antisemitismo Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/antisemitismo/ Settimanale di informazione regionale Mon, 21 Oct 2024 10:47:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg antisemitismo Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/antisemitismo/ 32 32 Giornata della memoria. L’intervento di Liliana Segre al Parlamento europeo: “La vita è più forte” https://www.lavoce.it/liliana-segre-parlamento-europeo/ Thu, 30 Jan 2020 14:54:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56146 liliana segre

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(Bruxelles) “Il mio dovere è quello di parlare, di raccontare, fino alla morte”: Liliana Segre, milanese, sopravvissuta all’Olocausto, ora senatrice a vita, racconta, nell’emiciclo dell’Europarlamento, la prigionia ad Auschwitz e il difficile ritorno alla vita, al termine della seconda guerra mondiale. La plenaria dell’Europarlamento si è aperta ieri, 29 gennaio, a Bruxelles, con una cerimonia per il Giorno della memoria e il 75° della liberazione del campo nazista. “Le bandiere dei Paesi europei, oggi affratellati, che ho visto qui fuori – afferma – ricordano la pace, perché qui ci si guarda negli occhi, si dialoga”. Poi riprende il racconto: “Avevo 13 anni, ero un’operaia schiava, fabbricavamo bossoli di mitragliatrice”. Quando si aprirono le porte del lager, “iniziammo la marcia della morte. In 50mila, ognuno con le sue gambe, senza poterci appoggiare a qualcun altro, iniziammo la marcia del ritorno, dalla Polonia verso la Germania, attaccati alla vita. Camminavamo, camminavamo, mangiavamo schifezze, quello che si trovava. Ero una ragazzina dimagrita, senza sesso, senza mestruazioni, senza mutande… Diciamole queste cose, perché si sappia la verità”. “Camminavo. Una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra, voglio vivere, mi dicevo”. “Fu una marcia che durò mesi. Una volta tornata a Milano ero una ragazza ferita, selvaggia, bulimica, ma chi mi stava attorno pretendeva di avere ancora la ragazzina borghese di una volta”. Con garbo, Liliana Segre denuncia le “complicità con i nazisti, che ci furono in ogni Paese, magari ad opera dei vicini di casa, dei compagni di scuola…”. “Io mi sento la nonna di quella Liliana, una Liliana che mi fa una pena infinita”, dice. Poi racconta la gioia di essere mamma e nonna: “Questo è un miracolo, come è un miracolo questo Parlamento”. Infine un monito alla pace e alla fratellanza. L’aula in piedi applaude a lungo. Quindi l’Europarlamento tributa un minuto di silenzio per le vittime dell’Olocausto.
GIORNATA DELLA MEMORIA. L’importante esperienza di due scuole di Assisi: uno spettacolo teatrale nato dal viaggio in Polonia - Auschwitz, Birkenau, la fabbrica che fu di Schindler, per gli studenti del liceo Properzio e dell’istituto comprensivo di Santa Maria degli Angeli.
Gianni Borsa
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liliana segre

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(Bruxelles) “Il mio dovere è quello di parlare, di raccontare, fino alla morte”: Liliana Segre, milanese, sopravvissuta all’Olocausto, ora senatrice a vita, racconta, nell’emiciclo dell’Europarlamento, la prigionia ad Auschwitz e il difficile ritorno alla vita, al termine della seconda guerra mondiale. La plenaria dell’Europarlamento si è aperta ieri, 29 gennaio, a Bruxelles, con una cerimonia per il Giorno della memoria e il 75° della liberazione del campo nazista. “Le bandiere dei Paesi europei, oggi affratellati, che ho visto qui fuori – afferma – ricordano la pace, perché qui ci si guarda negli occhi, si dialoga”. Poi riprende il racconto: “Avevo 13 anni, ero un’operaia schiava, fabbricavamo bossoli di mitragliatrice”. Quando si aprirono le porte del lager, “iniziammo la marcia della morte. In 50mila, ognuno con le sue gambe, senza poterci appoggiare a qualcun altro, iniziammo la marcia del ritorno, dalla Polonia verso la Germania, attaccati alla vita. Camminavamo, camminavamo, mangiavamo schifezze, quello che si trovava. Ero una ragazzina dimagrita, senza sesso, senza mestruazioni, senza mutande… Diciamole queste cose, perché si sappia la verità”. “Camminavo. Una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra, voglio vivere, mi dicevo”. “Fu una marcia che durò mesi. Una volta tornata a Milano ero una ragazza ferita, selvaggia, bulimica, ma chi mi stava attorno pretendeva di avere ancora la ragazzina borghese di una volta”. Con garbo, Liliana Segre denuncia le “complicità con i nazisti, che ci furono in ogni Paese, magari ad opera dei vicini di casa, dei compagni di scuola…”. “Io mi sento la nonna di quella Liliana, una Liliana che mi fa una pena infinita”, dice. Poi racconta la gioia di essere mamma e nonna: “Questo è un miracolo, come è un miracolo questo Parlamento”. Infine un monito alla pace e alla fratellanza. L’aula in piedi applaude a lungo. Quindi l’Europarlamento tributa un minuto di silenzio per le vittime dell’Olocausto.
GIORNATA DELLA MEMORIA. L’importante esperienza di due scuole di Assisi: uno spettacolo teatrale nato dal viaggio in Polonia - Auschwitz, Birkenau, la fabbrica che fu di Schindler, per gli studenti del liceo Properzio e dell’istituto comprensivo di Santa Maria degli Angeli.
Gianni Borsa
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Moni Ovadia: “Attenzione al revisionismo, scatena i peggiori istinti” https://www.lavoce.it/moni-ovadia-attenzione-al-revisionismo-scatena-i-peggiori-istinti/ Mon, 27 Jan 2020 19:20:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56083

“L’antisemitismo non sparirà finché vivremo in una società come questa, non c’è da illudersi. Ma diventa veramente pericoloso quando acquista spazio pubblico, quando qualcuno può liberamente parlare contro gli ebrei. Perché le menti deboli sono facilmente manipolabili e perché c’è chi non riesce a vivere se non ha un nemico”. Parte da qui, dalla gravità della situazione oggi in Italia, lo scrittore e drammaturgo di origini ebraiche Moni Ovadia nel commentare a pochi giorni dalla celebrazione del Giorno della Memoria la scritta antisemita - “Juden hier” - apparsa a Mondovì sulla porta del figlio di una partigiana antifascista deportata. “Credo che questi fatti vadano tenuti sotto controllo, stigmatizzati, perseguiti se necessario”, aggiunge Moni Ovadia. “Però attenzione, ciò che genera l’antisemitismo, genera anche tutto l’odio verso tutte le categorie delle minoranze e tutte le forme di razzismo, dai rom agli immigrati”. Cosa vuole dire? Questa signora non era ebrea. Era una partigiana e viene apparentata agli ebrei. Quando si propone il revisionismo filofascista queste sono le conseguenze. Quando si dice che il fascismo ha fatto anche qualcosa di buono, quando nei salotti dei tv talk, si racconta quanto era buono nonno Mussolini, si crea un clima e in questo clima si sentono legittimati i fascisti di ogni risma e nei fascisti ci sono anche gli antisemiti. Il revisionismo scatena i peggiori istinti che vanno contro gli ebrei, i rom, gli immigrati, le donne, i musulmani in quanto tali, contro gli africani. Tanto diventa lecito. Il fascismo significa una cosa sola: violenza, militarismo e odio per l’ultimo. Non esiste un fascismo decente. Quanto sono responsabili di questo clima alcuni nostri politici? Quando un uomo che è stato ministro dell’Interno, accusa i musulmani di essere responsabili dell’antisemitismo, fa una operazione disgustosa perché – e qui uso un termine come provocazione - è stata la “razza bianca” intesa come “gli occidentali”, a commettere i peggiori crimini della storia dell’umanità. Pensiamo al colonialismo che è stato ed è tutt’oggi il crimine più esteso e perdurante. Il revisionismo storico è possibile oggi perché si è persa la memoria storica di quello che realmente è accaduto nel nostro passato. Come recuperarla? La cosa più difficile per un uomo è riconoscere i propri torti. Chiunque. Ed invece è la cosa più importante. Qui si vuol fare credere che: ‘ma sì, in fondo, non è successo niente’. E invece non è così, perché ogni atto di violenza commesso da un uomo contro un suo simile indifeso è un crimine. Il problema vero allora è quello di combattere tutte le forme di intolleranza. In una società di giustizia dove viene praticato il rispetto dell’essere umano, non c’è pericolo. Ma in una società che eleva il linguaggio della violenza contro gli ultimi a sistema, allora siamo tutti in pericolo. Quanto è importante in questo contesto il Giorno della Memoria? Bisogna essere fermi, dobbiamo ricordarci di quanti esseri umani sono morti ad Aushwitz. Sono morti 6 milioni di ebrei. Con loro anche rom e sinti. E gli slavi, lasciati morire come cani. Bisogna ricordare per costruire oggi un’altra società, altrimenti è una catastrofe. Io mi batto contro ogni sopruso, chiunque lo commetta. L’uomo contiene in sé l’orrore e se tu permetti di scatenarlo con certe affermazioni come fanno i politici di oggi, se si lascia libero spazio alla misoginia come fanno certi rapper, se si legittimano forme di odio e di razzismo, allora vuol dire che stiamo costruendo un boomerang che ci verrà presto contro. Lei va nelle scuole. Quale antidoto sta cercando di immettere negli uomini e nelle donne del nostro domani? Non ho mai detto no ad una scuola. Il messaggio che cerco sempre di dare è che la memoria serve per costruire presente e futuro. Un grande problema oggi è che il Giorno della Memoria rischia di diventare il giorno dell’ipocrisia e della falsa coscienza. Ricordare oggi significa battersi per una società che non scarta nessuno, dove non c’è spazio per l’odio verso il rom e l’immigrato, dove non c’è nessuna possibilità di trattare l’altro con bullismo solo perché è “un ciccione”. Sono venute da me ragazze in lacrime per questo discorso. Ai ragazzi dico: è inutile andare a celebrare il Giorno della Memoria se poi ti comporti da schifoso oggi. Bisogna smetterla di chiamare libertà, l’arbitrio di colpire gli altri. Quella non è libertà. Quella si chiama in un altro modo: violenza. Dobbiamo combattere l’aggressività, l’insulto gratuito. È questo il Giorno della Memoria. Dobbiamo imparare a seguire quella via che ci porta prima di tutto a guardare il nostro simile come la persona che da senso alla nostra esistenza, qualunque esso sia. M. Chiara Biagioni]]>

“L’antisemitismo non sparirà finché vivremo in una società come questa, non c’è da illudersi. Ma diventa veramente pericoloso quando acquista spazio pubblico, quando qualcuno può liberamente parlare contro gli ebrei. Perché le menti deboli sono facilmente manipolabili e perché c’è chi non riesce a vivere se non ha un nemico”. Parte da qui, dalla gravità della situazione oggi in Italia, lo scrittore e drammaturgo di origini ebraiche Moni Ovadia nel commentare a pochi giorni dalla celebrazione del Giorno della Memoria la scritta antisemita - “Juden hier” - apparsa a Mondovì sulla porta del figlio di una partigiana antifascista deportata. “Credo che questi fatti vadano tenuti sotto controllo, stigmatizzati, perseguiti se necessario”, aggiunge Moni Ovadia. “Però attenzione, ciò che genera l’antisemitismo, genera anche tutto l’odio verso tutte le categorie delle minoranze e tutte le forme di razzismo, dai rom agli immigrati”. Cosa vuole dire? Questa signora non era ebrea. Era una partigiana e viene apparentata agli ebrei. Quando si propone il revisionismo filofascista queste sono le conseguenze. Quando si dice che il fascismo ha fatto anche qualcosa di buono, quando nei salotti dei tv talk, si racconta quanto era buono nonno Mussolini, si crea un clima e in questo clima si sentono legittimati i fascisti di ogni risma e nei fascisti ci sono anche gli antisemiti. Il revisionismo scatena i peggiori istinti che vanno contro gli ebrei, i rom, gli immigrati, le donne, i musulmani in quanto tali, contro gli africani. Tanto diventa lecito. Il fascismo significa una cosa sola: violenza, militarismo e odio per l’ultimo. Non esiste un fascismo decente. Quanto sono responsabili di questo clima alcuni nostri politici? Quando un uomo che è stato ministro dell’Interno, accusa i musulmani di essere responsabili dell’antisemitismo, fa una operazione disgustosa perché – e qui uso un termine come provocazione - è stata la “razza bianca” intesa come “gli occidentali”, a commettere i peggiori crimini della storia dell’umanità. Pensiamo al colonialismo che è stato ed è tutt’oggi il crimine più esteso e perdurante. Il revisionismo storico è possibile oggi perché si è persa la memoria storica di quello che realmente è accaduto nel nostro passato. Come recuperarla? La cosa più difficile per un uomo è riconoscere i propri torti. Chiunque. Ed invece è la cosa più importante. Qui si vuol fare credere che: ‘ma sì, in fondo, non è successo niente’. E invece non è così, perché ogni atto di violenza commesso da un uomo contro un suo simile indifeso è un crimine. Il problema vero allora è quello di combattere tutte le forme di intolleranza. In una società di giustizia dove viene praticato il rispetto dell’essere umano, non c’è pericolo. Ma in una società che eleva il linguaggio della violenza contro gli ultimi a sistema, allora siamo tutti in pericolo. Quanto è importante in questo contesto il Giorno della Memoria? Bisogna essere fermi, dobbiamo ricordarci di quanti esseri umani sono morti ad Aushwitz. Sono morti 6 milioni di ebrei. Con loro anche rom e sinti. E gli slavi, lasciati morire come cani. Bisogna ricordare per costruire oggi un’altra società, altrimenti è una catastrofe. Io mi batto contro ogni sopruso, chiunque lo commetta. L’uomo contiene in sé l’orrore e se tu permetti di scatenarlo con certe affermazioni come fanno i politici di oggi, se si lascia libero spazio alla misoginia come fanno certi rapper, se si legittimano forme di odio e di razzismo, allora vuol dire che stiamo costruendo un boomerang che ci verrà presto contro. Lei va nelle scuole. Quale antidoto sta cercando di immettere negli uomini e nelle donne del nostro domani? Non ho mai detto no ad una scuola. Il messaggio che cerco sempre di dare è che la memoria serve per costruire presente e futuro. Un grande problema oggi è che il Giorno della Memoria rischia di diventare il giorno dell’ipocrisia e della falsa coscienza. Ricordare oggi significa battersi per una società che non scarta nessuno, dove non c’è spazio per l’odio verso il rom e l’immigrato, dove non c’è nessuna possibilità di trattare l’altro con bullismo solo perché è “un ciccione”. Sono venute da me ragazze in lacrime per questo discorso. Ai ragazzi dico: è inutile andare a celebrare il Giorno della Memoria se poi ti comporti da schifoso oggi. Bisogna smetterla di chiamare libertà, l’arbitrio di colpire gli altri. Quella non è libertà. Quella si chiama in un altro modo: violenza. Dobbiamo combattere l’aggressività, l’insulto gratuito. È questo il Giorno della Memoria. Dobbiamo imparare a seguire quella via che ci porta prima di tutto a guardare il nostro simile come la persona che da senso alla nostra esistenza, qualunque esso sia. M. Chiara Biagioni]]>
Questa “nostra età” di persecuzioni https://www.lavoce.it/questa-nostra-eta-di-persecuzioni/ Thu, 23 Apr 2015 13:53:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31750 Papa Francesco incontra una delegazione della Conferenza dei Rabbini Europei (Cer)
Papa Francesco incontra una delegazione della Conferenza dei Rabbini Europei (Cer)

I leader religiosi uniti contro ogni forma di violenza, contro il dilagare in Europa dell’antisemitismo e della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente. Di questo i rabbini europei hanno parlato lunedì 20 nel loro primo incontro con Papa Francesco. A guidare la Conferenza dei rabbini europei (Cer) sono il gran rabbino di Mosca, Pinchas Goldshmidt, e il rabbino francese Moché Lewin, rispettivamente presidente e direttore esecutivo dell’organizzazione. L’incontro avviene alla vigilia del 50° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate e nel giorno in cui a Roma la comunità ebraica piange Elio Toaff, il rabbino che con Giovanni Paolo II ha aperto pagine nuove di riconciliazione e stima reciproca.

Nonostante il dialogo tra i credenti si sia in questi anni rafforzato, nuove ombre stanno oscurando oggi il nostro pianeta: l’estremismo di matrice islamica sta seminando vittime in molte parti del mondo; i cristiani sono la popolazione maggiormente presa di mira, e in Europa l’allarme antisemitismo è in crescita in modo preoccupante. Papa Francesco e i rabbini europei vivono con la stessa preoccupazione le tendenze antisemite in corso: “Ogni cristiano – ha detto il Pontefice – non può che essere fermo nel deplorare ogni forma di antisemitismo, manifestando al popolo ebraico la propria solidarietà”. L’Europa è chiamata oggi a rileggere le pagine della sua recente storia. Sono passati solo 70 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz: “La memoria di quanto accaduto, nel cuore dell’Europa – ha detto ancora Bergoglio – serva da monito alla presente e alle future generazioni”.

La paura è tornata. L’odio con sfondo etnico e religioso ha ripreso a scuotere le città. Il rabbino francese Moché Lewin, direttore esecutivo della Cer, si sofferma a parlare sulla situazione francese dopo gli attentati di Parigi: “Oggi davanti a tutte le scuole ebraiche ci sono militari, e potete immaginare cosa significhi per noi portare i nostri figli di 5 o 6 anni a scuola con persone che per difenderci hanno la mitragliatrice in mano”. E aggiunge con fermezza: “Tutti i responsabili religiosi devono lottare contro tutti gli estremismi. Dobbiamo chiedere ai leader spirituali di bandire dalle predicazioni tutto ciò che può condurre all’odio e alla violenza”.

Altro tema caldo affrontato con Papa Francesco è la persecuzione vissuta dai cristiani in molte parti del mondo, in particolare in Medio Oriente. Piena solidarietà hanno espresso i rabbini europei al Papa per la situazione vissuta dai cristiani d’Oriente: “Deve essere condannata con forza – incalza il rabbino Lewin – ogni forma di persecuzione. Occorre soprattutto chiedere ai Governi di agire per fermare questo massacro perché, se si lascia fare, si rischia di arrivare al genocidio. Non amo fare comparazioni tra i genocidi, ma non dobbiamo permettere che ci siano in atto simili persecuzioni. E noi, che abbiamo vissuto questo tipo di dramma e di genocidio, dobbiamo essere i primi a condannare. Siamo testimoni, sappiamo dove può arrivare l’odio”.

 

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Noi, Chiese sempre in bilico https://www.lavoce.it/noi-chiese-sempre-in-bilico/ Thu, 21 Oct 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8828 Gli scopi del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente sono stati ribaditi dal relatore generale dell’assemblea, il Patriarca Antonios Naguib di Alessandria dei Copti, che il 18 ottobre ha così riassunto gli interventi dei Padri sinodali: “Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità, e rinnovare la comunione ecclesiale, per offrire ai cristiani le ragioni della loro presenza, per confermarli nella loro missione di rimanere testimoni di Cristo”. “La nostra regione – ha detto – rimane fedele alla Parola di Dio, fonte di ispirazione della nostra missionarietà e testimonianza. I nostri fedeli hanno grande sete della Parola di Dio e, non trovandola da noi, vanno spesso a dissetarsi altrove. Per questo abbiamo bisogno di molte persone specializzate in sacra Scrittura, abbiamo bisogno che la Parola di Dio sia il fondamento di qualsiasi educazione e formazione nelle nostre famiglie, Chiese, scuole, soprattutto nella nostra condizione di minoranze in società a maggioranza non cristiana”. Naguib ha puntualizzato che “l’annuncio è un dovere”, e “se rispettoso e pacifico, non è proselitismo. La formazione missionaria è indispensabile”. Il Patriarca, “pur condannando la violenza da dovunque provenga ed invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese” ha espresso la solidarietà del Sinodo ai palestinesi, “la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Chiediamo alla politica mondiale di tener sufficientemente conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq. I cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia, la pace e la laicità positiva. Le Chiese in Occidente sono pregate di non schierarsi per gli uni dimenticando il punto di vista degli altri”. Nella Relatio finale il Sinodo condanna anche “l’avanzata dell’islam politico che colpisce i cristiani nel mondo arabo” poiché “vuole imporre un modello di vita a volte con la violenza, e ciò costituisce una minaccia per tutti”; e la limitazione dell’applicazione di diritti quali la libertà religiosa e di coscienza, che comporta anche “il diritto all’annuncio della propria fede”. Conseguenza di tutto ciò è l’emigrazione. “La comunione è la prima necessità nella realtà complessa del Medio Oriente e la migliore testimonianza alle nostre società” afferma quindi la Relatio, che nella seconda parte passa in rassegna temi più pastorali, come la comunione, la testimonianza, il dialogo ecumenico ed interreligioso. A tale riguardo il documento raccomanda ai Pastori “di insegnare e annunciare il senso della Chiesa una e la bellezza della varietà plurale della Chiesa. Il confessionalismo e l’attaccamento esagerato all’etnia rischiano di trasformare le nostre Chiese in ghetti. Una Chiesa etnica e nazionalista è in contrasto con la missione universale della Chiesa”. Sul piano ecumenico, afferma il Sinodo,“occorre uno sforzo sincero per capirsi” e si dovrebbe favorire “la comunione e l’unità con le Chiese sorelle ortodosse” attraverso “comportamenti appropriati: preghiera, conversione, scambio di doni, rispetto, amicizia” e proposte come “Commissioni locali di dialogo, un Congresso ecumenico per ogni Paese, media cristiani ecumenici”. Quanto al dialogo interreligioso, “le nostre Chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo. Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi e il popolo ebreo sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà politica e religiosa. I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti”. Il Sinodo esorta quindi il Vicariato per i cristiani di lingua ebraica “ad aiutare la società ebraica a conoscere meglio la Chiesa”. Il dialogo interreligioso e interculturale tra cristiani e musulmani “è una necessità vitale” afferma il Sinodo. “Le ragioni per intessere rapporti con i musulmani sono molteplici: sono tutti connazionali, condividono stessa cultura e lingua, le stesse gioie e sofferenze. Il contatto con i musulmani può rendere i cristiani più attaccati alla loro fede”. Per il Sinodo vanno tuttavia “affrontati e chiariti i pregiudizi ereditati dalla storia dei conflitti. Nel dialogo sono importanti l’incontro, la comprensione reciproca. Serve una nuova fase di apertura, sincerità e onestà. Dobbiamo affrontare serenamente e oggettivamente i temi riguardanti l’identità dell’uomo, la giustizia, i valori della vita sociale dignitosa e la reciprocità. La libertà religiosa è alla base dei rapporti sani tra musulmani e cristiani”.

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Il Papa che sfidò Hitler https://www.lavoce.it/il-papa-che-sfido-hitler/ Thu, 27 Aug 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7783 Da quarant’anni scatena aspri dibattiti il tema dei rapporti tra Pio XII e il regime nazista negli anni ’30-40. Su La Voce siamo tornati più volte sull’argomento, anche in tempi recenti, contribuendo a dissipare le calunnie che continuano a infangare il nome di Eugenio Pacelli. E presto, entro ottobre, le edizioni Paoline pubblicheranno la versione italiana del documentatissimo saggio Der Papst, der Hitler trotze (Il Papa che sfidò Hitler) dello storico tedesco Michael Hesemann. Lo abbiamo intervistato.

Quali sono le principali novità del suo libro? “Beh, vi si trovano approfondimenti che è raro rinvenire in pubblicazioni italiane. Grazie al fatto di essere tedesco, ho avuto accesso a documenti altrimenti difficili da reperire. Inoltre mi sono avvalso della collaborazione di numerosi specialisti, come la professoressa Ilse-Lore Konopatzki, autrice del più dettagliato saggio esistente sull’infanzia di Pacelli, che presenta in esclusiva i temi da lui scritti al liceo. Purtroppo il volume della Konopazki non ha trovato un editore in Italia, quindi lei stessa mi ha autorizzato a riportare nel mio libro varie citazioni. Per i lettori italiani sarà un’anteprima assoluta”.

E c’è dell’altro..”Sì, ho ottenuto il permesso di consultare l’Archivio segreto vaticano, dove ho scoperto testi che testimoniano i rapporti di Pacelli con l’allora neonato movimento sionista, all’indomani della Prima guerra mondiale. Va ricordato che il sionismo era guardato con sospetto in molti circoli cattolici, mentre Pacelli simpatizzava esplicitamente con gli ebrei. Ebbe anche un compagno di scuola ebreo, del quale frequentava la casa e con il quale, addirittura, celebrava il Sabato. Il che dimostra che le accuse di antisemitismo che gli vengono mosse da biografi come John Cornwell e Daniel J. Goldhagen sono totalmente false. Pacelli fece sempre del suo meglio per venire incontro alle richieste da parte ebraica, sia quando lavorava in Segreteria di Stato, sia quando era nunzio apostolico in Germania”.

E quindi, la sua presunta simpatia per Hitler? “Ho avuto l’opportunità di documentare a fondo uno degli aspetti più affascinanti del suo pontificato: la sua collaborazione segreta con la Resistenza militare tedesca per abbattere Hitler. Per quel tentativo è diventato famoso il colonnello Claus von Stauffenberg, che però entrò solo alla fine a far parte della cospirazione, ordita fin dal 1939 dal generale Ludwig Beck. Tramite l’avvocato Joseph Mueller, i cospiratori si misero in contatto con il Papa perché chiedesse il sostegno degli inglesi. Pio XII accettò, nonostante i Patti lateranensi lo vincolassero alla neutralità. Altro che amico di Hitler! Tramava contro di lui!”.

Tant’è che al termine della Seconda guerra mondiale Pio XII era considerato un eroe da tutti, ebrei compresi. Poi cos’è successo? “Pio XII salvò 850.000 ebrei dalla Shoah, come è stato appurato dallo storico israeliano Pinchas Lapide. Per la sua opera il Papa venne elogiato da personaggi come Chaim Weizmann, primo presidente dello Stato di Israele, e Golda Meir. Numerosi sopravvissuti andarono a ringraziarlo di persona. Gli ebrei italiani gli dedicarono una giornata di ringraziamento il 17 aprile 1955, appendendo anche una targa commemorativa al Museo della Resistenza di Roma’ targa che ‘stranamente’ non c’è più. Allora, cos’è successo? È successo che la propaganda ha funzionato. A oliare la macchina propagandistica è stato il drammaturgo opportunista tedesco Rolf Hochhuth, autore dell’opera Il Vicario, prodotta con l’appoggio di Mosca. Hochhuth dipinge Pacelli come un gelido politicante che decide di tacere sulla Shoah perché Hitler gli torna utile per frenare Stalin. E siccome oggi la Storia non la scrivono più gli storici ma i mass media’ ecco che è nata una nuova ‘leggenda nera’ contro la Chiesa. La verità è che Pio XII, al contrario, accettò l’alleanza tra America e Russia purché Hitler venisse sconfitto. Solo al termine della guerra si impegnò nella lotta contro il comunismo”.

“Leggenda nera”? Che significa? “È un tema su cui ho scritto un altro libro, pubblicato di recente in Italia: Contro la Chiesa. Si tratta di leggende anticlericali fabbricate ad hoc, che utilizzano sempre gli stessi mezzi. Il triste è che alla fine ci credono anche molti cattolici’. Tornando a ‘Il Vicario” ‘Il Pio XII rappresentato da Hochhuth è pura finzione. Non ha nulla in comune con il vero Eugenio Pacelli. Un esempio: nel dramma teatrale, il Papa viene a sapere dello sterminio degli ebrei da un gesuita, padre Riccardo, ma non se ne cura; preferisce pensare alle somme versate dai ricchi benefattori alle casse vaticane per Natale’ Ora, il vero Pio XII ebbe notizia della Shoah da un sacerdote romano, don Pirro Scavizzi, che aveva visitato i soldati italiani al fronte orientale. Quando ascoltò il suo racconto, il Papa pianse e pregò, poi i due studiarono immediatamente un piano di intervento concreto. Per i due anni seguenti, la priorità umanitaria fu la salvezza degli ebrei. L’unico motivo per cui il Papa non denunciò pubblicamente Hitler fu per evitare ritorsioni contro i cattolici tedeschi e, soprattutto, vessazioni ancora peggiori contro gli ebrei. Una netta opposizione avrebbe impedito la silenziosa opera di soccorso. Tacere gli era pesante, ma sapeva che solo due eventi potevano fermare il Fuehrer: un colpo di Stato o una vittoria degli Alleati. E lui diede sostegno a entrambe le operazioni”.
C’è la possibilità che Pio XII venga presto beatificato? ‘Come afferma un proverbio cinese: è sempre difficile fare previsioni’ soprattutto per il futuro. Personalmente lo ritengo non solo un santo, ma un grande santo e un eroe. Il processo di beatificazione ha raccolto dati stupefacenti sulle sue virtù; adesso la decisione spetta a Benedetto XVI. La situazione è spinosa, con molti aspetti di cui tener conto. Purtroppo parecchi ebrei si sono lasciati convincere dalle tesi di Hochhuth. A volte le passioni in campo sono più forti dell’evidenza dei fatti; però, alla fine, la Verità vince’.

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Spirito invincibile https://www.lavoce.it/spirito-invincibile/ Thu, 23 Apr 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7476 I quattro anni di pontificato di Benedetto XVI si possono magari riassumere in cifre: 11 viaggi internazionali – tra cui Auschwitz, Istanbul, New York – e 12 in Italia; e poi le due encicliche, l’esortazione apostolica sull’eucaristia, il libro su Gesù. Ma in Papa Ratzinger non sono tanto le statistiche a contare, quanto la parola. A volte proprio la parola, male interpretata, ha creato incomprensioni: è un Papa che sceglie un modo nuovo di comunicare, chiedendo a tutti uno sforzo in più per comprenderlo. Forse è nelle parole che ha pronunciato nella notte di Pasqua – in quel chiedere uno stile di vita ‘azzimo’ cioè essenziale, in quel modo di affrontare le questioni raggiungendo il cuore dei problemi, nel cogliere la verità anche nella novità di un dubbio capace di farci uscire dagli schemi di un pensiero unico – che va colta la novità di Benedetto XVI, nella continuità con gli altri Pontefici e con il magistero della Chiesa. È un Papa che sceglie di abbandonarsi con fiducia nelle mani di Cristo, e ci sorprende quando chiede di pregare per il suo ministero, di pregare ‘perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi’, come ebbe a dire proprio all’inizio del suo pontificato, quattro anni fa. Domenica scorsa, da Castel Gandolfo, il Papa ricordava che è l’amore misericordioso di Dio – la seconda domenica di Pasqua è anche la festa della Divina Misericordia, per volere di Giovanni Paolo II che accolse il messaggio di santa Faustina Kowalska – a unire la Chiesa e a fare dell’umanità una famiglia sola, un’unità nuova ‘più forte di prima, invincibile, perché fondata non sulle risorse umane, ma sulla divina misericordia’. Un’unità della famiglia umana che si arricchisce nella diversità. Benedetto XVI lo ricorda affrontando l’altro tema del suo intervento alla recita del Regina Coeli: l’incontro che si è tenuto a Ginevra, ponendosi in continuità con la riunione del 2001 a Durban contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia. Un vertice tra molte polemiche, per l’accusa di antisemitismo formulata da Israele e dagli Stati Uniti sulla prima versione del documento preparatorio, dal quale si erano dissociati diversi Paesi, tra cui l’Italia, minacciando di non partecipare. E in realtà sono state molte le nazioni assenti all’appuntamento Onu in Svizzera: il Canada, l’Australia, l’Olanda… C’era invece la Gran Bretagna, e soprattutto il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Il Vaticano era presente con una sua delegazione. L’osservatore della Santa Sede a Ginevra, mons. Silvano Tomasi, sottolinea che il testo definitivo è ‘accettabile’. Comunque, per il Vaticano partecipare a un incontro di questo livello su un tema sensibile come quello del razzismo era ‘irrinunciabile’. Da parte sua, il Papa ha auspicato che ‘i delegati presenti alla Conferenza di Ginevra lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza, segnando così un passo fondamentale verso l’affermazione del valore universale della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, in un orizzonte di rispetto e di giustizia per ogni persona e popolo’. ‘Si tratta – dice ancora il Papa parlando dopo la recita della preghiera del Regina Caeli, che nel tempo di Pasqua si recita al posto dell’Angelus – di un’iniziativa importante perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni’. Per questo chiede ‘un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza’. Occorre, soprattutto per Benedetto XVI, una ‘vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali’. La Chiesa, afferma ancora il Papa, ‘ribadisce che solo il riconoscimento della dignità dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, può costituire un sicuro riferimento per tale impegno. Da questa origine comune, infatti, scaturisce un comune destino dell’umanità, che dovrebbe suscitare in ognuno e in tutti un forte senso di solidarietà e di responsabilità’.

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La fede esige amore a Dio e al prossimo https://www.lavoce.it/la-fede-esige-amore-a-dio-e-al-prossimo/ Thu, 11 Dec 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7178 La semplice religiosità esteriore non è capace di plasmare il cuore dell’uomo e di incidere profondamente nella sua vita e nelle sue attività. Non per nulla, anche oggi, varie forme di fondamentalismi si appellano alla religione e a Dio per giustificare i loro folli progetti eversivi. Il problema merita attenzione soprattutto in coloro che guardano alla fede che professano come al bene più prezioso che si possa possedere. È doloroso che alle tante forme di fondamentalismo islamico in questi mesi si sia aggiunto anche quello induista, dando un volto nuovo e inaspettato al tradizionale rispetto del sacro che ha sempre caratterizzato la grande anima dell’India. È assai povera la discussione che si svolge in Italia circa l’accoglienza e la regolamentazione degli immigrati. Certamente non si possono accogliere tutti, soprattutto in questa fase di grave e preoccupante recessione, ma non si può neppure chiudere la porta al disperato che fugge dalla miseria, dalle guerre e dalle discriminazioni. La doverosa lotta al crimine va congiunta alla necessaria accoglienza del bisognoso, poiché è una persona che ha la stessa nostra dignità. Del resto tutti abbiamo bisogno di essere accompagnati dalla benedizione dei poveri, poiché se essi sono con noi anche Dio sarà con noi. Urge che le religioni si manifestino nella loro vera natura, cioé nell’apertura al trascendente e all’immanente, al divino e all’umano, e che la religiosità diventi fede vera, cioè amore verso Dio e verso i figli di Dio. In questo senso va efficacemente sostenuta l’azione che il Papa, coadiuvato dai suoi organismi e in particolare dal suo Osservatorio permanente all’Onu, porta avanti ogni giorno, difendendo la libertà di coscienza e di religione, la pari dignità tra l’uomo e la donna, la pace e la solidarietà internazionale. Ricevendo i rappresentanti del recente Forum tra cattolici e musulmani, che aveva esaminato proprio il tema dell’amore a Dio e al prossimo, ha detto: ‘I leader politici e religiosi hanno il dovere di garantire il libero esercizio… della libertà di coscienza e di religione. La discriminazione e la violenza che ancora oggi le persone religiose sperimentano… e spesso le violente persecuzioni… rappresentano atti inaccettabili e ingiustificabili, tanto più gravi e deplorevoli quando sono compiuti in nome di Dio’. Ricordando la drammatica ‘notte dei cristalli’ del 1938, inizio dell’incredibile sterminio degli ebrei, ha affermato: ‘Ancora oggi provo dolore per quanto accadde in quella tragica circostanza, la cui memoria deve servire per far sì che simili orrori non si ripetano più e che ci si impegni, a tutti i livelli, contro ogni forma di antisemitismo o di discriminazione, educando le giovani generazioni al rispetto e all’accoglienza reciproca’. Nel mondo sono oltre 60 i Paesi nei quali la libertà religiosa e i diritti umani sono violati. Sant’Ireneo diceva che ‘la gloria di Dio è l’uomo vivente’. Se Dio è per me e non per tutti, vuol dire che ne ho fatto un idolo a mio uso e consumo. Se considero la mia religione proprietaria di una determinata area geografica, vuol dire che non sono al servizio di Dio ma che ho messo Dio al mio servizio. Se uso l’inganno o la violenza per accrescere i seguaci della mia religione, vuol dire che non amo né Dio né l’Uomo né la verità. Riporto un pensiero di sant’Ambrogio: quando non si riconosce un Dio, che è sì al di sopra di tutti ma che è anche presente in tutti, è segno che io non cerco l’amore, che Cristo ha mostrato in pienezza sulla croce, ma un padrone, forse un po’ simile ai tanti piccoli padroni del mondo.

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Numerose iniziative nelle scuole dell’Umbria per ricordare l’Olocausto https://www.lavoce.it/numerose-iniziative-nelle-scuole-dellumbria-per-ricordare-lolocausto/ Thu, 29 Jan 2004 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3608 Conferenze, testimonianze, presentazioni di volumi sull’Olocausto, trasmissioni di pellicole e rappresentazioni teatrali rivolte soprattutto ai giovani: si è svolta così in Umbria la Giornata della memoria che vuole ricordare in particolare la data del 27 gennaio 1945 quando l’esercito russo fece conoscere al mondo, dai campi di concentramento tedeschi, la più grande tragedia della storia. Partendo dal dramma della shoah, si è dato spazio anche a persone – spesso eroi – che si sono sacrificate per aiutare gli ebrei e nella lotta contro il nazismo. Assisi ha sempre avuto un ruolo particolare nelle iniziative per aiutare e nascondere circa quattromila perseguitati nelle sedi religiose. Ma in modo sparso, in ogni centro dell’Umbria, tante famiglie hanno dato riparo agli ebrei rischiando la propria vita. E sono storie di grande amore per il prossimo in difficoltà che meriterebbero di essere citate una per una. Ora ricordiamo solo alcune delle manifestazioni che hanno avuto luogo martedì. È stato distribuito agli studenti perugini, su iniziativa della Questura, il libro sulla vita di Giovanni Palatucci, l’ultimo questore di Fiume. Durante la Repubblica di Salò mise in salvo migliaia di ebrei che stavano per essere deportati in Germania. Al “Capitini” Dino Renato Nardelli dell’Isuc ha tenuto una conferenza sul tema “Dall’Umbria ad Auschwitz, da cittadini a vittime”. Sempre a Perugia, per iniziativa di Spi Cgil e Anpi, è stato ricordato al cimitero monumentale Mario Grecchi, fucilato dai nazisti quando non aveva ancora compiuto i diciotto anni. Poi c’è stato l’omaggio al cippo, realizzato al centro Bazzucchi, in memoria di otto partigiani fucilati. A Foligno è andato in scena, per le scuole ma anche per l’intera città, Essere senza destino, tratto dall’omonimo romanzo di Imre Kertesz, autore deportato nel 1944 ad Auschwitz e poi a Buchenwald. Lo spettacolo, curato dal laboratorio teatrale Il Giovane Holden del Teatro di Sacco, diretto da Roberto Biselli, ha ripercorso la storia di un gruppo di ragazzi ungheresi rinchiusi nei lager nazisti. Forse non tutti sanno che l’isola Maggiore del lago Trasimeno ha ospitato dal febbraio del 1944 un campo di raccolta per gli ebrei, molti dei quali sono stati salvati dai partigiani e dai pescatori del luogo, scelto perchè si trovava a pochi chilometri dalla stazione di Terontola, lungo la direttrice che da Roma, passando per Verona ed il Brennero, conduceva al campo di sterminio di Auschitz. Forse il miglior modo per raccontare le vicende di quell’epoca rimane la diffusione di pellicole. Hanno sposato questa linea pedagogica le scuole del lago. A Passignano e Tuoro è stato proiettato il film La vita è bella di Benigni, a Castiglione del Lago è stato scelto Train de vie del rumeno Milanau mentre a Pietrafitta è stata seguita l’opera di Spielberg, Schindler’s List A Terni il Comune ha promosso l’incontro “Attività politica e culturale di Carlo e Nello Rosselli, ebrei antifascisti”. Medaglia d’oro al valor civile per AssisiÈ arrivata la medaglia d’oro al valore civile alla città di Assisi dal presidente della repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per il contributo dato per salvare gli ebrei dai lager nazisti. È un vero e proprio omaggio del Quirinale ad Assisi in occasione della “giornata della memoria” per ricordare l’attività della città nell’ultimo conflitto mondiale in cui si distinse “per particolari iniziative e atti umanitari che evitarono la distruzione di un inestimabile patrimonio artistico e consentirono la salvezza di numerosi perseguitati politici, ebrei, profughi e sfollati, nonché la cura di migliaia di feriti di ogni nazionalità, ricoverati nelle strutture sanitarie cittadine. Splendido esempio di amore per il prossimo e di solidarietà tra i popoli”. Questo risultato si deve anche all’impegno di don Aldo Brunacci (nella foto) che contribuì, sostenuto dal vescovo, mons. Placido Nicolini, a salvare tanti ebrei dalla deportazione. E proprio don Brunacci, premiato lo scorso anno da Ciampi con il titolo di Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica, è stato il protagonista di una giornata dedicata al ricordo di quanto è avvenuto sessanta anni fa. Ha tenuto una lezione agli studenti del liceo Properzio di Assisi sull’antisemitismo. Poi è stato intervistato dal vicedirettore dei servizi parlamentari della Rai, Roberto Amen, nel corso di un incontro organizzato dall’associazione articolo 21.

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Eccesso non successo https://www.lavoce.it/eccesso-non-successo/ Thu, 25 Jul 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2579 Appena finito di scrivere sul ritorno del cosiddetto antisemitismo (vedi pag 9), la triste cronaca costringe la mente a ribadire lo sdegno, unito a preghiera e ad impegno, per la strage di innocenti (otto bambini uccisi) perpetrata da un missile israeliano sparato su una casa di Gaza in Palestina. E’ un sentimento che si unisce a quello che provocano gli attacchi omicidi e suicidi di quei palestinesi impropriamente chiamati kamikaze che si sono ripetuti e si ripetono senza freno. Si dirà perché mai ci interessiamo così spesso di questa sporca faccenda. La ragione è che la Terra santa per noi è una terra diversa ed abbiamo come un nervo scoperto ogni volta che vediamo spegnersi ogni spiraglio di pace. Avremmo voluto concentrarci in quella visione di serenità e di gioia che rappresenta la Giornata mondiale convocata dal vecchio stanco e malato Carol Wojtyla. Ma la spinta a denunciare questo ultimo crimine di guerra ci viene anche e proprio dal commento che ne ha fatto Ariel Sharon: ha chiesto scusa per le vittime civili ed ha anche dichiarato che si è trattato di “una delle operazioni più riuscite dell’esercito”. Un successo, quindi, perché nel raid aereo è stato ucciso il capo del braccio armato del movimento islamico Hamas, Salah Shehade. E’, certo, inammissibile che dei terroristi si nascondano tra la popolazione, ma è altrettanto inammissibile che si vada a colpire con un missile una persona senza tener conto di chi gli sta accanto. La guerra è la guerra! ripetono i cinici. Ma questa non è civiltà e ci rifiutiamo di pensare che quella grande cultura ebraica che si vanta di essere superiore e maestra di vita sia calpestata da un governo che in modo sia pure imperfetto e improprio pretende comunque di esserne rappresentante e difensore. L’Avvenire ha titolato così un commento (24 luglio): “Con l’uccisione dei civili Israele pareggia un orrido conto” e l’Osservatore Romano lo stesso giorno: “Colpendo i ragazzi si nega un futuro alle generazioni che dovrebbero riscattare un passato fatto di barbarie”. Il mondo intero ha condannato questa operazione e il Segretario generale dell’Onu Kofi Annan ha detto che “Israele ha la responsabilità legale e morale di prendere tutte le misure necessarie per evitare la perdita di vite umane”. Non successo quindi ma eccesso di violenza e regresso del processo di pacificazione. E tutto questo è avvenuto proprio quando da Gaza lo sceicco Ahmed Yassim, leader spirituale di Hamas aveva annunciato la possibilità di fermare gli attacchi suicidi in cambio del ritiro degli israeliani dai Territori e contemporaneamente da Gerusalemme si aveva la notizia del proseguimento degli incontri tra il ministro Shimon Peres e il responsabile palestinese Saeb Erekat per cercare di migliorare le condizioni di vita della popolazione araba in Cisgiordania e Gaza. Sembra che ci sia qualcuno che non voglia proprio la pace e manovra contro. Se le cose vanno avanti così ci si deve aspettare lo scontro totale, l’espulsione dei palestinesi, la deportazione dei familiari dei responsabili degli attachi suicidi, insomma, una catena di tragedie senza fine. Non ci resta che sperare nella crescita di quei piccoli segni o semi di buona volontà e di collaborazione che qua e là si raccontano in qualche angolo di giornale: i ragazzi palestinesi curati in Italia dalla talassemia; l’appello di intellettuali di ambedue i fronti “In movimento per la pace” che campeggia in questi giorni negli autobus di Napoli. E soprattutto che serva a conquistare anche i cuori più induriti la tragica lezione della sofferenza.

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Uno “spettro antisemita” si aggira in Europa. Perché? https://www.lavoce.it/uno-spettro-antisemita-si-aggira-in-europa-perche/ Fri, 26 Jul 2002 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2582 A seguito della recente devastazione di una cinquantina di tombe ebraiche nel cimitero del Verano di Roma si è accentuato il disagio degli ebrei italiani di fronte ad una recrudescenza e ad una maggiore diffusione di atteggiamenti antisemiti. Amos Luzzatto ha ritenuto di trovare una connessione con la data in cui il fatto è avvenuto, il nove del mese di Av in cui gli ebrei fanno memoria della distruzione del tempio. La cronaca di questi giorni informa che l’autore o gli autori dell’odioso e sacrilego atto vandalico di Roma possano essere sinistri personaggi appartenenti ad ambienti di ordinaria delinquenza. Ma anche se questa pista di indagine venisse confermata non sembra che possa costituire una spiegazione tale da escludere la fondatezza di un sentimento di preoccupazione. Questo nasce, infatti, da tutta una serie di segnali che si possono rintracciare in diversi tempi e luoghi in Europa, tra gente che non ha alcun coinvolgimento con questioni ebraiche né una forte presenza di ebrei. Se si pensa che nella stessa Italia gli ebrei sono appena circa trenta quaranta mila.

Vi sono autori di articoli e di libri che parlano di un antisemitismo globale, di antisemitismo mai morto in Europa, o come suona il titolo del libro di Fiamma Nirenstein: L’abbandono, come gli occidentali hanno tradito gli ebrei (Rizzoli 2002), l’articolo “Sull’antisemitismo di Oriana Fallaci del 18 aprile 2002 e il più recente di Adriano Sofri su Repubblica “Quando torna lo spettro antisemita” (22 luglio scorso). E’ un dato di fatto che profanazioni di tombe si sono verificate in Francia e Austria, sono comparse e non da oggi scritte sui muri, slogan antiebraici negli stadi, sono state compiute aggressioni e incursioni contro comunità ebraiche, anche contro ragazzi ebrei che giocavano al calcio, sempre in Francia.

La domanda che ci si pone è perché? Gli stessi ebrei se la sono posta: Perché ci odiano tanto? A parte l’imprecisione della parola “antisemitismo” che non rende ragione di ciò che veramente vuol significare e che sarebbe bene chiamare “antigiudaismo”, in quanto i semiti sono anche altri popoli e non solo gli ebrei, molti si chiedono quale sia la ragione e il fondamento di un atteggiamento, che pur presentando connotazioni diverse, permane lungo il tempo in società e in contesti culturali molto diversi tra loro. Per l’antigiudaismo storico sono state illustrate le ragioni che l’hanno originato e nutrito: dall’odio dei romani alla conflittualità tra Chiesa e Sinagoga, con il crescente disprezzo teologico da parte dei cristiani. Queste ragioni non esistono più. A parte la difesa degli ebrei fatta da Pio XI che in pieno clima antiebraico di stampo nazista dichiarò: “Siamo tutti spiritualmente dei semiti” (1937), si deve ricordare che le Chiese cristiane (protestanti e cattoliche) fin dal 1947, appena finita la guerra e conosciuta la terribile tragedia della Shoà sentirono il bisogno di stendere i famosi dieci punti di Seelisberg che gettano le basi di un corretto rapporto tra cristiani ed ebrei. Su quella base da cinquant’anni a questa parte i cristiani e in particolar modo i cattolici non hanno fatto altro che ripensare il loro rapporto con gli ebrei, riconoscendo le colpe passate e avviando un proficuo e corrisposto dialogo.

Abbiamo tutti ancora negli occhi la sublime scena del Papa al muro del pianto in Gerusalemme. Chi fosse ancora allo scuro di questo può almeno prendersi la briga di andarsi a leggere la Dichiarazione sulle religioni non cristiane del Concilio Vaticano II, Nostra aetate (1965), al n. 4). Non ha neppure alcun fondamento l’antisemitismo biologico razziale e neppure quello di origine ideologica, dato il crollo delle ideologie che lo avevano formulato. La stessa presunta accusa di un complotto contro l’umanità del famoso quanto falso e famigerato “Protocollo dei Savi di Sion” che ancora qualcuno tenta di diffondere. Tutto questo del resto appartiene alla cultura di un passato che non ha grande diffusione e non suscita interesse nelle attuali generazioni piuttosto bloccate sul presente storico conosciuto attraverso i mass-media. Certo, si può osservare che i pregiudizi stentano a lasciarsi cancellare del tutto e rischiano di sedimentarsi nel profondo della coscienza collettiva di popoli o di minoranze pronti a riportarsi strumentalmente a galla in momenti storici particolari.

Per evitare che ciò accada o che penetri in larghe masse è necessaria una seria vigilanza culturale ed un impegno educativo che sia aperto alla comprensione delle culture e delle religioni a cominciare proprio da quella ebraica che è la madre della nostra cultura cristiana. E per quanto riguarda la rinascita di forme di antisemitismo non resta che riferirsi alla questione palestinese. Forse è proprio da quel groviglio di problemi, interessi, incomprensioni, tensioni e violenze che nasce una divisione di valutazioni e di giudizi e quindi di risentimenti che portano alla contrapposizione e quindi all’antislamismo da una parte e all’antisemitismo dall’altra. La lotta che si svolge in Palestina produce contraccolpi nel resto del mondo. E tutto ciò va oltre l’antisemitismo come era compreso nel passato. Non per nulla alcuni musulmani accusati di diffondere odio antiebraico hanno più volte dichiarato di non essere antigiudei, ma antisionisti e di combattere la politica del governo israeliano.

Le frange di antigiudaismo italiano e europeo, che comunque ritengo sia ancora limitato e non abbia pervaso le masse, sarebbe pertanto un grande equivoco nel quale viene mescolato il dissenso per la politica del governo israeliano, la difesa del popolo palestinese considerato alla mercè della potenza economica e militare israeliana, la questione dei territori occupati a seguito della guerra dei sei giorni, e quindi confusione tra ebrei tout court con israeliani, le scelte del governo come scelte culturali e religiose. Questo equivoco dovrebbe essere chiarito ed eliminato. Mentre ognuno ha diritto di avere opinioni politiche e criticare quindi le scelte di un governo o dell’altro, nessuno deve cadere nella trappola del razzismo e condannare un popolo intero. Per questo è necessario anche che si eviti di commistione fatta da esponenti del partito conservatore israeliano di elementi biblici nelle scelte di politica territoriale. Se è la reazione antiisraeliana che coinvolge il popolo ebraico nella sua interezza ed è cosa impropria oltre che ingiusta si deve pur richiamare ad essere tutti, israeliani compresi, più accorti nel distinguere bene i campi.

A meno che tale distinzione non sia ancora ben maturata in alcune componenti della politica israeliana. In un recente incontro un francescano della Terra Santa, studioso delle questione palestinese e protagonista nella vicenda dell’occupazione della Basilica di Betlemme, ha affermato che la questione palestinese per avere qualche possibilità di soluzione ha bisogno di essere trattata in un piano di laicità. Il pericolo viene da due contrapposte teocrazie, qualora avessero il sopravvento. Da ciò si può supporre e sperare che se vi sarà la pace in Palestina quel paventato “spettro” dell’antisemitismo cesserà di vagare per l’Europa.

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Oltre la nube https://www.lavoce.it/oltre-la-nube/ Thu, 18 Apr 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2345 Non so se si debba ammirare chi ha idee chiare e distinte, di evidenza cartesiana, in questo momento in cui domina la nube oscura su quella Terra Santa dove è sprigionata la luce della rivelazione. Non so se si possa dire “trovo vergognoso” questo o quello in una stessa direzione. Temo piuttosto che l’unilaterale schieramento sia il frutto di uno sfogo passionale e appassionato. Le coscienze della maggior parte delle persone che cercano di riflettere, senza appoggiarsi a ideologismi e partiti presi, sono perplesse e coperte dalla nube del dubbio per quello che accade nella Terra Santa. La luce che là è apparsa in tutto il suo fulgore sembra vinta dalle tenebre dell’odio. Non ha trovato riparo il messaggero di pace e nessun riscontro il suo messaggio, proprio là dove ha cercato di incontrare i suoi. La pace è sconfitta e umiliata anche a Betlemme, la città che si chiama “casa del pane”. Tutti cercano il colpevole e il colpevole c’è, esiste e si porta sulle spalle una tragica responsabilità. Ma il colpevole non è solo Sharon e non solo Arafat, non è un singolo, né soltanto un popolo o due popoli. Il colpevole è un soggetto collettivo che si trova dentro e anche oltre i confini dei territori in conflitto ed è sostenuto da strutture di peccato e di morte che regnano nel mondo. Non si vuole con ciò allargare la conflittualità, ma la sfera delle responsabilità, quelle attuali e quelle remote. Non esiste, infatti, una politica neutrale e neppure una politica settoriale. Nel mondo globale tutto si tiene e il forte disagio che attanaglia l’umanità è esploso nel tessuto più a rischio. Non esistono governi infallibili e non si possono attribuire accuse infamanti, come antisemitismo, antigiudaismo, islamofobia, razzismo, a coloro che cercano di fare diagnosi politiche oggettive e disinteressate e a spostare i termini del problema verso il futuro, piuttosto che rimanere incatenati al presente e al passato, indicando soluzioni concrete anche se parziali. Dire queste cose che sembrano mettere lo scrivente al di sopra delle parti, non significa lavarsi pilatescamente le mani, ma richiamare all’uso della ragione, della moderazione, della riflessione, del buon senso, della preveggenza riguardo al futuro e soprattutto della pietà. La pietà per le carni lacerate, per il sangue versato, per le popolazioni umiliate, impaurite, insicure, in continuo pericolo, che vivono allo stremo della tensione nervosa. Deve cessare il tempo del fanatismo e dell’eroismo. Guai a quel popolo che ha bisogno di eroi e di martiri, veri o fasulli. E’ stato detto, in altri contesti, che il sonno della ragione produce mostri. C’è da aggiungere il sonno e l’abbandono della pietà, come ostinarsi a non dare cibo, acqua e luce ai frati e alle suore del convento della Basilica della Natività. Si può ricominciare da questo. Non sarebbe troppo difficile e potrebbe costituire il primo vagito di una speranza proprio nel luogo della nascita del messaggero della pace. Più che litigare in televisione e demonizzarsi a vicenda i partiti e i governi dovrebbero cercare di favorire gesti concreti che spostino il conflitto oltre il fronte dell’inimicizia.

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