assistenza Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/assistenza/ Settimanale di informazione regionale Sun, 19 Jun 2022 15:20:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg assistenza Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/assistenza/ 32 32 Associazione San Vincenzo De Paoli: oltre 98mila euro di aiuti distribuiti nel 2021 https://www.lavoce.it/associazione-san-vincenzo-de-paoli-oltre-98mila-euro-di-aiuti-distribuiti-nel-2021/ Tue, 14 Jun 2022 12:11:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67185 associazione san vincenzo de paoli

L'Associazione San Vincenzo De Paoli di Terni presenta il bilancio dell'attività di assistenza svolta nel 2021. Il resoconto, è stato illustrato in occasione dell’assemblea annuale della associazione in cui responsabili delle varie conferenze si sono riuniti per delineare nuove prospettive e progetti per l’anno in corso. Un anno di ripartenza, dopo la contrazione dell’attività dovuta alla pandemia, nel quale è cresciuta la volontà di riappropriarsi dei rapporti umani, della speranza in un futuro migliore, della consapevolezza che l’isolamento non giova a nessuno, soprattutto a chi vive già i drammi di un’esistenza misera. 

Un dato rilevante è che nell'ultimo anno c’è stato un incremento di circa il 30% di nuovi casi per effetto della pandemia che ha portato alla perdita di lavoro e a un isolamento spesso alienante. Inoltre, si è ulteriormente indebolita la fascia di popolazione a cui è rivolto da sempre l'intervento dell'Associazione: famiglie gravate da problemi economici ed esistenziali per senso di frustrazione e mancanza di opportunità lavorative, figli a rischio di abbandono scolastico per mancanza di un ambiente familiare culturalmente preparato a sostenerli, anziani soli, senzatetto, stranieri non perfettamente integrati.

"Anche se la situazione è critica -sottolinea il presidente diocesano dell'Associazione San Vincenzo De Paoli, Roberto Reale- si percepisce l'esigenza di riappropriarsi di una socialità interrotta di nuovi stimoli per ripartire, di fiducia e speranza.

C’è voglia di relazioni, di solidarietà non solo nelle persone assistite ma anche nella gente che interagisce con l’Associazione San Vincenzo De Paoli e nei volontari, nel sostenere le famiglie in difficoltà provvedendo alle loro primarie necessità e con interventi per il miglioramento del proprio benessere.

In realtà, noi, anche nei periodi di pandemia non si è mai fermata, i volontari più anziani dalle loro case hanno tenuto i contatti con le famiglie assistite, i più giovani si sono riorganizzati per la distribuzione di beni e servizi e sono riprese anche alcune attività laboratoriali per l’accoglienza e l’integrazione dei più bisognosi.

Vorremmo creare una rete di relazioni tra volontari delle varie conferenze per condividere esperienze e progettualità, che abbiano al centro le persone e l’amicizia con tutti coloro che chiedono aiuto e vicinanza umana".

L'attività svolta nel 2021 dall'Associazione San Vincenzo De Paoli a Terni

Nell’anno 2021 sono stati elargiti aiuti per un totale di € 98.449,00,cifra di poco inferiore a quella dell’anno precedente. Inoltre sono stati distribuiti 110.867 chilogrammi di generi alimentari ricevuti gratuitamente, in particolare attraverso il Banco Alimentare. Sono stati distribuiti 10.192 pacchi viveri e prodotti per igiene permettendo a 2987 persone di usufruirne, di cui 1390 italiani, 242 comunitari, 1355 extracomunitari. Sono state assistite 948 persone, 408 nuclei familiari attraverso le visite domiciliari, attività caratteristica dell’Associazione. Sono stati ricevuti e distribuiti 7253 capi di vestiario attrezzature per infanzia e mobili, il cui valore come prodotto usato può essere quantificato in € 27.539, distribuiti soprattutto attraverso l’Emporio Bimbi.

Il progetto Ripartiamo insieme: famiglia, amicizia, speranza

Grazie al prezioso contributo della Fondazione Carit di settantadue mila euro, la San Vincenzo ha potuto dar vita a questo progetto che tende a restituire dignità a chi per le difficoltà della vita sente di averla persa. Il supporto del sostegno amicale tende ad evitare la disgregazione delle famiglie, gravissima conseguenza della crisi economica che diventa crisi esistenziale. Condizione essenziale per l’unità del nucleo familiare è la disponibilità della casa, indiscutibile bene primario e la certezza di avere il necessario per l'alimentazione e la cura della persona. Si è provveduto al pagamento di utenze, affitti, spese condominiali, acquisto di generi alimentari e di igiene.

Altro aspetto è la cura della salute degli individui ed aiutarli al rispetto delle norme igieniche anche in riferimento al Covid. Obiettivo del progetto è assicurare tali beni e servizi attraverso il pagamento di visite mediche, medicinali, ausili vari. Ed infine l’istruzione per evitare la dispersione scolastica attraverso il sostegno allo studio e il pagamento delle spese scolastiche (libri di testo, materiale di cancelleria, corredo, mense e trasporto scolastico) per assicurare un futuro migliore ai bambini e ragazzi che si sentono discriminati per la mancanza di opportunità.

Denominatore comune del progetto è comunque quello del riappropriarsi della propria dignità anche sentendosi parte della comunità attraverso momenti volti all'inclusione. Migliorare la qualità di vita degli anziani che vivono spesso in solitudine e con pensioni inadeguate. Garantirgli una vita dignitosa attraverso aiuti economici, reinserirli nel tessuto sociale, dare loro serenità, amicizia, creare momenti di evasione.

Quindi particolare attenzione per le fasce più deboli come anziani e bambini, soprattutto stranieri poco integrati, che hanno maggiormente sofferto per la pandemia e il forzato isolamento ha tolto stimoli, acuito fobie ed impigrito le menti. Il progetto prevede interventi per migliorare il proprio benessere e qualità della vita, riallacciare i rapporti umani, creare occasioni di evasione e di integrazione, sono in programma gite per anziani, momenti culturali, conviviali e ludici. Interventi animati in particolare dai giovani vincenziani per un reciproco arricchimento di valori umani nella diversità generazionale.

Progetto U.N.I.R.E

Nel 2021 ha avuto realizzazione, grazie al contributo del Consiglio Nazionale della San Vincenzo de’ Paoli, il progetto U.N.I.R.E. (Unire Nazioni Insegnando Relazionandosi Emancipandosi), laboratorio di svago e apprendimento in lingua italiana, inglese e francese per acquisire la conoscenza dei sistemi digitali al fine di rapportarsi con la Pubblica Amministrazione, per accedere ai vari servizi online e usufruire delle agevolazioni, per le prenotazioni, per proporre candidature di lavoro, per essere in grado di sostenere i figli nella didattica a distanza e a tenere le relazioni con la scuola utilizzando le piattaforme on line. Il tutto affiancato da laboratori di musica danza e recitazione per preparare il saggio finale dei partecipanti.

Emporio Bimbi

Nel 2021 è stato festeggiato il V Anniversario dell’Emporio Bimbi, creato per l’integrazione tra le diverse culture e condizioni sociali attraverso eventi dedicati, particolare attenzione è rivolta ai bambini emarginati in ambiente scolastico. Emporio Bimbi è distribuzione di beni essenziali e servizi (sostegno scolastico, laboratori didattici, sport e danza) ai bambini da 0 a 12 anni in difficoltà economica e/o esistenziale e alle relative famiglie per evitare che qualcuno possa soffrire della mancanza di beni essenziali e della possibilità di opportunità necessari per una esistenza dignitosa.

Nell' anno 2021 l’Emporio ha assistito 333 bambini appartenenti a 196 famiglie, il 30% sono nuovi accessi, sono povertà economiche e culturali, trend in crescita anche nei primi mesi del 2022 con l’arrivo di circa 90 bambini ucraini.

Sono stati distribuiti 1176 pacchi spesa con alimentari, prodotti di igiene personale e materiale scolastico per un costo totale di € 27770,80.  Alcuni esempi dei beni distribuiti: 249 zaini per la scuola, 399 pastelli,1127 quaderni,2515 prodotti vari per la scuola, 923 merendine, 1307 biscotti, 982 miele/nutella, 1682 pannolini, 2089 saponi vari. Oltre a questi abbiamo distribuito 1807 giocattoli, 554 libri, 540 scarpe, 4735 capi di vestiario, 437 attrezzature varie.

L’ambito di azione dell’Emporio Bimbi è essenzialmente il territorio della Diocesi di Terni-Narni-Amelia nelle sue zone più depresse dove emergono differenze sociali e culturali che facilitano atti di discriminazione ed emarginazione nei confronti dei bambini più vulnerabili. Zone in cui vivono famiglie che non hanno livelli culturali, strumenti informatici e disponibilità economiche tali da sostenere il percorso scolastico dei figli favorendo il relativo abbandono soprattutto nell'attuale periodo della pandemia che le ha indebolite ulteriormente sia dal punto di vista economico che relazionale ed esistenziale.

Emporio Bimbi si è arricchito di nuove figure professionalmente preparate per gestire i nuovi laboratori per mamme e bambini grazie anche al prezioso apporto della Caritas di San Gabriele che è partner del nostro progetto UNIRE per offrire nuove opportunità di apprendimento, di socializzazione e di acquisizione delle conoscenze informatiche e digitali per colmare le loro lacune ed avere maggiore possibilità di accesso al mondo del lavoro

Importante è stato l'inserimento dei piccoli vincenziani che hanno portato avanti le iniziative di integrazione dei bambini frequentanti l'emporio ed hanno sostenuto con aiuti economici alcune famiglie particolarmente bisognose. Con la loro attività hanno inserito altri bambini nel mondo dello sport creando una squadra di pallavolo e hanno inserito in una nuova socialità ragazzi che vivono in solitudine invitandoli a fare le attività particolarmente apprezzate da tutti gli adolescenti.

Grazie al progetto Fratelli di Culla finanziato dalla Fondazione Carit trentotto famiglie hanno potuto usufruire del comodato gratuito di carrozzine e passeggini. Nei prossimi mesi riprenderanno i laboratori didattici, di danza e di musica, passi importanti verso l’inclusione e l’attenuazione del senso di frustrazione derivante dalle minori possibilità di accesso a servizi. Partirà inoltre nei prossimi giorni un laboratorio dedicato principalmente ai bambini ucraini per la realizzazione di mattonelle in ceramica da appendere in una via della città per ricordare l’ospitalità che Terni ha riservato loro e per ricordare l’importanza della convivenza pacifica.

Contributi e benefattori

Oltre alla Fondazione Carit altre realtà del territorio hanno contribuito a realizzare l’attività vincenziana in questo tempo di particolare difficoltà: la Diocesi di Terni-Narni-Amelia, Cosp Tecno Service, Parrocchia e scuola materna di Stroncone, Confcommercio e Associazione Clown Vip, Facoltà di Economia dell’Università di Perugia, OPES Umbria, Coldiretti, Circoli del PD, COOP, Conad Arca e tanti privati cittadini che oltre ad offerte in denaro hanno donato viveri, abbigliamento, mobili, giocattoli, attrezzature, materiale scolastico alle conferenze e in particolare all’Emporio Bimbi.

 Volontari

Purtroppo nell’anno sono state chiuse due conferenze ed c’è stato un forte decremento dei soci che sono attualmente settantadue. A questi si affianca un buon numero di volontari esterni che comunque sostengono l’attività e soprattutto il gruppo dei giovanissimi vincenziani a cui l’associazione affida il proprio futuro

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associazione san vincenzo de paoli

L'Associazione San Vincenzo De Paoli di Terni presenta il bilancio dell'attività di assistenza svolta nel 2021. Il resoconto, è stato illustrato in occasione dell’assemblea annuale della associazione in cui responsabili delle varie conferenze si sono riuniti per delineare nuove prospettive e progetti per l’anno in corso. Un anno di ripartenza, dopo la contrazione dell’attività dovuta alla pandemia, nel quale è cresciuta la volontà di riappropriarsi dei rapporti umani, della speranza in un futuro migliore, della consapevolezza che l’isolamento non giova a nessuno, soprattutto a chi vive già i drammi di un’esistenza misera. 

Un dato rilevante è che nell'ultimo anno c’è stato un incremento di circa il 30% di nuovi casi per effetto della pandemia che ha portato alla perdita di lavoro e a un isolamento spesso alienante. Inoltre, si è ulteriormente indebolita la fascia di popolazione a cui è rivolto da sempre l'intervento dell'Associazione: famiglie gravate da problemi economici ed esistenziali per senso di frustrazione e mancanza di opportunità lavorative, figli a rischio di abbandono scolastico per mancanza di un ambiente familiare culturalmente preparato a sostenerli, anziani soli, senzatetto, stranieri non perfettamente integrati.

"Anche se la situazione è critica -sottolinea il presidente diocesano dell'Associazione San Vincenzo De Paoli, Roberto Reale- si percepisce l'esigenza di riappropriarsi di una socialità interrotta di nuovi stimoli per ripartire, di fiducia e speranza.

C’è voglia di relazioni, di solidarietà non solo nelle persone assistite ma anche nella gente che interagisce con l’Associazione San Vincenzo De Paoli e nei volontari, nel sostenere le famiglie in difficoltà provvedendo alle loro primarie necessità e con interventi per il miglioramento del proprio benessere.

In realtà, noi, anche nei periodi di pandemia non si è mai fermata, i volontari più anziani dalle loro case hanno tenuto i contatti con le famiglie assistite, i più giovani si sono riorganizzati per la distribuzione di beni e servizi e sono riprese anche alcune attività laboratoriali per l’accoglienza e l’integrazione dei più bisognosi.

Vorremmo creare una rete di relazioni tra volontari delle varie conferenze per condividere esperienze e progettualità, che abbiano al centro le persone e l’amicizia con tutti coloro che chiedono aiuto e vicinanza umana".

L'attività svolta nel 2021 dall'Associazione San Vincenzo De Paoli a Terni

Nell’anno 2021 sono stati elargiti aiuti per un totale di € 98.449,00,cifra di poco inferiore a quella dell’anno precedente. Inoltre sono stati distribuiti 110.867 chilogrammi di generi alimentari ricevuti gratuitamente, in particolare attraverso il Banco Alimentare. Sono stati distribuiti 10.192 pacchi viveri e prodotti per igiene permettendo a 2987 persone di usufruirne, di cui 1390 italiani, 242 comunitari, 1355 extracomunitari. Sono state assistite 948 persone, 408 nuclei familiari attraverso le visite domiciliari, attività caratteristica dell’Associazione. Sono stati ricevuti e distribuiti 7253 capi di vestiario attrezzature per infanzia e mobili, il cui valore come prodotto usato può essere quantificato in € 27.539, distribuiti soprattutto attraverso l’Emporio Bimbi.

Il progetto Ripartiamo insieme: famiglia, amicizia, speranza

Grazie al prezioso contributo della Fondazione Carit di settantadue mila euro, la San Vincenzo ha potuto dar vita a questo progetto che tende a restituire dignità a chi per le difficoltà della vita sente di averla persa. Il supporto del sostegno amicale tende ad evitare la disgregazione delle famiglie, gravissima conseguenza della crisi economica che diventa crisi esistenziale. Condizione essenziale per l’unità del nucleo familiare è la disponibilità della casa, indiscutibile bene primario e la certezza di avere il necessario per l'alimentazione e la cura della persona. Si è provveduto al pagamento di utenze, affitti, spese condominiali, acquisto di generi alimentari e di igiene.

Altro aspetto è la cura della salute degli individui ed aiutarli al rispetto delle norme igieniche anche in riferimento al Covid. Obiettivo del progetto è assicurare tali beni e servizi attraverso il pagamento di visite mediche, medicinali, ausili vari. Ed infine l’istruzione per evitare la dispersione scolastica attraverso il sostegno allo studio e il pagamento delle spese scolastiche (libri di testo, materiale di cancelleria, corredo, mense e trasporto scolastico) per assicurare un futuro migliore ai bambini e ragazzi che si sentono discriminati per la mancanza di opportunità.

Denominatore comune del progetto è comunque quello del riappropriarsi della propria dignità anche sentendosi parte della comunità attraverso momenti volti all'inclusione. Migliorare la qualità di vita degli anziani che vivono spesso in solitudine e con pensioni inadeguate. Garantirgli una vita dignitosa attraverso aiuti economici, reinserirli nel tessuto sociale, dare loro serenità, amicizia, creare momenti di evasione.

Quindi particolare attenzione per le fasce più deboli come anziani e bambini, soprattutto stranieri poco integrati, che hanno maggiormente sofferto per la pandemia e il forzato isolamento ha tolto stimoli, acuito fobie ed impigrito le menti. Il progetto prevede interventi per migliorare il proprio benessere e qualità della vita, riallacciare i rapporti umani, creare occasioni di evasione e di integrazione, sono in programma gite per anziani, momenti culturali, conviviali e ludici. Interventi animati in particolare dai giovani vincenziani per un reciproco arricchimento di valori umani nella diversità generazionale.

Progetto U.N.I.R.E

Nel 2021 ha avuto realizzazione, grazie al contributo del Consiglio Nazionale della San Vincenzo de’ Paoli, il progetto U.N.I.R.E. (Unire Nazioni Insegnando Relazionandosi Emancipandosi), laboratorio di svago e apprendimento in lingua italiana, inglese e francese per acquisire la conoscenza dei sistemi digitali al fine di rapportarsi con la Pubblica Amministrazione, per accedere ai vari servizi online e usufruire delle agevolazioni, per le prenotazioni, per proporre candidature di lavoro, per essere in grado di sostenere i figli nella didattica a distanza e a tenere le relazioni con la scuola utilizzando le piattaforme on line. Il tutto affiancato da laboratori di musica danza e recitazione per preparare il saggio finale dei partecipanti.

Emporio Bimbi

Nel 2021 è stato festeggiato il V Anniversario dell’Emporio Bimbi, creato per l’integrazione tra le diverse culture e condizioni sociali attraverso eventi dedicati, particolare attenzione è rivolta ai bambini emarginati in ambiente scolastico. Emporio Bimbi è distribuzione di beni essenziali e servizi (sostegno scolastico, laboratori didattici, sport e danza) ai bambini da 0 a 12 anni in difficoltà economica e/o esistenziale e alle relative famiglie per evitare che qualcuno possa soffrire della mancanza di beni essenziali e della possibilità di opportunità necessari per una esistenza dignitosa.

Nell' anno 2021 l’Emporio ha assistito 333 bambini appartenenti a 196 famiglie, il 30% sono nuovi accessi, sono povertà economiche e culturali, trend in crescita anche nei primi mesi del 2022 con l’arrivo di circa 90 bambini ucraini.

Sono stati distribuiti 1176 pacchi spesa con alimentari, prodotti di igiene personale e materiale scolastico per un costo totale di € 27770,80.  Alcuni esempi dei beni distribuiti: 249 zaini per la scuola, 399 pastelli,1127 quaderni,2515 prodotti vari per la scuola, 923 merendine, 1307 biscotti, 982 miele/nutella, 1682 pannolini, 2089 saponi vari. Oltre a questi abbiamo distribuito 1807 giocattoli, 554 libri, 540 scarpe, 4735 capi di vestiario, 437 attrezzature varie.

L’ambito di azione dell’Emporio Bimbi è essenzialmente il territorio della Diocesi di Terni-Narni-Amelia nelle sue zone più depresse dove emergono differenze sociali e culturali che facilitano atti di discriminazione ed emarginazione nei confronti dei bambini più vulnerabili. Zone in cui vivono famiglie che non hanno livelli culturali, strumenti informatici e disponibilità economiche tali da sostenere il percorso scolastico dei figli favorendo il relativo abbandono soprattutto nell'attuale periodo della pandemia che le ha indebolite ulteriormente sia dal punto di vista economico che relazionale ed esistenziale.

Emporio Bimbi si è arricchito di nuove figure professionalmente preparate per gestire i nuovi laboratori per mamme e bambini grazie anche al prezioso apporto della Caritas di San Gabriele che è partner del nostro progetto UNIRE per offrire nuove opportunità di apprendimento, di socializzazione e di acquisizione delle conoscenze informatiche e digitali per colmare le loro lacune ed avere maggiore possibilità di accesso al mondo del lavoro

Importante è stato l'inserimento dei piccoli vincenziani che hanno portato avanti le iniziative di integrazione dei bambini frequentanti l'emporio ed hanno sostenuto con aiuti economici alcune famiglie particolarmente bisognose. Con la loro attività hanno inserito altri bambini nel mondo dello sport creando una squadra di pallavolo e hanno inserito in una nuova socialità ragazzi che vivono in solitudine invitandoli a fare le attività particolarmente apprezzate da tutti gli adolescenti.

Grazie al progetto Fratelli di Culla finanziato dalla Fondazione Carit trentotto famiglie hanno potuto usufruire del comodato gratuito di carrozzine e passeggini. Nei prossimi mesi riprenderanno i laboratori didattici, di danza e di musica, passi importanti verso l’inclusione e l’attenuazione del senso di frustrazione derivante dalle minori possibilità di accesso a servizi. Partirà inoltre nei prossimi giorni un laboratorio dedicato principalmente ai bambini ucraini per la realizzazione di mattonelle in ceramica da appendere in una via della città per ricordare l’ospitalità che Terni ha riservato loro e per ricordare l’importanza della convivenza pacifica.

Contributi e benefattori

Oltre alla Fondazione Carit altre realtà del territorio hanno contribuito a realizzare l’attività vincenziana in questo tempo di particolare difficoltà: la Diocesi di Terni-Narni-Amelia, Cosp Tecno Service, Parrocchia e scuola materna di Stroncone, Confcommercio e Associazione Clown Vip, Facoltà di Economia dell’Università di Perugia, OPES Umbria, Coldiretti, Circoli del PD, COOP, Conad Arca e tanti privati cittadini che oltre ad offerte in denaro hanno donato viveri, abbigliamento, mobili, giocattoli, attrezzature, materiale scolastico alle conferenze e in particolare all’Emporio Bimbi.

 Volontari

Purtroppo nell’anno sono state chiuse due conferenze ed c’è stato un forte decremento dei soci che sono attualmente settantadue. A questi si affianca un buon numero di volontari esterni che comunque sostengono l’attività e soprattutto il gruppo dei giovanissimi vincenziani a cui l’associazione affida il proprio futuro

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I senzatetto, persone doppiamente colpite https://www.lavoce.it/i-senzatetto-persone-doppiamente-colpite/ Wed, 25 Mar 2020 07:00:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56545 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

La soglia di casa diventa una dogana per tutti. Tranne per chi una casa non ce l’ha.

Nei giorni in cui l’invito a restare a casa è giustamente martellante, i “confini” di cui dovremmo occuparci in questa rubrica sono esattamente quello domestico. La soglia di casa diventa una dogana per tutti. Tranne per chi una casa non ce l’ha. Perché, forse ce ne siamo dimenticati, ma c’è una categoria che in Italia conta più di 50.000 persone, che definiamo “senza fissa dimora”, “homeless” o “senzatetto”. In questi giorni circolano fotografie che ritraggono solerti poliziotti che fermano queste persone per sanzionarle o per ingiungere loro di raggiungere le proprie abitazioni. Nel frattempo, alcuni dormitori e alcune mense dei diversi servizi cittadini hanno ridimensionato la propria disponibilità per attenersi all’ordinanza vigente, che prevede una distanza di sicurezza sanitaria. Molti cittadini che abitualmente si avvicinavano a queste persone per aiutarle, adesso si sono diradate perché devono restare in casa o perché temono il contagio.

I senzatetto rappresentano una delle categorie più esposte all’epidemia e oggi vivono un disagio ancora più grave.

Di qui l’invito, soprattutto nelle grandi città, a mettere a disposizione anche alloggi temporanei e forme di assistenza che attenuino il rischio. Alcune Caritas lo stanno già facendo, ma forse è il caso che lo facciamo tutti. Non si viene fuori dalla pandemia con il “si salvi chi può” ma con una solidarietà ancora più forte di prima. Don Tonio Dell’Olio]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

La soglia di casa diventa una dogana per tutti. Tranne per chi una casa non ce l’ha.

Nei giorni in cui l’invito a restare a casa è giustamente martellante, i “confini” di cui dovremmo occuparci in questa rubrica sono esattamente quello domestico. La soglia di casa diventa una dogana per tutti. Tranne per chi una casa non ce l’ha. Perché, forse ce ne siamo dimenticati, ma c’è una categoria che in Italia conta più di 50.000 persone, che definiamo “senza fissa dimora”, “homeless” o “senzatetto”. In questi giorni circolano fotografie che ritraggono solerti poliziotti che fermano queste persone per sanzionarle o per ingiungere loro di raggiungere le proprie abitazioni. Nel frattempo, alcuni dormitori e alcune mense dei diversi servizi cittadini hanno ridimensionato la propria disponibilità per attenersi all’ordinanza vigente, che prevede una distanza di sicurezza sanitaria. Molti cittadini che abitualmente si avvicinavano a queste persone per aiutarle, adesso si sono diradate perché devono restare in casa o perché temono il contagio.

I senzatetto rappresentano una delle categorie più esposte all’epidemia e oggi vivono un disagio ancora più grave.

Di qui l’invito, soprattutto nelle grandi città, a mettere a disposizione anche alloggi temporanei e forme di assistenza che attenuino il rischio. Alcune Caritas lo stanno già facendo, ma forse è il caso che lo facciamo tutti. Non si viene fuori dalla pandemia con il “si salvi chi può” ma con una solidarietà ancora più forte di prima. Don Tonio Dell’Olio]]>
L’assistenza domiciliare per le persone affette da patologie croniche https://www.lavoce.it/lassistenza-domiciliare-le-persone-affette-patologie-croniche/ Wed, 07 Mar 2018 16:40:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51364

Si parla molto di sanità, di ospedali, di eccellenze, ma poco di assitenza domiciliare, ovvero di quel servizio che più è vicino alle famiglie che hanno, e che vogliono tenere, in casa un familiare malato. Annamaria Bellucci è coordinatrice infermieristica al Centro di salute “Perugia Nord-Est” di Ponte San Giovanni. L’area è la più vasta di tutto il distretto perugino e qui sono concentrati la maggior parte dei pazienti che ricevono assistenza domiciliare in media con un’età superiore ai 65 anni. “Il Centro – spiega Bellucci - garantisce servizio infermieristico domiciliare tutti i giorni, dalle 7 alle 19 di sera, attraverso almeno tre operatori sanitari (Os) in un’area che va da Ponte San Giovanni a Collestrada, San Martino in Campo e in Colle, San Fortunato, Brufa, Ponte Nuovo. Ogni giorno si fanno prelievi, Trombotest, seguiamo pazienti con sondino nasogastrico, lesioni post operatorie, catetere, lesioni vascolari, con Peg, malati oncologici, geriatrici, con demenza e con Sla”. “Il nostro è un lavoro che richiede una preparazione specifica, facciamo dei continui corsi di aggiornamento – spiega - perché entriamo nelle case delle famiglie, con le quali si instaura un rapporto diverso rispetto all’ospedale: mentre in ospedale il paziente quasi subisce la cura, a domicilio i familiari vengono coinvolti nella cura, e spesso sono istruiti sulle procedure da seguire per l’assistenza, quando è possibile. Fino ad oggi siamo stati in grado di gestire abbastanza bene la situazione - sottolinea - malgrado momenti di sovraccarico, dimissioni dall’ospedale improvvise e le difficoltà dovute ad un parco macchine di servizio ormai vecchio. La maggior parte dei problemi sorgono quando la dimissione avviene il sabato, magari senza farmaci, spesso difficili da reperire di sabato, oppure quando il paziente ha il sondino naso- gastrico che magari inavvertitamente si toglie e che il familiare non sa gestire, così chiama il 118: si tratta di chiamate incongrue, perché il 118 è per l’urgenza”. Spiega però che, rispetto al passato, sono stati fatti dei grandi passi avanti nella domiciliazione, soprattutto per evitare lunghi tempi di permanenza in ospedale: “tutto il percorso, dalla presa in carico del paziente appena uscito dall’ospedale fino all’assistenza domiciliare è regolamentato da accordi interaziendali, con procedure che garantiscono maggiore sicurezza sia per l’operatore che per il paziente”. Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.]]>

Si parla molto di sanità, di ospedali, di eccellenze, ma poco di assitenza domiciliare, ovvero di quel servizio che più è vicino alle famiglie che hanno, e che vogliono tenere, in casa un familiare malato. Annamaria Bellucci è coordinatrice infermieristica al Centro di salute “Perugia Nord-Est” di Ponte San Giovanni. L’area è la più vasta di tutto il distretto perugino e qui sono concentrati la maggior parte dei pazienti che ricevono assistenza domiciliare in media con un’età superiore ai 65 anni. “Il Centro – spiega Bellucci - garantisce servizio infermieristico domiciliare tutti i giorni, dalle 7 alle 19 di sera, attraverso almeno tre operatori sanitari (Os) in un’area che va da Ponte San Giovanni a Collestrada, San Martino in Campo e in Colle, San Fortunato, Brufa, Ponte Nuovo. Ogni giorno si fanno prelievi, Trombotest, seguiamo pazienti con sondino nasogastrico, lesioni post operatorie, catetere, lesioni vascolari, con Peg, malati oncologici, geriatrici, con demenza e con Sla”. “Il nostro è un lavoro che richiede una preparazione specifica, facciamo dei continui corsi di aggiornamento – spiega - perché entriamo nelle case delle famiglie, con le quali si instaura un rapporto diverso rispetto all’ospedale: mentre in ospedale il paziente quasi subisce la cura, a domicilio i familiari vengono coinvolti nella cura, e spesso sono istruiti sulle procedure da seguire per l’assistenza, quando è possibile. Fino ad oggi siamo stati in grado di gestire abbastanza bene la situazione - sottolinea - malgrado momenti di sovraccarico, dimissioni dall’ospedale improvvise e le difficoltà dovute ad un parco macchine di servizio ormai vecchio. La maggior parte dei problemi sorgono quando la dimissione avviene il sabato, magari senza farmaci, spesso difficili da reperire di sabato, oppure quando il paziente ha il sondino naso- gastrico che magari inavvertitamente si toglie e che il familiare non sa gestire, così chiama il 118: si tratta di chiamate incongrue, perché il 118 è per l’urgenza”. Spiega però che, rispetto al passato, sono stati fatti dei grandi passi avanti nella domiciliazione, soprattutto per evitare lunghi tempi di permanenza in ospedale: “tutto il percorso, dalla presa in carico del paziente appena uscito dall’ospedale fino all’assistenza domiciliare è regolamentato da accordi interaziendali, con procedure che garantiscono maggiore sicurezza sia per l’operatore che per il paziente”. Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.]]>
Un aiuto per le famiglie con un disabile https://www.lavoce.it/un-aiuto-le-famiglie-un-disabile/ Mon, 18 Dec 2017 11:00:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50863

Nei giorni scorsi è stata presentata alla stampa la seconda edizione dell’Home Care Premium. Si tratta di un progetto di aiuto rivolto a dipendenti pubblici che si trovino a dover affrontare situazioni gravose, anche da un punto di vista economico, per l’assistenza a un familiare disabile non autosufficiente. L’aiuto consiste nell’offerta di servizio o nel rimborso di quanto speso per il medesimo. L’Home Care Premium (Hcp) è un progetto nazionale finanziato dall’Inps con una parte del Fondo credito versato obbligatoriamente dai dipendenti pubblici, ai quali, in servizio o in quiescenza, è diretta questa forma di aiuto. A Città di Castello l’Hcp è curato dalla cooperativa La Rondine, insieme all’Ambito sociale n.1, l’Amministrazione comunale e l’Agenzia di somministrazione di lavoro Umana spa. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de La Voce.]]>

Nei giorni scorsi è stata presentata alla stampa la seconda edizione dell’Home Care Premium. Si tratta di un progetto di aiuto rivolto a dipendenti pubblici che si trovino a dover affrontare situazioni gravose, anche da un punto di vista economico, per l’assistenza a un familiare disabile non autosufficiente. L’aiuto consiste nell’offerta di servizio o nel rimborso di quanto speso per il medesimo. L’Home Care Premium (Hcp) è un progetto nazionale finanziato dall’Inps con una parte del Fondo credito versato obbligatoriamente dai dipendenti pubblici, ai quali, in servizio o in quiescenza, è diretta questa forma di aiuto. A Città di Castello l’Hcp è curato dalla cooperativa La Rondine, insieme all’Ambito sociale n.1, l’Amministrazione comunale e l’Agenzia di somministrazione di lavoro Umana spa. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de La Voce.]]>
“I poveri e i giovani non possono aspettare!” https://www.lavoce.it/i-poveri-e-i-giovani-non-possono-aspettare/ https://www.lavoce.it/i-poveri-e-i-giovani-non-possono-aspettare/#comments Sat, 05 Dec 2015 08:05:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44553 Suor Sonia MontesLa congregazione religiosa delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria – Istituto Ravasco sorge dalla risposta generosa di Eugenia Ravasco, nata a Milano il 4 gennaio 1845. Non ancora maggiorenne, decide che cosa fare della sua miliardaria eredità: “I poveri non possono aspettare!”. Il degrado materiale, morale e intellettuale della gioventù di Genova, dove si era trasferita dopo la morte dei genitori, è grande. I segni di Dio la interpellano fortemente e la spingono nelle zone del porto a consolare i ragazzi sia in senso spirituale che materiale. Ebbe a cuore la scuola: lavorò molto per costruirne una e ottenerne il riconoscimento, perché sosteneva che se la società in quei tempi non facili (seconda metà dell’Ottocento, in un periodo di diffusa scristianizzazione) in qualche modo doveva cambiare, cioè diventare più umana e cristiana, e aveva quindi bisogno di maestre che preparassero le mamme a formare a loro volta i futuri membri della società. Davanti a Gesù eucaristia accolse l’invito speciale a lei rivolto: “Non c’è nessuno tra voi che voglia dedicarsi a fare il bene per amore del Cuore di Gesù?”. Il 6 dicembre 1868, a 23 anni, diede avvio alla congregazione religiosa delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, con la missione di “fare il bene” specialmente alla gioventù. Sorsero così le scuole, l’insegnamento del catechismo, le associazioni, gli oratori. Il progetto educativo di madre Ravasco era di educare i giovani e formarli a una vita cristiana solida, operosa, aperta, perché fossero “onesti cittadini in mezzo alla società e santi nel cielo”; volle educarli alla fede e alla lettura dei fatti in prospettiva storico-salvifica, proponendo loro la santità come meta di vita. Donò e si donò con gratuità fino alla fine della sua breve esistenza. Morì il 30 dicembre del 1900, all’età di 55 anni, affidando tutte le sue figlie al Cuore di Gesù e indicando alla sua opera, nata per il bene della Chiesa e del mondo, il motto: “Bruciare per il bene delle anime, specie dei giovani!”.

Il nostro carisma riguarda i cuori, e ogni nostra opera ha lo scopo di fare del bene per amore del cuore di Gesù nella pastorale educativa e nella promozione della donna. La nostra spiritualità trova il suo centro vitale nel Cuore di Cristo amore, presente nell’eucaristia, e nella particolare devozione alla Vergine immacolata, venerata come madre, maestra e guida. La nostra attività apostolica nella Chiesa e nella società si esprime principalmente nell’educazione, nella formazione umana e cristiana dei giovani, nella collaborazione alla pastorale parrocchiale, nell’attività missionaria e sociale mediante scuole, catechesi, movimenti giovanili, oratori, opere di assistenza ai bisognosi e di promozione umana. Siamo impegnate dal 1940 nella scuola dell’infanzia della parrocchia “Santa Maria del Rivo” di Terni. Partecipiamo del cammino dei membri della nostra comunità parrocchiale, impegnandoci con il nostro carisma con i poveri, nella catechesi, in oratorio, con i ministri dell’eucaristia, nell’animazione liturgica, nella pastorale familiare, giovanile e vocazionale. Dal 2009 siamo presenti anche nella diocesi di Spoleto – Norcia con una comunità di tre suore: una è la responsabile della Pastorale giovanile della diocesi e gestisce un centro giovanile. Siamo presenti in Italia e in Albania, Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa d’Avorio, Filippine, Messico, Paraguay, Svizzera, Venezuela, dove ci dedichiamo ai bambini, ai giovani, e alle loro famiglie, accompagnandoli nella loro crescita umana, cristiana e spirituale, nella gioia del crescere insieme.

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Migranti: si richiede l’impegno di tutti https://www.lavoce.it/si-richiede-limpegno-di-tutti/ Thu, 24 Sep 2015 10:36:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43512

Stando ai numeri che vengono snocciolati quotidianamente dai media nazionali sull’emergenza profughi, come si fa a non paragonare questo fenomeno all’“Esodo biblico”? Sono cifre superiori a qualsiasi altra crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale, con 500 mila persone giunte in Europa dal Medio Oriente e dall’Africa dall’inizio del 2015 (fonte: Ansa). Per l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, “l’Europa raggiungerà nel 2015 un livello senza precedenti di richiedenti asilo e rifugiati, salendo fino ad un milione di procedure di asilo”. Ciò che preoccupa maggiormente è l’accoglienza dei minori, che rappresenta per l’Ocse “un’enorme sfida in termini di alloggi, supervisione, scuola, sistemi di assistenza minorile”. Nel nostro Paese, come evidenzia la Fondazione Migrantes, al 1° gennaio 2015 le persone accolte e rimaste nelle diverse strutture di prima e seconda accoglienza sono circa 66 mila, di cui 25 mila minori, in gran parte non accompagnati (18.599). Non è semplice districarsi in questi numeri, perché variano con molta rapidità. Sono 120 mila i rifugiati (compresi i 54mila di cui l’Ungheria non intende farsi carico) che, in base al pacchetto Ue approvato a maggioranza il 22 settembre, saranno ripartiti tra i Paesi dell’Unione, giunti nelle ultime settimane in Grecia, Italia e Ungheria. A questi si aggiungono i 40 mila rifugiati presenti da tempo in Grecia (16 mila) e in Italia (24 mila), oggetto di una decisione di ripartizione tra i Paesi Ue presa prima dell’estate. In base a questa decisione andrebbero via dall’Italia in 15.600, di cui 4.027 in Germania e 3.064 in Francia. Altri dati rilevanti sono le 800 mila domande di asilo che la Germania si attende per quest’anno e i 4 milioni di siriani sfollati in altri Paesi mediorientali e in Turchia, che potrebbero a breve giungere in Europa. Soffermiamoci sul dato “certo” dei 24 mila rifugiati in Italia che, attraverso il “Piano di ricollocamento in altri Paesi dell’Ue” approvato dal Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Ue - piano operativo dal 15 agosto 2015 al 16 settembre 2017 -, dovrebbe far diminuire notevolmente la presenza in Italia e in Grecia di quanti richiederanno asilo nei prossimi due anni. A esserne convinta è anche la responsabile della Caritas diocesana di Perugia, Daniela Monni, nel commentare i dati sul numero dei profughi/migranti in Umbria. Allo scorso 8 settembre erano 1.515 provenienti in gran parte dall’Africa e dall’Asia meridionale, di cui 1.151 richiedenti asilo (906 in provincia di Perugia e 245 in quella di Terni) e 364 ospitati in strutture “Sprar” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). La quota massima assegnata dal ministero dell’Interno all’Umbria è di 1.932 persone. “Questa quota si spera che possa diminuire - rileva Monni - se l’Ue desse seguito al suo Piano di ricollocamento. Stiamo vivendo una fase delicatissima, che richiede l’impegno di tutti gli Stati, e non solo europei. Soprattutto, occorre rimuovere le cause che sono all’origine di questo esodo, in primis il conflitto siriano e l’avanzata dell’Isis in Medio Oriente e nel Maghreb, oltre al problema della povertà legato sempre alle guerre destabilizzanti intere aree del Continente africano”. Per quanto riguarda l’accoglienza l’Italia sta facendo la sua parte, disponendo di 21.817 posti per i richiedenti asilo, distribuiti in 376 comuni. Lo ha riferito alla Camera, il 23 settembre, il ministro Angelino Alfano, annunciando che è già in fase di registrazione il drcreto che prevede l’attivazione di altri 10mila posti per il biennio 2016-2017. Intanto, la vera sfida europea si gioca sui cosiddetti hotspot, in cui i profughi dovrebbero farsi identificare. Si tratta dei centri di accoglienza gestiti da 4 agenzie dell’Ue e dalle autorità locali, che dovrebbero essere attivati a giorni in Grecia e Italia. Il nostro ministero dell’Interno fa sapere che dal 1° ottobre l’Italia “è pronta a partire con gli hotspot”. In questo stesso giorno, nel suo piccolo, “è pronta anche la Caritas diocesana di Perugia – annuncia la responsabile – nel rendere fruibile una sua struttura di accoglienza per 23 persone”. Inoltre, prosegue Daniela Monni, “le Caritas umbre hanno raccolto la disponibilità di numerose parrocchie e di diversi privati benefattori a ospitare gruppi e famiglie di profughi. Quest’accoglienza va coordinata di concerto con le istituzioni civili competenti, trattandosi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale”. Il punto sullo stato di organizzazione di ciascuna Caritas diocesana a ospitare i profughi per un periodo di tempo sarà fatto alla Delegazione regionale Caritas del 26 settembre. Come evidenzia anche il direttore Monni, “per queste persone l’Italia è terra di passaggio per raggiungere famiglie e comunità in altri Paesi europei, dove sono convinte di trovare maggiori opportunità lavorative e di inserimento sociale”.  ]]>

Stando ai numeri che vengono snocciolati quotidianamente dai media nazionali sull’emergenza profughi, come si fa a non paragonare questo fenomeno all’“Esodo biblico”? Sono cifre superiori a qualsiasi altra crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale, con 500 mila persone giunte in Europa dal Medio Oriente e dall’Africa dall’inizio del 2015 (fonte: Ansa). Per l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, “l’Europa raggiungerà nel 2015 un livello senza precedenti di richiedenti asilo e rifugiati, salendo fino ad un milione di procedure di asilo”. Ciò che preoccupa maggiormente è l’accoglienza dei minori, che rappresenta per l’Ocse “un’enorme sfida in termini di alloggi, supervisione, scuola, sistemi di assistenza minorile”. Nel nostro Paese, come evidenzia la Fondazione Migrantes, al 1° gennaio 2015 le persone accolte e rimaste nelle diverse strutture di prima e seconda accoglienza sono circa 66 mila, di cui 25 mila minori, in gran parte non accompagnati (18.599). Non è semplice districarsi in questi numeri, perché variano con molta rapidità. Sono 120 mila i rifugiati (compresi i 54mila di cui l’Ungheria non intende farsi carico) che, in base al pacchetto Ue approvato a maggioranza il 22 settembre, saranno ripartiti tra i Paesi dell’Unione, giunti nelle ultime settimane in Grecia, Italia e Ungheria. A questi si aggiungono i 40 mila rifugiati presenti da tempo in Grecia (16 mila) e in Italia (24 mila), oggetto di una decisione di ripartizione tra i Paesi Ue presa prima dell’estate. In base a questa decisione andrebbero via dall’Italia in 15.600, di cui 4.027 in Germania e 3.064 in Francia. Altri dati rilevanti sono le 800 mila domande di asilo che la Germania si attende per quest’anno e i 4 milioni di siriani sfollati in altri Paesi mediorientali e in Turchia, che potrebbero a breve giungere in Europa. Soffermiamoci sul dato “certo” dei 24 mila rifugiati in Italia che, attraverso il “Piano di ricollocamento in altri Paesi dell’Ue” approvato dal Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Ue - piano operativo dal 15 agosto 2015 al 16 settembre 2017 -, dovrebbe far diminuire notevolmente la presenza in Italia e in Grecia di quanti richiederanno asilo nei prossimi due anni. A esserne convinta è anche la responsabile della Caritas diocesana di Perugia, Daniela Monni, nel commentare i dati sul numero dei profughi/migranti in Umbria. Allo scorso 8 settembre erano 1.515 provenienti in gran parte dall’Africa e dall’Asia meridionale, di cui 1.151 richiedenti asilo (906 in provincia di Perugia e 245 in quella di Terni) e 364 ospitati in strutture “Sprar” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). La quota massima assegnata dal ministero dell’Interno all’Umbria è di 1.932 persone. “Questa quota si spera che possa diminuire - rileva Monni - se l’Ue desse seguito al suo Piano di ricollocamento. Stiamo vivendo una fase delicatissima, che richiede l’impegno di tutti gli Stati, e non solo europei. Soprattutto, occorre rimuovere le cause che sono all’origine di questo esodo, in primis il conflitto siriano e l’avanzata dell’Isis in Medio Oriente e nel Maghreb, oltre al problema della povertà legato sempre alle guerre destabilizzanti intere aree del Continente africano”. Per quanto riguarda l’accoglienza l’Italia sta facendo la sua parte, disponendo di 21.817 posti per i richiedenti asilo, distribuiti in 376 comuni. Lo ha riferito alla Camera, il 23 settembre, il ministro Angelino Alfano, annunciando che è già in fase di registrazione il drcreto che prevede l’attivazione di altri 10mila posti per il biennio 2016-2017. Intanto, la vera sfida europea si gioca sui cosiddetti hotspot, in cui i profughi dovrebbero farsi identificare. Si tratta dei centri di accoglienza gestiti da 4 agenzie dell’Ue e dalle autorità locali, che dovrebbero essere attivati a giorni in Grecia e Italia. Il nostro ministero dell’Interno fa sapere che dal 1° ottobre l’Italia “è pronta a partire con gli hotspot”. In questo stesso giorno, nel suo piccolo, “è pronta anche la Caritas diocesana di Perugia – annuncia la responsabile – nel rendere fruibile una sua struttura di accoglienza per 23 persone”. Inoltre, prosegue Daniela Monni, “le Caritas umbre hanno raccolto la disponibilità di numerose parrocchie e di diversi privati benefattori a ospitare gruppi e famiglie di profughi. Quest’accoglienza va coordinata di concerto con le istituzioni civili competenti, trattandosi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale”. Il punto sullo stato di organizzazione di ciascuna Caritas diocesana a ospitare i profughi per un periodo di tempo sarà fatto alla Delegazione regionale Caritas del 26 settembre. Come evidenzia anche il direttore Monni, “per queste persone l’Italia è terra di passaggio per raggiungere famiglie e comunità in altri Paesi europei, dove sono convinte di trovare maggiori opportunità lavorative e di inserimento sociale”.  ]]>
Là sulla Via dei disperati https://www.lavoce.it/la-sulla-via-dei-disperati/ Thu, 03 Sep 2015 12:44:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43051 Nella mappa: le principali rotte seguite dai recenti flussi migratori, con quali mezzi si muovono le persone che cercano rifugio nel nostro Continente, e quali barriere incontrano
Nella mappa: le principali rotte seguite dai recenti flussi migratori, con quali mezzi si muovono le persone che cercano rifugio nel nostro Continente, e quali barriere incontrano

Sono quasi mezzo milione i migranti che nel 2015 hanno chiesto asilo politico all’Ue. I flussi migratori sembrano aver trovato come via preferenziale il “corridoio balcanico”.

Provengono perlopiù da Siria, Afghanistan, Libia, Iraq, Pakistan, Somalia, Eritrea e dai Balcani stessi, in particolare dal Kosovo.

Superati i confini turchi e greci, i migranti tentano di arrivare nei Paesi del Nord Europa passando per la Macedonia, la Serbia, l’Ungheria. Le mete più ambite sono i Paesi del Nord Europa, come Germania, Francia, Gran Bretagna e Svezia.

Ma, arrivati a destinazione, incontrano nuovi muri e nuove barriere. Abbiamo ascoltato chi ha deciso di accompagnarli nel loro lungo viaggio verso una vita possibile. Sono i volontari delle Caritas europee.

MACEDONIA

Oltre 42 mila migranti sono entrati negli ultimi due mesi in Macedonia dalla Grecia, provenienti da Siria e Medio Oriente, trasformando il piccolo Paese balcanico in terra di transito.

Intere famiglie con donne e bambini piccoli sono in viaggio anche da 15 giorni. “Come organizzazione siamo una realtà piccola (i cattolici nel Paese sono circa 15 mila su 2 milioni di abitanti), ma non possiamo non soccorrere queste persone bisognose”, dice il direttore della Caritas in Macedonia, mons. Antun Cirimotik. Nei pressi di Tabanovtse, al confine serbo, i volontari distribuiscono i kit di prima necessità, alimenti e bevande. Il direttore della Caritas è preoccupato perché “sembra che il nostro piccolo Paese sia lasciato solo. Serve una politica comune migratoria per l’Europa” e un intervento della comunità internazionale in Siria.

SERBIA

Il numero di migranti in Serbia è in aumento ogni giorno. Da giugno, circa in 2.000 tentano di entrare nel Paese ogni giorno. Più della metà provengono dalla Siria, ma arrivano anche da Iraq, Pakistan, Sudan e Afghanistan. La Caritas serba è presente in tre dei centri di accoglienza disposti dalle autorità del Paese: a Bogovadja e Krnjaca, in Serbia centrale e meridionale, e in Kanjiza, vicino al confine con l’Ungheria.

“La maggior parte delle persone – racconta Gabor Ric, coordinatore della Caritas nella diocesi di Subotiza – si concentra qui, al confine, aspettando una possibilità di attraversare la frontiera, anche per le foreste e le campagne”. Molti però tornano, rimandati indietro dalla polizia ungherese. Kit con materiali igienici, alloggio e cibo ma anche alloggi e servizi di doccia. In questo modo la Caritas in Serbia cerca di soccorrere i migranti. A Kanijza funziona una tendopoli di 800 persone dove la Caritas ha allestito una struttura che alloggia 80 donne con bambini.

UNGHERIA

Il muro di 175 km che l’Ungheria sta costruendo al confine non riesce a fermare il flusso migratorio. E purtroppo non scoraggia neanche i “trafficanti” di esseri umani. Alcuni tentano di attraversarlo, passandoci sopra o addirittura sotto. Bálint Vadász di Caritas Ungheria conferma che, nonostante le misure di sicurezza prese dal Governo, “la situazione dei rifugiati in Ungheria è molto difficile. Quest’anno più di 100 mila migranti sono entrati nel Paese”.

Le organizzazioni come la Caritas aiutano nei campi di accoglienza offrendo lenzuola, materassi, letti. I rifugiati ricevono pasti tre volte al giorno, ma “il problema principale è il numero incalcolabile di immigrati che continuano ad arrivare. Alcuni di loro giungono in uno stato psichico traumatizzato”. Ci sono stati momenti di tensione e di scontro con le forze dell’ordine.

“Da quello che abbiamo potuto vedere – racconta Vadász – la polizia sta cercando di collaborare con i migranti, ma ci sono difficoltà, perché i migranti non vogliono sottostare alle leggi europee e non vogliono essere registrati”. Le braccia della Caritas Ungheria sono aperte: oltre a visitare regolarmente i campi profughi (finora 6), contribuisce all’accoglienza distribuendo vestiti, articoli personali e prodotti per la pulizia. Un totale di 4 tonnellate di aiuti umanitari; nelle prossime settimane saranno distribuite anche 10 mila bottiglie di acqua minerale. L’aiuto Caritas si rivolge anche ai minorenni, sostenendo un istituto di assistenza all’infanzia a Fót.

CALAIS (Francia)

A Calais, Francia e Inghilterra fanno muro ai migranti che vogliono attraversare la Manica. È Véronique Devise, presidente della delegazione di Secours Catholique di Pas du Calais, a raccontare la situazione sempre più drammatica lungo la costa. Il numero dei migranti aumenta di giorno in giorno. Le cifre di Calais parlano di 3.000 presenze. Ma altre – impossibile da quantificare – si registrano lungo i paesi del litorale nord della Francia.

Al porto di Calais si sono erette barriere alte 4 metri. Per questo, da giugno, non potendo più passare per il porto, i migranti tentano il tutto per tutto nell’Eurotunnel, a costo purtroppo anche della vita. Il muro provoca inevitabilmente un aumento dei migranti a Calais, in quanto fa da “tappo” e gli arrivi sono molto di più dei passaggi in Gran Bretagna.

“La tensione è altissima: i migranti – racconta Devise – capiscono che hanno sempre meno chance per passare, e questo provoca in loro rabbia e delusione dopo quello che hanno passato per arrivare fin qui”. Anche a Calais, la lista degli aiuti umanitari è lunghissima e la sua concretizzazione è resa possibile grazie al lavoro di 150 volontari Caritas che operano sul campo.

Dal servizio docce all’accoglienza giornaliera, all’attenzione per le persone più fragili, all’accompagnamento delle operazioni giuridiche. Ciò che preoccupa molto gli operatori è l’arrivo dell’inverno e del freddo, che a questa latitudine può arrivare anche a -5 gradi. “La nostra preoccupazione – conclude Devise – è cambiare il nostro sguardo verso lo straniero, che è anzitutto una vittima che ha bisogno di una mano tesa. Il ripiegamento su se stessi e le paure non saranno mai la soluzione dei problemi”.

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In fuga dall’orrore https://www.lavoce.it/in-fuga-dallorrore/ Thu, 06 Aug 2015 09:18:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42057 Profughi in fuga dagli attacchi dell’Isis
Profughi in fuga dagli attacchi dell’Isis

Un anno fa, 120 mila cristiani abbandonavano la Piana di Ninive in fuga dall’Isis. “Nei primi otto mesi dall’invasione dello Stato islamico, abbiamo perso dodici consorelle. Il loro cuore non è riuscito a sopportare tanta sofferenza”.

Così suor Justina, delle Domenicane di santa Caterina da Siena, riassume ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) il dramma vissuto da tante religiose costrette a fuggire dal sedicente Califfato.

Suor Justina è rientrata in Iraq dall’Italia un anno e mezzo fa. Il convento dove viveva vicino a Pisa è stato chiuso e lei è tornata ad Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno.

Appena in tempo per assistere all’esodo di 120 mila cristiani che nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014 hanno abbandonato la Piana di Ninive per trovare rifugio in Kurdistan.

“È impossibile descrivere – dice – quanto è accaduto in quei giorni. Intere famiglie hanno perso tutto”. Assieme ai profughi, alla casa delle Domenicane di Ankawa sono giunte anche molte consorelle fuggite dalle città e dai villaggi caduti in mano all’Isis. Tra loro suor Lyca, che racconta le dieci interminabili ore di viaggio verso Erbil.

Per tutta la giornata del 6 agosto, mentre molti altri abitanti di Qaraqosh erano già fuggiti, le religiose sono rimaste nel villaggio cristiano per sostenere i fedeli terrorizzati. “Speravamo che la minaccia sarebbe durata soltanto alcuni giorni – ricorda – ma quando i peshmerga hanno smesso di difenderci, abbiamo capito che non c’era più alcuna speranza”.

Le religiose hanno lasciato il convento alle 11.30 di sera. In condizioni normali sarebbe stata sufficiente un’ora per raggiungere Erbil, ma le strade erano invase da macchine e famiglie in fuga e le religiose hanno camminato fino al mattino seguente, senz’acqua e con una temperatura di oltre 40 gradi.

“In marcia ai bordi della strada vi erano migliaia e migliaia di persone, mentre ogni macchina ospitava almeno dieci passeggeri”. Nonostante lo shock, appena giunte ad Ankawa le suore si sono messe al servizio dei rifugiati: dall’assistenza nei campi profughi alla gestione dei dispensari, alla pastorale giovanile.

Alcune di loro vivono in uno dei container donati da Acs ai profughi cristiani. “Ci impegniamo soprattutto – dichiara suor Diana – a garantire un’educazione ai ragazzi. Facciamo del nostro meglio, ma purtroppo non è abbastanza. L’Isis sta uccidendo il nostro futuro, perché, se questa generazione non riceverà un’istruzione, non ve ne sarà un’altra”.

Nei giorni scorsi la Fondazione Acs ha approvato due nuovi progetti: un contributo di 2 milioni di euro per finanziare sei mesi affitto di alloggi per i rifugiati cristiani, e uno di 690 mila euro per l’acquisto di pacchi viveri per 13 mila famiglie cristiane in Kurdistan.

 

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ACCATTONAGGIO. Le sanzioni servono oppure no? https://www.lavoce.it/accattonaggio-le-sanzioni-servono-oppure-no/ Wed, 29 Jul 2015 21:30:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=41092 perugia-centro“Non vedo l’efficacia di un inasprimento della pena per chi pratica l’accattonaggio molesto e insistente. Mentre vedo bene la sinergia tra tutte le forze di polizia per un più organico controllo del territorio, in stretto collegamento con i servizi sociali per l’assistenza di queste persone, come sta avvenendo nel nostro Comune”.

A parlarne a La Voce è il col. Nicoletta Caponi, comandante della Polizia municipale di Perugia. Il Consiglio comunale del capoluogo nel novembre scorso aveva approvato a grande maggioranza la modifica dell’articolo 30 del Regolamento di polizia urbana per combattere in modo più incisivo chi disturba i cittadini chiedendo denaro in modo insistente e anche intimidatorio.

Nel nuovo testo, rispetto al regolamento precedente, vengono meglio specificate le situazioni da sanzionare con multe di 100 euro. Dal divieto di chiedere soldi in modo molesto agli incroci stradali a quello di non intralciare l’accesso alle abitazioni e di disturbare i passanti. Così come è vietato chiedere soldi per rimettere a posto i carrelli della spesa e frugare nei cassonnetti delle associazioni umanitarie per la raccolta di indumenti e altro materiale.

Situazioni e comportamenti che continuano a esserci ma che per i vigili urbani è difficile sanzionare, tanto che dall’entrata in vigore del nuovo regolamento le multe sono state soltanto 3: per un nigeriano “accompagnatore di carrelli”, per uno zingaro che chiedeva l’elemosina per strada, e per un lavavetri marocchino. Multe ovviamente che nessuno di loro ha pagato.

Nella ricerca del Cnca si spiega che, secondo l’ordinamento italiano, la pratica dell’accattonaggio non costituisce un comportamento illegale (a meno che non avvenga con l’impiego di minori o ci si trovi di fronte a casi di riduzione in schiavitù, sfruttamento e tratta di essere umani), invece sono tanti i provvedimenti amministrativi adottati da Comuni e sindaci.

Provvedimenti che nella ricerca vengono definiti “inadeguati e inappropriati” perché “tanto si va a fare una multa a chi non ha la possibilità di pagarla”. Per il col. Caponi però questi strumenti, come quelli adottati dal Comune di Perugia, sono invece utili perché consentono ai vigili urbani di svolgere un’azione dissuasiva.

“Un’azione di disturbo – spiega – nei confronti di persone che dell’accattonaggio hanno fatto una professione, e che non temono la multa mentre hanno paura del nostro intervento, dei nostri ripetuti controlli, della possibilità di essere accompagnati in questura per i provvedimenti di allontanamento e di espulsione dall’Italia”.

I risultati – secondo il comandante dei vigili urbani – ci sono. “La situazione a Perugia – dice – negli ultimi anni è stabile, non abbiamo grossi problemi se non eposidicamente”. Non ci sono più accampamenti di zingari, con qualche eccezione talvolta nella zona di Balanzano, e non risultano situazioni di organizzazioni che gestiscono e sfruttano l’accattonaggio. Anche se – ha spiegato – di fatto esiste una ‘spartizione concordata’ dei luoghi dove chiedere l’elemosina tra famiglie di zingari e all’interno delle comunità di nordafricani.

Per quanto riguarda il fenomeno del commercio ambulante abusivo, anche in questo caso – continua Nicoletta Caponi – a Perugia la situazione è sotto controllo. Grazie anche a un’azione coordinata che in alcune occasioni è svolta con le altre forze di polizia con il sequestro di merce che, se utilizzabile, viene poi donata per beneficenza.

Anni fa in occasione della Fiera dei morti arrivavano a Perugia dalla Toscana anche 300 o 400 venditori ambulanti abusivi. L’anno scorso erano solo alcune decine.

Sul problema dell’accattonaggio, per il col. Caponi è fondamentale la collaborazione e il ruolo delle associazioni di volontariato e dei servizi sociali, che a Perugia – ha detto – sono in grado di assicurare 24 ore su 24 a queste persone un luogo dove dormire, farsi una doccia o trovare un pasto. Talvolta però sono proprio loro a rifiutare l’intervento e un aiuto. Circostanza questa evidenziata anche nella ricerca del Cnca, secondo la quale è difficile riuscire a inserire queste persone in programmi di protezione sociale: dopo la doccia o la notte trascorsa al caldo, gran parte di loro preferiscono tornare sulla strada.

 

Leggi anche i dati italiani della ricerca europea sull’accattonaggio

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La “città sommersa” dell’accattonaggio https://www.lavoce.it/la-citta-sommersa-dellaccattonaggio/ Wed, 29 Jul 2015 08:55:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=40932 accattonaggioSono il risultato di quella “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco, e capita di incontrarli ovunque: ai semafori delle strade, nei piazzali dei centri commerciali, nei parcheggi degli ospedali, all’ingresso delle chiese, sui mezzi pubblici.

Sono gli abitanti di “una città sommersa, in cui le persone vivono quasi nascoste”. La frase tra virgolette è contenuta in una ricerca sull’accattonaggio forzato svolta nell’ambito di un progetto della Commissione europea di cui è capofila il Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) con partner internazionali di Bulgaria, Polonia, Portogallo e Romania.

Lo scopo era conoscere un fenomeno in continua evoluzione e in crescita, per aumentare la consapevolezza di cittadini e istituzioni su questo tema e creare una rete internazionale di enti e soggetti pubblici e privati per uno scambio di esperienze e di “buone pratiche”.

Occhio a Perugia

Per l’Italia l’indagine si è concentrata sulla situazione in Umbria e Toscana, e in particolare a Perugia, Firenze e Pisa. Con l’aiuto di esperti e operatori di strada sono state censite 484 persone (360 uomini e 124 donne) che vivono chiedendo l’elemosina. A Perugia, con l’intervento della cooperativa Borgorete, sono state 102 (78 uomini e 24 donne).

La maggior parte provengono da Paesi della ex Jugoslavia e dell’Est Europa, tra i quali 17 dalla Croazia. Ci sono poi anche 18 bengalesi, 7 marocchini e immigrati di altre nazionalità di Africa e Asia. Tra quanti a Perugia e dintorni vivono di accattonaggio ci sono però anche 12 italiani. Perché – anche questo è uno degli aspetti emersi nell’indagine – con la crisi economica sono sempre di più gli italiani che vivono per strada e che si arrangiano chiedendo l’elemosina.

“Il fenomeno dell’accattonaggio – ha detto don Armando Zappolini, presidente del Cnca, presentando recentemente a Roma i risultati dell’indagine – è molto sottovalutato e appare in forte crescita. Molti continuano a pensare che l’emergenza riguardi solo gli stranieri e non gli italiani. Niente di più falso”.

Chi sono

Dall’indagine risulta che quasi la metà delle persone censite nelle due regioni si limita a chiedere soldi. Si tratta in genere di rom (soprattutto donne), ma ultimamente sta crescendo il numero di nordafricani. Tra loro ci sono spesso invalidi – non sempre veri -donne incinte, minorenni e addirittura bambini. L’altra metà offre qualcosa in cambio. Ai semafori ci sono i lavavetri (nordafricani e albanesi) e i venditori di fazzolettini e chincaglieria (soprattutto nigeriani). Bengalesi, indiani e pakistani offrono per strada e nei locali pubblici mazzi di fiori ma anche ombrelli, occhiali e oggetti vari di scarso valore.

Ci sono poi parcheggiatori abusivi, i portatori di carrelli davanti ai centri commerciali, aiutanti per biglietterie automatiche e apparecchi self-service, artisti di strada. Delle 484 persone censite, la stragrande maggioranza proviene da Paesi dell’Est Europa.

Persone – si rileva nell’indagine – che si trovano in condizione di “grande vulnerabilità” e che quindi sono a rischio di diventare vittime di rapporti violenti e di organizzazioni che li sfruttano. La maggior parte di loro – e questo è un altro aspetto interessante della ricerca – vivono queste condizioni in modo rassegnato e, se sfruttati, considerano i loro sfruttatori quasi come benefattori che li aiutano a tirare avanti. Tra i rom c’è poi una cultura di solidarietà familiare per la quale è normale che anche bambini e donne incinte vadano a chiedere l’elemosina in situazioni e in condizioni che per noi sono di sfruttamento.

Gli sfruttatori

Quello dello sfruttamento e dell’accattonaggio forzato è un pericolo che esiste soprattuto per i minori che provengono dall’Albania e da Paesi della ex Jugoslavia. Ci sono organizzazioni i cui emissari si presentano dalle famiglie nei Paesi di origine e si offrono di accompagnarli in Italia con la promessa di un lavoro e di un futuro migliore. Passata la frontiera (spesso con documenti falsi), vengono consegnati all’organizzazione, che li costringe all’accottonaggio con l’obbligo di consegnare quotidianamente una certa somma di denaro.

Se l’elemosina non basta, vengono spinti a compiere furti e borseggi. Se cercano di fuggire o non portano i soldi richiesti, vengono puniti anche con violenze fisiche. Si tratta di casi che è sempre difficile da fare emergere per la scarsa collaborazione dei protagonisti e il clima di paura e di omertà che si vive in questi ambienti.

“Il reato di tratta, riduzione in schiavitù o sfruttamento dell’accattonaggio – si legge infatti nella ricerca – continua a rappresentare una ridotta casistica che comporta il dispendio di energie investigative a fronte di risultati numericamente irrilevanti”.

L’accattonaggio in genere è in costante crescita dagli anni ’90 ed è strettamente collegato ai problemi della immigrazione e della crisi economica. Per chi poi arriva in Italia senza permesso di soggiorno e non trova o perde il lavoro, è facile finire per strada a chiedere l’elemosina, anche in cambio di qualcosa. Entrando in quella “città sommersa” dell’accattonaggio forzato.

Purtroppo – aggiunge don Zampolini – “la nostra società sembra sempre più interessata a combattere i poveri che la povertà. Si sente parlare ogni giorno di temi come l’accoglienza e l’immigrazione, ma quasi mai si discute veramente della centralità della persona”.

 

Leggi anche l’intervista al comandante dei vigili urbani di Perugia col. Nicoletta Caponi

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La professione religiosa in Ruanda di tre nuove suore Figlie della Misericordia https://www.lavoce.it/la-professione-religiosa-in-ruanda-di-tre-nuove-suore-figlie-della-misericordia/ Wed, 22 Jul 2015 08:50:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39750 Nelle foto due momenti della celebrazione delle professioni in Africa
Nelle foto due momenti della celebrazione delle professioni in Africa

Un anno fa nella diocesi di Kabgayi (Ruanda), dove è presente una casa di religiose tifernati “Figlie della Misericordia”, veniva creata una nuova parrocchia.

Per conoscere meglio la realtà di Kisibere e la congregazione di religiose fondata a Città di Castello nel 1841 da mons. Giovanni Muzi, abbiamo incontrato suor Cristina, tornata di recente proprio da una visita nella diocesi di Kabgayi.

“Siamo tornate in Ruanda a distanza di un anno in occasione della vestizione di tre nuove ragazze e della professione di altrettante consorelle (sr. Anne Marie di Gesù, sr. Esperence di San Vincenzo de Paoli, sr. Léonille del volto di Gesù)” ha affermato l’intervistata, che ha dipinto un quadro in chiaroscuro delle aree visitate in Ruanda: “La casa che abbiamo realizzato funziona e accoglie già 15 religiose, comprese suor Assunta, suor Luciana e suor Claudia.

La struttura della grande chiesa parrocchiale iniziata l’anno scorso è quasi terminata. Nel territorio, però, mancano ancora energia elettrica e acqua”. Secondo suor Cristina, poi, “servirebbero molti interventi di carità da effettuare a tappeto.

Nelle aree che abbiamo visitato, anche attraverso la diocesi, si stanno attivando alcuni progetti per cercare di creare un minimo di lavoro e di sussistenza per le migliaia di persone che fanno riferimento a questa nuova parrocchia. La realtà non è semplice, e la povertà è tanta”.

Nonostante l’indigenza e la fame, comunque, come ha aggiunto la religiosa, “tutti sono sereni e, anche se non possiedono nulla, aspettano la Provvidenza o l’aiuto di qualcuno. Si aspettano anche un aiuto dall’Occidente per risollevarsi, ma non ho idea di quanto gli occidentali arrivino in Africa per portare un aiuto o per sfruttarla”.

professione-suore-africa1Oltre che nella casa di Kisibere, la congregazione delle Figlie della Misericordia è oggi presente a Perugia, nella struttura dell’Onaosi, nella casa madre di Città di Castello e nella scuola dell’infanzia di Lama.

La congregazione venne creata dal vescovo Muzi con l’intento di fornire un’assistenza, anche spirituale, agli infermi e ai piccoli orfani.

Tali attività con il tempo si sono tradotte nell’assistenza ai malati, nell’ospedale tifernate e nell’attività educativa svolta nelle scuole dell’infanzia di Città di Castello e Lama. Il carisma di questa congregazione è riassunto dal concetto di “amore misericordioso”.

Come si legge nel sito di questo istituto, infatti, “il Muzi può essere considerato un pastore-profeta”, poiché “ha anticipato quello che decenni più tardi farà nascere nella Chiesa la ‘teologia della misericordia’, testimoniata dall’esempio di sante come Teresa di Lisieux, Faustina Kowalska e Madre Speranza”.

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Sconfiggere la Piovra https://www.lavoce.it/sconfiggere-la-piovra/ Wed, 24 Jun 2015 13:41:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36422 Alcuni dei partecipanti alla "Carovana Antimafie" di Perugia
Alcuni dei partecipanti alla “Carovana Antimafie” di Perugia

Partita da Reggio Calabria, nel suo itinerario per l’Italia e in alcune città europee, la Carovana antimafie nel pomeriggio di sabato scorso si è fermata a Perugia, nella piazza davanti alla stazione ferroviaria di Fontivegge a pochi passi da piazza del Bacio, al centro di un quartiere con tanti problemi di microcriminalità e per lo spaccio di droga.

Il tema di questa sua 21a edizione è infatti quello delle periferie, “luoghi – ha detto Mauro Sasso, coordinatore nazionale della Carovana – di malessere sociale e spesso di forte pressione malavitosa, ma anche realtà in cui crescono e si sviluppano esperienze positive, di aggregazione civica e sociale, che si contrappongono ai contesti di illegalità”.

Come sta succedendo anche a Fontivegge, dove sono nati spontaneamente comitati di cittadini (in piazza del Bacio, in via del Macello e al Bellocchio) che promuovono iniziative di socializzazione per cercare di riportare a una vita normale zone difficili della città, stravolte da un’urbanizzazione non sempre corretta e dall’insediamento di tanti stranieri.

La Carovana antimafie è promossa dai sindacati Cgil, Cisl e Uil e dalle associazioni Libera, Arci e Avviso pubblico. La prima esperienza è del 1994 quando, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, fu organizzata in dieci tappe nella sola Sicilia per tenere alta l’attenzione sul fenomeno mafioso e promuovere impegno sociale e progetti concreti. Dal 1996 è diventata nazionale, poi anche internazionale. Quest’anno, con il suo furgone con a bordo volontari e materiale illustrativo delle sue finalità, ha già attraversato Calabria, Basilicata, Campania, Lazio.

A Perugia è arrivata dopo Avellino, per proseguire per Fano e successivamente in Emilia Romagna e Toscana. La prima parte del viaggio si concluderà a Bruxelles il 30 giugno. Ripartirà a settembre con altre tappe in Italia e poi anche in Belgio, Spagna, Malta, Romania, Germania e Francia.

L'intervento di Mauro Sasso
L’intervento di Mauro Sasso

Ad attenderla a Perugia nel pomeriggio di sabato c’erano, con bandiere e cartelli, volontari dell’associazione Libera contro le mafie, con il suo cordinatore regionale Walter Cardinali, sindacalisti e un furgone dell’Unità di strada di Perugia che si occupa dell’aiuto e della assistenza a persone con dipendenza da stupefacenti. “Cerchiamo – ha detto Sara dell’Unità di strada – di prenderci cura degli ultimi, persone emarginate e abbandonate dalla società che talvolta hanno anche soltanto bisogno di essere ascoltate e di raccontare a qualcuno il loro dramma”. A loro, italiani e stranieri, l’Unità, gestita dalla cooperativa Borgorete, offre anche la possibilità di usufruire dei servizi del centro diurno di accoglienza di via del Giochetto, della mensa di via del Roscetto e di un ostello in via Romana.

Una società che vuole davvero sconfiggere le mafie – è stato sottolineato durante la manifestazione – deve preoccuparsi anzitutto di essere inclusiva, a partire da tutti coloro che vivono “lontani dal centro” non solo nel senso della distanza fisica: i marginali, i periferici appunto, siano essi persone, comunità intere o popoli. Perché, se i luoghi periferici sono il tessuto più vulnerabile all’infiltrazione mafiosa, alla sua violenza e sopraffazione, sono però anche i “luoghi” in cui resistere e partire per autorigenerarsi.

 

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La casa delle Apette e dei Millefiori https://www.lavoce.it/la-casa-delle-apette-e-dei-millefiori/ Tue, 09 Jun 2015 14:51:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35153 Un momento dello spettacolo teatrale
Un momento dello spettacolo teatrale

Trecentocinquanta persone, tra amici e sostenitori, sono giunte a Cascia da tutta Italia per partecipare all’evento solidale “Porte aperte all’Alveare”: l’open day organizzato il 6 e 7 giugno dall’Alveare di Santa Rita, la casa d’accoglienza del monastero Santa Rita.

Grande è stata la partecipazione dei cittadini e la generosità offerta dai volontari che hanno donato il loro tempo nell’organizzazione dell’evento e le loro professionalità durante tutto l’anno scolastico, dando vita ai “Laboratori per crescere” pensati per i giovani ospiti della casa d’accoglienza.

Dai più grandi ai più piccoli, le Apette, bambine e ragazze che vivono nella struttura, e i Millefiori, bambini e bambine delle elementari che partecipano al progetto diurno del doposcuola, si sono esibiti per gli ospiti in uno spettacolo teatrale curato dalle educatrici dell’Alveare di Santa Rita e in un saggio di danza realizzato dall’insegnante Asta Andrijevskyte della scuola “La Libellula”, intervallato dalla consegna degli attestati di ringraziamento per i volontari e dagli interventi di Roger Bergonzoli e Monica Guarriello della Fondazione Santa Rita da Cascia onlus, nata per volontà delle monache agostiniane di Cascia nel 2012, per sostenere in modo strutturato e continuato nel tempo questo progetto solidale che esiste da 77 anni.

Emozionante, la testimonianza dell’ex Apetta, Roberta Carmignani, che ha raccontato il valore aggiunto lasciato dall’Alveare nella sua vita di giovane quattordicenne, prima, e di donna e madre di tre figli, oggi, che ha potuto ultimare il suo percorso di studi e accrescere il suo senso della famiglia proprio grazie ai cinque anni trascorsi nella casa dell’Alveare.

Giunto alla quarta edizione, l’open day consente a tutti di vistare l’Alveare di Santa Rita, conoscerne le attività e i protagonisti, confrontarsi con lo staff di educatrici e di volontari che, insieme alle monache, assicurano ai minori istruzione, assistenza sanitaria, psicologica e quella sensazione di “essere a casa” che solo una famiglia può dare.

Fondato nel 1938 dal monastero Santa Rita da Cascia, l’Alveare di Santa Rita ospita gratuitamente bambine e ragazze provenienti da famiglie con seri problemi socio-economici. Le “Apette” sono le giovani che vivono nella casa d’accoglienza provenienti da varie parti d’Italia, in prevalenza figlie di famiglie immigrate. Ventiquattro, sono le giovani, tra i 6 e i 18 anni, che anche quest’anno hanno trovato nella “famiglia dell’Alveare” speranza e fiducia nel futuro, attraverso percorsi personalizzati che mirano ad assicurare un’istruzione, assistenza medica e psicologica, l’adeguato nutrimento e lo sviluppo di abilità e attitudini per costruire un domani migliore.

Sono ventidue, invece, i bambini e le bambine “Millefiori”, parte del progetto diurno del doposcuola per le elementari, rivolto alle famiglie di Cascia e del territorio circostante.

 

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Per il beato Bonilli, Dio aveva grandi idee https://www.lavoce.it/per-il-beato-bonilli-dio-aveva-grandi-idee/ Mon, 08 Jun 2015 14:51:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34912 Il centro socio-riabilitativo-educativo "Casa Mons. Bonilli" a Trevi
Il centro socio-riabilitativo-educativo “Casa Mons. Bonilli” a Trevi

Nel ’900 il nome della nostra terra umbra è approdato in tanti Continenti portando a tutti il sorriso di Dio. Sono le suore della Sacra Famiglia di Spoleto, fondate dal sacerdote Pietro Bonilli nel 1888: donando la loro vita a Dio mediante la professione dei consigli evangelici, si mettono al servizio delle molteplici povertà che il mondo produce, per testimoniare la forza dell’amore, della speranza e della familiarità.

Don Bonilli infatti, sacerdote di una piccola parrocchia di campagna della diocesi di Spoleto, vissuto tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ’900, non pago della difficile e stentata opera pastorale, si dedicò all’accoglienza della gioventù abbandonata delle campagne. In breve tempo, però, si accorse che i pericoli maggiori riguardavano le fanciulle orfane o segnate da malattie come la cecità e la sordità. Fu a loro che si rivolse tutta la sua attenzione.

Ben presto, tuttavia, si accorse che la sua casa e la sua persona non bastavano più per prendersi cura adeguatamente di quella grande famiglia che aveva riunito attorno a sé. Certamente, la Sacra Famiglia di Nazareth, triade terrena che il Bonilli tanto venerava, non faceva mancare la sua Provvidenza in offerte di denaro e di alimenti; tuttavia a don Pietro non sfuggiva che quelle bambine necessitavano di cure femminili. Il progetto di Dio, però, era ben più grande e arduo di quanto lui stesso potesse immaginare!

Dopo vari tentativi falliti d’impiantare nella sua parrocchia un Ordine religioso, il Bonilli si dispose infine a seguire la strada che il Signore gli indicava: fondare lui stesso una congregazione religiosa. Sembra proprio che al Signore piaccia sognare in grande, attraverso la vita di piccoli uomini e donne che si mettono al Suo servizio. Con la professione religiosa di quattro “donzelle” nella parrocchiale di Cannaiola, il 13 maggio 1888 il sogno cominciava a diventare realtà. Anche don Pietro allora prese coraggio e cominciò a tirar fuori dal cassetto i sogni che avevano caratterizzato i suoi anni di giovane seminarista, soprattutto quello di predicare l’amore di Dio là dove non era conosciuto, o addirittura rifiutato. E Dio, che è Padre e non si lascia vincere in bontà, diede al Suo servo fedele questa immensa gioia: nel 1921 le sue suore s’imbarcavano per raggiungere le coste della Cirenaica (attuale Libia). Quel sogno che sembrava irrealizzabile è ancora realtà viva ai nostri giorni.

Suor Monica Cesaretti
Suor Monica Cesaretti

Il Bonilli nel 1935 è ritornato alla casa del Padre, ma il suo istituto continua a crescere, ad arricchirsi di ragazze e ragazzi (il ramo maschile, “Missionari della Sacra Famiglia”) che aggiungono tasselli nuovi anche nelle opere che abbracciano soprattutto a favore dei più poveri, per costruire la civiltà dell’amore dando a tutti una famiglia sull’esempio di Gesù, Maria e Giuseppe.

Ad oggi, l’istituto delle suore della Sacra Famiglia (di diritto pontificio dal 10 marzo 1932) è diffuso in Italia, India, Congo, Costa d’Avorio, Guatemala, Salvador, Cile, Brasile e Honduras. Le suore abbracciano con amorevolezza molteplici servizi nelle scuole, tra i giovani, con le famiglie, negli ospedali e con le persone diversamente abili. Anche in Umbria, regione di fondazione, l’istituto è presente, oltre che nella diocesi di Spoleto, anche in quella di Perugia – Città della Pieve, sia nella pastorale famigliare e socio-sanitaria, sia con opere a favore delle persone diversamente abili, più o meno gravi.

Con gioia ogni suora continua a donare la propria vita, consapevole di essere un piccolissimo frammento del sogno di Dio che vuole farsi realtà di amore per il nostro mondo. E dal cielo, l’umile sacerdote Pietro Bonilli, ormai dichiarato beato, e le cui spoglie mortali riposano ora nel santuario di Cannaiola di Trevi (Pg) a lui dedicato, non può mancare di benedire le sue figlie e i suoi figli spirituali, le sue opere e tutti coloro che ne beneficiano.

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Figlie della Misericordia in corsia e nella scuola https://www.lavoce.it/figlie-della-misericordia-in-corsia-e-nella-scuola/ Wed, 03 Jun 2015 12:43:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34546 La casa madre dell’istituto a Città di Castello
La casa madre dell’istituto a Città di Castello

In questo Anno della vita consacrata, passato, presente e futuro si uniscono mirabilmente nella memoria grata, nell’impegno appassionato e nella speranza certa che supera la precarietà delle mete intermedie per fissarsi ardentemente nell’amore stesso di Dio.

Uno dei luoghi comunitari di questa serena e fattiva tensione nel segno del Regno, che è già e non ancora , è dato a Città di Castello dalla congregazione delle suore “Figlie della Misericordia”, alla quale appartengo e di cui oggi vi parlo.

Siamo nate il 6 giugno del 1841, quando il nostro padre fondatore, il vescovo diocesano Giovanni Muzi, pensò di provvedere all’assistenza dei malati, degli orfani e degli abbandonati con personale specializzato, e soprattutto con donne animate da principi di autentica carità cristiana. Le “oblate” – così venivano chiamate le suore – non erano solo infermiere professionali o coordinatrici dell’attività ospedaliera, ma donne che, in silenzio e nel servizio, rendevano visibile e amabile ai sofferenti il volto di Cristo, il quale non manca di dare sollievo e speranza a chi si affida a Lui con umiltà e fede.

Mons. Muzi, con la Regola che ci ha lasciato, e le prime consorelle con la loro infaticabile testimonianza, costituiscono ancora la guida sicura per poter amare il prossimo della stessa carità di Cristo e per poter dare a ciascuno un senso salvifico al dolore. Da questo centro di valore derivò ben presto anche l’attenzione all’educazione dei fanciulli, che si concretizzò con l’apertura delle scuole materne, alcune delle quali (casa madre e Lama) esistono ancora. Carità, educazione e dedizione alla salute delle persone qualificano, dunque, fin dall’inizio la vita della nostra congregazione.

Il carisma, però, è caratterizzato profondamente dalla “figliolanza” e dalla “misericordia”, come se la divina Misericordia ci avesse partorito e costituito come “figlie” per rendere visibile e operativo un rapporto materno e filiale che contraddistingue la fede, ma anche dispone immediatamente alla carità.

suor-Liliana-ZilettiL’odierna riscoperta della misericordia come via privilegiata di evangelizzazione e l’insistenza con cui ne parlano sia l’attuale nostro vescovo Domenico Cancian sia Papa Francesco riconducono tutti al cuore stesso del Vangelo. A noi, dunque, vengono richieste opere filiali di misericordia corporale e spirituale, che lascino intravedere la maternità e la paternità di Dio per declinarle a favore di tutti. Più precisamente, “le Figlie della Misericordia porteranno in corsia non [solo] un cuore materno, ma un cuore formato su quello di Gesù Cristo, avvampante della sua carità. È questo il luogo destinato specialmente dalla Provvidenza all’esercizio di tutte le virtù”.

Nel corso del tempo, soprattutto la professione di infermiere nel locale ospedale ha permesso alla nostra vocazione di svilupparsi come “infermarsi con gli infermi” e come ospitalità in forme che siamo chiamate costantemente a incarnare in maniera nuova nell’orizzonte ecclesiale universale, a partire dalla nostra Chiesa particolare.

Seguendo questo orientamento, dall’anno 2000 siamo presenti per l’assistenza infermieristica nella struttura dell’Onaosi di Perugia, e il 25 novembre 2011 tre nostre sorelle sono partite per la missione di Kisibere, diocesi di Kabgaji in Rwanda. Per noi che, per giunta, siamo anche avanti negli anni, è iniziata così una nuova esperienza, certamente affascinante e carica di problemi, che ci costringe a rimetterci in gioco, a ripensare la nostra esperienza, a purificarla di tanti orpelli, per calarci nelle concrete situazioni di sorelle culturalmente distanti alle quali non possiamo annunciare l’incarnazione del Signore senza incarnarci noi stesse.

Direbbe san Paolo: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io” (1Cor 9,22-23).

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Opportunità di Servizio civile a Perugia https://www.lavoce.it/opportunita-di-servizio-civile-a-perugia/ Fri, 12 Dec 2014 12:56:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29492 Volontaria del Servizio Civile durante un’attività
Volontaria del Servizio Civile durante un’attività

Tra le opportunità offerte dal nuovo programma “Garanzia giovani”, c’è anche quella del Servizio civile. Il Comune di Perugia, a tale proposito, sta avviando otto progetti approvati dal Dipartimento della gioventù, per cui è possibile presentare domanda di partecipazione (c’è tempo fino al 15 dicembre).

“Il Servizio civile – ha sottolineato il vice sindaco di Perugia, Urbano Barelli – rappresenta un arricchimento per la comunità e un’opportunità per i giovani, soprattutto in questo momento di grave crisi economica e lavorativa. È infatti una prima finestra sul mondo del lavoro, e comporta l’acquisizione di competenze specifiche spendibili nel curriculum”.

Il precedente bando di Servizio civile nazionale era stato indetto nel 2013. Dei 15 mila volontari reclutati a livello nazionale, l’Umbria se ne era aggiudicata 195, da impiegare in 36 progetti sparsi sul territorio regionale. In particolare, con il bando dei progetti valutati e approvati dalla Regione Umbria, erano stati attivati in diversi Comuni 16 progetti con 100 giovani volontari, mentre, attraverso il bando dei progetti valutati e approvati dal Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale, erano stati attivati  20 progetti con 95 ragazzi.

Nel dettaglio, per la selezione 2014 del Comune di Perugia, gli otto progetti prevedono l’impiego di 30 volontari per 12 mesi con una paga mensile di 433,80 euro. Questi i progetti: “Comunicazione, partecipazione e la cultura della resilienza nella Protezione civile” (4 volontari); per il settore Patrimonio artistico e culturale “Coloriamo i cataloghi” (2 volontari); per quello Educazione e promozione culturale, i progetti “Figure di accoglienza Benvenuti” (6 volontari), “Giovani numeri europei” (2 volontari), “Informatizzazione delle procedure di archiviazione e pubblicizzazione” (4 volontari), “Sposi a Perugia: felici e informati” (2 volontari) e “Letture su pista e mani in pasta” (2 volontari); per il settore Assistenza, “Oltre il servizio educativo: attività per i bambini e le famiglie” (8 volontari).

Possono partecipare alla selezione giovani di età compresa tra 18 e 28 anni (fino ai 29 anni non compiuti), che siano registrati al programma Iniziativa occupazione giovani in data antecedente a quella di presentazione della domanda. È possibile presentare domanda per un solo progetto, e possono farsi avanti anche coloro che abbiano già svolto il Servizio civile nazionale o che, per qualsiasi motivo, dopo averlo iniziato lo hanno interrotto.

Le domande possono essere presentate a mano, a mezzo raccomandata o tramite posta elettronica certificata (Pec) all’indirizzo comune.perugia@ postacert.umbria.it. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito del Comune di Perugia www.comune.perugia.it oppure è possibile rivolgersi al servizio Formazione del Comune, in via Scarlatti 6 (tel. 075 5772700 – 2525 – 2703).

Laura Lana

Una scelta che cambia la vita. Sul serio

Il Servizio civile in campo educativo raccontato da una giovane volontaria


Quando decidi di fare domanda per il Servizio civile, lo fai perchè è un’opportunità di lavoro, un anno sicuro e retribuito. Almeno, per me è stato così. Avevo appena concluso un periodo lavorativo molto intenso e si apriva davanti a me la prospettiva della disoccupazione. Quindi mi sono detta: “Perché no?”, anche se, fino ad allora, di “sociale” – che fosse educazione, assistenza, promozione culturale – avevo soltanto parlato o sentito parlare. Così è cominciata questa avventura. Con poche aspettative e molta inconsapevolezza. Sono bastate alcune settimane per farmi capire che quel bello slogan dato dal Governo a questa esperienza, di slogan aveva solo la forma accattivante: “Una scelta che cambia la vita. Tua e degli altri”. La mia, di vita, l’ha sicuramente cambiata. Sono stati mesi intensi e appassionanti, trascorsi tra le aule di un istituto scolastico del Perugino e volati più velocemente di qualsiasi altro anno della mia esistenza. Sono stati mesi in cui mi è stato chiesto di mettermi in gioco: sono stata segretaria, sono stata facchina, organizzatrice di eventi, animatrice, informatica, ricercatrice. E molto di più. Ora che, con il finire dell’anno, si vanno concludendo questi dodici mesi, posso trarre con malinconia qualche riflessione. La prima è banale, ma fondamentale. Mai nome fu più azzeccato di quello dato a questa iniziativa: “Servizio”. Non lavoro, non formazione, non stage. In dodici mesi si offre davvero un pezzo di vita alla collettività, a costruire qualcosa che abbia un valore. La seconda riflessione è legata alla prima. In questo anno, ho imparato (o meglio, mi hanno insegnato) che si può dare veramente un peso specifico alla propria professione lavorativa, che ci si può veramente svegliare sentendo che essere “giovane” non è choosy, “bamboccione”, Neet, “senza futuro”, come tutte le orribile etichette che ci vengono attaccate, ma capace di realizzare qualcosa che abbia un senso, fare un po’ la differenza, come si ama dire. Terza e ultima riflessione: consiglio a tutti di fare il Servizio civile, anche a chi non ne avrebbe bisogno, anche a chi nella vita vuole fare tutt’altro. Ma soprattutto, consiglio a tutti di scegliere bene il progetto per cui candidarsi, il dove e il come vi ospiterà per un anno. Perché non c’è niente di peggio che buttare alle ortiche un’opportunità del genere. Buon Servizio civile!

L. (volontaria Scn 2014)

 

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Spoleto. Convegno promosso da Aglaia, assistenza per le cure palliative. Premio al dott. Manlio Lucentini tra i fondatori di tali cure https://www.lavoce.it/spoleto-convegno-promosso-da-aglaia-assistenza-per-le-cure-palliative-premio-al-dott-manlio-lucentini-tra-i-fondatori-di-tali-cure/ Fri, 14 Nov 2014 13:31:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28995 assistenza-anziani“I percorsi della rete di cure palliative – Quando “Fare di più non significa fare meglio” è il tema del convegno che si svolgerà all’Albornoz Palace hotel di Spoleto sabato 15 novembre, a partire dalle ore 8.15. Un incontro rivolto a tutti gli operatori socio – sanitari, ai volontari e ai cittadini, promosso da Aglaia (associazione per l’assistenza palliative onlus) di Spoleto e dall’Usl Umbria 2 e che si concentrerà sul tema della costruzione della rete di cure palliative. In un momento per questo settore particolarmente delicato, sia dal punto di vista economico che per la definizione delle linee di indirizzo regionali e delle aziende sanitarie a riguardo, si tenteranno di individuare prospettive e percorsi di azione con l’obiettivo di creare una solida rete che, attraverso la moltiplicazione dei nodi che la compongono, riesca a portare le cure palliative fuori dall’hospice e dal domicilio del paziente fin dentro gli ospedali e le residenze sanitarie. Nella prima parte del convegno si farà ricorso al confronto con le altre realtà regionali e con i referenti nazionali, mentre il pomeriggio sarà dedicato alla realtà locale. La giornata si concluderà con l’assegnazione del Premio Aglaia 2014 che quest’anno verrà conferito al dott. Manlio Lucentini, medico palliativista tra i principali fondatori delle cure palliative in Italia e in Umbria

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L’Acradu al tavolo con la Regione https://www.lavoce.it/lacradu-al-tavolo-con-la-regione/ Fri, 28 Feb 2014 14:47:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22862 assistenza-anzianiL’Acradu (Associazione cristiana residenze anziani e disabili dell’Umbria) rappresenta l’80 per cento delle strutture residenziali e sanitarie per anziani e disabili dell’Umbria. Un soggetto importante, portavoce della quasi totalità del settore, che non vuole essere ignorato, soprattutto nei tavoli decisionali.

Per questo, nei giorni scorsi i rappresentanti dell’Associazione si sono incontrati con l’assessore regionale al Welfare, Carla Casciari, e con il direttore regionale della Sanità, Emilio Duca. Un incontro richiesto da tempo, che ha permesso di riprendere quel confronto con le istituzioni interrottosi nel 2007, dopo la sottoscrizione del Patto per il benessere degli anziani. “Da tempo richiedevamo questo incontro – sottolineano dall’Acradu -. Rappresentando la quasi totalità delle strutture del settore, vogliamo essere ascoltati e prendere concretamente parte alla programmazione regionale in merito alla residenzialità di anziani e disabili”.

La richiesta principale avanzata dall’Acradu alla Regione è, quindi, l’istituzione di un Tavolo tematico permanente comune costituito da Regione, Asl, sindacati, Acradu, dal mondo della cooperazione e da tutte le associazioni che operano e lavorano con persone disabili, anziani e non autosufficienti. “In Umbria – dicono ancora dall’Acradu – i Tavoli tematici, previsti dalla legge 328 del 2000, di partecipazione e programmazione condivisa dei servizi socio-sanitari, specialmente territoriali, non sono stati adeguatamente attivati, cosicché non tutti hanno potuto dare il loro apporto per ridisegnare quel sistema di rete socio-sanitaria che garantisce al cittadino livelli appropriati di assistenza. Non vogliamo dei confronti a posteriori, vogliamo essere protagonisti della programmazione”. Avere un ruolo decisionale più forte significa avere maggiori tutele per malati e famiglie. Nel concreto, parità di diritti ed equità di servizi su risorse, posti letto, contratti… “Abbiamo bisogno di confrontarci con la Regione – spiegano dall’Acradu –, ad esempio, sulle tariffe.

A oggi, infatti, non è più accettabile che ci sia una tariffa unica giornaliera per gli anziani. In primis, perché è ferma a 7-8 anni fa e andrebbe aggiornata sulla base dell’attuale costo della vita; in secondo luogo, non dovrebbe essere fissa, ma andrebbe modulata sulla base del grado di autosufficienza dell’anziano e del tipo di aiuto di cui ha bisogno. Altro problema – continuano dall’Acradu – quello di capire e rivedere i criteri secondo cui la Regione ripartisce le risorse nelle varie Asl, i posti letto, i rapporti contrattuali… Non è possibile che nella stessa regione, tra l’altro piccola come l’Umbria, vigano criteri differenti per liste d’attesa, modalità d’ingresso nelle strutture, standard richiesti… a seconda del distretto sanitario a cui si appartiene. Occorrono requisiti unici e condivisi”.

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Incontro con le strutture assistenziali e residenziali cattoliche: meno isolamento e più rete https://www.lavoce.it/incontro-con-le-strutture-assistenziali-e-residenziali-cattoliche-meno-isolamento-e-piu-rete/ Sat, 15 Feb 2014 11:00:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22324 gestori_strutture_sanitarie-3992
Foto Andrea Coli

15/02/2014 – E’ stata la prima volta che i gestori delle strutture assistenziali e residenziali cattoliche si sono riuniti intorno allo stesso tavolo. Lo hanno fatto per volere dell’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, monsignor Gualtiero Bassetti, che, in occasione della visita pastorale dedicata al mondo della sanità, li ha voluti incontrare.  L’incontro è avvenuto ieri pomeriggio presso l’istituto Sereni – Opera don Guanella. Presenti molti rappresentanti delle varie strutture che si occupano di assistenza ad anziani e disabili, come Fontenuovo, Fondazione Santa Caterina, Villa Nazzarena, Casa di cura Clinica Lami, Comunità di Capodacqua e Acradu (Associazione Cristiana Residenze Anziani e Disabili dell’Umbria). Purtroppo l’arcivescovo non ha potuto prendere parte all’incontro per motivi di salute, a fare le sue veci il vicario don Paolo Giulietti.

Nel corso dell’incontro sono emersi alcuni aspetti e problematiche comuni. In primis, il senso di isolamento che viene percepito da queste strutture rispetto alle Istituzioni, ma anche alla comunità territoriale. Sempre più le innegabili difficoltà economiche, causate dal momento di crisi, si legano ad altri problemi, come la mancanza di volontari o l’indifferenza della popolazione. Le strutture hanno, quindi, manifestato la volontà di aiutarsi a vicenda facendo rete tra loro, in modo da poter soddisfare i nuovi bisogni della società, come la richiesta di strutture specializzate per i malati di Alzheimer, di Sla o di sclerosi multipla, che ancora mancano o sono insufficienti.

I rappresentanti dell’Acradu hanno, inoltre, posto l’accento sulle difficoltà dei rapporti con le Istituzioni. “Chiediamo più attenzione e coinvolgimento da parte della Regione – ha sottolineato il presidente Luciano Viscioletti – nella stesura dei regolamenti, delle norme, delle tariffe… anche alla luce del fatto che le strutture cattoliche costituiscono in Umbria l’80% del settore assistenziale e residenziale”.

Laura Lana

 

 

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Perché la Giornata del malato? https://www.lavoce.it/perche-la-giornata-del-malato/ Thu, 06 Feb 2014 15:29:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22044 Nella foto alcuni malati a Lourdes. L’11 febbraio, Giornata del malato, è anche la ricorrenza della prima apparizione della Vergine a Bernadette nella grotta di Massabielle
Nella foto alcuni malati a Lourdes. L’11 febbraio, Giornata del malato, è anche la ricorrenza della prima apparizione della Vergine a Bernadette nella grotta di Massabielle

Poco più di vent’anni fa si è osato indire una Giornata mondiale del malato. Siamo alla XXII. Ha per titolo: “Fede e carità. Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”. C’era bisogno di una Giornata? Incredibilmente sì. Lo è per una ragione che appare una sfida alla nostra cultura del piacere, della “superba” quanto meravigliosa ricerca medica, dei grandi risultati della medicina, degli interventi impossibili solo qualche decennio fa. In tutto il secolo scorso, piano piano, ci eravamo abituati a pensare che la sofferenza, almeno quella fisica, poteva essere debellata. Anzi si rafforzava una convinzione di quasi immortalità, così da dedicare attenzioni spropositate al nostro corpo per conservarlo e abbellirlo. Ma il dolore e la malattia, pur diventando più controllabili grazie alle conquiste della medicina e di una vita di benessere, almeno per il nostro Occidente, conservavano drammaticamente tutta la loro verità. Come tali inviano segnali “scortesi” proprio al nostro infinito desiderio di vivere. La malattia ci limita, ci depotenzia. Un semplice raffreddore, congiunto all’influenza, ci costringe a letto. Anche piccoli malanni, se ripetuti, se cronicizzati, ci tolgono energie da impiegare nelle nostre realizzazioni. La malattia minaccia la nostra esistenza; ne annuncia tutta la sua precarietà; ne documenta la sua incredibile provvisorietà. L’esperienza lo conferma, non permette fughe se non momentanee. Nonostante tutti i nostri sforzi nel campo della ricerca e dell’assistenza, che del resto vanno incoraggiati, perché in termini cristiani diventano la cura che Cristo stesso ebbe per i malati, la malattia, e il dolore che l’accompagna, esiste ancora. Che resta da fare? O maledire il fato, il destino di un essere umano che sogna un potere illimitato sulla vita senza possederlo, oppure capire che ciascuno di noi è il proprio corpo di gioie e dolori ma, nello stesso tempo, è molto di più del suo corpo, è spirito, è cuore, è ricerca di significato. Insomma il dolore o si traduce in imprecazione e ribellione oppure si trasforma in amore. Questa è la proposta della Giornata mondiale del malato. Il Dio cristiano si fa dono e amore in Cristo perché anche noi possiamo amare gli altri come egli ci ha amato fino alla croce, cumolo di tutti i dolori. Il dolore si ridimensiona, resta, ma unito a Cristo diventa redenzione. Non è più un insensato destino. Il cristianesimo, più di popolo che di cattedra, più semplice che addottorato, ha percepito l’urgenza di prendersi cura dell’animo del malato. La cura pastorale non ha mai trascurato i malati e la preghiera, la visita ai santuari mariani, la vicinanza ad alcuni santi viventi come san Pio di Pietrelcina. Ha capito che la medicina nel suo sforzo di vincere la minaccia alla vita si preoccupa del male ma non del malato. Non è vero! Si obietterà. Suggerisce un pensatore laico, come Max Weber: “La scienza medica non si pone la domanda se e quando la vita valga la pena di essere vissuta. Tutte le scienze non danno questa risposta”. Essa si preoccupa come le altre scienze naturali di “dominare tecnicamente la vita”. Ma “se vogliamo dominarla o dobbiamo dominarla tecnicamente, e se ciò, in definitiva abbia veramente un significato esse lo lasciano del tutto in sospeso”. In conclusione il mio medico in quanto “tecnico” della medicina mi cura ma non sa perché deve farlo. Il perché dipende da altri fini, dal senso che diamo alla vita. Dipende dall’amore appunto per le persone. “Quando ci accostiamo con tenerezza a coloro che sono bisognosi di cure, portiamo la speranza e il sorriso di Dio nelle contraddizioni del mondo” – annota Papa Francesco. Quel sorriso di Dio diventa tenerezza nella “Madre di Gesù e Madre nostra, attenta alla voce di Dio e ai bisogni e difficoltà dei suoi figli”.

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