auschwitz Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/auschwitz/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 13:53:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg auschwitz Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/auschwitz/ 32 32 Gmg2016. Papa Francesco ad Auschwitz https://www.lavoce.it/gmg20156-papa-francesco-ad-auschwitz/ Tue, 26 Jul 2016 15:58:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46952 gmg2016Aushwitz
Migliaia di giovani della Gmg pellegrini ad Aushwitz

Il lungo viale che porta al campo di sterminio di Auschwitz oggi è verde. Eppure, neanche il rigoglio della vegetazione, in quest’alba estiva un po’ uggiosa, riesce a cancellare l’immagine dei deportati che in lunghe colonne, su strade sterrate polverose o fangose a seconda del grado di clemenza atmosferica, si incamminano a marce forzate verso il loro destino di morte. La prima cosa che si vede stagliarsi imponente è il Crematorio numero 1, sul lato sinistro dell’ormai famigerata scritta “Arbeit macht frei”. E’ la porta d’ingresso di Francesco, che venerdì 29 luglio sarà il terzo papa a varcare i cancelli del luogo degli orrori più noto al mondo, dove sono stati sterminati quasi due milioni di ebrei, e non solo, in nome di un odio all’uomo, prima ancora che alla fede.

Auschwitz è l’Apocalisse creata dagli uomini, la desertificazione – pianificata fin dai minimi dettagli – dell’umanità, con le graticole dei forni crematori come un Giudizio Universale. In questo luogo, fino a 71 anni fa, la parola “disumanizzazione” è stata declinata in tutte le sue più atroci sfumature. Eppure, oltre ogni abisso di morte e di disperazione, “solo l’amore crea”, assicurava padre Kolbe, nella cui cella al “blocco 21” il Papa sosterà in preghiera silenziosa: perché il male tende a ripetere inesorabilmente sé stesso.

E così, accanto alle ceneri dei cadaveri che dai roghi sono stati buttati negli stagni, nei boschi e nei fiumi paludosi che circondano Auhschwitz e Birkenau, rendendo tutta quest’area un cimitero senza tombe, ci sono oasi di pace e di preghiera che fanno dell’accoglienza e del dialogo l’antidoto ad ogni ritorno al passato. Rischio sempre incombente, come mostra l’atmosfera plumbea di terrorismo e violenza di cui sono nutriti i nostri giorni.

I visitatori del Museo di Auschwitz-Birkenau sono in media un milione all’anno. Solo nei giorni della Gmg di Cracovia, i giovani accorsi da circa 200 Paesi hanno fatto salire il contatore a 300mila presenze.

La grande e pacifica affluenza ha “blindato” tutta la zona e ha costretto gli organizzatori a non fare entrare i ragazzi nei “blocchi” – 28 solo quelli di Auschwitz – ma a permettere loro una visita completa attraverso grandi pannelli con gigantografie che, lungo il campo di “Auschwitz 1”, riproducono ciò che si trova all’interno dei “blocchi”. Così il popolo giovane di Cracovia può fare in questi giorni il percorso che il Papa compirà venerdì 29, terzo giorno del 15° viaggio internazionale di Francesco.

 

 

Si chiamano “Alle soglie di Auschwitz”, e sono incontri durante i quali sperimentiamo la vittoria dell’umanità che ci fa sperare in un futuro migliore”. A presentarceli è padre Jan Novak, il direttore del Centro di dialogo e preghiera di Oswiecim, a due passi dal campo di concentramento di Auschwitz. “Si tratta – spiega – di incontri con ex prigionieri ebrei e cristiani, con giovani tedeschi e polacchi, con professori, sacerdoti, rabbini di varie nazioni.”

“Quasi sempre – prosegue il direttore del Centro, guidato dalla Fondazione di Cracovia e sorto nel 1992 per iniziativa del cardinale Francesco Macharski, d’intesa con i vescovi d’Europa e i rappresentanti delle istituzioni ebraiche – qui si incontrano persone ferite: gli ebrei sono feriti dal ricordo del tentativo di distruzione della loro nazione, i polacchi pensano alla frequente violazione della loro sovranità da parte di potenze straniere e i tedeschi sono feriti per la consapevolezza delle colpe presenti nella loro storia”. Di qui l’idea di “creare un luogo di riflessione, formazione, scambio di idee e di preghiera”, a prescindere da quale sia la religione di appartenenza: perché il punto è “ricostruire la dignità dell’uomo, passo dopo passo, per quanto ne siamo capaci”.

Il numero di padre Kolbe, che ha offerto la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia, era 16.670, quello di Marian Kolodzej, artista e scenografo polacco, entrato nel campo di Auschwitz a soli 17 anni, il 14 giugno del 1940, era 432: faceva parte del primo trasporto di polacchi tra i “blocchi” dove ha passato cinque anni ed è sopravvissuto, assistendo all’episodio in cui il francescano fondatore dei Miliziani dell’Immacolata ha rotto la fila per offrirsi ai nazisti.

Per 50 anni Marian – morto nel 2009 – ha rimosso il suo soggiorno obbligato tra gli orrori, ma poi ha avuto un ictus e da allora i ricordi sono tornati a girare vorticosamente: ne è nata una mostra, “Cliché di memoria, labirinti”, ora ospitata nel centro gestito dalle Missionarie dell’Immacolata-Padre Kolbe ad Harmeze, che in questi giorni accolgono ragazzi e ragazze giunti per la Gmg dalla Bolivia, dal Brasile e dall’Italia. “Parole chiuse in un disegno”, l’ha definita l’autore, che ha dedicato 15 anni della sua vita ad adempiere ad una promessa, prima rimossa e poi riemersa, fatta ai suoi compagni di prigionia: “Se ti salvi, devi raccontare”.

 

Centottanta ettari, a tre chilometri da Auschwitz. È Birkenau, o “Auschwitz 2”, il luogo dove i nazisti hanno sterminato il maggior numero di ebrei. Sarà la seconda tappa del terzo giorno di Papa Francesco in Polonia, dopo la visita silenziosa ad “Auschwitz 1”. Bergoglio si recherà al monumento alle vittime delle Nazioni, che annovera una serie di lapidi nelle 23 lingue usate dai prigionieri. Passando davanti a esse, deporrà una candela accesa e incontrerà 25 “Giusti tra le nazioni”. Intanto, proprio in direzione delle lapidi, si sta già muovendo un fiume silenzioso e commosso di pellegrini di varie nazioni: guidati dai loro sacerdoti, percorrono le 14 stazioni della “Via Crucis”, cantando e pregando. Una sorta di viatico, prima di vivere l’esperienza della “Via Crucis” insieme al Papa, venerdì prossimo. Sullo sfondo, i resti di uno dei quattro forni crematori e gli alloggi di mattoncini rossi accanto ai quali gli stessi prigionieri allestivano i roghi per i cadaveri.

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L’Oratorio “GPII” in pellegrinaggio in Polonia “Sui passi di san Giovanni Paolo II” https://www.lavoce.it/loratorio-gpii-in-pellegrinaggio-in-polonia-sui-passi-di-san-giovanni-paolo-ii/ Tue, 26 May 2015 13:25:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34053 Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II

Nella notte tra giovedì 28 e venerdì 29 maggio 107 adolescenti, giovani ed animatori dell’Oratorio “Giovanni Paolo II” (GPII) dell’Unità pastorale di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino in Perugia, accompagnati da don Fabrizio Crocioni, don Oscar Bustamante, suor Roberta Vinerba e Simone Biagioli, coordinatore dell’Oratorio, partiranno per un pellegrinaggio di cinque giorni “Sui passi di san Giovanni Poalo II” in Polonia.

È la terza volta che i giovani del “GPII” scelgono di farsi pellegrini dietro i passi del grande papa, ma questo pellegrinaggio è sostenuto da una intenzione tutta particolare. Il primo giugno, infatti, saranno ricevuti dal cardinale di Cracovia Stanislaw Dziwisz, lo storico segretario di Giovanni Paolo II. Da lui, su richiesta del cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti riceveranno una reliquia del papa polacco che verrà collocata nel Santuario di Ponte della Pietra esposta alla venerazione dei fedeli in attesa della sua definitiva allocazione, nella chiesa del Complesso Interparrocchiale “San Giovanni Paolo II” la cui costruzione avrà inizio a breve nella stessa Unità pastorale.

I parroci hanno fortemente desiderato che fossero proprio i giovani, tanto amati da Woytila, a ricevere la reliquia: loro di cui il papa disse «voi siete la mia speranza», così come sono la speranza di Perugia e della Chiesa. Con il dono della reliquia e la presentazione del progetto del Complesso, che avverrà nel mese di Giugno alla presenza del cardinale Bassetti e del sindaco Romizi, si può dire che il Complesso inizia a divenire un po’ più concreto, più vicina la sua realizzazione.

Il pellegrinaggio dei giovani del “GPII” avrà come meta Cracovia, la città della quale il papa polacco fu vescovo, e proseguirà con la visita ai luoghi della fede e della storia di Woytila e della Polonia, e come gli altri pellegrinaggi già vissuti, del quartiere di Nova Huta che racconta la vicenda travagliata della costruzione della chiesa osteggiata dal regime comunista e tenacemente voluta dal Woytila per raggiungere il cuore della fede del popolo polacco, l’amatissimo santuario della Madonna nera di Czestochowa.

Importantissima, infine, la giornata di digiuno e di preghiera ai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove i giovani pregheranno per le vittime e per i carnefici e chiederanno a Dio la grazia di essere operatori di pace, ben sapendo che la pace inizia da un cuore riconciliato con Dio e con i fratelli.

Non meno significativa è stata la preparazione a questo pellegrinaggio, incentrata in un percorso catechetico che ha fatto conoscere ai giovani la vita e la fisionomia spirituale del grande papa e da iniziative di autofinanziamento inserite nel programma pastorale dell’anno trascorso in modo tale da diminuire il costo pro-capite del viaggio e rendere possibile anche a chi ha maggiori difficoltà economiche di partire per la Polonia. In questa maniera il percorso di avvicinamento al pellegrinaggio è stato una scuola di carità e di servizio, di responsabilizzazione dei ragazzi stessi e delle loro famiglie, una scommessa educativa che prende corpo dalla Parola di Dio che dice: c’è più gioia nel dare che nel ricevere che da sempre sostiene la ratio educativa della Pastorale giovanile delle tre parrocchie.

 

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Questa “nostra età” di persecuzioni https://www.lavoce.it/questa-nostra-eta-di-persecuzioni/ Thu, 23 Apr 2015 13:53:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31750 Papa Francesco incontra una delegazione della Conferenza dei Rabbini Europei (Cer)
Papa Francesco incontra una delegazione della Conferenza dei Rabbini Europei (Cer)

I leader religiosi uniti contro ogni forma di violenza, contro il dilagare in Europa dell’antisemitismo e della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente. Di questo i rabbini europei hanno parlato lunedì 20 nel loro primo incontro con Papa Francesco. A guidare la Conferenza dei rabbini europei (Cer) sono il gran rabbino di Mosca, Pinchas Goldshmidt, e il rabbino francese Moché Lewin, rispettivamente presidente e direttore esecutivo dell’organizzazione. L’incontro avviene alla vigilia del 50° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate e nel giorno in cui a Roma la comunità ebraica piange Elio Toaff, il rabbino che con Giovanni Paolo II ha aperto pagine nuove di riconciliazione e stima reciproca.

Nonostante il dialogo tra i credenti si sia in questi anni rafforzato, nuove ombre stanno oscurando oggi il nostro pianeta: l’estremismo di matrice islamica sta seminando vittime in molte parti del mondo; i cristiani sono la popolazione maggiormente presa di mira, e in Europa l’allarme antisemitismo è in crescita in modo preoccupante. Papa Francesco e i rabbini europei vivono con la stessa preoccupazione le tendenze antisemite in corso: “Ogni cristiano – ha detto il Pontefice – non può che essere fermo nel deplorare ogni forma di antisemitismo, manifestando al popolo ebraico la propria solidarietà”. L’Europa è chiamata oggi a rileggere le pagine della sua recente storia. Sono passati solo 70 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz: “La memoria di quanto accaduto, nel cuore dell’Europa – ha detto ancora Bergoglio – serva da monito alla presente e alle future generazioni”.

La paura è tornata. L’odio con sfondo etnico e religioso ha ripreso a scuotere le città. Il rabbino francese Moché Lewin, direttore esecutivo della Cer, si sofferma a parlare sulla situazione francese dopo gli attentati di Parigi: “Oggi davanti a tutte le scuole ebraiche ci sono militari, e potete immaginare cosa significhi per noi portare i nostri figli di 5 o 6 anni a scuola con persone che per difenderci hanno la mitragliatrice in mano”. E aggiunge con fermezza: “Tutti i responsabili religiosi devono lottare contro tutti gli estremismi. Dobbiamo chiedere ai leader spirituali di bandire dalle predicazioni tutto ciò che può condurre all’odio e alla violenza”.

Altro tema caldo affrontato con Papa Francesco è la persecuzione vissuta dai cristiani in molte parti del mondo, in particolare in Medio Oriente. Piena solidarietà hanno espresso i rabbini europei al Papa per la situazione vissuta dai cristiani d’Oriente: “Deve essere condannata con forza – incalza il rabbino Lewin – ogni forma di persecuzione. Occorre soprattutto chiedere ai Governi di agire per fermare questo massacro perché, se si lascia fare, si rischia di arrivare al genocidio. Non amo fare comparazioni tra i genocidi, ma non dobbiamo permettere che ci siano in atto simili persecuzioni. E noi, che abbiamo vissuto questo tipo di dramma e di genocidio, dobbiamo essere i primi a condannare. Siamo testimoni, sappiamo dove può arrivare l’odio”.

 

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Papa Francesco in Terra Santa. Dove c’è sofferenza ha lasciato segni di pace https://www.lavoce.it/papa-francesco-in-terra-santa-dove-ce-sofferenza-ha-lasciato-segni-di-pace/ Fri, 30 May 2014 18:44:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25188

Papa-betlemme-bnDiverse sono le ragioni che hanno reso straordinario il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa. È già di per sé un evento importante che Pietro sia di nuovo tornato nei luoghi da dove il primo degli apostoli era partito millenni fa, ed esattamente 50 anni dopo la visita di Paolo VI, primo tra i Papi a compiervi un pellegrinaggio (4-6 gennaio 1964). È importante che Francesco abbia voluto abbracciare l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo I come già Paolo VI aveva scambiato un abbraccio di pace e di reciproca richiesta di perdono con Atenagora, connotando così il suo viaggio come un passo ulteriore nel dialogo ecumenico. Ed è stato ugualmente importante che Francesco abbia voluto incoraggiare i cristiani che vivono in Giordania, nei Territori dell’autonomia palestinese, e in Israele, sottolineando le prove che questi vivono e rivolgendosi con gratitudine anche a quei religiosi e sacerdoti (tra cui anzitutto i francescani della Custodia) che custodiscono i luoghi santi. Ma sono stati anche i fuori-programma che hanno reso le tre giornate di Francesco così speciali. Ne scegliamo due. Anzitutto, l’immagine dei due “muri”. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si erano recati al Muro occidentale (il “muro del pianto”), ribadendo una continuità non solo storica ma soprattutto teologica tra l’ebraismo e il cristianesimo. Ma solo di Papa Francesco rimarrà l’istantanea di una particolarissima preghiera davanti a un altro muro, quello che - anche fisicamente - divide lo Stato di Israele dalla Palestina, e segnala in modo evidentissimo il perdurare di un conflitto. Senza bisogno di pronunciare alcuna parola, Francesco ha posato la mano e il capo su quel blocco di cemento armato che, se da una parte difende gli israeliani da quegli attentati che creavano terrore in Terra Santa, dall’altra però provoca anche altro dolore e separazione. È proprio lì dove si perpetua ogni sofferenza - di qualsivoglia origine politica o ideologica - che Francesco ha voluto lasciare un segno non tanto di accusa, quanto piuttosto di partecipazione: per dire che lì, anche lì, dove un muro di separazione è l’esatto contrario di quanto significato da quell’altro tratto di muro (quello erodiano, che sosteneva l’antico tempio di Dio), proprio lì deve essere annunciato il Vangelo della mitezza, della pace, del perdono. Poi le parole e i gesti allo Yad Vashem. Anche altri Papi avevano pronunciato discorsi al museo della Memoria dello sterminio degli ebrei. Rispetto a quanto aveva detto Papa Ratzinger l’11 maggio 2009 al mausoleo della Shoah (“Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose e imperscrutabili vie”), o ancor prima al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006, centrando soprattutto la questione su Dio e la domanda sulla Sua assenza (“Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”), Papa Francesco ha aggiunto un’ulteriore prospettiva. La domanda di Papa Benedetto veniva da molto lontano, e si era fatta strada già nella seconda metà dello scorso secolo, anche grazie a ebrei come Elie Wiesel o Emil Fackenheim e Martin Buber, o cattolici come il teologo Johann Baptist Metz, i quali ritenevano che, dopo Auschwitz, la teologia dovesse cambiare, anzi era già totalmente cambiata. Ma quella domanda necessitava anche di un’ulteriore sguardo, colto questa volta da Bergoglio. Alla domanda su dove fosse Dio, deve essere affiancata quella sull’uomo. Il teologo Metz scriveva proprio così: “La questione teologica, dopo Auschwitz, non è solo: dov’era Dio ad Auschwitz? È anche: dov’era l’umanità ad Auschwitz? Questa catastrofe ha spezzato le fasce di solidarietà fra tutti coloro che hanno un volto umano”. Papa Francesco ha completato con il suo viaggio la drammatica riflessione che sta svolgendo con tutto il suo magistero a riguardo delle marginalità e le periferie dell’esistenza umana. Ha fatto risuonare a Gerusalemme anche la domanda all’uomo, la domanda originaria che Dio gli rivolge, e che non cessa di interpellare tutti nelle nostre responsabilità: “In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: ‘Adamo, dove sei?’. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: ‘Dove sei?’, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo”. A coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto e sono stati presentati al Papa allo Yad Vashem, Francesco ha baciato le mani, imprimendo con quel gesto, per sempre, tutto quanto si poteva dire o domandare: a Dio e all’Uomo.]]>

Papa-betlemme-bnDiverse sono le ragioni che hanno reso straordinario il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa. È già di per sé un evento importante che Pietro sia di nuovo tornato nei luoghi da dove il primo degli apostoli era partito millenni fa, ed esattamente 50 anni dopo la visita di Paolo VI, primo tra i Papi a compiervi un pellegrinaggio (4-6 gennaio 1964). È importante che Francesco abbia voluto abbracciare l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo I come già Paolo VI aveva scambiato un abbraccio di pace e di reciproca richiesta di perdono con Atenagora, connotando così il suo viaggio come un passo ulteriore nel dialogo ecumenico. Ed è stato ugualmente importante che Francesco abbia voluto incoraggiare i cristiani che vivono in Giordania, nei Territori dell’autonomia palestinese, e in Israele, sottolineando le prove che questi vivono e rivolgendosi con gratitudine anche a quei religiosi e sacerdoti (tra cui anzitutto i francescani della Custodia) che custodiscono i luoghi santi. Ma sono stati anche i fuori-programma che hanno reso le tre giornate di Francesco così speciali. Ne scegliamo due. Anzitutto, l’immagine dei due “muri”. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si erano recati al Muro occidentale (il “muro del pianto”), ribadendo una continuità non solo storica ma soprattutto teologica tra l’ebraismo e il cristianesimo. Ma solo di Papa Francesco rimarrà l’istantanea di una particolarissima preghiera davanti a un altro muro, quello che - anche fisicamente - divide lo Stato di Israele dalla Palestina, e segnala in modo evidentissimo il perdurare di un conflitto. Senza bisogno di pronunciare alcuna parola, Francesco ha posato la mano e il capo su quel blocco di cemento armato che, se da una parte difende gli israeliani da quegli attentati che creavano terrore in Terra Santa, dall’altra però provoca anche altro dolore e separazione. È proprio lì dove si perpetua ogni sofferenza - di qualsivoglia origine politica o ideologica - che Francesco ha voluto lasciare un segno non tanto di accusa, quanto piuttosto di partecipazione: per dire che lì, anche lì, dove un muro di separazione è l’esatto contrario di quanto significato da quell’altro tratto di muro (quello erodiano, che sosteneva l’antico tempio di Dio), proprio lì deve essere annunciato il Vangelo della mitezza, della pace, del perdono. Poi le parole e i gesti allo Yad Vashem. Anche altri Papi avevano pronunciato discorsi al museo della Memoria dello sterminio degli ebrei. Rispetto a quanto aveva detto Papa Ratzinger l’11 maggio 2009 al mausoleo della Shoah (“Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose e imperscrutabili vie”), o ancor prima al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006, centrando soprattutto la questione su Dio e la domanda sulla Sua assenza (“Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”), Papa Francesco ha aggiunto un’ulteriore prospettiva. La domanda di Papa Benedetto veniva da molto lontano, e si era fatta strada già nella seconda metà dello scorso secolo, anche grazie a ebrei come Elie Wiesel o Emil Fackenheim e Martin Buber, o cattolici come il teologo Johann Baptist Metz, i quali ritenevano che, dopo Auschwitz, la teologia dovesse cambiare, anzi era già totalmente cambiata. Ma quella domanda necessitava anche di un’ulteriore sguardo, colto questa volta da Bergoglio. Alla domanda su dove fosse Dio, deve essere affiancata quella sull’uomo. Il teologo Metz scriveva proprio così: “La questione teologica, dopo Auschwitz, non è solo: dov’era Dio ad Auschwitz? È anche: dov’era l’umanità ad Auschwitz? Questa catastrofe ha spezzato le fasce di solidarietà fra tutti coloro che hanno un volto umano”. Papa Francesco ha completato con il suo viaggio la drammatica riflessione che sta svolgendo con tutto il suo magistero a riguardo delle marginalità e le periferie dell’esistenza umana. Ha fatto risuonare a Gerusalemme anche la domanda all’uomo, la domanda originaria che Dio gli rivolge, e che non cessa di interpellare tutti nelle nostre responsabilità: “In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: ‘Adamo, dove sei?’. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: ‘Dove sei?’, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo”. A coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto e sono stati presentati al Papa allo Yad Vashem, Francesco ha baciato le mani, imprimendo con quel gesto, per sempre, tutto quanto si poteva dire o domandare: a Dio e all’Uomo.]]>
Nel cuore dell’estate https://www.lavoce.it/metti-abat-jour-4/ Thu, 29 Aug 2013 16:29:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18663 DON ANGELO fanucciIl 9 e il 14, nel cuore di quel mese d’agosto nel quale la gente fa di tutto per dimenticare gli altri undici mesi, troppo spesso segnati da un lavoro non gradito o da una solitudine non voluta. Nel cuore dell’estate, quando “fratello sole” sfacciatamente ti picchia e ti obbliga a difenderti da lui, “fonte di vita per le sue creature”.

Sembrerebbe il momento meno adatto per tornare a riflettere su Auschwitz, eppure la Chiesa lo fa proprio allora, per due volte, il 9 e il 14, nell’afa rovente resa ancora più insopportabile dal frenetico desiderio di evadere. “Se c’è stato Auschwitz, allora non può esserci Dio”: no, non è questa la chiave giusta, perché ad Auschwitz, nel mese di agosto di tanti anni fa, hanno dato la loro testimonianza a Dio, uno un anno prima, l’altra l’anno dopo, Edith e Massimiliano. E quella frase, che si è sentita pronunciare troppo spesso nell’ultimo scorcio del XX secolo, ha senso solo se prima si mettono fuori gioco Edith e Massimiliano; solo in questo caso quell’epitaffio (“Se c’è stato Auschwitz, allora non può esserci Dio”), all’interno delle durissime tragedie di due guerre mondiali, nel contesto della nascita e del tramonto delle ideologie totalitarie, dopo le aberrazioni del nazismo, dopo il genocidio degli ebrei, può avere un senso.

Ma dal fondo più buio della notte un volto riemerge, una voce, un nome: quello di Edith Stein, la religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell’agosto del 1942. Una ebrea. Una filosofa. Una monaca. Una martire. Convertitasi dall’ebraismo al cattolicesimo attraverso il filtro dell’ateismo, e passata dalla speculazione filosofica al chiostro dopo essere stata un giorno “folgorata” dalla lettura della vita di santa Teresa d’Avila.

E prima ancora, dal fondo più buio della notte emerge il volto di Massimiliano Kolbe che nel 1941, sempre ad Auschwitz, scelse di far parte del gruppo dei dieci condannati a morire di fame per rappresaglia contro la fuga di un prigioniero.

Per due settimane, Massimiliano tenne su il morale dei suoi compagni di sventura, convincendoli a cantare che forse quella non era proprio una sventura. Dopo due settimane erano vivi ancora in quattro, e cantavano ancora con l’ultimo filo di voce. Li finirono con un’iniezione di acido fenico.

Edith, davanti alla camera a gas, bacio la sorella per l’ultima volta, la prese a braccetto. Disse: “Andiamo!”.

Andiamo Edith, andiamo Massimiliano. Andiamo nella calura d’agosto che arroventa l’aria, come l’amore di Cristo ha arroventato la vostra anima. Andiamo incontro a Colui che ci ama, ché non sa far altro che amare. Incontro a Colui che ci aspetta, perché aspettare è tutto quanto può fare per noi.

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Assisi – Auschwitz: noi ricordiamo https://www.lavoce.it/assisi-auschwitz-noi-ricordiamo/ Thu, 08 Nov 2012 11:05:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13721 Assisi e Auschwitz d’ora in poi saranno più vicine: lo siglerà il protocollo d’intesa che verrà firmato lunedì 12 novembre tra la città di Assisi e il Museo statale di Auschwitz – Birkenau. Due città che nel passato hanno vissuto due storie diametralmente opposte: la prima, Assisi, protagonista negli anni 1943-44 del salvataggio di centinaia di ebrei, la seconda, Auschwitz, cioè il suo campo di sterminio, uno dei principali teatri del genocidio degli ebrei. Oggi ambedue siti Unesco.

Su queste premesse già nei mesi passati sono stati attivati contatti tra il sindaco della città serafica Claudio Ricci e il direttore del Museo della città polacca Piotr M. A. Cywinski, che si è poi concretizzato in un incontro che si è svolto nel luglio scorso. E così è nata l’idea della firma del protocollo che avverrà nell’ambito di una giornata di studi che si svolgerà appunto il 12 novembre alle ore 14.30 presso palazzo Vallemani ad Assisi e che avrà come tema “Auschwitz – Assisi luoghi della memoria per la pace nel XXI secolo”.

La giornata si svolgerà anche in occasione dell’apertura della mostra del Museo polacco dal titolo “Auschwitz – Il luogo della memoria” e che verrà allestita nelle sale di palazzo Vallemani, adiacente al Museo della Memoria di Assisi che si è fatto promotore dell’iniziativa tramite la curatrice Marina Rosati, su proposta dei padri Cappuccini di Assisi. “In particolare – spiega la stessa Rosati – di padre Daniele Giglio, responsabile dei beni culturali dei frati minori Cappuccini di Assisi. L’allestimento fa parte di una sezione itinerante del Museo di Auschwitz, costituita da 31 pannelli didattici con fotografie, testi e didascalie relativi al campo di sterminio, dalla creazione al suo effettivo utilizzo, fino all’arrivo delle truppe alleate”.

“L’idea di realizzare questa mostra e la giornata di studi – dice padre Giglio – è nata per porre le basi per future iniziative tra Assisi e il Museo di Auschwitz, soprattutto con le scuole del territorio”. La firma del protocollo sarà anticipata dalla proiezione di un documentario di 15 minuti dal titolo La liberazione di Auschwitz nel quale viene proposta un’intervista ad un operatore delle truppe russe, di cui verranno mostrate le immagini da lui stesso realizzate al momento della liberazione del Campo nel periodo tra il 27 gennaio e il 28 febbraio 1945. Seguirà una relazione di Piotr M. A. Cywinski su “Auschwitz nel cuore dell’Europa”.

La giornata di studi, moderata da Marina Rosati, prevede i saluti di mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, del sindaco Claudio Ricci, di padre Antonio M. Tofanelli, ministro provinciale dei Cappuccini, e di Piotr Cywinski. Seguiranno delle relazioni del prof. Andrea Maiarelli, di Letizia Cerquiglini, presidente associazione Italia – Israele di Perugia e di padre Pietro Messa.

Promotori della giornata, oltre al Comune, al Museo della memoria di Assisi e di quello di Auschwitz, la Provincia dell’Umbria dei frati minori Cappuccini e l’opera Casa Papa Giovanni di Assisi.

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Fedeli umbri in pellegrinaggio nella Polonia di Giovanni Paolo II https://www.lavoce.it/fedeli-umbri-in-pellegrinaggio-nella-polonia-di-giovanni-paolo-ii/ Thu, 30 Aug 2012 12:54:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=12546
Il card. Dziwisz con mons. Bassetti

Con la visita e celebrazione eucaristica al santuario che custodisce il corpo del beato Jerzy Popieluszko, il sacerdote polacco martire, si è concluso il 23 agosto il pellegrinaggio in Polonia di 130 fedeli umbri guidato dall’arcivescovo di Perugia-Città delle Pieve mons. Gualtiero Bassetti.

Iniziato il 17 agosto, il pellegrinaggio, promosso dalla Commissione Ceu per il turismo e il tempo libero, dall’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve e dal Pontificio seminario regionale, ha toccato le principali città storiche della Polonia, patria di Giovanni Paolo II. Proprio dall’antica capitale Cracovia, che ebbe come arcivescovo il card. Karol Woytjla prima della sua elezione a Pontefice, i fedeli umbri hanno iniziato il loro pellegrinaggio che li ha portati a visitare Wadowice, città natale del Beato, il santuario della Divina Misericordia con il ricordo di santa Faustina Kowalska, Auschwitz, memoriale della Shoah, il celebre santuario della Madonna Nera di Czestochowa, cuore pulsante della fede del popolo polacco, le città di Torun e poi di Danzica su litorale baltico e, infine, la città di Varsavia con i suoi antichi monumenti e il santuario dedicato al beato Popieluszko.

Particolarmente significativo è stato l’incontro, nell’arcivescovado di Cracovia, con il card. Dziwisz. Il porporato ha accolto con molta cordialità i pellegrini umbri raccontando loro alcuni episodi della vita di Woytjla legati alla terra dei santi Benedetto e Francesco. A ricordo del forte legame tra il Papa polacco e l’Umbria, al Cardinale è stata donata una copia del prezioso volume che illustra e descrive i dodici viaggi di Giovanni Paolo II in terra umbra, curato da Amilcare Conti che si è molto prodigato per questo pellegrinaggio, la cui organizzazione è stata affidata alla neo-nata agenzia viaggi diocesana “Nova Itinera” di Perugia.

A Danzica non si va solo per turismo sul litorale, ma in pellegrinaggio nei luoghi dove furono uccisi 44 operai nel 1970 a seguito dei primi scioperi contro il regime comunista; scioperi intensificatisi dieci anni più tardi con Solidarnosc. Ricordano il martirio di questi operai tre grandi croci erette nella zona del cantiere navale di Danzica, uno dei più grandi d’Europa. Le croci, pesanti 140 tonnellate ed alte 42 metri, sono state costruite in cemento con delle ancore in acciaio sulla sommità, in segno di speranza. In lontananza, ha fatto notare l’arcivescovo Bassetti, appaiono come tre uomini crocifissi.

A Varsavia, all’ingresso del santuario dedicato a padre Popieluszko (beatificato il 6 giugno 2010) viene distribuito un volantino con la scritta: “La Croce divenne per noi un portone”. È una frase che sintetizza il senso di ogni pellegrinaggio in terra polacca: un’intera nazione che ha fatto della croce di Cristo la sua forza e la sua speranza.

“Abbiamo visitato una Chiesa che ha molto sofferto – ha commentato mons. Bassetti – e che si è identificata con il popolo, che, a sua volta, ha identificato la propria liberazione con la fede”.

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Pellegrinaggio sulle orme di Papa Wojtyla https://www.lavoce.it/pellegrinaggio-sulle-orme-di-papa-wojtyla/ Wed, 13 Jun 2012 12:55:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=11353 Un pellegrinaggio sulle orme di Papa Wojtyla. La Commissione per il turismo e il tempo libero della Conferenza episcopale umbra, l’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve e il Pontificio Seminario regionale umbro “Pio XI” organizzano un pellegrinaggio in Polonia, la patria del beato Giovanni Paolo II, guidato dall’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Gualtiero Bassetti. Il pellegrinaggio vedrà la partecipazione di alcuni vescovi umbri, di numerosi sacerdoti, di tutti i seminaristi della regione e di un folto gruppo di fedeli. Il pellegrinaggio si svolgerà dal 17 al 23 agosto e la sua organizzazione è curata dalla neonata agenzia diocesana viaggi “Nova Itinera” di Perugia. Per una durata di sette giorni, il pellegrinaggio toccherà le principali città storiche della Polonia, iniziando dall’antica capitale Cracovia. Le tappe del pellegrinaggio riguarderanno Wadowice, città natale di Karol Wojtyla; il santuario della Divina Misericordia, con il ricordo di santa Faustina Kowalska; Auschwitz, memoriale dell’olocausto del popolo ebraico; il celebre santuario della Madonna Nera di Czestochowa; le città di Torun e poi di Danzica su litorale baltico e, infine, la città di Varsavia con i suoi antichi monumenti e il santuario dedicato al beato padre Jerzy Popiełuszko.

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Il valore profondo del silenzio dentro cui “accade” la Parola https://www.lavoce.it/il-valore-profondo-del-silenzio-dentro-cui-accade-la-parola/ Fri, 08 Jun 2012 12:13:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=11267
Giuseppe Betori

Giovedì 31 maggio i sacerdoti delle otto diocesi della nostra regione si sono ritrovati a celebrare la loro annuale giornata di spiritualità presbiterale a Collevalenza, al santuario dell’Amore Misericordioso. È una tradizione che dura da alcuni anni ed ha avuto come maestri personaggi di grande rilevanza teologica e pastorale. Il nostro collaboratore Colasanto ne ha ricordati due che sono divenuti Papi, Albino Luciani divenuto Giovanni Paolo I, che dettò la meditazione nel 1974, e Joseph Ratzinger (oggi Benedetto XVI) nel 1984.

Quest’anno è venuto il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, che ha fatto un gradito ritorno nella sua terra umbra. La sua meditazione ha preso lo spunto dalla lettera pastorale che ha inviato ai fiorentini, intitolata Nel silenzio la Parola. La prima riflessione, che poi si è snodata per tutto il discorso, è la relazione tra i due termini, che non devono essere considerati estranei l’uno all’altro, ma si richiamano e si integrano nel processo della comunicazione, che è fondamentale per creare la comunione.

La meditazione ha avuto momenti di grande profondità ed ha messo in luce la necessità di re-immergersi nel silenzio per dare significato e spessore alla parola. La parola, quella minuscola, e tanto più quella che si scrive con la maiuscola, “accade nel silenzio”, ha detto Betori. Ha commentato questo pensiero servendosi del testo del libro della Sapienza (18,14-15) usato dalla liturgia di Natale, in cui si evoca il grande silenzio nel quale si compie la rivelazione della Parola, l’incarnazione del Verbo. Nello stesso tempo la parola si apre al silenzio per il suo intrinseco limite e spinge verso la meditazione, la preghiera e l’adorazione. Ha citato anche autori antichi e moderni: Dante, Wittgenstein, Simone Weil, Mario Luzi, ed ha evocato la questione del “silenzio di Dio” ad Auschwitz. Di Simone Weil ha citato le due fonti che aprono al silenzio, e fanno rimanere muti e attoniti, senza parole: sono la sventura e la bellezza. La prima parola pronunciata da Adamo è stata di ammirazione per Eva.

Non si pensi che il discorso sia rimasto nelle sfere alte della riflessione, ma è calato nella concretezza dell’attività pastorale, come ad esempio nella celebrazione liturgica, dove si devono rispettare i momenti di silenzio e non aver la preoccupazione di riempire di parole o di suoni tutto il tempo, come se si avesse paura del silenzio quasi fosse un vuoto, una mancanza di qualcosa. Non si deve neppure pensare che la vecchia liturgia sia stata più rispettosa del silenzio, come alcuni dicono in polemica con la nuova liturgia, perché il celebrante parla sempre sottovoce, “bisbiglia per conto suo”.

Non potendo raccontare tutta la meditazione, suggeriamo di collegarsi al sito della diocesi di Firenze e scaricare la lettera pastorale dell’Arcivescovo.

Si deve purtroppo segnalare che il numero dei preti presenti non era il massimo, data la triste circostanza della morte di don Mario Curini, parroco di Norcia, oltre all’appuntamento a Orvieto per l’annuncio della nomina del nuovo Vescovo. In ambedue i casi sia i rispettivi Vescovi sia alcuni sacerdoti sono dovuti rimanere nelle loro sedi. L’incontro di Collevalenza, comunque è sempre molto gradito ed efficace per consolidare l’unione spirituale e pastorale del presbiteri delle diocesi umbre.

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Misericordia, fonte di speranza https://www.lavoce.it/misericordia-fonte-di-speranza/ Thu, 13 Oct 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9693 Ho avuto la grazia di partecipare al II Congresso mondiale della Divina Misericordia che si è celebrato a Cracovia nei giorni 1-5 ottobre 2011. Aveva come tema “Misericordia, fonte di speranza”. Il primo congresso aveva avuto luogo a Roma nei giorni 2-6 aprile 2008 su iniziativa del cardinale C. Schönborn e altri cardinali che si proponevano di approfondire il tema della misericordia, tema centrale nel magistero del beato Giovanni Paolo II e della santa suor Faustina Kowalska, apostola della Divina Misericordia, morta il 5 ottobre 1938 e canonizzata durante il giubileo del 2000. Ecco alcune annotazioni su questo evento.

Primo. Dal punto di vista storico-geografico balza agli occhi una provvidenziale coincidenza. Qualche anno prima della Seconda guerra mondiale, a Cracovia, suor Faustina si sente ispirata a far conoscere al mondo la Divina Misericordia e a confidare in Gesù misericordioso. Il giovane Wojtyla vive a Cracovia come studente, come lavoratore, come seminarista, sacerdote e poi come arcivescovo. Molto spesso si viene a trovare nei luoghi di suor Faustina e ne approfondisce il messaggio, come lui stesso racconta nel testo autobiografico Dono e mistero. Non molto lontano da Cracovia altri due luoghi molto significativi: il grande santuario di Jasna Góra (Madonna di Czestochowa) e il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove furono deportati ebrei e altre migliaia di persone, e circa un milione furono sterminate. Wojtyla vive la tragedia da vicino. Nell’omelia della canonizzazione di santa Faustina, Giovanni Paolo II disse: “Dalla divina Provvidenza la vita di questa umile figlia della Polonia è stata completamente legata alla storia del XX secolo, il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. È, infatti, tra la Prima e la Seconda guerra mondiale che Cristo le ha affidato il suo messaggio di misericordia. Coloro che ricordano, che furono testimoni e partecipi degli eventi di quegli anni e delle orribili sofferenze che ne derivarono per milioni di uomini, sanno bene quanto il messaggio della misericordia fosse necessario” (30 aprile 2000). In quello stesso periodo Madre Speranza vive a Roma, in via Casilina e durante i bombardamenti svolge la sua opera: accoglie molti profughi, offre loro vitto e alloggio, cura i feriti, prega l’Amore misericordioso perché cessi la guerra. Secondo. Divenuto Papa, Giovanni Paolo II porta del suo cuore sia l’esperienza tragica della guerra (la violenza colpisce anche lui il 13 maggio 1981, in piazza San Pietro), sia l’assoluta certezza della fede che garantisce il prevalere della misericordia di Dio. Infatti le sue prime encicliche: Redemptor hominis e Dives in misericordia esprimono in modo chiaro la verità cristiana sul Dio misericordioso, sull’uomo bisognoso di misericordia e sulla Chiesa chiamata a professare, proclamare e testimoniare la misericordia. Tale tema viene riproposto come contenuto centrale nella nuova evangelizzazione, come esperienza principale del grande Giubileo, come fonte di speranza per il terzo millennio. In questa linea si colloca anche il magistero di Papa Benedetto, soprattutto con le encicliche Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in veritate. Terzo. Mi pare ci sia un evidente collegamento con gli orientamenti Cei.

Educare alla vita buona del Vangelo.

Gesù, il Maestro, ci invita alla sua scuola con le seguenti parole: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Gesù è venuto a insegnarci la misericordia, l’amore, il perdono, il servizio umile. Questa è la vita buona del Vangelo. Quarto. La misericordia offerta da Gesù è la risposta quanto mai attuale alle sfide del nostro tempo, legate all’individualismo, al relativismo e al nichilismo che portano non raramente alla disperazione. La misericordia del Signore fonda la speranza invincibile perché l’Amore misericordioso è assoluto e gratuito, e ci accompagna sempre soprattutto nei momenti più critici. Ma fonda altresì la speranza performativa, ossia quella speranza che ci spinge con forza a cambiare stili di vita: ci porta a passare dall’egoismo all’amore, dalla rassegnazione all’impegno totale, dalla chiusura al dono di noi stessi, al perdono, alla riconciliazione, al diventare misericordiosi come il Padre.

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Angela e la Lubich mistiche per l’oggi https://www.lavoce.it/angela-e-la-lubich-mistiche-per-loggi/ Fri, 21 May 2010 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8461 “Angela da Foligno e Chiara Lubich, due mistiche per il III millennio” è il tema di un convegno promosso dal Cenacolo della beata Angela, dal movimento dei Focolarini, dalla diocesi e dal Comune di Foligno nel quadro delle numerose iniziative di studio e di approfondimento realizzate per il VII centenario della beata Angela.

Sabato 22 maggio alle ore 15.30 presso il convento di San Francesco di Foligno sul tema generale del convegno interverranno: il prof. Fabio Ciardi, omi, ordinario presso il Claretianum di Roma, su “Angela da Foligno e Chiara Lubich nel mistero trinitario”, la prof. Linda Ciccarelli, docente nell’istituto Mystici Corporis di Loppiano (Fi) su “Chiara nel mondo contemporaneo”; il prof. Domenico Alfonsi, presidente del Cenacolo della beata Angela, su “Angela, ancora attuale?”. Seguirà il dialogo con gli intervenuti e, infine, un intervento musicale. Su questa iniziativa abbiamo intervistato padre Alfonsi, direttore del Cenacolo.

Padre, due mistiche a confronto, perché? “Il Cenacolo nelle celebrazioni centenarie ha voluto includere non solo tematiche che esplorassero la figura, la spiritualità e il messaggio della beata Angela, ma ha voluto proporre dei raffronti con figure significative del nostro tempo”.

Quale figura avete già approfondito? “La prima presa in considerazione è stata Edith Stein (1891 – 1942), la carmelitana ebrea morta nel campo di concentramento nazista di Auschwitz; ed ora Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari”. Chiara Lubich si è nutrita di spiritualità francescana, e se ricordiamo bene nell’immediato dopoguerra ebbe un autorevole guida spirituale in Leon Veuthey, francescano conventuale con il quale ebbe anche rapporti epistolari. “Certo. Chiara anch’essa si è nutrita della spiritualità francescana. Ora si vuole indagarne il ‘nocciolo duro’, cioè quello mistico, che sta a fondamento della prodigiosa e plurima attività svolta da subito dopo la Seconda guerra mondiale fino alla sua morte”.

Dove porterà questo raffronto? “Ci porterà a vedere le differenze, ma soprattutto le affinità tra queste due donne per quanto riguarda il mistero trinitario, il Cristo ‘passionato’ di Angela e il Gesù ‘abbandonato’ di Chiara con le relative conseguenze che ne scaturiranno”. Per Angela è riconquistare uno spazio e un interesse adeguato per la sua altissima spiritualità, anche nel nostro tempo, sempre più assetato di valori assoluti.

Vogliamo qui ricordare la visita di Giovanni Paolo II a Foligno il 20 giugno 1993 e la sosta nella chiesa di San Francesco, dinanzi all’urna della Beata. Una visita che ha richiamato l’attenzione del mondo intero sulla figura di una delle più grandi mistiche cristiane, il cui processo di canonizzazione è ancora in corso. La sua festa si celebra a Foligno, città e diocesi, e in Umbria, il 4 gennaio e le Famiglie francescane la ricordano nello stesso giorno. Alla manifestazione hanno dato il patrocinio il ministero dei Beni e le attività culturali, la Cei, la Ceu, la Provincia Serafica ofm-conv dell’Umbria, la Facoltà teologica San Bonaventura di Roma, l’Istituto teologico di Assisi, la Regione Umbria e la Provincia di Perugia.

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Oggi la pace fiorisce dalle ferite dell’Europa https://www.lavoce.it/oggi-la-pace-fiorisce-dalle-ferite-delleuropa/ Thu, 10 Sep 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7813 Una marcia silenziosa nel cuore della vergogna del mondo, nel luogo simbolo del dolore assoluto: il campo di concentramento di Birkenau-Auschwitz. I leader delle religioni di tutto il mondo, rabbini, imam, cardinali e metropoliti, e con loro centinaia di persone, hanno sfilato lungo i binari della morte. Hanno compiuto quello stesso tragico tragitto che 70 anni fa condusse il popolo ebraico verso i forni crematori. Quello degli ebrei, è stato il più vasto genocidio nella storia del mondo. Sei milioni di persone sono state assassinate: l’80% degli appartenenti alla comunità ebraica europea, un terzo della loro popolazione mondiale.

Due ricorrenze chiave. Si è concluso l’8 settembre con questo atto di omaggio alla memoria delle vittime del passato e con un appello finale, il Meeting internazionale “Religioni e culture” della Comunità di Sant’Egidio, che ha riunito dal 6 settembre a Cracovia oltre 500 rappresentanti delle religioni mondiali. La città polacca è stata scelta perché quest’anno ricorrono i 70 anni dallo scoppio del secondo conflitto mondiale e i 20 dall’abbattimento definitivo della “cortina di ferro”. Arrivati al campo di Auschwitz-Birkenau, i delegati di tutte le Chiese cristiane e delle religioni mondiali hanno posto sulle tombe delle vittime un omaggio floreale.Nessuna religione può causare conflitti. “Nessuna religione e nessuna fede può essere scintilla di conflitti, violenze e guerre. Il nome di ogni religione è la pace, perché la pace è il nome di Dio”: lo ha detto il card. Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, durante la cerimonia di chiusura del Meeting. “Tocca ora a ognuno di noi rientrare a casa con questa luce e continuare a vivere lo spirito di Assisi”, ha osservato una delle testimoni del genocidio in Burundi, Marguerite Barankitse, che ha preso la parola dopo che il direttore dell’Ufficio relazioni interreligiose della Casa Bianca, Joshua Du Bois, aveva ricordato: “C’è un vero comandamento che è il cuore di ogni religione: fare agli altri quello che vorremmo gli altri facessero a noi”. Questa verità, ha proseguito il rappresentante del Governo americano, “pulsa nel cuore di miliardi di persone in tutto il mondo” poiché “è volontà di Dio” che “i popoli tutti possono vivere insieme in pace” e questo “dovrà essere il nostro impegno sulla terra”. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato invece che “la pace parte da noi stessi, dalla conversione dei cuori, dalla volontà di vivere senza violenza”. Appello ai “cugini” musulmani.

“Dobbiamo vivere e lasciar vivere”, ha detto l’ex rabbino di Israele, Israel Meir Lau, sopravvissuto ad Auschwitz, durante la cerimonia di commemorazione delle vittime del nazifascismo. Meir Lau si è rivolto, chiamandoli “cugini”, ai musulmani partecipanti alla celebrazione interreligiosa con un appello solenne. “Se sul terreno di un ex Lager nazista siamo capaci di camminare insieme, possiamo anche sederci e discutere in modo da risolvere tutti i conflitti in atto. Lo possiamo fare e ne siamo capaci!” ha aggiunto, ricordando che la visita ad Auschwitz è una promessa “fatta a noi stessi, ai nostri figli, alle generazioni future: Mai più! Mai più un orrore simile si ripeta in nessuna parte del mondo!”. Il card. Paul Poupard, rilevando il valore del pellegrinaggio nell’ex campo di concentramento nazista come cathàrsis, ha osservato: “Dopo la purificazione della memoria, dobbiamo insieme costruire il futuro affinché simili crimini non si ripetano mai più”.

L’APPELLO FINALE

“Non c’è pace per il mondo, quando muore il dialogo tra i popoli. Nessun uomo, nessun popolo è un’isola”: è la dichiarazione contenuta nell’appello di pace diffuso durante la cerimonia finale del Meeting di Cracovia. “Spesso si è dimenticata l’amara lezione della Seconda guerra mondiale”, constatano i partecipanti al Meeting, ma “bisogna guardare ai dolori del nostro mondo: i popoli in guerra, i poveri, l’orrore del terrorismo, le vittime dell’odio. Il nostro mondo – si legge ancora nell’appello – è disorientato dalla crisi di un mercato che si è creduto onnipotente, e da una globalizzazione spesso senz’anima e senza volto. La globalizzazione è un’occasione storica, anche se spesso si è preferito viverla in una logica di scontro di civiltà e di religione”. Ma “le nostre tradizioni religiose, nelle loro differenze, dicono assieme con forza che un mondo senza spirito non sarà mai umano” e un “mondo senza dialogo sarà schiavo dell’odio e della paura dell’altro”. “Le religioni non vogliono la guerra e non vogliono essere usate per la guerra – sottolinea l’appello -. Parlare di guerra in nome di Dio è una bestemmia. Nessuna guerra è mai santa. L’umanità viene sempre sconfitta dalla violenza e dal terrore”. I vari leader religiosi hanno sperimentato che “il dialogo libera dalla paura e dalla diffidenza verso l’altro. È la grande alternativa alla guerra”. I partecipanti all’incontro s’impegnano perciò a costruire “con pazienza e audacia una nuova stagione di dialogo, che unisca nella pace chi si odia e chi si ignora, tutti i popoli e tutti gli uomini”.

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Nel nome dell’unico Dio https://www.lavoce.it/nel-nome-dellunico-dio/ Thu, 14 May 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7531 Scendendo dal monte Nebo, dopo averla contemplata come Mosè, Benedetto XVI è entrato nella Terra promessa, dove ha avuto un forte impatto con un tragica ferita della storia, ancora viva nella memoria del popolo di Israele: la Shoah. Papa Joseph Ratzinger, tedesco, ha già vissuto personalmente con particolare intensità, nella visita al campo di sterminio ad Auschwitz (28 maggio 2006), l’umiliazione di appartenere al popolo che fu il principale artefice delle atrocità commesse contro gli ebrei. In quell’occasione osò ripetere il grido da molti rivolto al Cielo: perché, Signore, hai taciuto? ‘Perché hai potuto tollerare tutto questo?’. L’11 maggio, al mausoleo dello Yad Vashem di Gerusalemme, Benedetto XVI ha avuto parole alte e nuove, diverse, con altrettanta intensità ed emozione, concise, pregnanti, immergendosi nell’abissale mistero di Dio che conosce e custodisce ognuno per nome. Yad infatti vuol dire ‘memoriale’, shem significa ‘nome’. All’uomo si possono rubare le cose che possiede, togliere persino la vita, ma nessuno può rubargli il nome: ‘Milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah persero la propria vita, ma non perderanno mai il loro nome’. Oltre che nella memoria dei loro cari, i loro nomi ‘sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio onnipotente’. Il discorso del Papa non è da leggere in chiave puramente consolatoria, ma come un vero e proprio atto di fede comune, ebraica-cristiana, e un comune impegno perché quanto accaduto non si ripeta. Un impegno da prendere ‘oggi’ a difesa di quanti sono soggetti a persecuzioni per causa dell’etnia, del colore, della condizione di vita e della religione. Questo discorso è correlato con l’altro, più ampio e articolato, rivolto ai membri delle Organizzazioni per il dialogo interreligioso nel Centro di NÈtre Dame Jerusalem. Benedetto XVI ha impostato la riflessione su Abramo, la sua fede, la sua storia, nella quale si ritrovano le antiche radici di ebrei, musulmani, e cristiani ed è, in qualche modo, paradigma perenne di una autentica fede religiosa personale. È convinzione del Papa che sia possibile, nella diversità delle religioni, trovare – o meglio, scoprire – un dato di fondo che unisce i credenti e favorisce lo sviluppo culturale dell’intera società. In modo particolare, oggi, nel mondo globale, a coloro che calcano la penna e la voce sulle differenze e paventano la conflittualità tra le religioni e lo scontro delle civiltà, si deve presentare la potenzialità che i credenti hanno di plasmare la cultura in cui si trovano a vivere la loro esperienza religiosa, innestando in essa i principi della trascendenza, dell’amore alla verità, del rispetto per la razionalità. ‘Insieme possiamo proclamare che Dio esiste, e che può essere conosciuto; che la terra è sua creazione; che noi siamo sue creature e che Egli chiama ogni uomo e ogni donna ad uno stile di vita che rispetta il suo disegno per il mondo’. La nostra unità per la pace nel mondo non dipende dalla uniformità, perché il superiore senso di ‘rispetto per l’universale, per l’assoluto, per la verità spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra’. Il discorso di Benedetto XVI, articolato e complesso, sulla linea della dichiarazione conciliare sulle religioni Nostra aetate, segna un punto di ripresa del dialogo interreligioso che negli ultimi tempi, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, ha subìto forti ritardi. Se questa prospettiva sarà accolta, aiuterà a vincere le tentazioni ricorrenti in tutte le religioni di chiusura e lettura letteralistica delle proprie sacre Scritture.

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Non rientrare nel buio https://www.lavoce.it/non-rientrare-nel-buio/ Fri, 26 Jan 2007 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5639 Il 27 gennaio, data dell’abbattimento da parte dell’esercito russo dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia, ricorre la Giornata della memoria, istituita con legge del Parlamento italiano il 20 luglio 2000, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni subite da parte del popolo ebraico e dei deportati politici e militari italiani nei campi nazisti.

Numerose anche in Umbria le iniziative per questa giornata legata ad una data del lontano 1945, e celebrata per non dimenticare la tragedia dell’Olocausto, le leggi razziali imposte dal 1938 dall’allora governo italiano, le deportazioni, la prigionia, la morte; nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti ai progetti di morte, spesso a rischio della propria vita, salvando e proteggendo diverse persone. “La coscienza esce dal buio” è il tema che quest’anno la Regione dell’Umbria ha scelto per una serie d’iniziative rivolte soprattutto alle scuole, che nella giornata di sabato 27 gennaio si svolgeranno nei piccoli e nei grandi Comuni. Di questa ricorrenza, abbiamo parlato con Cesare Moscati, rabbino della comunità ebraica di Roma, intervenuto a Perugia presso il Centro ecumenico San Martino lo scorso 15 gennaio, alla vigilia della giornata dedicata al dialogo ebraico-cristiano.

Si è sentito dire più volte che anche il 27 gennaio stia in qualche modo diventando una consuetudine, perdendo un po’ del suo significato originario. “Intanto è un giorno riconosciuto non solo in Italia ma in tutta Europa ed è di fondamentale importanza. Soprattutto in questo periodo in cui si vanno diffondendo tesi negazioniste, che non solo non riconoscono o diminuiscono l’esistenza della Shoah, ma addirittura, mettono in discussione l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Quindi, aver istituito un’iniziativa dedicata a questo ricordo è un segno rilevante; il fatto che si stia entrando nella routine, dipende dal modo in cui ci si rapporta con questa data… bisogna fare in modo che ciò non avvenga”.

Proprio riguardo a questo rischio, è stato ricordato come fra qualche anno, quando verranno a mancare gli ultimi sopravvissuti dei campi di concentramento, si perderà, soprattutto da parte delle nuove generazioni, il senso di questa memoria. “Questa è una conseguenza quasi naturale, così com’è successo per altre tragedie, non solo presso il popolo d’Israele, ma anche per altre nazioni… C’è da augurarsi, però, che le testimonianze scritte, e anche i filmati, possano mantenere ancora vivo il ricordo di uno sterminio costato la vita a quasi sei milioni di persone”.

È quindi necessario mantenere viva la memoria, il ricordo, attraverso giornate come questa. “Sì, senza dubbio. Intanto, nella tradizione ebraica l’assenza di ricordi è negativa, perchè rappresenta una minaccia alla sopravvivenza del genere umano. Memoria significa ricordare, come c’è scritto nella Torah… e soprattutto non dimenticare. Ognuno di noi – ha concluso il rabbino Moscati – ha il dovere di non cancellare il ricordo legato alla Shoah”.

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Che i giovani vedano cos’è stato fatto all’Uomo! https://www.lavoce.it/che-i-giovani-vedano-cose-stato-fatto-alluomo/ Thu, 26 Jan 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4926 Ci giunge proprio in coincidenza della Giornata della memoria (27 gennaio) una commovente testimonianza – resoconto di una visita ad Auschwitz. Ho avuto la possibilità di recarmi recentemente nei luoghi del dolore, della disumanità assoluta. Sono grata per aver avuto l’opportunità di onorare la memoria di tante vittime innocenti. È importante vedere, toccare quei luoghi, respirare quel ‘sapore’ di morte e di dolore che sembra ancora uscire da quei corridoi stretti, anneriti e bui e da quelle piccolissime stanze(.) senza finestre o con piccolissime aperture. Sto parlando di Auschwitz. Il muro della morte. Le camere a gas. I forni crematori. La stanza di Padre Kolbe. Il grido silenzioso di scheletri ammucchiati in alcune foto. Migliaia di vecchie scarpe, anche di bambini. Tonnellate di capelli di donna e di occhiali. Vecchie valige di cartone, numerate. Gli strumenti delle punizioni più atroci e dell’annientamento della dignità umana. Il cancello del campo con la scritta in ferro, in alto: ‘Il lavoro rende liberi’, una bugiarda promessa di libertà attraverso il lavoro. E per milioni di persone fu solo la via d’entrata. La via d’uscita dal campo fu solo attraverso il fumo del camino dei forni crematori. I giovani studenti devono vedere, recarsi in quei luoghi per conoscere, per sapere, per rendersi conto che è stato possibile, è successo, poco più di sessanta anni fa, ciò che sembra impossibile alla mente umana; l’abisso dell’assurdo. Il filo della memoria va coltivato, perché dimenticare non è mai un buon consigliere per la vita umana. Ad Auschwitz / Birchenau ho avuto l’opportunità di visitare, nei sotterranei della chiesa dei frati francescani di padre Kolbe, una ‘mostra’. No, dice l’autore Marian Kolodzej, ancora vivente, non sono quadri, sono ‘parole’ racchiuse in disegni, in bianco e nero. Tantissimi, che tappezzano le pareti e i soffitti di diverse stanze di un labirinto, al cui ingresso vediamo da una parte rotaie e pezzi di treno e dall’altra l’Apocalisse con i prigionieri scheletriti e numerati. ‘Raccontano’ ciò che lui e milioni di persone hanno vissuto in quei luoghi. ‘Narrano’ ciò che è stato fatto all’umanità, ciò che l’uomo ha saputo fare all’altro uomo. Anche se l’arte, scrive l’autore, sembra impotente ad esprimerlo. E allora, citando André Malroux, annota: ‘Il più grande mistero non sta nell’essere stati gettati, a caso, tra la terra e le stelle, ma nel fatto che, nella nostra prigione, riusciamo a trarre da noi stessi, immagini sufficientemente potenti, capaci di opporsi al nostro nulla.’. Che i giovani sappiano e vedano ciò che è stato fatto alla nostra umanità. Sembrano fotografie nascoste di quanto è avvenuto e trasmettono realmente la percezione di quello che avveniva lì, fuori e dentro le persone. Attraverso i disegni di Kolodzej ho visto il dramma della memoria, la realtà di Auschwitz, una realtà portata alla luce. I prigionieri attraverso i suoi disegni, sono resi, dalla fame e dal dolore, tutti simili tra loro e all’uomo morto in croce sul Golgota. Ho incontrato tanti studenti con i loro professori, provenienti da ogni parte d’Europa, percorrere, silenziosi e ‘pensosi’, quei luoghi. Sicuramente la storia, così appresa, rimarrà scolpita profondamente nei loro animi e diventerà non solo sapere, ma ‘sapienza’ di vita.

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