armeni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/armeni/ Settimanale di informazione regionale Fri, 26 Mar 2021 14:51:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg armeni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/armeni/ 32 32 Viaggio in Armenia, paese di antica fede cristiana segnato dal genocidio https://www.lavoce.it/viaggio-in-armenia-paese-di-antica-fede-cristiana-segnato-dal-genocidio/ Thu, 12 Jul 2018 16:32:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52367

C’è stato un protagonista nel viaggio- pellegrinaggio dei Vescovi umbri in Armenia: non il monte Ararat, di biblica memoria, che con i suoi 5.000 metri e la calotta perennemente imbiancata giganteggia sulla capitale Erevan; non il paesaggio aspro degli altopiani, costellati di gole e incisi dal grande lago Sevan; non i monasteri antichi e moderni, austeri nei vari colori della pietra tufica con la quale sono costruiti in forme sostanzialmente immutate nel tempo, e che prevale anche negli interni disadorni. Protagonista è stato il popolo armeno, la sua storia gloriosa e sofferta, le prospettive e le incognite del suo presente. Prima nazione ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, dodici anni prima dell’editto di Costantino, che dichiarerà il cristianesimo religio licita nell’Impero romano, e 79 anni prima dell’editto di Teodosio, che la eleggerà a religione di Stato. Di tale primogenitura il popolo armeno va tuttora fiero, anche se gli è costata cara, e poche tracce di quel primo periodo sono sopravvissute alle distruzioni e alle guerre che periodicamente hanno afflitto una nazione che vive per più di due terzi dispersa nel mondo. Di tutte le persecuzioni, la più feroce è stata il genocidio perpetrato dalla Turchia negli anni della Grande guerra e costato un milione e mezzo di morti, tra quelli trucidati e quelli lasciati perire di fame e di sete nelle marce forzate e nei campi di prigionia. Il museo di Erevan, visitato anche da san Giovanni Paolo II e da Papa Francesco, è ricco di testimonianze documentarie e fotografiche sul “grande male”, come lo chiamano. Il quale è stato tra l’altro una sorta di “prova generale” della Shoah, iniziata un quarto di secolo dopo. Adolf Hitler ebbe infatti a dire, progettando lo sterminio degli ebrei: “Chi si ricorda ancora del genocidio armeno?” (Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). [gallery td_gallery_title_input="Viaggio in Armenia - CEU 2018" ids="52306,52305,52304,52303,52302,52301,52300,52299"]]]>

C’è stato un protagonista nel viaggio- pellegrinaggio dei Vescovi umbri in Armenia: non il monte Ararat, di biblica memoria, che con i suoi 5.000 metri e la calotta perennemente imbiancata giganteggia sulla capitale Erevan; non il paesaggio aspro degli altopiani, costellati di gole e incisi dal grande lago Sevan; non i monasteri antichi e moderni, austeri nei vari colori della pietra tufica con la quale sono costruiti in forme sostanzialmente immutate nel tempo, e che prevale anche negli interni disadorni. Protagonista è stato il popolo armeno, la sua storia gloriosa e sofferta, le prospettive e le incognite del suo presente. Prima nazione ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, dodici anni prima dell’editto di Costantino, che dichiarerà il cristianesimo religio licita nell’Impero romano, e 79 anni prima dell’editto di Teodosio, che la eleggerà a religione di Stato. Di tale primogenitura il popolo armeno va tuttora fiero, anche se gli è costata cara, e poche tracce di quel primo periodo sono sopravvissute alle distruzioni e alle guerre che periodicamente hanno afflitto una nazione che vive per più di due terzi dispersa nel mondo. Di tutte le persecuzioni, la più feroce è stata il genocidio perpetrato dalla Turchia negli anni della Grande guerra e costato un milione e mezzo di morti, tra quelli trucidati e quelli lasciati perire di fame e di sete nelle marce forzate e nei campi di prigionia. Il museo di Erevan, visitato anche da san Giovanni Paolo II e da Papa Francesco, è ricco di testimonianze documentarie e fotografiche sul “grande male”, come lo chiamano. Il quale è stato tra l’altro una sorta di “prova generale” della Shoah, iniziata un quarto di secolo dopo. Adolf Hitler ebbe infatti a dire, progettando lo sterminio degli ebrei: “Chi si ricorda ancora del genocidio armeno?” (Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). [gallery td_gallery_title_input="Viaggio in Armenia - CEU 2018" ids="52306,52305,52304,52303,52302,52301,52300,52299"]]]>
Papa Francesco: “Ai cristiani il mondo chiede fraternità” https://www.lavoce.it/papa-francesco-ai-cristiani-il-mondo-chiede-fraternita/ Thu, 30 Jun 2016 09:00:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46575 papaArmeniaIncontroPrivatoKarekinII24giu201_04-755x491.jpg.pagespeed.ic.wzu18YA5zSIl viaggio in Armenia di Papa Francesco ha tre parole chiave: pace, dialogo, unità. E un’immagine simbolo: le due colombe bianche lasciate volare dal Papa e dal Catholicos della Chiesa apostolica armena, Karekin II, che dal monastero di Khor Virap sembrano dirigersi verso il monte Ararat, verso la Turchia. Confine caldo ai tempi della guerra fredda: sotto a quel monastero passava la linea che divideva Patto di Varsavia dalla Nato.
Non meno caldo oggi, a cento anni dal “grande male”, cioè il massacro di oltre un milione e mezzo di armeni cento anni fa a opera dell’Impero ottomano. E la Turchia, com’era prevedibile, non ha digerito il fatto che Francesco, parlando a Yerevan davanti al Presidente dell’Armenia e al Corpo diplomatico abbia utilizzato la parola “genocidio” (il primo del XX secolo) per ricordare quella tragedia. La risposta è affidata al vice premier turco Nurettin Canikli: “Parole molto spiacevoli, che indicano la persistenza di una mentalità delle crociate”. Quella del Papa, ha aggiunto, “non è una dichiarazione imparziale né conforme alla realtà”.
Già lo scorso anno, dopo la messa celebrata in San Pietro a cento anni dal genocidio armeno, la Turchia aveva protestato e richiamato l’ambasciatore: “C’è stato un ‘digiuno ambasciatoriale’. Il diritto alla protesta lo abbiamo tutti” ha commentato il Papa in aereo con i giornalisti. Padre Federico Lombardi della Sala stampa ha chiosato: “Se si ascolta ciò che ha detto il Papa, non c’è nulla che evochi uno spirito di crociata”. Ma la “crociata” ritorna, e Bergoglio, sempre in aereo, aggiunge: “Io non l’ho mai detta con animo offensivo, ma oggettivamente”. Poi pone una domanda: in questo genocidio, come negli altri due compiuti da Hitler e Stalin, “perché le potenze internazionali guardavano dall’altra parte? Perché non sono intervenute?”.
A Yerevan, Francesco ha parlato di memoria “su cui costruire il futuro alla ricerca della pace”, ha parlato di riconciliazione più forte dell’odio e delle divisioni, di ponti da costruire e non muri. E questo vale anche per l’altro confine caldo, con l’Azerbaigian (Paese che visiterà a settembre insieme alla Georgia), a causa del territorio conteso del Nagorno Karabakh: “Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace”.
Dialogo, dunque, a più livelli.
Dialogo quanto mai necessario in Europa all’indomani della Brexit. Certo c’è stata la volontà espressa del popolo, ma oggi bisogna lavorare per il bene dei cittadini della Gran Bretagna e dell’Europa, dice Francesco al momento della partenza da Roma, con i risultati appena resi noti ufficialmente. Poi con i giornalisti nel viaggio di ritorno aggiunge: c’è bisogno di una “sana disunione” per salvare l’Unione europea.

Dialogo, dunque, per ricostruire, partendo dalla forza che l’Ue ha avuto nelle sue radici. Forse Francesco pensava anche a quel lungo dibattito per inserire nel preambolo della Costituzione europea il riferimento alle comuni radici giudaico-cristiane del Continente. L’Europa, dice, deve fare un “passo di creatività”, deve dare “più indipendenza, più libertà ai Paesi dell’Unione, pensare un’altra forma di unione, essere creativi, creativi nei posti di lavoro, nell’economia… C’è qualcosa che non va in quell’unione massiccia, ma non buttiamo il bambino con l’acqua sporca”. E aggiunge: “Le due parole chiave dell’Unione europea sono creatività e fecondità”.
Infine unità tra le Chiese, perché “dai cristiani il mondo attende una testimonianza di fraternità, e per questo il cammino ecumenico ha oggi un valore esemplare anche oltre i confini del cristianesimo”. Nella Dichiarazione comune firmata dopo la liturgia a Etchiadzin, il ‘Vaticano degli armeni’, si legge: “Siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo. Ne consegue che le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza a una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana.
I martiri appartengono a tutte le Chiese, e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo”. Non manca un riferimento a Lutero le cui intenzioni come riformatore, dice Francesco, “non erano sbagliate”. Forse, aggiunge, “alcuni metodi non erano giusti. Ma a quel tempo la Chiesa non era proprio un modello da imitare”.
La diversità, dice ancora il Papa, è ciò che “forse ci ha fatto tanto male a tutti, e oggi cerchiamo la strada per incontrarci dopo 500 anni. Dobbiamo pregare insieme, lavorare insieme per i poveri, i profughi, la gente che soffre. Lavorare insieme, pregare insieme”. Perché, come si legge nella Dichiarazione comune, ci sono “milioni di esseri umani che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi”.

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Armeni e Turchia Perchè negare? https://www.lavoce.it/armeni-e-turchia-perche-negare/ Fri, 17 Apr 2015 09:23:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31530 Sulla Shoah, lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista e nei territori da essa occupati, è stato detto e scritto tutto l’umanamente possibile; ogni aspetto è stato sviscerato, arrivando fino a mettere sotto accusa papa Pio XII. Il Papa tedesco, Benedetto XVI, è andato in pellegrinaggio ad Auschwitz.

Ma a nessuno viene in mente di colpevolizzare o discriminare il popolo tedesco di oggi e il suo Governo. Grazie anche al fatto che i tedeschi, da parte loro, hanno avuto l’intelligenza e la moralità di non negare nulla, non nascondere nulla, non giustificare nulla, sforzandosi semmai di dimostrare che, oggi, non rappresentano più un pericolo.

A quanto pare, la Turchia non ha imparato questa lezione. Il massacro del popolo armeno nel 1915 c’è stato, ha riguardato un numero di persone che le stime più accettate indicano in un milione e mezzo; si dovrebbero aggiungere tutti quelli che ebbero la ventura di sopravvivere ma comunque avevano perso le famiglie, le case, i beni, disperdendosi come esuli nelle quattro parti del mondo.

Tutto questo perché loro – i morti e gli esuli – avevano una sola colpa, quella di essere armeni in territori soggetti alla sovranità dell’Impero ottomano, ossia “diversi” per etnia, lingua, cultura e religione. Proprio quest’ultimo aspetto giustifica la parola “genocidio”. Certo, le modalità furono diverse da quelle dello sterminio degli ebrei: non ci furono quell’organizzazione “scientifica” e quella precisione burocratica di cui i tedeschi danno prova nel bene e nel male (però è anche vero che nell’Impero ottomano del 1915 c’erano numerosi tedeschi come alti ufficiali e alti funzionari civili).

Insomma, l’atteggiamento del Governo turco di oggi è, prima che sbagliato, incomprensibile e controproducente.

Il Papa ha ricordato il dolore di quella tragedia, collegandola alle altre analoghe che ancora sono in corso, ma non ha mosso accuse alla Turchia di oggi. Con la loro reazione, i turchi si mettono da soli dalla parte del torto.

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“Genocidio armeno”: Papa Francesco e le reazioni https://www.lavoce.it/genocidio-armeno-papa-francesco-e-le-reazioni/ Thu, 16 Apr 2015 08:58:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31491 Una famiglia di deportati (foto non datata di Armin Wegner)
Una famiglia di deportati (foto non datata di Armin Wegner)

Rischia di ripetersi per Papa Francesco il “destino” che fu di san Giovanni Paolo II: “Tutti lo ammirano e nessuno lo ascolta”. La sua affermazione sugli armeni il 12 aprile, domenica della Divina Misericordia, ha suscitato un vespaio internazionale, anche se Bergoglio ha usato una formula piuttosto cauta, e neppure per la prima volta da parte di un Pontefice. Tra le tragedie del XX secolo – ha ricordato – quella armena “generalmente viene considerata come ‘il primo genocidio del XX secolo’ (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001)”. I fatti a cui si riferiva, in una messa celebrata in San Pietro con i cristiani di rito armeno, presenti anche le autorità politiche, risalgono al 1915-23. I “Giovani turchi”, al potere dal 1908, posero in atto l’eliminazione dell’etnia armena, presente nell’area fin dal VII secolo a.C. Secondo le stime degli storici, furono deportate e massacrate un milione e mezzo di persone. Gli altri genocidi del Novecento, oltre alla Shoà, comprendono la Cambogia (1975-78), la Bosnia (1990-99), il Ruanda (1994). Secondo il Governo di Ankara, le vittime armene sarebbero state 300 mila, e non si sarebbe trattato di un “genocidio” ma di fatti di guerra nel complesso scacchiere del primo conflitto mondiale. Vari Parlamenti – non Governi – incluso quello italiano, hanno adottato la definizione ufficiale di “genocidio armeno”. Ma in un momento in cui la Turchia “torna utile” per la guerra contro il gruppo terrorista “Stato islamico” (Isis), si preferisce tenere un profilo basso. D’altro canto, le ambiguità della Turchia nei confronti del suo recente passato sono tra i motivi che ne hanno impedito – o procrastinato – l’ingresso nell’Ue, un’eventualità che anni fa era discussa come possibile. “La durezza dei toni turchi non mi pare giustificata anche tenendo conto del fatto che 15 anni fa Giovanni Paolo II si era espresso in modo analogo” a Papa Bergoglio ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a margine di una conferenza Ue-Mediterraneo. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che aveva stretto la mano a Francesco non troppo tempo fa, nel novembre scorso, si è inalberato. Partito da posizioni più laiciste, Erdogan si sta progressivamente spostando verso il rigorismo islamico (anche se ancora ben lontano dall’estremismo), tanto che a livello sociale stanno ricomparendo dibattiti “se sia lecito vestirsi così o cosà”, come la moderna Turchia non era più abituata a fare. E soprattutto, il Presidente preme spesso il pedale sul nazionalismo e sulle “aggressioni politiche” che il Paese è costretto a subire continuamente, anche da parte dell’Ue. La spinosità e i pericoli della congiuntura internazionale – vedi Isis, soprattutto – rendono comprensibile il nervosismo di Ankara, ma sarebbe grottesco che Papa Francesco ne diventasse un capro espiatorio, per una volta che non ha regalato al pubblico qualche battutina a effetto ma ha parlato fuori dai denti. “Condanno questo errore, e avverto il Papa di non ripeterlo – ha dichiarato Erdogan. – Quando dirigenti politici o religiosi assumono il compito degli storici, ne deriva un delirio, non fatti”. Dopo la sua visita in Turchia, “pensavo che fosse un politico diverso”, ma le sue parole “dimostrano una mentalità diversa da quella di un leader religioso”. Il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, ha addirittura accusato Francesco di aver “aderito alla cospirazione” di un “fronte del male”. Ban Ki Moon, segretario generale dell’Onu, tramite un portavoce ha ribadito che il massacro degli armeni fu “un crimine atroce”, ma scansando il termine “genocidio”. Da Washington, il presidente Obama e altri alti esponenti dell’Amministrazione hanno più volte riconosciuto come “un fatto storico che 1,5 milioni di armeni furono massacrati negli ultimi giorni dell’Impero ottomano; e che un pieno, franco e giusto riconoscimento dei fatti è nell’interesse di tutti”. Manca però anche qui la parola “genocidio”. Più chiaro il Parlamento di Strasburgo, il quale ha chiesto alla Turchia di “continuare i suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno” e l’apertura degli archivi per “accettare il passato”. Il Parlamento Ue ha quindi approvato una risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni, rende omaggio alle vittime, propone l’istituzione di una Giornata europea del ricordo, e deplora ogni tentativo di negazionismo.

 

Queste le parole del Papa

“Cari fratelli e sorelle armeni – ha detto Francesco il 12 aprile -, in diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione… Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva… La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come ‘il primo genocidio del XX secolo’ (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Essa ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana… Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani, e perfino bambini e malati indifesi”.

 

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Un viaggio tra le croci dell’Armenia https://www.lavoce.it/un-viaggio-tra-le-croci-dellarmenia/ Thu, 23 Jun 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9462 L’Armenia – o meglio, quel che resta della Grande Armenia dei secoli passati – ha ottenuto autonomia e libertà di governo, riconosciuta dall’Onu e da altri Stati, nel settembre 1991. Uno Stato “giovane” quindi, anche se dalle più remote età preistoriche è stata un crocevia obbligato per tutti tra Europa ed Asia, come indica la ancora esistente ed identificabile “Via della seta”, percorsa anche dal nostro fra’ Giovanni da Pian del Carpine nel suo viaggio alla corte del Gran Kan dei Tartari. Questa regione fu la prima a dichiararsi cristiana, già nel 301, con il re Tiridate III e il monaco-vescovo Gregorio l’Illuminatore. Ed anzi i khachkar, e cioè le croci di pietra scolpita e quasi cesellata, sono diventati l’emblema insieme religioso e civile del popolo e della nazione armena; se ne trovano ancora in gran quantità, nonostante le distruzioni sistematiche sia delle croci che delle tipiche chiese cruciformi in pietra e dei tanti monasteri, avvenute sotto i diversi domini politici (persiani, islamici, comunisti). È una fedeltà pagata sempre a caro prezzo, sino al tragico Genocidio armeno, che ha visto il massacro indiscriminato degli intellettuali e del popolo negli anni della Prima guerra mondiale (1916-17), con lo sterminio di tre quarti della popolazione (oltre un milione e mezzo di persone), mentre i Giovani turchi erano al potere. S’ebbe allora un grido di raccapriccio da parte di alcune nazioni europee (Russia, Francia, Gran Bretagna), che in una dichiarazione collettiva del maggio 1915 parlarono di “crimine contro l’umanità e la civiltà ”, come documenta anche la recente ricerca di Marco Impagliazzo, Una finestra sul massacro. Documenti inediti sulla strage degli armeni, Guerini 2000. Fu quello il mets yerern, il “grande male” del popolo armeno, una sorta di tragico prologo della Shoah, lo sterminio nazista di milioni di ebrei e altri indesiderati. E con commozione profonda si fa visita ad Erevan al Mausoleo del genocidio, come a Gerusalemme al Yad Vashem. Questo fitto reticolo di storia, insieme religioso e civile, si ripercorre nella visita a queste terre e a questo popolo ora libero, che ha nelle sue tradizioni il segno di tanta sofferenza e di tanta dignità: un popolo giovane, desideroso di sapere e di vivere, aiutato dalla solidarietà di tanti armeni sparsi in tutto il mondo, che amano appassionatamente la madre patria finalmente libera, e non dimenticano. C’è ricchezza di storia e di umanità, ma anche bellezza di paesaggi, sempre presenti nei canti. Come non menzionare il monte biblico dell’Ararat, ed altri paesaggi carichi di verde e di nevi, con i ponticelli sui corsi d’acqua a segnare l’antica Via della seta? Si tratta di un Paese che alterna la monumentalità dell’ambiente cittadino a Yerevan, la capitale, con palazzoni costruiti dai russi, alla modestia dei suoi villaggi; un Paese che fa del buon pane con metodi antichi e singolari, attaccando pasta lievitata alle pareti d’un orcio surriscaldato, e fa del buon vino anche in altura con essenze profumate; un Paese che desidera conoscere e d’essere conosciuto. Non sarebbe male che anche le autorità civili, oltre a sostenere politicamente la giovane democrazia armena e a riconoscere lo sterminio perpetrato in passato, promuovessero incontri con visite più o meno ufficiali, scambio di aiuti, iniziative culturali e ricreative. L’incontro tra persone è sempre un segno di amicizia e di incoraggiamento, e come tale è stata anche la recente visita d’una comitiva di perugini (guidata da mons. Chiaretti ndr). Perugia in particolar modo dovrebbe curare queste relazioni, per antica presenza di armeni in città con il monastero e la chiesa di San Matteo degli Armeni, di rilevante interesse storico; su questa presenza sono stati fatti anche mostre e convegni di studio, l’ultimo dei quali il 24 ottobre 1998. In questo contesto è molto ricordata in Armenia la visita che Papa Giovanni Paolo II, ospite del Catholikos, fece nel 2001 per celebrare i 1.700 anni della conversione al cristianesimo, come è anche ricordato il suo dono d’un ospedale nel villaggio di Ashotsk, denominato “Redemptoris Mater”, dopo il terribile terremoto del dicembre 1988.

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Spoleto – Erevan: un ponte di solidarietà per aiutare gli Armeni https://www.lavoce.it/spoleto-erevan-un-ponte-di-solidarieta-per-aiutare-gli-armeni/ Thu, 20 Nov 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3501 L’arcidiocesi di Spoleto rinnova il suo impegno per i popoli in difficoltà. Stavolta il bersaglio della solidarietà della Chiesa spoletina sono gli armeni, come afferma monsignor Riccardo Fontana, delegato per la Carità della Conferenza episcopale umbra (Ceu). “L’obiettivo che ci poniamo”, dice il presule, “è quello di inserire gruppi di popolazione armena nell’agricoltura montana della nostra arcidiocesi, permettendo a questo settore in crisi di risorgere”. Infatti, sulle montagne di Norcia e Cascia, esistono dei terreni abbandonati da tempo dai coltivatori italiani, che potrebbero essere resi nuovamente produttivi grazie alla presenza di forza lavoro proveniente dall’Armenia. L’idea è, pertanto, quella di far incontrare il bisogno di lavoro degli emigranti armeni con i bisogni del territorio diocesano, in particolare della montagna, zona sempre più isolata. Perché la scelta è caduta proprio sul popolo armeno? “La povertà degli armeni”, continua monsignor Fontana, “è ben alle nostre delegazioni diocesane che di recente si sono recate in quella terra. Queste persone, fra cui molti sacerdoti, hanno visto con i loro occhi bambine vendute per fame dai genitori e giovani di Erevan (la capitale dell’Armenia) che peregrinano disperati per l’intero territorio dell’ex Unione sovietica in cerca di qualsiasi lavoro, spesso senza successo. Spero invece”, conclude Fontana, “che tale progetto si riveli vincente e sia condiviso anche da altre diocesi, anche di altre regioni d’Italia, sia del Nord sia del Sud, perché insieme si potrebbero fare meraviglie per un popolo che si dibatte ora in una grave crisi economica e sociale”. L’Armenia ha una storia molto interessante per i cristiani: infatti il suo territorio, che abbracciava un area più vasta rispetto all’attuale, comprendeva il monte Ararat, simbolo sacro e nazionale degli armeni e oggi situato in Turchia. Nella tradizione religiosa occidentale, l’Arca del diluvio universale approda in Armenia: secondo la Bibbia essa si sarebbe adagiata sul monte Ararat. Dopo centodieci giorni (150 giorni dall’inizio del diluvio) l’Arca si posò sui monti di Ararat (Genesi 8:5), poi dopo altri 73 giorni (mentre le acque si abbassavano) Noè vide le cime dei monti (Genesi 8:5). La leggenda fa risalire proprio a Noè l’origine del popolo armeno, anche se solo nel VI secolo a.C. gli Armeni si sono costituiti come popolo. Ponte tra Oriente ed Occidente, politicamente e storicamente ancor più tormentato del suo territorio, alla fine del XIX secolo il popolo armeno fu duramente represso dai Turchi. Nel 1895 e 1896 avvennero i primi massacri: il bilancio fu di 300 mila morti. In seguito il governo turco, approfittando del fatto che i Paesi occidentali stavano entrando nel primo conflitto mondiale, deportarono tutti gli armeni dell’Anatolia, trascinandoli nei deserti della Siria dove li lasciarono uccidere dalla fame, dalle epidemie e dai maltrattamenti: le vittime furono un milione e mezzo, cinquecentomila i dispersi. Con loro scomparvero migliaia di chiese, conventi, scuole, università quindi la cultura millenaria armena. Oggi più di 3 milioni di armeni vivono fuori dei confini nazionali: negli Usa, in Europa e nel Medio Oriente. Terminata la guerra civile russa, tra il Caucaso e l’Anatolia, nacque la repubblica armena che nel 1922 aderì all’Urss. Insieme alla Georgia e l’Azerbaigian divenne parte delle repubbliche transcaucasiche, anche se proprio contro quest’ultimo Stato gli armeni entrarono in guerra nel 1988 nel per la questione della regione Nagorno-Karabah; il genocidio del popolo armeno era stato ufficialmente riconosciuto da appena tre anni, nel 1985. Nel 1991, con la dissoluzione dell’Urss, si realizza l’antico sogno nazionale dell’indipendenza dell’Armenia.

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A Trevi la festa di sant’Emiliano apre una finestra sull’Armenia https://www.lavoce.it/a-trevi-la-festa-di-santemiliano-apre-una-finestra-sullarmenia/ Thu, 30 Jan 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2935 Con la festa di sant’Emiliano martire, primo Vescovo di Trevi, si sono aperte il 28 gennaio le celebrazioni dei martiri della nostra Archidiocesi di Spoleto-Norcia, che dettero la loro testimonianza particolarmente nella persecuzione di Diocleziano e Massimiano, all’inizio del sec.IV. Fu la più dura delle persecuzioni. Diocleziano abdicò nel 305. L’anno cruciale fu proprio il 303, l’anno dei quattro progressivi editti contro i cristiani. Oggi, 2003, siamo nel XVII centenario. E il 28 gennaio resta emblematico per quest’anno in cui la nostra Chiesa spoletana-nursina andrà attuando tutta una serie di celebrazioni, per una testimonianza d’amore che ricordi la generosità dei martiri nel dare addirittura la vita.ORIENTE E OCCIDENTEINSIEMEIl giovane Emiliano, circa il 296, giungeva dall’Oriente, da quell’Armenia che con la conversione del re Tiridate, già persecutore, sarebbe stata la prima nazione al mondo a dichiarare il cristianesimo religione di Stato, negli stessi anni di Diocleziano. Non meravigli quindi che l’Armenia abbia voluto essere presente alle celebrazioni di questo 28 gennaio, dopo anche la visita in Armenia, in novembre, di una nostra delegazione presbiterale guidata dall’Arcivescovo. E’ tutta una storia che si è andata sviluppando dal 28 gennaio del 2002, quando avemmo a Trevi il nuovo nunzio apostolico in Armenia, mons. Claudio Gugerotti. Trevi offrì l’olio per il crisma di tutte le chiese d’Armenia, anche ortodosse: di qui anche la simpatia del “Katholicòs” armeno (il “papa” degli ortodossi in Armenia) che quest’anno ha voluto farsi presente con un suo presbitero il rev.Vasken Nanyan, attualmente a Roma per studi all’Università Gregoriana. E al rev. Nasken dobbiamo la magnifica conferenza tenuta a Trevi, nella sala dei congressi “San Francesco” sull’ “identità e liturgia della chiesa armena”, alle 16.30 di domenica 26 gennaio. Avremo il piacere di pubblicarne il testo nel Bollettino diocesano.IL PONTIFICALEIN RITO ARMENOSe al rev. Vasken siamo grati per la sua lucida e interessante lezione, il nostro grazie va ugualmente in modo tutto particolare, al Presule cattolico dell’Armenia, mons. Nerses der-Nersessian, arcivescovo di Sebaste degli Armeni, Ordinario per gli Armeni cattolici dell’Europa orientale (Armenia, Georgia, Ucraina, Russia), con residenza a Gjumri, il simpaticissimo arcivescovo ha espresso la sua immensa gratificazione nel tornare a Trevi, dove egli fu cinquant’anni fa, ospite del collegio etiopico per le vacanze estive, al tempo dei suoi studi romani, alunno, non ancora sacerdote, del collegio armeno. E ha detto della sua grande emozione nel rivedere questi colli, ricchi di tanti ulivi, tra cui anche quello presso cui fu decapitato sant’Emiliano, in località Carpiano, albero, che il Comune si accinge, finalmente, a recingere di steccato protettivo, carico di tanti frutti fin dal giorno della morte gloriosa. Commossa e vibrante l’omelia di mons.Nersessian, seguita da una chiesa letteralmente gremita, la quale ha potuto seguire la liturgia armena attraverso un apposito libretto, con l’ausilio anche di un indicatore mobile dal presbiterio. Il Pontificale si è andato così svolgendo in tutta la forza della sua liturgia, attorno al Celebrante, affiancato da presbiteri, diaconi e altri ministri, con il coro delle suore armene, giunti tutti dai collegi romani. La comunione, veramente generale, è stata sotto le due specie. Da più parti abbiamo udito espressioni di grande apprezzamento per i testi armeni, tradotti naturalmente in italiano. “Pregare insieme”, anche con il rappresentante del Katholicòs ortodosso: quasi un’eco della recente visita di Giovanni Paolo II in Armenia, quando nella preghiera e nell’invocazione della pace Oriente e Occidente sono apparsi così uniti. LA PARTECIPAZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALEAl Pontificale armeno hanno assistito, con il nostro arcivescovo mons.Fontana e molti nostri sacerdoti in camice bianco e stola rossa, le autorità locali, fra cui cinque sindaci in fascia tricolore. Ma già in precedenza, alle ore 10, aveva avuto luogo, nella Sala del Palazzo comunale, il ricevimento della delegazione armena, con il saluto del sindaco Valentini, il grazie commosso dell’arcivescovo Nerses e gli auguri dell’arcivescovo Fontana. Sono stati discorsi molto significativi sui quali potremo dire qualcosa di più nel nostro Bollettino diocesano. Il Sindaco ha voluto ricordare particolarmente l’apertura di questa terra di Trevi che accettò, anzi invocò, come vescovo uno straniero, che sentiva tanto vicino. Senso della comunità, disponibilità e accoglienza. Ed insieme, il coraggio di adesione ad un cristianesimo che, nella ferocia dei tempi, non esitava a contrapporsi ad un potere che era di profonda offesa alla dignità e alla libertà dell’uomo. Attualmente Trevi trova ancora nel suo Santo la linea di azione per la promozione della persona umana specie se impegnata nel lavoro, come dimostra la stessa Processione (la sera innanzi) dell’Illuminata. Si ripetano dunque incontri come quello di oggi. Al termine del suo discorso il Sindaco ha offerto il dono del Comune all’illustre ospite. Questi ha risposto con il grazie più vivo, offrendo a sua volta una croce armena su velo, lavorata da abilissima mano di gentile signora. Si è dilungato ricordando i giorni della sua giovinezza a Trevi quando il 24 ottobre 1944 proprio a Trevi emise i suoi voti di religioso mehitarista. Sono seguiti, con i decenni del dopoguerra, 70 anni di nebbia. Oggi finalmente il sole. L’INTERVENTODI MONS. FONTANAHa concluso l’incontro mons. Fontana, unendosi alla simpatia corale ed esprimendo il suo grazie al Comune per una collaborazione che, specialmente in questo XVII centenario, andrà ben oltre il momento celebrativo. Ha ricordato le sofferenze del popolo armeno, particolarmente i terribili anni 1916/25. Gli Armeni sono oggi una nazione divisa in due come l’Italia nell’800. Auspicio per tutti di un’era novella in cui finalmente apertura e libertà non trovino più ostacoli. E’ la pace di Cristo. Nell’antica cattedrale di Sant’Emiliano, oltre a quanto già ricordato, si sono svolte anche le celebrazioni tradizionali: il Triduo predicato dal vicario generale mons. Piccioli, i primi e secondi vespri, la concelebrazione eucaristica presieduta da mons. Fontana alla sera della festa. Il tutto con eletta musica, a cura del coro della parrocchia con all’organo il maestro Falcinelli. Di particolare rilevanza, nei primi vespri, l’accensione della lampada che arderà innanzi al santo Martire, a cura del Comune di Trevi e l’offerta da parte di mons. Arcivescovo, a nome della Chiesa locale, di una magnifica lampada d’argento, con una ispirata iscrizione in lingua latina – dello stesso mons. Fontana – con la luce che si allarghi soprattutto sul mondo giovanile per una comunità nuova in cui natura e sopranatura trovino finalmente la loro integrazione più autentica. Il testo, nel Bollettino diocesano.Non resta che registrare il comune augurio per un XVII centenario che apra veramente in bellezza questo terzo millennio, primo di una archidiocesi, come la nostra, che proprio questa strada si è andata tracciando nel recente Sinodo.

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Celebrazioni armene a Trevi per la festa di sant’Emiliano https://www.lavoce.it/celebrazioni-armene-a-trevi-per-la-festa-di-santemiliano/ Thu, 23 Jan 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2923 Con particolare entusiasmo la città di Trevi, con l’intero circondario, mercoledì 28 gennaio, si appresta a celebrare la festa del suo grande vescovo e martire, sant’Emiliano, dopo il pellegrinaggio del nostro arcivescovo mons. Fontana che, con una ventina di suoi sacerdoti, si è recato in Armenia, la terra del Martire. Il gruppo di sacerdoti ha voluto offrire al Katholicòs ortodosso proprio l’olio dei colli di Trevi. Ricordiamo le parole di mons. Fontana, nella cattedrale ortodossa di Eschmiadzin, al momento dell’offerta: “La Chiesa che è in Spoleto e Norcia in Italia venera tra i suoi evangelizzatori il martire sant’Emiliano, nostro primo vescovo in Trevi. Nel XVII centenario del dies natalis del giovane testimone di Cristo, giunto a noi dall’Armenia… desideriamo deporre presso l’altare l’omaggio filiale e devoto della preghiera… Il giovane atleta di Cristo, dopo atroci tormenti, fu decapitato presso un tenero olivo che prodigiosamente si riempì di frutti. Dopo 17 secoli quello stesso olivo ancora vive e, anche quest’anno ha donato in abbondanza il suo olio. Il profumo do Cristo, misticamente significato nel santo olio, sia il segno della benedizione che invochiamo di cuore su questa Chiesa, che anche per noi è madre e fonte dell’Evangelo”. Come già tutta l’Arcidiocesi sa, al ritorno della nostra delegazione, è scattato immediatamente il gemellaggio fra le due Chiese e, per un “Natale che sia tale” è scattata immediatamente la raccolta di indumenti e di viveri che proprio in questo giorni sta partendo per l’Armenia. Ne daremo in seguito informazioni circa l’entità del materiale inviato.Oggi in Armenia la quasi totalità dei cristiani sono ortodossi (cattolici 2,5%). I musulmani sono piuttosto nelle regioni vicine. Ma la calorosa accoglienza che ci è stata riservata ha rimosso gli ostacoli, indice indiscutibile della possibilità di incontro, a partire dalla carità. Il 28 gennaio cerchiamo a Trevi di esserci tutti, almeno col pensiero, la simpatia e la preghiera, specie per i primi Vespri e la processione dell’Illuminata, alle ore 18 della vigilia, e la messa pontificale alle ore 11 della festa, tanto più che sarà presieduta dall’Arcivescovo cattolico di Armenia, venuto appositamente a Trevi.

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XVII centenario del martirio di Sant’Emiliano di Trevi https://www.lavoce.it/xvii-centenario-del-martirio-di-santemiliano-di-trevi/ Thu, 21 Nov 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2815 Una folta delegazione di sacerdoti di Spoleto-Norcia, guidata dall’arcivescovo Riccardo Fontana, è andata in pellegrinaggio in Armenia, per ricordare, nella sua terra d’origine, Sant’Emiliano, primo vescovo della Chiesa trevana. Il martire armeno aveva suggellato col sangue l’evangelizzazione della citta’ di Trevi, una delle sette antiche sedi episcopali, da cui nacque l’arcidiocesi di Spoleto. Accompagnati dal nunzio apostolico mons. Claudio Gugerotti, i sacerdoti e l’arcivescovo hanno partecipato, domenica 17 novembre, alla grande liturgia della cattedrale di Etchmiadzin, storica sede del Katholikos di Armenia, sua santità Karakin II, ricordando il martire che portò la fede in Umbria. Al termine della celebrazione eucaristica, l’arcivescovo Fontana ha consegnato l’olio dell’ulivo di sant’Emiliano, che confluirà nel sacro crisma, destinato a tutte le Chiese armene apostoliche del mondo. Il Priore di Montefalco, col clero latino presente, intonava, intanto, l’antico inno della liturgia romana alla benedizione degli olii santi. L’Arcivescovo, nel discorso, ha espresso la riconoscenza della Chiesa spoletana per il dono del martire e il voto che si possa presto ritrovare la perfetta unità tra la Chiesa armena apostolica e la Chiesa cattolica. Con successivi interventi alcuni vescovi presenti hanno manifestato commozione e gioia per la visita della delegazione italiana e hanno sottolineato l’alta valenza ecumenica che, per la Chiesa armena, ha avuto il pellegrinaggio del clero spoletano-nursino. Nell’antica e splendida cattedrale del V secolo, gremita di popolo e di sacri ministri, è risuonato ancora il nome di sant’Emiliano, tanto caro al popolo trevano e alta espressione della nazione armena. Al termine della liturgia la delegazione umbra è stata invitata a visitare la residenza patriarcale, detta dal popolo il Vaticano d’Armenia, dove sono raccolti molti cimeli della recente persecuzione e gli oggetti dell’antico culto del rito armeno. I sacerdoti di Spoleto-Norcia in pellegrinaggio nel Centenario del Martirio del primo vescovo di Trevi, hanno fatto con l’occasione gli Esercizi spirituali annuali, con soddisfazione di tutti. Erano presenti presbiteri di tutte e nove le foranie dell’arcidiocesi. Alle pendici del monte Ararat, celebre per la memoria biblica dell’Arca di Noe’, i pellegrini umbri hanno incontrato alcune comunita’ cattoliche armene con il loro Vescovo, che li hanno ospitati nella casa di ritiro di Santa Maria d’Armenia. E’ stato molto significativo riscoprire la presenza della Chiesa, che dopo il degrado ideologico del popolo, sta rievangelizzando i lontani e dando un grande esempio, con la carità operosa, che viene svolta dai disceopoli di Cristo, superando nel servizio dei poveri, le divisioni storiche delle scuole teologiche del passato. Tra i ricordi del pellegrinaggio resterà viva la presenza esemplare di un piccolo gruppo di sacerdoti e di suore che si è fatto missionario in Patria, per riportare alla fede tutto il popolo. L’inquinamento nucleare e la disastrosa situazione economica hanno prostrato l’Armenia, che in questi mesi è anche a grave rischio di guerra per le note condizioni dei popoli vicini. Sant’Emiliano, tornando simbolicamente in patria attraverso il suo olivo in segno di pace, e’ stato raffigurato alla colomba uscita dall’arca di Noè: la preghiera comune dei cristiani invoca pace su questa antica terra, che fu luogo di paradiso, a ridosso delle sorgenti dei due grandi fiumi, da cui è scaturita la più antica civilta’ del mondo. Agostino RossiSaluto di mons. Fontana alla Chiesa armenaEminenza, venerati fratelli, La Chiesa che è in Spoleto e Norcia in Italia venera tra i suoi evangelizzatori il martire sant’Emiliano, nostro primo vescovo in Trevi.Nel XVII centenario del dies natalis del giovane testimone di Cristo, giunto a noi dall’Armenia, una delegazione del clero, assieme a me, successore nella sede episcopale del Martire, si è fatta pellegrina per visitare la Chiesa che ci fu madre nella fede. Desideriamo deporre presso l’altare l’omaggio filiale e devoto della preghiera, venerando i luoghi santissimi dove il nostro glorioso martire ricevette la luce della fede. L’antica Passio sancti martyris Aemiliani armeni racconta che il giovane atleta di Cristo, dopo aver sopportato eroicamente atroci tormenti inflitti dagli infedeli, fu decapitato presso un tenero olivo, che prodigiosamente si riempì di frutti. Dopo 17 secoli quello stesso olivo ancora vive e, anche quest’anno, ha donato in abbondanza il suo olio. La Chiesa di Spoleto e di Norcia, pellegrina in Armenia alle pendici del monte Ararat, vuole donare l’olio di Sant’Emiliano ai fratelli armeni, nella certezza che la stessa fede del martire è la fede della Chiesa, rimasta immutata nei secoli, e che, ancor oggi, ci accomuna.E’ nostro desiderio esprimere a Dio l’auspicio che il ramoscello d’ulivo nel becco della colomba di Noè (cfr Gen 8,11) torni a portare pace a questi fratelli, ai quali amiamo rivolgere lo sguardo deferente e ammirato, come a parte significativa delle nostre radici cristiane.Il profumo di Cristo, misticamente significato nel santo olio sia il segno della benedizione che invochiamo di cuore su questa Chiesa, che anche per noi è madre e fonte dell’Evangelo. Nella tradizione l’olio è segno di letizia e di luce. Ci piace invocare la potente intercessione di Sant’Emiliano, perchè la nazione armena, da cui egli ricevette l’illuminazione della fede, prima tra tutti i popoli della terra ad aderire a Cristo, possa continuare ad essere segno levato tra le nazioni (cfr Is 62,10) e possa ritrovare la letizia, nella concordia e nella prosperità per la promozione di tutti i suoi figli.Sarebbe desiderio nostro e di tutta la nostra gente che questo olio potesse confluire, in segno di mistica comunione, nella preparazione del sacro Crisma della Chiesa armena e, per questo, per vostro tramite, io lo consegno nelle mani di sua santità il Katholikos Karikin II, cui va il mio deferente e rispettosissimo saluto.

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