioni di studio e convegni o semplicemente per una sosta nel pellegrinaggio ai tanti “luoghi santi“ della nostra Umbria.

La bellezza paesaggistica della città medievale e della casa, ricca di arte e di storia, aiuta gli ospiti a ritrovare lo spazio e il tempo per la riflessione e la preghiera, in un’atmosfera riposante e di silenzio. Con l’atteggiamento dei servi ai quali Maria santissima, a Cana, ha detto “fate quello che Lui vi dirà”, accogliamo la sollecitazione di Papa Francesco: “Svegliate il mondo”! Voglia il Signore che, come a Cana, la nostra povera acqua si cambi in vino nuovo, per donare gioia e speranza a chi avviciniamo nel nostro quotidiano.

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La grazia dell’Essenziale https://www.lavoce.it/la-grazia-dellessenziale/ Thu, 25 Jun 2015 08:51:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36589 Nella lectio brevis della lodi del giovedì della XII settimana del Tempo ordinario, l’apostolo Pietro – o chi per lui – ci chiede che “ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1 Pt 4,10). Bellissimo.

C’era fino a pochi anni fa in Argentina, a Buenos Aires, un bravo uomo di Chiesa, un gesuita, che di grazie ricevute ne aveva una molto particolare, e la spendeva girando con la sua utilitaria, o anche in tram, per la sua enorme metropoli, e inevitabilmente scegliendo come meta preferenziale delle sue peregrinazioni le favelas che la circondano, quasi una corona di miseria a incoronare l’egoismo dei ricchi che sulla miseria ridono e prosperano.

Poi quel bravo gesuita venne lanciato dallo Spirito, con una rapidità del tutto inusuale, che subito si tramutò in simpatia infinita, sulla Cattedra di san Pietro, ai vertici della Chiesa. Un Chiesa in crisi profonda, che non per bocca del solito acido mangiapreti, ma per bocca di Benedetto XVI denunciava l’immane sofferenza causata dalla sporcizia che si annidava proprio in quei vertici.

“Sporcizia”. Che cosa ha fatto Papa Francesco in questi due anni e mezzo? In genere vengono colti in lui gli atteggiamenti “simpatici”: la scarpa ortopedica, la borsa da viaggio, gli scapaccioni ai cardinali che, invece di aiutarlo, perpetuano l’immagine di una Chiesa frivola e ciarliera…

Gnaffe. C’è dell’altro in Papa Bergoglio. Lui, alla fine dei conti, non ha fatto niente di più che recuperare la linea essenziale che la fede offre a chi vuole capire cosa è successo dal Big Bang a oggi. Be-rescìt [in principio] Dio caricò l’infinita grandezza del futuro nell’infinita piccolezza del primum mundi, e l’espansione dell’universo prese a galoppare, omogenea ma anche con qualche salto di qualità.

E proprio al primo salto di qualità apparimmo noi, con la nostra libertà e i capitomboli ai quali essa inevitabilmente ci espone. Ne combinammo d’ogni erba un fascio. Fu allora che Dio ebbe misericordia di noi: la misericordia è l’unica possibile risposta di Dio davanti alla miseria. L’ha attirato non la nostra ricchezza interiore, della quale in verità non abbiamo mai potuto vantarci, ma solo la nostra costituzionale povertà. L’ha fatto per noi, ma non è bastato.

Allora ha sostituito il per con il con. Ed è allora che è apparso Gesù accanto a ogni uomo, accanto alla sua coscienza, a ogni coscienza, ai miliardi di coscienze che sono tutte ugualmente in dialogo con lui. Su questo quadro essenziale deve muoversi il cristiano. Tanto più il Papa, impegnato più di tutti, secondo l’esortazione della Prima lettera di Pietro, a mettere la grazia ricevuta al servizio degli altri.

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I temi della nuova enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” https://www.lavoce.it/i-temi-della-nuova-enciclica-di-papa-francesco-laudato/ Thu, 18 Jun 2015 18:12:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36289 paesaggio-creato-cmykLaudato si’, mi’ Signore, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Si apre con queste parole l’enciclica di Papa Francesco dedicata all’ecologia, appena uscita (Clicca qui per il testo integrale).

“Questa sorella – prosegue Bergoglio – protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi”.

Il rimedio che il Papa offre a questa “malattia” viene anticipato fin dall’inizio: “Non voglio procedere in questa enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità” (n. 10).

In questa luce, rivolge “un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale” (n. 14).

Francesco elenca quindi i problemi ecologici più urgenti: inquinamento e cambiamenti climatici, la questione dell’acqua, la perdita di “biodiversità”, ma anche il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, la “inequità” planetaria. A fronte di tutto questo, “degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente” (n. 54).

Il secondo capitolo, Il Vangelo della creazione, si apre con una precisazione piuttosto insolita per un Papa: “Perché inserire in questo documento, rivolto a tutti le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?” (n. 62). “Sono consapevole – prosegue – che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante (…). Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe”.

L’enciclica approfondisce quindi “la radice umana della crisi ecologica”. “La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano (…). È anche capace di produrre il Bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il ‘salto’ nell’ambito della bellezza” (n. 103). “Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso Dna e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere” (n. 104).

Ma “il problema fondamentale è un altro, ancora più profondo: il modo in cui di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme a un paradigma omogeneo e unidimensionale” (n. 106). Si tratta del “metodo scientifico con la sua sperimentazione, che è già esplicitamente una tecnica di possesso, dominio e trasformazione”. In sostanza, “nella Modernità si è verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali. Per questo è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo” (n. 116). E perfino “una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo”.

Si rende perciò necessaria – riprendendo un concetto caro a Benedetto XVI – una “ecologia integrale (…) che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali (…). Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato” (inizio del cap. 4).

È un rimando al concetto di bene comune, che “presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili, ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi, risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della società” (n. 157).

Che fare, in concreto? “Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione (…). Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico” (n. 180). E ancora: “È indispensabile la continuità, giacché non si possono modificare le politiche relative ai cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente ogni volta che cambia un Governo” (n. 181).

“Questo non significa opporsi a qualsiasi innovazione tecnologica che consenta di migliorare la qualità della vita di una popolazione. Ma, in ogni caso, deve rimanere fermo che la redditività non può essere l’unico criterio da tenere presente” (n. 187).

Il cristianesimo, non solo il Poverello di Assisi, qui ha molto da offrire: “La grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di rinnovare l’umanità” (n. 216). “La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo (…). Si tratta della convinzione che ‘meno è di più’” (n. 222).

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Più forte della morte https://www.lavoce.it/piu-forte-della-morte/ Thu, 18 Jun 2015 10:19:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36193 "Il figlio della vedova di Nain resuscitato da Cristo". Scena tratta dal film "La vita di Gesù Cristo"
“Il figlio della vedova di Nain resuscitato da Cristo”. Scena tratta dal film “La vita di Gesù Cristo”

La 19a udienza generale sul tema della famiglia, mercoledì, Papa Francesco l’ha incentrata sul tema del lutto, prendendo “direttamente ispirazione dall’episodio narrato dall’evangelista Luca che abbiamo appena ascoltato (Lc 7,11-15). È una scena molto commovente, che ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre – in questo caso, una vedova che ha perso l’unico figlio – e ci mostra anche la potenza di Gesù sulla morte”.

La morte – ha proseguito – “fa parte della vita. Eppure, quando tocca gli affetti familiari, non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante… La morte che porta via il figlio piccolo o giovane è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tante volte vengono a messa a Santa Marta genitori con la foto di un figlio, di una figlia, bambino, ragazzo, ragazza… e lo sguardo è tanto addolorato”.

“Tutta la famiglia – ha soggiunto – rimane come paralizzata, ammutolita. E qualcosa di simile patisce anche il bambino che rimane solo per la perdita di un genitore, o di entrambi. La domanda: ‘Dov’è il papà? Dov’è la mamma? – È in cielo – Ma perché non lo vedo?’, questa domanda copre d’angoscia il cuore del bambino che rimane solo… Cosa rispondere quando il bambino soffre? Così è la morte in famiglia.

In questi casi la morte è come un buco nero che si apre nella vita delle famiglie, e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione. A volte si giunge perfino a dare la colpa a Dio. Quanta gente – io li capisco – si arrabbia con Dio, bestemmia: ‘Perché mi hai tolto il figlio, la figlia? Ma Dio non c’è, Dio non esiste! Perché ha fatto questo?’”.

“Ma la morte fisica – ha commentato Francesco – ha dei ‘complici’ che sono anche peggiori di lei, e che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia. Insomma, il peccato del mondo che lavora per la morte, e la rende ancora più dolorosa e ingiusta. Gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo”.

La fede tuttavia apre a un diverso orizzonte: “Nel popolo di Dio, con la grazia della Sua compassione donata in Gesù, tante famiglie dimostrano con i fatti che la morte non ha l’ultima parola: questo è un vero atto di fede. Tutte le volte che la famiglia nel lutto, anche terribile, trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. ‘Dio mio, rischiara le mie tenebre!’ è l’invocazione della liturgia della sera.

Nella luce della risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo pungiglione, come diceva l’apostolo Paolo ( 1 Cor 15,55); possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio.

In questa fede possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte. I nostri cari non sono scomparsi nel buio del Nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando ‘non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno’ (Apocalisse 21,4).

Se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami familiari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza. Nascere e rinascere nella speranza, questo ci dà la fede…

Questa fede ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana ‘non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna’” (Benedetto XVI, Angelus del 2 novembre 2008).

“Oggi – ha concluso – è necessario che i Pastori e tutti i cristiani esprimano in modo più concreto il senso della fede nei confronti dell’esperienza familiare del lutto. Non si deve negare il diritto al pianto… Possiamo piuttosto attingere dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti. Il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte.

È di quell’amore, è proprio di quell’amore, che dobbiamo farci complici operosi, con la nostra fede. Ricordiamo quel gesto di Gesù: ‘E Gesù lo restituì a sua madre’. Così farà con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi. Essa è sconfitta dalla croce di Gesù”.

 

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Una spiritualità nata per te https://www.lavoce.it/una-spiritualita-nata-per-te/ Tue, 09 Jun 2015 15:28:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35168 La Mostra Itinerante “Nata per Te” allestita nella chiesa di S. Valentino a Terni
La Mostra Itinerante “Nata per Te” allestita nella chiesa di S. Valentino a Terni

In occasione dei 500 anni di nascita di santa Teresa d’Avila (1515-1582), grande mistica e Dottore della Chiesa, nonché patrona di Spagna, per ricordare la sua eredità spirituale, culturale, umana è in corso a Terni il Festival della spiritualità teresiana “Teresa tra azione e contemplazione” che, inauguratosi a gennaio, si concluderà a ottobre.

Il festival è stato ideato e organizzato dalla basilica carmelitana di San Valentino di Terni, dal Centro culturale valentiniano, dall’Università di Perugia (dipartimento di Economia, sede di Terni), in collaborazione con diverse associazioni.

Attraverso un percorso interdisciplinare, interculturale e di genere, si vuol dare una lettura moderna di santa Teresa d’Avila, ovvero in chiave di ricomposizione della sua figura come un mix di azione e contemplazione, che può quindi essere di esempio, in ogni tempo, sia per i credenti che per i non credenti.

In questa cornice interpretativa, si inscrive la capacità di santa Teresa non solo di aver pensato una mistica non “fuori dal mondo” ma impegnata nel mondo perché “cristocentrica, esperienziale, evangelizzatrice e missionaria”, ma anche di aver coerentemente creato l’Ordine delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi, che rispecchia il suo credo; e di aver realizzato la fondazione, in meno di venti anni in tutta la Spagna, dei relativi conventi (17 femminili e 2 maschili).

Il personaggio di Teresa d’Avila è esaminato sotto vari profili che ne rivelano l’innovatività spirituale, l’eclettismo, il pragmatismo. La riflessione su Teresa è stata sviluppata dal punto di vista spirituale nelle conferenze su “Teresa e l’amore”; “Teresa e l’orazione come amicizia con Gesù”; “Teresa tra azione e contemplazione”. In settembre si terranno quelle su “Teresa e le diversità: mistica teresiana e mistica orientale a confronto”; “Teresa e i sensi spirituali”.

Poi, dal punto di vista della specificità femminile del suo magistero filosofico e sociologico, l’ultima rotonda rotonda su “Teresa e l’arte del condividere” prevede anche la lettura della testimonianza di suor Emanuela Ghini, fine letterata e biblista, del carmelo di Savona.

Dal punto di vista culturale e socio-economico, chiuderà in ottobre il festival la riflessione su “Economia e teologia: un difficile connubio. Tracce di ‘economia civile’ nel magistero di Teresa?” che avrà come protagonista il prof. Stefano Zamagni, illustre economista, collaboratore di Papa Benedetto XVI per la stesura dell’enciclica Caritas in veritate , e recentemente nominato da Papa Francesco membro ordinario della Pontificia accademia delle scienze.

L’attualizzazione della spiritualità e dell’opera di santa Teresa d’Avila è stata realizzata secondo una pluralità di voci e di approcci, a cui non poteva naturalmente mancare il versante artistico. Si ricorda la proiezione in marzo del film spagnolo Teresa de Jesus di Juan de Orduña, che non era mai stato portato sul grande schermo in Italia; il concerto di gennaio, a cura dell’associazione Talenti d’arte, “Un omaggio a Maria nel segno di Teresa”, in cui sono state interpretate le più belle Ave Maria della tradizione lirica italiana e straniera.

Sempre in ambito musicale, questa volta su un registro più moderno, sono previsti altri due concerti: il 20 giugno “Opere e poesie di Teresa in concerto” a cura di Vittorio Gabassi; e martedì 14 luglio “ Ave Maris Stella ” dedicato alla Madonna del Carmelo da parte del gruppo musicale Kralica Mjra di Vittorio Gabassi.

La mostra nazionale itinerante “Nata per te”, realizzata dalla provincia dei Carmelitani Scalzi dell’Italia centrale, è arrivata in maggio anche nella basilica di San Valentino di Terni, proponendo un viaggio all’interno della spiritualità teresiana avendo come guida Teresa stessa, la quale ha  “direttamente” parlato ai visitatori attraverso pannelli e installazioni appositamente create per sollecitare in maniera interattiva il visitatore a interrogarsi sulla presenza di Dio nella propria vita.

L’auspicio è che, alla fine del festival, si riesca a far comprendere appieno che Teresa d’Avila è una “vera maestra di vita” a tutto tondo. A distanza di secoli può, da un lato, trasmetterci tanti insegnamenti spirituali per migliorare – senza perdere di vista l’orizzonte comunitario – il nostro “cammino di perfezione” individuale in vista di una vita da condurre in un’atmosfera di gioia, pace, verità e amore; dall’altro, può infonderci dinamicità e forza per agire, in senso caritatevole nel mondo, all’insegna di una vita attiva, feconda e realizzatrice.

 

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Tra Benedetto XVI e Paolo VI https://www.lavoce.it/tra-benedetto-xvi-e-paolo-vi/ Wed, 12 Nov 2014 12:12:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28934 SigismondiMi hanno profondamente commosso le parole che Papa Francesco ha dedicato al suo predecessore nel discorso alla plenaria della Pontificia accademia delle scienze, tenuto il 27 ottobre scorso. “Benedetto XVI – ha detto – è stato un grande Papa. Grande per la forza e penetrazione della sua intelligenza, grande per il suo rilevante contributo alla teologia, grande per il suo amore nei confronti della Chiesa e degli esseri umani, grande per la sua virtù e la sua religiosità. Il suo amore per la verità non si limita alla teologia e alla filosofia, ma si apre alle scienze (…). Di lui non si potrà mai dire che lo studio e la scienza abbiano inaridito la sua persona e il suo amore nei confronti di Dio e del prossimo, ma al contrario, che la scienza, la saggezza e la preghiera hanno dilatato il suo cuore e il suo spirito”.

Queste parole danno voce ai gesti con i quali Papa Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato, circonda di venerazione Benedetto XVI che, liberamente, si è messo in disparte restando nel “recinto di San Pietro” per “servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la santa Chiesa di Dio”. Partecipando al rito della beatificazione di Paolo VI, sono stato testimone oculare del forte abbraccio tra Francesco e Benedetto. Il Papa emerito, entrato in piazza San Pietro poco prima dell’inizio della celebrazione eucaristica, è stato salutato dal mormorio commosso della folla che, subito, si è fatto applauso dirompente.

Saluto tra Papa Francesco e Benedetto XVI nel giorno della beatificazione di Paolo VI
Saluto tra Papa Francesco e Benedetto XVI nel giorno della beatificazione di Paolo VI

Quando Papa Francesco è giunto sul sagrato della basilica di San Pietro, Benedetto XVI si è alzato in piedi quasi di scatto, per esprimere al Vescovo di Roma la sua “incondizionata reverenza e obbedienza”, lasciando filtrare nella luminosità dello sguardo non solo l’esultanza del cuore ma anche il riverbero di una luce che solo una vita di preghiera può produrre. Nel vedere da vicino Papa Francesco assieme a Benedetto XVI, ho osato esclamare nell’intimo del cuore: “Ecco Pietro e Paolo!”. Con la mente assorta in questo pensiero ho sollevato lo sguardo verso l’immagine, ancora velata, del nuovo Beato, appesa alla loggia centrale della basilica vaticana, e mi sono tornate alle mente sia le pagine dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium nella quale Papa Francesco fa appello al magistero montiniano, sottolineandone la portata profetica, sia il testo di un’omelia tenuta dal card. Joseph Ratzinger nella cattedrale di Monaco di Baviera qualche giorno dopo la morte di Paolo VI.

In essa egli osserva che Papa Montini “ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente: ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità”, davanti alla quale “ha termine il principio democratico, che non può costituire l’ultima istanza di fronte al peso della Tradizione”. Che la ricerca sincera della verità non si ispiri ai criteri della democrazia parlamentare, ma allo Spirito santo che è principio e anima del sensus fidei dei fedeli e del munus docendi dei pastori, lo ha ribadito con forza Papa Francesco a conclusione della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, mettendo in guardia da alcune tentazioni come l’irrigidimento ostile o, al contrario, il buonismo distruttivo. “Nessuna delle due tipologie – avverte Papa Francesco – è testimone dell’amore di Dio, perché in entrambi i casi non ci si fa carico del peccatore, ma lo si scarica.

Il rigorista lo inchioda alla freddezza della legge; il lassista invece non lo prende sul serio, e così addormenta la coscienza del peccato”. Per resistere a queste tentazioni occorre mettere davanti ai propri occhi il bene della Chiesa: la suprema lex della salus animarum.

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Spirito di Assisi: dialogo senza equivoci https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-dialogo-senza-equivoci/ https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-dialogo-senza-equivoci/#comments Thu, 30 Oct 2014 14:33:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28790 Da 28 anni, ogni anno, si è ricordato il famoso incontro delle religioni per la pace ad Assisi. Anche quest’anno. Il giorno dell’arcobaleno, della cessazione di ogni focolaio di guerra. Una giornata eccezionale, 27 ottobre 1986. Come disse Giovanni Paolo II era la prima volta nella storia che le religioni si ritrovavano insieme a pregare per la pace secondo propri riti, in intima comunione di amicizia e rispetto. Nel 2011 Papa Benedetto XVI ha ricordato quell’evento nel suo 25° anniversario. I due Pontefici nei loro discorsi conclusivi hanno ribadito con profonda convinzione – e applauditi per questo – l’urgenza che le religioni, i credenti e i loro capi assumessero la responsabilità di essere “araldi della pace”, “costruttori della pace”, “testimoni credibili della pace”, “maestri della pace”. La Comunità di Sant’Egidio in questi anni ha portato tale messaggio in tante città del mondo. Gli umbri e Assisi in particolare sono i primi a essere interessati a conservare la memoria di questo evento, date le condizioni in cui versa l’umanità. È anche importante ricordare che tutto questo è stato chiamato dallo stesso san Giovanni Paolo II “lo spirito di Assisi”, in quanto si ispira alla vita e al messaggio di san Francesco e santa Chiara, modelli di mitezza, santità e grazia.

Il 27 ottobre pertanto dovrebbe essere considerato un giorno sacro, da celebrare con un rinnovato senso di ricerca e di testimonianza nel segno della preghiera, del digiuno e del pellegrinaggio; giorno di tutti gli “uomini di Dio” per la pace. Molte organizzazioni religiose e pacifiste hanno preferito dedicare questo giorno al dialogo tra cristiani e musulmani. La mia opinione è che si tratti di una forzatura riduttiva ed equivoca. Il necessario dialogo con l’Islam richiede un’attenzione particolare in questo periodo, dopo il crollo delle Torri gemelle, dopo Al Qaeda, il Califfato e soprattutto dopo la comparsa dello Stato islamico (Isis), mentre le grandi nazioni musulmane tacciono sulle atrocità compiute con motivazione religiosa, tutto, sacrilegamente, in nome della fede in Dio, clemente e misericordioso. Certo, vi sono musulmani in Europa che conosciamo e rispettiamo e accogliamo nei nostri ambienti, cui diamo parola e cattedra, che si dicono e sono contrari ad ogni forma di violenza; amano la pace e sostengono che l’Islam è per la pace. Anche se, va detto, il simbolo dell’Islam non è il ramoscello d’olivo ma la spada di Maometto. Essere per la pace vuol dire – anche per noi cristiani che ci siamo combattuti in guerre feroci – convertirsi religiosamente e culturalmente. Ai cristiani il Vangelo ammonisce: “Amate i vostri nemici”. Con questa parola nel cuore si deve pur essere capaci di dialogare senza rinunciare ad esercitare profezia e parresìa, e conoscendo meglio, non per sentito dire, la religione e la cultura dell’immensa famiglia musulmana e ciò che tale cultura comporta per un dialogo vero e per la convivenza pacifica in un mondo globale.

Cambiare il senso del 27 ottobre in un semplice dialogo nel quale (come succede spesso anche dalle nostre parti) i cristiani danno parola e pulpito ai musulmani accettando supinamente le loro affermazioni diplomatiche, mi pare fuori luogo. Si può e si deve fare un dialogo con i musulmani, ma non ponendo la sordina sullo “spirito di Assisi” che ha ben altro respiro e orizzonte. In questo dialogo si deve accogliere la persona, rispettare la fede professata, e tuttavia chiarire che c’è ignoranza e presunzione nel considerare – da parte musulmana – il cristianesimo come una “preparazione” verso la religione universale e conclusiva della storia, che sarebbe appunto rivelata nel Corano, disceso dal cielo per volere divino e affidato al profeta Muhammad. Liberi loro di professare e diffondere la loro fede, e liberi noi di dire che oggi, in nome di tale fede, vengono compiute violenze e stragi.

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Che fine ha fatto l’impegno sociale dei cattolici? https://www.lavoce.it/che-fine-ha-fatto-limpegno-sociale-dei-cattolici/ Tue, 28 Oct 2014 18:24:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28697 Mons. Giuseppe Chiaretti
Mons. Giuseppe Chiaretti

A rileggere i quattro fortissimi “no” o i sei “dà fastidio che si parli…” di Papa Francesco nella sua prima esortazione programmatica Evangelii gaudium (nn. 53-60 e n. 203), e a riascoltare quella sua decisa denuncia del diffuso “cancro sociale, che è la corruzione, profondamente radicato nei governi, nell’imprenditoria, nelle istituzioni, qualunque sia l’ideologia politica dei governanti” (n. 60), si rimane sorpresi, addirittura scioccati; ma rimane implicita una forte perorazione a “darsi una mossa”.

Torna alla mente la grande tradizione cristiana della dottrina sociale elaborata da Papi – a cominciare da Leone XIII fino a san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – e da laici – il Toniolo e i grandi politici del primo dopoguerra, da Alcide De Gasperi a tutti i suoi amici dell’Azione cattolica -, i quali ultimi, forti di ben radicati valori umani e cristiani, hanno recuperato un’Italia distrutta e disonorata e l’hanno fatta grande. E oggi? Intimoriti dalle interessate e stupide accuse comuniste e laico-massoniche alla Chiesa “che fa politica”, ci siamo ritirati nelle nostre canoniche a dire rosari, ed è gradatamente venuta meno la formazione culturale e sociale di un laicato che sappia impegnarsi oggi, in maniera incisiva e competente, nel settore sociale e politico, quasi lasciando che i problemi si ‘risolvessero automaticamente’. Perfino i movimenti ecclesiali, che si sono intanto aggiunti all’Ac, sono rimasti a guardare, come se la fede avesse poco da dire sul piano sociale. Tornano invece alla mente figure di laici cristiani di oggi che hanno operato da credenti come meglio hanno saputo fare, sia nell’uno come nell’altro versante.

Alcide-De-GasperiMi sia consentito rievocare brevemente la figura di un moderno capitano d’industria, recentemente scomparso, l’ing. Valter Baldaccini di Cannara, patròn della Umbria Cuscinetti di Foligno (principale fornitrice della Boeing tedesca), che ha preso in mano un’azienda sulla via del fallimento e l’ha portata a livelli di eccellenza, procurando lavoro a molti operai e pane a tante famiglie. Nella sua esperienza ha seguito le motivazioni che gli venivano dalla spiritualità focolarina con le iniziative sociali proprie di una “economia di comunione”, cui si ispira la scuola sociale di quel movimento promossa dai prof. Zamagni e Bruni.

Certi momenti di crisi, ad esempio, sono stati superati allargando agli operai lo spazio della responsabilità nella guida dell’azienda. Con la salvaguardia e lo sviluppo del lavoro c’è stata anche l’apertura alle necessità dei poveri, aiutando sistematicamente non solo istituzioni italiane, ma anche iniziative in nazioni in via di sviluppo. A Baldaccini capitò magari in Africa di essere ospitato per una notte in un pollaio (era l’unico ambiente ‘decente’!) mentre andava a portare aiuti a orfanotrofi e ad altre situazioni di bisogno. Non c’è poi da meravigliarsi se, alla sua morte, vi sia stata una sorta di “canonizzazione laica”, con il ricordo del suo valore di intelligente e onesto capitano di industria aperto al futuro, ma anche delle sue iniziative a favore dei più bisognosi. Il riconoscimento dei suoi meriti professionali e delle motivazioni di fede che lo sostenevano è giunto anche dal partner laico, il vice presidente della società tedesca associata, la Boeing. Valga questo ricordo a stimolare ulteriormente l’impegno coerente e forte dei cristiani nel mondo sociale e politico, soprattutto in questo nostro tempo in cui lobby ben note si sono scatenate senza più alcun ritegno in ogni ambito del vivere sociale – si pensi alle tematiche della vita e della famiglia.

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“Famiglia, chi sono io per te?” https://www.lavoce.it/commento-al-vangelo-24/ Thu, 26 Jun 2014 14:15:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25801 L’evangelista Matteo situa questo brano “nella regione di Cesarea di Filippo” al Nord, ai margini di Israele. Luogo ritenuto pagano dagli ebrei dove veniva adorato, tra gli altri, il dio Pan, e la grotta a lui dedicata era considerata la porta del regno di Satana. Proprio qui, in luogo “ostile”, Gesù chiede ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”.

Oggi non siamo in un luogo così ostile, ma questa domanda è ancora ineludibile. Oggi sentiamo parlare tanto di Gesù, non passa giorno che sui quotidiani o nei Tg non ci siano pagine o servizi dedicati a temi religiosi, esistono in tutte le librerie interi scaffali su questo tema. Persino i Tir hanno enormi ritratti di Gesù (o di padre Pio) sui portelloni posteriori. Alcuni anni fa non era così. Oggi sono più gli “interessati” che gli “ostili” rispetto a Gesù, ma la sua figura è alla stessa stregua dei grandi personaggi storici, magari santi (Ghandi, Martin Luther King, Confucio, Madre Teresa).

Siamo probabilmente nella stessa condizione dei tempi di Gesù, e ancora oggi potremmo rispondere: “… alcuni Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora Geremia o uno dei profeti” (Mt 16,14). È certo che i nostri contemporanei sono per la maggior parte alla ricerca di un senso della propria vita, ma sempre più spesso vediamo che la risposta la trovano in un “credo” che miscela e mette sullo stesso piano la vita, i gesti e gli scritti di uomini, santi, dèi e Dio, da cui prendere quello che più piace ed è utile in quel momento per dare una sorta di sicurezza e un vago senso di rassicurazione. Non credono, sopra a tutti, nel “Cristo, Figlio del Dio vivente” (16,16) che irrompe nella vita, cambiandone le leggi che finora l’avevano regolata. Questo Gesù rimane sul piano storico, senza diventare “Signore” della vita.

La venuta del Figlio dell’uomo questo ha fatto: ha segnato la fine di una vita fatta di regole per iniziare una vita regolata solo dall’Amore donato da colui che per primo ci ha amati (1Gv 4, 10). “Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un ‘comandamento’, ma è la risposta al dono dell’amore con il quale Dio ci viene incontro” (Benedetto XVI, Deus caritas est).

La seconda domanda è quella che ci riguarda da vicino: “Voi chi dite che io sia?” (v. 15). È Gesù che oggi a ognuno di noi chiede: “Tu chi dici che io sia? Chi sono per te?”. Questa è la domanda del cristiano. Possiamo in coscienza affermare con Pietro: “Tu sei il Cristo”, ovvero tu sei proprio colui che doveva venire e sei Figlio del “Dio vivente”? (v. 16). Ci piace tradurre quel “voi” come se la domanda fosse rivolta anche alla comunità fondamentale, alla famiglia. Per la mia famiglia, chi è Gesù? Quale posto occupa? Lo presento ai miei figli, ai loro amici, ai miei amici? È vivo, o resta relegato in qualche immaginetta o simbolo che porto appeso al collo? Lo vivo o ne scrivo alcune belle frasi a effetto su Facebook? Dobbiamo stare attenti, perché molti dei vizi della “gente” (v. 13) sono assolutamente nostri vizi.

Vorremmo però proporre una terza domanda, che nasce dal mettere insieme le due. Come abbiamo presentato Gesù, noi che ci dichiariamo cristiani? Cosa abbiamo raccontato di lui? Ci sembra che l’immagine che presentiamo del Cristo abbia perso un po’ il sapore, con il rischio che possa essere gettato via come il “sale che ha perso il suo sapore” (Mt 5,13). Non possiamo tralasciare però alcuna parte di ciò che Gesù dice a Pietro: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.

Questo ci rammenta che la fede è un dono dato a tutti, che l’uomo può accogliere far crescere e poi testimoniare. Compito della comunità è quello di stimolare questo “sì” a Cristo. Come per la centralità dell’eucaristia della scorsa settimana, così oggi dobbiamo essere convinti della centralità di Gesù. La seconda parte – ecclesiologica – ci ricorda questo: Pietro è la pietra su cui è costruita la Chiesa (v. 18), ma la “pietra angolare” (Ef 2,20) resta Gesù, la roccia su cui è costruita la casa (Mt 7,24-27): lettura tanto utilizzata negli incontri in preparazione al matrimonio e nelle celebrazioni nuziali. Non siamo noi la pietra angolare, e neppure Pietro, ma qualcosa che esiste indipendentemente e prima di noi, ed è Dio nella sua natura trinitaria.

Il Papa, i vescovi, ogni cristiano, sono un tassello importante e contribuiscono in diversi modi alla tenuta dell’edificio, se si resta aggrappati con quanta più forza e fede possibile alla roccia madre.

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Papa Francesco in Terra Santa. Dove c’è sofferenza ha lasciato segni di pace https://www.lavoce.it/papa-francesco-in-terra-santa-dove-ce-sofferenza-ha-lasciato-segni-di-pace/ Fri, 30 May 2014 18:44:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25188

Papa-betlemme-bnDiverse sono le ragioni che hanno reso straordinario il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa. È già di per sé un evento importante che Pietro sia di nuovo tornato nei luoghi da dove il primo degli apostoli era partito millenni fa, ed esattamente 50 anni dopo la visita di Paolo VI, primo tra i Papi a compiervi un pellegrinaggio (4-6 gennaio 1964). È importante che Francesco abbia voluto abbracciare l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo I come già Paolo VI aveva scambiato un abbraccio di pace e di reciproca richiesta di perdono con Atenagora, connotando così il suo viaggio come un passo ulteriore nel dialogo ecumenico. Ed è stato ugualmente importante che Francesco abbia voluto incoraggiare i cristiani che vivono in Giordania, nei Territori dell’autonomia palestinese, e in Israele, sottolineando le prove che questi vivono e rivolgendosi con gratitudine anche a quei religiosi e sacerdoti (tra cui anzitutto i francescani della Custodia) che custodiscono i luoghi santi. Ma sono stati anche i fuori-programma che hanno reso le tre giornate di Francesco così speciali. Ne scegliamo due. Anzitutto, l’immagine dei due “muri”. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si erano recati al Muro occidentale (il “muro del pianto”), ribadendo una continuità non solo storica ma soprattutto teologica tra l’ebraismo e il cristianesimo. Ma solo di Papa Francesco rimarrà l’istantanea di una particolarissima preghiera davanti a un altro muro, quello che - anche fisicamente - divide lo Stato di Israele dalla Palestina, e segnala in modo evidentissimo il perdurare di un conflitto. Senza bisogno di pronunciare alcuna parola, Francesco ha posato la mano e il capo su quel blocco di cemento armato che, se da una parte difende gli israeliani da quegli attentati che creavano terrore in Terra Santa, dall’altra però provoca anche altro dolore e separazione. È proprio lì dove si perpetua ogni sofferenza - di qualsivoglia origine politica o ideologica - che Francesco ha voluto lasciare un segno non tanto di accusa, quanto piuttosto di partecipazione: per dire che lì, anche lì, dove un muro di separazione è l’esatto contrario di quanto significato da quell’altro tratto di muro (quello erodiano, che sosteneva l’antico tempio di Dio), proprio lì deve essere annunciato il Vangelo della mitezza, della pace, del perdono. Poi le parole e i gesti allo Yad Vashem. Anche altri Papi avevano pronunciato discorsi al museo della Memoria dello sterminio degli ebrei. Rispetto a quanto aveva detto Papa Ratzinger l’11 maggio 2009 al mausoleo della Shoah (“Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose e imperscrutabili vie”), o ancor prima al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006, centrando soprattutto la questione su Dio e la domanda sulla Sua assenza (“Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”), Papa Francesco ha aggiunto un’ulteriore prospettiva. La domanda di Papa Benedetto veniva da molto lontano, e si era fatta strada già nella seconda metà dello scorso secolo, anche grazie a ebrei come Elie Wiesel o Emil Fackenheim e Martin Buber, o cattolici come il teologo Johann Baptist Metz, i quali ritenevano che, dopo Auschwitz, la teologia dovesse cambiare, anzi era già totalmente cambiata. Ma quella domanda necessitava anche di un’ulteriore sguardo, colto questa volta da Bergoglio. Alla domanda su dove fosse Dio, deve essere affiancata quella sull’uomo. Il teologo Metz scriveva proprio così: “La questione teologica, dopo Auschwitz, non è solo: dov’era Dio ad Auschwitz? È anche: dov’era l’umanità ad Auschwitz? Questa catastrofe ha spezzato le fasce di solidarietà fra tutti coloro che hanno un volto umano”. Papa Francesco ha completato con il suo viaggio la drammatica riflessione che sta svolgendo con tutto il suo magistero a riguardo delle marginalità e le periferie dell’esistenza umana. Ha fatto risuonare a Gerusalemme anche la domanda all’uomo, la domanda originaria che Dio gli rivolge, e che non cessa di interpellare tutti nelle nostre responsabilità: “In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: ‘Adamo, dove sei?’. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: ‘Dove sei?’, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo”. A coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto e sono stati presentati al Papa allo Yad Vashem, Francesco ha baciato le mani, imprimendo con quel gesto, per sempre, tutto quanto si poteva dire o domandare: a Dio e all’Uomo.]]>

Papa-betlemme-bnDiverse sono le ragioni che hanno reso straordinario il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa. È già di per sé un evento importante che Pietro sia di nuovo tornato nei luoghi da dove il primo degli apostoli era partito millenni fa, ed esattamente 50 anni dopo la visita di Paolo VI, primo tra i Papi a compiervi un pellegrinaggio (4-6 gennaio 1964). È importante che Francesco abbia voluto abbracciare l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo I come già Paolo VI aveva scambiato un abbraccio di pace e di reciproca richiesta di perdono con Atenagora, connotando così il suo viaggio come un passo ulteriore nel dialogo ecumenico. Ed è stato ugualmente importante che Francesco abbia voluto incoraggiare i cristiani che vivono in Giordania, nei Territori dell’autonomia palestinese, e in Israele, sottolineando le prove che questi vivono e rivolgendosi con gratitudine anche a quei religiosi e sacerdoti (tra cui anzitutto i francescani della Custodia) che custodiscono i luoghi santi. Ma sono stati anche i fuori-programma che hanno reso le tre giornate di Francesco così speciali. Ne scegliamo due. Anzitutto, l’immagine dei due “muri”. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si erano recati al Muro occidentale (il “muro del pianto”), ribadendo una continuità non solo storica ma soprattutto teologica tra l’ebraismo e il cristianesimo. Ma solo di Papa Francesco rimarrà l’istantanea di una particolarissima preghiera davanti a un altro muro, quello che - anche fisicamente - divide lo Stato di Israele dalla Palestina, e segnala in modo evidentissimo il perdurare di un conflitto. Senza bisogno di pronunciare alcuna parola, Francesco ha posato la mano e il capo su quel blocco di cemento armato che, se da una parte difende gli israeliani da quegli attentati che creavano terrore in Terra Santa, dall’altra però provoca anche altro dolore e separazione. È proprio lì dove si perpetua ogni sofferenza - di qualsivoglia origine politica o ideologica - che Francesco ha voluto lasciare un segno non tanto di accusa, quanto piuttosto di partecipazione: per dire che lì, anche lì, dove un muro di separazione è l’esatto contrario di quanto significato da quell’altro tratto di muro (quello erodiano, che sosteneva l’antico tempio di Dio), proprio lì deve essere annunciato il Vangelo della mitezza, della pace, del perdono. Poi le parole e i gesti allo Yad Vashem. Anche altri Papi avevano pronunciato discorsi al museo della Memoria dello sterminio degli ebrei. Rispetto a quanto aveva detto Papa Ratzinger l’11 maggio 2009 al mausoleo della Shoah (“Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose e imperscrutabili vie”), o ancor prima al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006, centrando soprattutto la questione su Dio e la domanda sulla Sua assenza (“Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”), Papa Francesco ha aggiunto un’ulteriore prospettiva. La domanda di Papa Benedetto veniva da molto lontano, e si era fatta strada già nella seconda metà dello scorso secolo, anche grazie a ebrei come Elie Wiesel o Emil Fackenheim e Martin Buber, o cattolici come il teologo Johann Baptist Metz, i quali ritenevano che, dopo Auschwitz, la teologia dovesse cambiare, anzi era già totalmente cambiata. Ma quella domanda necessitava anche di un’ulteriore sguardo, colto questa volta da Bergoglio. Alla domanda su dove fosse Dio, deve essere affiancata quella sull’uomo. Il teologo Metz scriveva proprio così: “La questione teologica, dopo Auschwitz, non è solo: dov’era Dio ad Auschwitz? È anche: dov’era l’umanità ad Auschwitz? Questa catastrofe ha spezzato le fasce di solidarietà fra tutti coloro che hanno un volto umano”. Papa Francesco ha completato con il suo viaggio la drammatica riflessione che sta svolgendo con tutto il suo magistero a riguardo delle marginalità e le periferie dell’esistenza umana. Ha fatto risuonare a Gerusalemme anche la domanda all’uomo, la domanda originaria che Dio gli rivolge, e che non cessa di interpellare tutti nelle nostre responsabilità: “In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: ‘Adamo, dove sei?’. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: ‘Dove sei?’, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo”. A coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto e sono stati presentati al Papa allo Yad Vashem, Francesco ha baciato le mani, imprimendo con quel gesto, per sempre, tutto quanto si poteva dire o domandare: a Dio e all’Uomo.]]>
Due grandi collaboratori dello Spirito https://www.lavoce.it/due-grandi-collaboratori-dello-spirito/ Fri, 02 May 2014 13:24:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24642 PapaumbriaNon era mai accaduto, nella storia della Chiesa, che due Papi concelebrassero una cerimonia di canonizzazione di altri due: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Questa domenica della Divina Misericordia – ribattezzata ormai dai media come “il giorno dei quattro Papi” – entrerà nella storia per la scelta di Benedetto XVI di accettare l’invito fattogli dal suo successore di essere presente al rito tra gli 850 cardinali e vescovi concelebranti.

L’immagine dei due Papi che si abbracciano, sotto gli arazzi dei due Papi santi che troneggiano sulla facciata della basilica, ha fatto immediatamente il giro del mondo, rimbalzando sui “social” e attirando l’attenzione dei 2.259 giornalisti accreditati a seguire l’evento, diffuso in mondovisione grazie alle immagini realizzate per la prima volta in 3D dal Centro televisivo vaticano. Papa Francesco, nell’omelia, ha attualizzato la figura dei due Pontefici definendo Giovanni XXIII il santo della “delicata docilità” allo Spirito santo e Giovanni Paolo II il santo della famiglia, sentinella dal cielo sul prossimo Sinodo.

Alle 10.15, Papa Bergoglio ha pronunciato, in latino, la formula solenne di canonizzazione: “Dichiariamo e definiamo santi i beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e li iscriviamo nell’Albo dei santi”. Diventano così 82, in più di duemila anni di storia della Chiesa, i Papi elevati agli onori degli altari.

Roncalli e Wojtyla hanno molto amato Roma, e Roma – divenuta “Capitale del mondo” grazie ai fedeli e pellegrini venuti da tutti i Continenti, che l’hanno raggiunta con ogni mezzo, e anche vegliando nella “notte bianca” organizzata dalla diocesi nelle chiese del centro storico – ha ricambiato con un abbraccio immenso, che sembrava non avere confini, nonostante il tempo freddo e piovoso, insolito per la Capitale in questo periodo.

Il saluto tra Francesco e Benedetto XVI
Il saluto tra Francesco e Benedetto XVI

Almeno 800 mila i fedeli che hanno partecipato alla messa, formando una sorta di “cordone umano” che senza soluzione di continuità, partendo da pazza San Pietro, si è snodato su via della Conciliazione fino al Tevere, passando oltre Castel Sant’Angelo.

E a questo immenso “popolo” Papa Francesco ha reso omaggio al termine della messa quando, dopo aver salutato sul sagrato le 122 delegazioni ufficiali, ha percorso tutto il tragitto citato, prima di rientrare in Vaticano dalla porta del Perugino. Altro momento toccante del rito, la collocazione, accanto all’altare, delle reliquie dei due nuovi Santi: il reliquiario di san Giovanni Paolo II è stato portato dalla miracolata Floribeth Mora Diaz, accompagnata dalla sua famiglia, mentre quello di san Giovanni XXIII dai quattro nipoti, dal sindaco di Sotto il Monte e dal presidente della Fondazione dedicata a Papa Roncalli.

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Quell’impareggiabile Papa “di transizione” https://www.lavoce.it/quellimpareggiabile-papa-di-transizione/ Thu, 17 Apr 2014 12:49:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24532 Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962
Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962

Che Papa Giovanni sia stato “buono” lo dice innanzitutto la bonomia del suo tratto e dei suoi rapporti con tutti, sempre sorridente, pronto a vedere il lato migliore di persone e di avvenimenti, senza furbizie ma anche senza ingenuità. Fu chiamato a succedere al grande Papa Pacelli, Pio XII, all’apparenza inflessibile e rigoroso, il Papa degli anni terribili della guerra e di violenze inaudite. È in questo scenario che Dio fece piovere il Suo segno di misericordia donando non solo alla Chiesa ma all’umanità intera un Papa mite e buono, che dice e fa con semplicità cose grandiose, a cominciare dalla ricercata pace sociale e politica. Tale si rivelò fin da subito Papa Giovanni, assumendo a ragione proprio quel nome, usato ben 22 volte dai predecessori e – se si vuole – piuttosto logoro. Il nuovo “inquilino” lo fece però rivivere in pienezza di significato, riproponendo nei comportamenti l’apostolo prediletto da Gesù, quello che, come il Maestro, diceva cose che sapevano di amore.

Già nella sua prima scelta, Papa Giovanni, figlio e fratello di contadini d’una terra italiana che sa coniugare bene lavoro e serietà di vita con l’amore di Dio, fece capire di che stoffa fosse fatta la sua personalità. Per muoversi a Venezia, sua prima diocesi, usava inevitabilmente barche e motoscafi; ma per visitare luoghi significativi della sua Chiesa, italiana e universale, scelse il treno, fosse pure bianco come la sua veste di Pastore. E in treno, atteso a ogni fermata da un subisso di gente plaudente, fece il suo primo viaggio in Umbria, ad Assisi, il 4 ottobre 1962, per rendere omaggio al Patrono d’Italia e al più santo degli italiani, Francesco d’Assisi, e affidargli la protezione del Concilio. Era la prima volta che il Papa usciva dalla “prigione dorata” del Vaticano per tuffarsi familiarmente tra la gente, prigioniero solo del suo amore.

Dopo quel viaggio, il rapporto tra Papa e popolo italiano non è stato più lo stesso: è nata una confidenza e una immediatezza che è andata sempre più crescendo, per poi a rinnovarsi con Papa Francesco.

Papa “di transizione”

Quando Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto Papa, tutti dissero che sarebbe stato un Papa di transizione perché era anziano. Lui stesso ne era convinto e lo scrisse nel suo diario (il “giornale dell’anima” cominciato a scrivere a 14 anni), dicendo che era stato scelto come Papa di “provvisoria transizione”. Ma in quella “provvisoria transizione” fece a tempo a fare parecchie cose e a provocare un ribaltone quasi incredibile con il Concilio Vaticano II, da lui promosso nel 1962 e condotto a termine dal suo successore Paolo VI nel 1965: quattro anni di riflessioni e di decisioni dei Vescovi di tutto il mondo, che dettero a santa Madre Chiesa un volto del tutto nuovo con l’avvio d’una pastorale evangelizzatrice, missionaria, integrata.

Scriveva da nunzio apostolico, nel suo Giornale dell’anima (paragrafo 824):”Il mio temperamento e l’educazione ricevuta mi aiutano nell’esercizio dell’amabilità con tutti, della indulgenza, del garbo, della pazienza. Non recederò da questa vita: san Francesco di Sales è il mio grande maestro. Oh!, lo rassomigliassi davvero e in tutto!… Io lascio a tutti la sovrabbondanza della furberia e della cosiddetta destrezza diplomatica, e continuo ad accontentarmi della mia bonomia e semplicità di sentimenti, di parola, di tutto. Le somme, infine, tornano sempre a vantaggio di chi resta fedele alla dottrina e agli esempi del Signore!”. Questi erano i sentimenti del card. Angelo Giuseppe Roncalli, e questi furono i comportamenti di Giovanni XXIII, che oggi proclamiamo gioiosamente santo per solenne definizione di Papa Francesco, che molto gli assomiglia.

La “Mater et Magistra”

Nel suo prolungato servizio di nunziatura ebbe sempre cura della verità e della carità, nel linguaggio e nei gesti, dall’aiuto agli ebrei ai soccorsi per gli ortodossi, a Sofia in Bulgaria come a Istanbul in Turchia, o nella Parigi del generale De Gaulle, il quale non voleva persone compromesse con il regime di Pétain, e per questo rifiutò malamente il nunzio Valerio Valeri. Anche la Chiesa cattolica aveva i suoi problemi disciplinari e dottrinali, muovendosi tra i postumi del dopoguerra e le violenze del mondo comunista, con l’urgenza ormai improrogabile di una nuova evangelizzazione.

Papa Giovanni, turbato dalle rovine fisiche, morali, sociali prodotte dall’ingiustizia, che faceva da moltiplicatore delle rovine non ancora recuperate del lungo dopoguerra, cogliendo l’occasione del 70° anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, offrì il 20 maggio 1961 agli operatori pastorali il supporto d’un rilancio aggiornato della dottrina sociale cristiana con l’enciclica Mater et Magistra “sui recenti sviluppi della questione sociale”, ribadendo che “la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita” (n. 206), particolarmente necessaria in questa nostra epoca, “percorsa da errori radicali, straziata e sconvolta da disordini profondi” (n. 238) che hanno provocato notevoli squilibri. L’enciclica, com’è noto, suscitò vasta eco nella stampa mondiale. Scrisse il quotidiano francese Le Monde: “È rivolta verso l’azione e l’attualità. È adatta all’epoca, conforme all’esigenza delle giovani generazioni, che non vogliono discorsi accademici e non apprezzano le astrazioni dottrinali”. L’enciclica riscosse favorevoli consensi anche nell’opinione pubblica dei Paesi in via di sviluppo, in particolare India e Paesi arabi.

Il Concilio

Venne finalmente l’ora del nuovo Concilio, dai più non creduto possibile, da molti temuto, dai “profeti” atteso come segno di un nuovo impulso per l’evangelizzazione. Papa Giovanni stesso ne dette l’annuncio con il mirabile radiomessaggio dell’11 settembre 1962 ai fedeli di tutto il mondo. Lo qualificò subito come “una primavera della Chiesa”, paragonandolo alla valenza liturgica del Cero pasquale, che è lumen Christi, lumen ecclesiae, lumen gentium: una “vera letizia per la Chiesa universale, Chiesa di tutti, particolarmente Chiesa dei poveri”.

All’annuncio seguì la solenne apertura del Concilio l’11 ottobre 1962, con un discorso particolarmente energico per “dissentire dai profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”. La Chiesa, invece, “guarda con realismo al presente”, e anzi “non ha assistito indifferente al mirabile progresso delle scoperte dell’umano ingegno, e non ha lasciato mancare la giusta estimazione”. In ogni caso, dinanzi ai tanti errori che si fanno, la Chiesa “preferisce oggi la medicina della misericordia”.

La gente di Roma corse ad ascoltare e ad applaudire il Papa in piazza San Pietro, e ad essa egli parlò con giovialità “a braccio”, ammirando la bella luna che splendeva sulla città, quasi a mostrare la gioia anche del Cielo. E terminò quel suo saluto con la celebre “carezza” da portare a tutti i bambini.

La “Pacem in terris”

Altro fatto da ricordare si ebbe con la pubblicazione dell’altra sua mirabile enciclica, Pacem in terris, l’11 aprile 1963, che fu il suo testamento sociale e religioso. Fu definita come la “Nona Sinfonia della pace”, paragonando alle cinque parti dell’opera di Beethoven (i quattro movimenti più il coro finale) i cinque temi portanti dell’enciclica: la pace universale fondata sui diritti e i doveri della persona umana; lo Stato di diritto come garanzia di pace all’interno d’ogni comunità politica; una pace duratura basata sui quattro pilastri della verità, della giustizia, della solidarietà, della libertà; una garanzia di vera pace in un efficace governo mondiale della grande famiglia umana; un dialogo sincero e fecondo tra tutti come radice e salvaguardia della pace, distinguendo sempre tra errore ed errante, e facendo leva su ciò che unisce, non su ciò che divide.

Ricordiamo tutti il tragico contesto in cui l’enciclica nacque: era in atto una vera guerra fredda, cioè la crisi per i missili russi a Cuba. Nel marzo 1963 Papa Giovanni aveva concesso un’udienza ad A. Ajubej, genero di Kruschëv, che valse anche ad ammorbidire i rapporti tra Chiesa cattolica perseguitata e dittatura comunista (quanti credenti e quanti sacerdoti e vescovi, martiri dell’età moderna, languivano nelle carceri della Russia e dei Paesi satelliti!). Questo fatto creò le premesse per un forte rilancio del tema della pace, parlando sia dei diritti che dei doveri delle singole persone, e delle comunità politiche anche a livello mondiale, secondo il principio di sussidiarietà. In quel contesto Giovanni XXIII ebbe parole di compiacimento anche per l’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti umani (del 10 dicembre 1948).

L’eredità spirituale

Era ormai vicina la conclusione della sua vita terrena. Il Papa di transizione, che aveva 82 anni, fu aggredito da un tumore maligno che provocò una lunga agonia, vissuta momento per momento dalla gente che seguiva direttamente l’evolversi della situazione in piazza San Pietro attraverso i mass media. Il “Papa buono” morì il 3 giugno 1963 con grande rimpianto di tutti, credenti e non credenti, cattolici e di altre confessioni religiose.

Aveva scritto nel suo Giornale dell’anima: “La senescenza, che è pure grande dono del Signore, deve essere per me motivo di silenziosa gioia interiore e di quotidiano abbandono nel Signore stesso, al quale mi tengo rivolto come un bambino verso le braccia aperte del padre. La mia umile e ormai lunga vita si è sviluppata come un gomitolo nel segno della semplicità e della purezza. Nulla mi costa il riconoscere e il ripetere che io sono e non valgo un bel niente! Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto: io l’ho lasciato fare. Da giovane sacerdote mi ha colpito l’oboedientia et pax del padre Cesare Baronio, con la testa chinata al bacio sul piede della statua di san Pietro. E ho lasciato fare, e mi sono lasciato condurre, in perfetta conformità alle disposizioni della Provvidenza” (par. 897-898).

Ora per volontà di Papa Francesco sarà proclamato santo insieme a Giovanni Paolo II: due fiaccole d’amore nell’attuale “inequità”, come la chiama Papa Francesco, qualificandola come “la radice dei mali sociali” (Evangelii gaudium, n. 202). E anzi, “finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, come l’ha chiamata anche Papa Benedetto XVI, non si risolveranno i problemi del mondo, e in definitiva non si risolverà nessun problema”.

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Le dodici visite in Umbria di Giovanni Paolo II https://www.lavoce.it/le-dodici-visite-in-umbria/ Thu, 17 Apr 2014 12:31:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24529 papa-assisi-1986Quando Benedetto XVI, nell’aprile 2011, dopo la formula ufficiale di beatificazione di Giovanni Paolo II, ha gridato all’immensa folla di piazza San Pietro: “È beato!”, c’è stata una risposta entusiasta e commossa. Era la domenica della Divina Misericordia, e nelle chiese cattoliche di tutto il mondo si è pregato e ringraziato Dio per il dono di un uomo che ha arricchito la Chiesa e l’umanità con la testimonianza della vita e del suo coraggioso magistero.

Tutti quelli (e sono moltissimi nel mondo) che hanno avuto un contatto personale con lui, hanno sentito ancora più forte l’emozione di quel momento.

In questo senso possiamo dire che gli umbri si sono sentiti coinvolti nella vicenda di questo Papa che ha avuto per la nostra regione un’attenzione particolare, avendola visitata più di altre, ben 12 volte. Una pubblicazione che riporta testi e immagini di tutte le visite è Giovanni Paolo II in Umbria, un bellissimo e pregiato volume curato da Amilcare Conti. In breve sintesi qui ricordiamo alcuni passaggi di Giovanni Paolo II tra noi. La riproposizione dei messaggi può concorrere a maturare la coscienza cristiana e l’apertura convinta ai valori della nostra cultura che anche in Umbria attendono di essere pienamente riconosciuti, senza peraltro voler riaprire la querelle regionale sui santi Francesco e Benedetto. Le visite fatte nei vari luoghi della regione e per occasioni diverse hanno avuto una rilevanza universale, ponendo l’Umbria al centro dell’attenzione mondiale. Questo è avvenuto con singolare risalto nelle visite dedicate alla pace. Assisi, per la scelta di Giovanni Paolo II, è divenuta la cittadella della pace, la capitale della preghiera mondiale delle religioni, del dialogo interreligioso, l’icona di una speranza nuova per l’umanità. Con tale iniziativa, trasmessa da tutti i media del mondo, ha debellato lo spettro dello scontro di civiltà, espungendo dallo scenario religioso la guerra dei popoli combattuta in nome di Dio.

Ad Assisi Giovanni Paolo II è venuto subito, il 5 novembre 1978, a meno di un mese dall’elezione papale. Essendo e sentendosi straniero, “venuto di lontano”, ha voluto iniziare la sua missione di vescovo di Roma facendo un bagno di italianità, una specie di battesimo, presso la tomba del patrono d’Italia, san Francesco, “il più santo degli italiani e il più italiano dei santi”. Da quel momento Assisi è stata un centro di attrazione e di attenzione per Giovanni Paolo II, che l’ha considerata l’unico luogo al mondo adatto per annunciare la pace in modo efficace e credibile. L’incontro di preghiera per la pace, cui invitò i rappresentanti delle grandi religioni del mondo, il 27 ottobre 1986, rimarrà negli annali della storia e nonostante le critiche, ha vinto ogni sfida e interna resistenza per la decisione di Benedetto XVI di ripetere, sia pure in forme nuove, l’evento nel 25° anniversario. Quella Giornata ha avuto un seguito con altri due incontri interreligiosi per la pace: nel gennaio 1993, a seguito della guerra in Bosnia Erzegovina, e nel gennaio 2002, dopo l’attacco alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001.

Le altre visite importanti e suggestive svolte in Umbria si sono concentrate su temi specifici. Si pensi alla visita a Terni il 19 marzo 1981, alle Acciaierie, con il Papa tra gli operai, con il casco di lavoro in testa e il pranzo nella mensa con gli operai, dove ha affermato la dignità del lavoro, i diritti dei lavoratori, il rispetto della loro incolumità e dignità di persone, nel solco della dottrina sociale della Chiesa che in Umbria ha avuto la sua origine nel pensiero di Gioacchino Pecci / Leone XIII, per 33 anni vescovo di Perugia.

Vi sono poi le visite tra i terremotati a Norcia, dopo il sisma del 19 settembre 1979. Il 23 marzo del 1980, ricorrendo anche il quindicesimo centenario della nascita di san Benedetto e santa Scolastica Giovanni Paolo II volle recarsi in visita a Norcia e alle zone colpite dal sisma. Tornò tra i terremotati in una fredda giornata, il 3 gennaio 1998 dopo il sisma del 1997. Fu accolto calorosamente dalla popolazione di Annifo e di Assisi, e la foto che lo ritrae mentre prende un caffè nel container di una coppia di anziani, è una delle immagini simbolo di quel viaggio.

A Perugia dedicò una intera giornata il 26 ottobre 1986, il giorno prima dell’incontro di preghiera per la pace, e nella sua secolare Università, svolse un insegnamento di alto valore teologico. Giovanni Paolo II visitò Orvieto il 17 giugno 1990, per celebrare l’eucaristia nella festa del Corpus Domini; a Todi e Collevalenza, il 22 novembre 1981 appena dopo l’attentato che subì in piazza San Pietro e che lo portò in fin di vita in ospedale; a Foligno il 20 giugno 1993 per onorare la beata Angela, maestra dei mistici e dei teologi per la quale aveva una sua personale e profonda devozione. A Collevalenza, il 22 settembre 1981, affermò: “Ritrovandomi in questa terra nell’anno centenario della nascita di san Francesco, desidero elevare anche a lui il mio pensiero devoto, nel ricordo del sublime insegnamento che egli ci ha lasciato proprio a riguardo della misericordia divina. Nel suo Cantico delle creature egli ha detto, fra l’altro: ‘Laudato sie, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore, et sostengono infirmitate et tribulatione… che da te, Altissimo, saranno incoronati’. Francesco, maestro dell’amore e del perdono, si appella alla misericordia generosa di Dio”. Agli umbri la consegna della memoria.

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Il Pane spezzato che dona senso e vigore https://www.lavoce.it/il-pane-spezzato-che-dona-senso-e-vigore/ Fri, 11 Apr 2014 10:37:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24374 Incontro con Benedetto XVI dopo la beatificazione di don Carlo Gnocchi il 10 marzo 2010
Incontro con Benedetto XVI dopo la beatificazione di don Carlo Gnocchi il 10 marzo 2010

Papa Francesco presiederà il Giovedì santo, 17 aprile, alle 17.30 la messa in Coena Domini in uno dei luoghi simbolo della solidarietà a Roma, il Centro “Santa Maria della Provvidenza” della Fondazione “Don Carlo Gnocchi”. Alla celebrazione parteciperanno gli ospiti del Centro, accompagnati dai loro familiari, dal personale e dai responsabili. Un commento del Sir, l’agenzia di stampa della Cei.

I cristiani vivono nell’attesa di Colui che deve tornare e cui rivolgiamo il nostro grido: Marana thà! Vieni Signore Gesù! Viviamo nella storia, nello svolgersi del tempo, di ogni minuto che, una volta scandito, non può più tornare. Si crea così un vuoto?… Il Signore Gesù, il Maestro che tanto ha attirato le folle, le ha magnetizzate e ha annunziato loro il regno di Dio, ci ha gettati in baratro vischioso? Se così fosse, sarebbe la negazione assoluta e dimostrabile della falsità della sua incarnazione.

Così non è. Fra di noi, Egli ha voluto rimanere con il dono supremo, per noi inimmaginabile, della Sua presenza nel pane e nel vino eucaristici. Ogni giorno Egli è fra i suoi, fra coloro che lo riconoscono, e anche fra coloro che non lo riconoscono ma che Egli attende. Ogni domenica si dona e rinnova la promessa di stare con noi, di essere Pane che nutre, sostiene, Via su cui poter camminare con sicurezza.

Il Giovedì santo di ogni anno rinnova questo misterioso legame in modo solenne, esponendosi agli occhi di tutti e tutti sollecitando ad avvicinarsi. In ogni cattedrale, in ogni duomo, Egli è fra i suoi: poveri e affamati pellegrini nella storia, stracolma di inciampi e difficoltà. Quale cattedrale, quale duomo, antico e bagnato nella preghiera che si inanella nei secoli, oppure moderno che sfida l’assenteismo odierno con il suo richiamo a questa Presenza, regge al confronto con la cattedrale viva, in carne e ossa, di chi soffre ed è povero nella propria umanità dolente?

Francesco non rimarrà nello splendore di San Pietro ma si porterà nel luogo del dolore che grida sempre il suo, troppo spesso inascoltato “perché? Perché a me?”. A questa umanità ferita e dolorante, il Vescovo di Roma spezzerà il Pane che dona senso, che dona vigore, che soccorre gratuitamente e non ti promette una rivincita post mortem ma ti indica qui, proprio, qui, la chiave non risolutiva ma donante di ogni sofferenza che Egli, il Cristo crocifisso, ha assunto nella Passione.

La Fondazione “Don Carlo Gnocchi” non è un luogo povero, misero, abbandonato, anzi è un luogo specializzato, all’avanguardia, ma è il luogo per eccellenza in cui Egli, Pane sempre presente alla storia e nella storia di ciascuno e di ciascuna, si offre nella povertà e nella quotidianità del segno, perché ogni povero, nostro fratello, colpito nella sua umanità e privo della salute, sia posto al centro del mistero, al posto d’onore. Grande segno di misericordia, di quell’utero del Creatore che si commuove e condivide la propria sorte fino a perdere la vita.

Ultimo Lui, che pende dal legno maledetto, ultimi i malati; Ultimo Lui, che arranca per giungere al Golgota e subire l’infamia; ultimi fra gli ultimi: gli oppressi dai lacci della mafia, della ’ndrangheta, dell’usura, delle slot machine, della droga.

La Via crucis al Colosseo, che emergerà da un territorio colpito e guidata dal Pastore che ne conosce le cicatrici, sarà, miracolosamente, segno di guarigione; e il Pane che risplenderà sulla mensa dell’altare sarà Luce vera che illumina e porta, nell’alchimia dell’amore di Dio, a una trasformazione piena e totale.

Il dono di Francesco nel segno della Bellezza assoluta e gratuita, si china sugli ultimi fra gli ultimi.

La “Don Gnocchi”

La Fondazione “Don Carlo Gnocchi” sorge in via Casal del Marmo, nella zona Casalotti-Boccea. Fino al 2003, prima di essere acquisito dalla Fondazione, era noto come istituto “Madre Nasi” del Cottolengo. Da allora, il Centro ha proseguito l’attività di cura e assistenza a favore dei più svantaggiati, attivando anche nuovi ambiti d’intervento, con una ristrutturazione durata fino al 2009. Oggi è una struttura riabilitativa che dispone di 150 posti letto suddivisi tra una residenza sanitaria assistenziale, un reparto di riabilitazione estensiva e un reparto “in solvenza” per la riabilitazione neuromotoria.

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