Cardinale Angelo Bagnasco Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/angelo-bagnasco/ Settimanale di informazione regionale Thu, 08 Sep 2022 17:36:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Cardinale Angelo Bagnasco Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/angelo-bagnasco/ 32 32 Temi forti trattati con “sensibilità ecclesiale” https://www.lavoce.it/temi-forti-trattati-con-sensibilita-ecclesiale/ Thu, 21 May 2015 08:59:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33782 Papa Francesco apre l’Assemblea generale della Cei
Papa Francesco apre l’Assemblea generale della Cei

“Sensibilità ecclesiale” è “appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo: di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza – la carità di Cristo è concreta – e di saggezza”. Parole di Papa Francesco nel suo terzo discorso ai Vescovi italiani, pronunciato in apertura della 68a Assemblea generale della Cei.

Demoni? Fossero solo 7!

Appena il Papa è arrivato nell’aula del Sinodo, non è mancata una battuta scherzosa: “Quando leggo il Vangelo di Marco , dico: ‘Questo Marco ce l’ha con la Maddalena perché aveva ospitato sette demoni. E poi penso: ma io quanti ne ho ospitati? E rimango zitto”.

Dopo il discorso, il Papa si è invece fermato “a porte chiuse” con i Vescovi per un dialogo fatto di domande e risposte. I dieci minuti del discorso pubblico di apertura, molto intensi, hanno rimarcato come la sensibilità ecclesiale si sia “indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e della crisi, che non risparmia nemmeno l’identità cristiana ed ecclesiale”.

Bisogna correre ai ripari, prendendo la parola contro la “corruzione privata e pubblica” e reagendo alle varie forme di “colonizzazione ideologica”. Per vincere la sfida, però, è decisivo il versante pastorale: i laici non hanno bisogno di “vescovi-pilota”, devono essere capaci di assumersi le loro responsabilità in tutti gli ambiti. Non servono convegni che “narcotizzano” le comunità, con documenti astrusi e incomprensibili: ci vogliono “collegialità e comunione” tra diocesi “ricche materialmente e vocazionalmente” e diocesi “in difficoltà”.

Andare controcorrente

In un quadro “realisticamente poco confortante” – ha detto Bergoglio – “la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare controcorrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri”.

“La nostra vocazione – ha aggiunto Francesco citando Isaia – è ascoltare ciò che il Signore ci chiede: ‘Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio’. A noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene solo da Dio… È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi”, ha ammonito.

Di qui la necessità di recuperare “la gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione”.

No alla corruzione

La “sensibilità ecclesiale”, per Francesco, “comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”. È ancora la sensibilità ecclesiale che “come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana”.

Laici emancipati

“I laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del vescovo-pastore”.

È un forte invito all’emancipazione quello del Papa, secondo il quale la sensibilità “ecclesiale e pastorale si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono”. Anche nelle scelte e nei documenti pastorali “non deve prevalere l’aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro popolo o al nostro Paese ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti. Invece, dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”.

Ordine del giorno

Con il discorso del Papa si è aperta lunedì 18 maggio la 68a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. I lavori si sono svolti in Vaticano nell’aula del Sinodo, terminando giovedì 21. Martedì 19, dopo l’intervento del card. Bagnasco, i Vescovi si sono confrontati sul tema principale dell’Assemblea: la verifica della recezione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium . Tra gli altri argomenti all’ordine del giorno: il 5° Convegno ecclesiale nazionale (Firenze, 9-13 novembre), la presentazione di una griglia di lavoro sul tema centrale della scorsa Assemblea generale (“La vita e la formazione permanente dei presbiteri”), l’appuntamento con il Giubileo straordinario della misericordia (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016), l’approvazione del bilancio della Cei e la ripartizione dei fondi dell’8 per mille.

 

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“La Chiesa vi è vicina” https://www.lavoce.it/la-chiesa-vi-e-vicina/ Fri, 27 Mar 2015 13:53:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31116 Il card. Angelo Bagnasco tiene la prolusione al Consiglio episcopale permanente
Il card. Angelo Bagnasco tiene la prolusione al Consiglio episcopale permanente

Il Giubileo della Misericordia, i cristiani perseguitati nel mondo e la situazione dell’Italia sono stati i punti focali della prolusione del card. Angelo Bagnasco all’ultimo Consiglio permanente della Cei.

L’Anno santo

“I nostri lavori – ha detto il Cardinale – si aprono avendo nell’anima la lieta sorpresa che il Santo Padre Francesco ha fatto al popolo di Dio… Ci aspetta un particolare anno di grazia per poter fare, insieme ai nostri amati sacerdoti e diaconi, alle persone consacrate, alle nostre comunità, una più intensa esperienza del cuore misericordioso di Dio, di cui Gesù è ‘volto vivo’”.

“L’esperienza della misericordia divina – ha aggiunto – ci fa uscire, ci fa prendere il largo sulle strade degli altri. Nessun luogo è talmente lontano o chiuso da essere inaccessibile al Dio misericordioso e pietoso, grande nell’amore.

E poi bisogna annunciare: anche il samaritano ha annunciato a suo modo la novità di Cristo: lo ha fatto attraverso dei gesti che parlano e dicono che Dio è presente.

Con l’uscire e l’annunciare si può rimanere ancora esterni alla miseria umana: è necessario anche abitarla. Appunto come il Samaritano, che è entrato nella sciagura del malcapitato, nella sua paura e nella sua umiliazione: ha accettato di rallentare il proprio passo, di ritardare la marcia per abitare il bisogno altrui versandovi olio e vino.

In questo modo ha svolto anche un’opera educativa. Come? Con il suo farsi prossimo ha immesso nel mondo il germe di una rivoluzione; ha posto in questione una visione che toccava non solo il Levita di passaggio; ha gettato il guanto della sfida a una cultura individualista. Ha detto no a una visione che scarta il debole e lo abbandona al suo destino.

E così ha iniziato quella trasfigurazione della realtà che si compirà in Cristo, il vero, grande Samaritano dell’umanità: con quel gesto ha preso corpo sulla terra il sogno di una umanità nuova e bella che sarà possibile grazie all’irruzione dello Spirito”.

Cristiani perseguitati

“Sollecitati dal Papa – ha proseguito il Presidente della Cei – a guardare lontano e a pensare in grande il nostro ministero e la nostra stessa umanità, non possiamo non rimanere dolorosamente attoniti di fronte alla persecuzione contro i cristiani che cresce e si incrudelisce.

Il mondo della fede, del buon senso comune, il mondo dell’Umano, rimane sconcertato e percosso. E si interroga: perché? Perché perseguitare e uccidere? Perché tanta barbarie compiaciuta ed esibita sul palcoscenico mediatico del mondo? Perché non fermarsi neppure davanti ai bambini, agli inermi? È forse l’odio per l’Occidente?

Ormai la Storia senza pregiudizi ha fatto le giuste distinzioni: gli errori del passato non coincidono in nessun modo con il Vangelo, il libro di Gesù. È forse la paura di fronte alla modernità con i suoi valori di libertà, di uguaglianza, di democrazia, di giusta laicità, di valorizzazione e di rispetto per la donna…? È forse la rabbia di sapersi perdenti di fronte alla Storia che incalza inesorabile? È forse la ritorsione verso un consumismo che allenta i vincoli, stempera le idee, tende ad appiattire gli ideali e a ridurli al benessere materiale? È forse il tentativo turpe e macabro di regolare i conti all’interno del proprio mondo culturale e seminare terrore tra coloro che la pensano diversamente? C’è forse la speranza che l’Occidente ceda alle feroci provocazioni e reagisca, per poi poter gridare all’invasione o peggio, e così riattizzare vecchi fuochi?

La ragione, prima ancora che le fedi, non può non condannare tanta barbara e studiata crudeltà contro le minoranze, e in particolare contro i cristiani solo perché cristiani. E non può non condannare strategie folli e sanguinarie che portano indietro l’orologio della storia…

Mentre resta urgente la responsabilità di assicurare i diritti della libertà religiosa nel mondo, ancora una volta esortiamo l’Europa a un serio esame di coscienza sul fenomeno di occidentali che si arruolano negli ‘squadroni della morte’. Non si può liquidare la questione sul piano sociologico incolpando la mancanza di lavoro nei vari Paesi: ciò può essere una concausa. Il problema è innanzitutto di ordine culturale: non si può svuotare una cultura dei propri valori spirituali, morali, antropologici senza che si espongano i cittadini a suggestioni turpi. In questo senso, la cultura occidentale è minacciata da se stessa e favorisce il totalitarismo”.

L’Italia

Per sintetizzare la situazione corrente del nostro Paese, il card. Bagnasco ha voluto “far eco alle parole del Santo Padre Francesco a Napoli: parole di altissima condanna del malcostume e del malaffare che sembrano diventati un ‘regime’ talmente ramificato da essere intoccabile… È un destino fatale? Si può reagire?

Senza dubbi, diciamo che si deve reagire, e che ciò è possibile… Ogni soggetto ha il dovere di fare del proprio meglio per il bene della gente, che è in gravi difficoltà e che spesso è stremata: se l’onestà è un valore sempre e comunque, che misura la dignità delle persone e delle istituzioni, oggi le difficoltà di quanti si trovano a lottare per sopravvivere insieme alla propria famiglia… sono un ulteriore motivo perché la disonestà non solo non sia danno comune, ma anche non sia offesa gravissima per i poveri e gli onesti. Ciò è insopportabile!…

Come Pastori, diamo voce alla gente e, purtroppo, quella voce incalza le nostre parrocchie e diventa grido: invoca lavoro per chi l’ha perso e per chi non l’ha mai trovato. Invoca lavoro per chi è sfiduciato e si arrende mettendosi ai margini della società, facile preda della malavita. E con la disoccupazione, l’instabilità sociale cresce fatalmente…

La Chiesa in Italia, a livello centrale, porta avanti da anni il progetto Policoro e il ‘Prestito della speranza’: sono anche questi dei segni concreti che vengono incontro ai giovani, alle famiglie e alle piccole imprese. Tutti sappiamo che non basta ripianare i buchi, ma occorre investire, perché la competizione globale esige di essere sempre all’avanguardia; perché le nostre eccellenze devono essere difese con una continua ricerca; perché le professionalità non deperiscano; perché il patrimonio nazionale non prenda il volo per altri lidi, vanificando così i segnali positivi di ripresa che vengono rilevati dagli esperti”.

L’immigrazione

“Continua – ha denunciato il Cardinale – la tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore. Fuggono dai loro Paesi per le ragioni che conosciamo: guerre, carestia, miseria, violenza. E cosa trovano? Molto, ma certamente ancora insufficiente al fine di una vera integrazione e di una vita nuova.

Le forze in campo non sono poche, ma la situazione richiede visione, energie e risorse, che attestino che l’Europa esiste come casa comune, e non come un insieme di interessi individuali, ancorché nazionali. Un coacervo dove chi è più forte fa lezione e detta legge. La Chiesa, attraverso le Caritas e i centri Migrantes, le parrocchie e le associazioni specifiche, risponde con ogni mezzo, anche grazie all’8 per mille, e mira a un processo di vera integrazione nel rispetto delle comunità di accoglienza e dei cittadini”.

La scuola

Quanto, infine, al tema della scuola paritaria, “è in gioco la libertà di educazione dei genitori per i loro figli. Non è una cortesia concessa a qualcuno, ma è un diritto dei genitori: diritto fondamentale che – unico caso in Europa – in Italia è stato affermato a parole, ma negato nei fatti da troppo tempo.

A proposito di cultura, non possiamo non dar voce anche alla preoccupazione di moltissimi genitori, e non solo, per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del gender, ‘sbaglio della mente umana’, come ha detto il Papa a Napoli sabato scorso. Il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione… Ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘trans-umano’ in cui l’Uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità…

Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate: volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa? Reagire è doveroso e possibile; basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva… Sappiate, genitori, che noi Pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini”.

 

Le domande del card. Bagnasco

Mai come questa volta sono risuonate, nella prolusione del card. Bagnasco, tante domande. Domande incalzanti, che scuotono l’interlocutore, e a cui è difficile dare rispose univoche e sicure. Sembra che il Presidente della Cei voglia chiamare a raccolta il popolo cristiano a una presa di coscienza interpellando l’intelligenza e la coscienza dei Vescovi stessi, in primo luogo, come responsabili delle loro popolazioni, e dei membri del clero, dei religiosi e dei singoli fedeli. Altro significato può essere intravisto nel desiderio di Bagnasco di favorire, in un mondo spesso frantumato e discorde, la convergenza su percorsi comuni di riflessione per giungere a proposte e progetti condivisi. Questo in riferimento all’ambiente cattolico, ma anche all’ambito più sensibile e responsabile del mondo laico. Le domande più incisive toccano temi di grande impatto anche emotivo, che riguardano la violenza e la guerra, la persecuzione contro i cristiani, la “disumanizzazione” dell’Umano, la corruzione: “Perché uccidere? Perché tanta barbarie? Perché non fermarsi neppure davanti agli inermi, ai bambini? È forse l’odio per l’Occidente? È forse la paura verso la modernità? È forse la ritorsione contro il consumismo, che riduce tutto ai beni materiali? È una provocazione all’Occidente per suscitare una reazione che induca a riattizzare altre violenze?”. A proposito di corruzione si domanda: “È un destino fatale? Si può reagire?”. E a proposito dell’educazione all’ideologia del gender – secondo cui già ai bambini si deve insegnare che possono scegliere il sesso cui vogliono appartenere, senza tenere nel debito conto i dati di natura – chiede: “Vogliamo questo per in nostri bambini, ragazzi e giovani? Che a scuola, fin dall’infanzia, ascoltino e imparino queste cose come avviene in altri Paesi d’Europa?”. Il card. Bagnasco, ovviamente, dà le sue risposte, e alcune sue domande sono puramente retoriche. Ma porsi degli interrogativi, in questo scorcio di storia della Chiesa e del mondo, credo sia un esercizio serio e urgente.

E. B.

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La Cei in assemblea ad Assisi. Riforma del sacerdozio: prete, lucerna di creta che fa luce sul cammino https://www.lavoce.it/la-cei-in-assemblea-ad-assisi-riforma-del-sacerdozio-prete-lucerna-di-creta-che-fa-luce-sul-cammino/ Fri, 14 Nov 2014 14:30:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29019 Assisi-ceiCome sempre, le risonanze sui media della prolusione del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sono andate nella direzione delle questioni più scottanti di natura etica generale, bioetica ed emergenze sociali. Non passeranno inosservate le ferme affermazioni sulla “famiglia, patrimonio e cellula dell’umanità”, di cui si fanno avanti nuove figure che fungono da “cavallo di Troia… per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano”.

Si spera che vengano riprese e diffuse anche le perentorie affermazioni lucide e incisive sui figli: “Non sono oggetti da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto ad un papà e una mamma”. Agire in contrasto con questa visione antropologica è segno di un nichilismo che si aggira in Occidente distruggendo “lo scopo, la risposta e tutti i valori”.

Ma il cuore del discorso del Cardinale è rivolto ad intra, quasi “in famiglia”: quello sui preti, “primi collaboratori e amici”. Questo è stato anche il tema centrale dell’intera assemblea della Cei nella Domus Pacis della città di san Francesco. In questo discorso, Bagnasco si è servito abbondantemente delle parole di Papa Francesco. Più che una trattazione, ha lasciato un messaggio che non somigliava neppure alla lontana a una ‘lezione’ dei superiori ai seminaristi.

Nulla di tutto ciò. Il vescovo “appartiene” ai presbiteri, come i presbiteri “appartengono” al vescovo e tutti insieme, legati tra loro dal comune fondamento dell’Ordine sacro, sia pure in gradi distinti, appartengono al popolo di Dio. Si tratta di una realtà collegiale che evita la tentazione sempre ricorrente dell’individualismo e il rischio di agire con azione solitaria e autoreferenziale. “Ciò che lo Spirito ha fatto in noi – afferma il Presidente della Cei – toccando in profondità il nostro essere, configurandoci in modo singolare e unico a Gesù Cristo, Capo e pastore, sacerdote e sposo della Chiesa… costituisce il fondamento generativo del nostro ministero e della nostra fraternità”.

Da queste parole emerge piuttosto sfumata la distinzione tra episcopato e presbiterato, nel segno della Chiesa per sua natura gerarchica, come continuamente riafferma Papa Francesco, nella prospettiva di una sempre più intensa comunione nella carità.

Il Presidente non affronta di petto le difficoltà, le incongruenze e le cadute che nel nostro tempo si sono manifestate e rese oggetto di pubblico scandalo, ma invita a non avere paura, a non lasciarsi andare al lamento e allo scoraggiamento, ricorrendo alla preghiera che è sorgente di grazia e di forza, e puntando sulla formazione del clero sia nella preparazione iniziale sia nella formazione permanente. Una formazione non astratta, impregnata di intellettualismo e funzionalismo, in cui si scorge la riproposizione di una sorta di “pelagianesimo” in quanto si appoggia su mezzi umani e sulle capacità organizzative del clero, trascurando l’azione della grazia.

Per spiegare la finalità di questo intervento e dell’intera assemblea Cei, e indicando con esattezza di che cosa stesse parlando, facendo sue le parole di Papa Francesco, Bagnasco ha detto: “È importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi… Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale”.

La figura del prete pertanto è quella di un punto di luce che risplende e illumina senza tema di essere oscurato dalle debolezze umane. Il prete è un uomo, un uomo vero, anche con i suoi limiti, portatore – in lucerne di creta – di una luce inestinguibile che tiene sempre ardente e alimenta come la lampada accanto al tabernacolo; come la Parola “luce ai passi” dell’uomo, anche e soprattutto a quello delle periferie sempre più lontane.

Un prete che legge Bagnasco potrebbe aggiungere che a molti, se non a tutti, è successo e potrà succedere di sentirsi dire, in un’occasione inaspettata: “Padre, le sue parole mi hanno cambiato la vita!”.

La “gratitudine” dei vescovi espressa dal Cardinale nei confronti dei preti, con cui si è concluso il discorso di apertura, è convinta, sincera e piena di “affetto” – come quella di chi scrive e, spero, di chi legge.

Le parole di Papa Francesco

Cari fratelli nell’episcopato… il vostro convenire ad Assisi fa subito pensare al grande amore e alla venerazione che san Francesco nutriva per la santa Madre Chiesa gerarchica… Tra le principali responsabilità che il ministero episcopale vi affida c’è quella di confermare, sostenere e consolidare questi vostri primi collaboratori [i sacerdoti], attraverso i quali la maternità della Chiesa raggiunge l’intero popolo di Dio. Quanti ne abbiamo conosciuti! Quanti con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione! Da quanti di loro abbiamo imparato e siamo stati plasmati! Nella memoria riconoscente, ciascuno di noi ne conserva i nomi e i volti. Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che ‘separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande’ (Lev Tolstoj). Liberi dalle cose e da se stessi, rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il Vangelo chiama carità; e che la gioia più vera si gusta nella fraternità vissuta… Sì, è ancora tempo di presbiteri di questo spessore, ‘ponti’ per l’incontro tra Dio e il mondo, sentinelle capaci di lasciare intuire una ricchezza altrimenti perduta. Preti così non si improvvisano: li forgia il prezioso lavoro formativo del Seminario, e l’ordinazione li consacra per sempre uomini di Dio e servitori del Suo popolo. Ma può accadere che il tempo intiepidisca la generosa dedizione degli inizi, e allora è vano cucire ‘toppe nuove su un vestito vecchio’: l’identità del presbitero, proprio perché viene dall’Alto, esige da lui un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo”.

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Cristiani, seminatori di speranza https://www.lavoce.it/cristiani-seminatori-di-speranza/ Fri, 07 Nov 2014 13:31:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28906 I cardinali Bassetti e Bagnasco in un momento della visita a Gaza
I cardinali Bassetti e Bagnasco in un momento della visita a Gaza

“Grazie per la vostra testimonianza. Ho visto gente fiera, attaccata alla fede. Nel vostro sguardo leggo dignità e senso di appartenenza. Porteremo con noi, alle nostre Chiese locali, la vostra testimonianza di una fede che si conquista giorno per giorno. Voi avete il compito di tenere accesa la speranza di pace e di giustizia di questa terra per lenirne le ferite. Continuate a coltivare questo sogno di pace”. Così il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha salutato la piccola comunità cattolica di Gaza, che si era riunita all’interno dei locali della parrocchia della Sacra Famiglia, guidata da padre Jorge Hernandez, religioso argentino dell’Istituto del Verbo incarnato.

Quello di lunedì 3 novembre è stato un giorno importante per i cattolici di Gaza, poco meno di 150 fedeli che hanno atteso con ansia l’arrivo della Presidenza della Cei, guidata dal card. Bagnasco accompagnato dal segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, e dai tre vice-presidenti, l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, il cardinale arcivescovo di Perugia Angelo Bassetti, e il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Una visita di solidarietà che ha rotto lo stretto isolamento in cui da giorni versa Gaza, sigillata da Israele dopo il lancio di un razzo. Chiusi i valichi di Erez e di Kerem Shalom e chiuso anche il confine con l’Egitto, a Rafah.

I tamburi degli scout schierati hanno accolto la delegazione mentre il corteo dei pick up blindati delle Nazioni Unite su cui viaggiava faceva il suo ingresso nel cortile della parrocchia. E poi tanti bambini e giovani a correre incontro ai vescovi per salutarli. Un’accoglienza festosa che aveva già avuto un anticipo, la mattina, al valico di Erez quando al posto dei sorrisi dei bambini si erano viste forti strette di mano di uomini segnati dalla sofferenza di tante guerre subite e forse combattute. Per l’occasione avevano indossato i loro abiti migliori, così come padre Jorge che sulla talare nera aveva messo la kefiah palestinese.

Ed è stato un vero pellegrinaggio tra le macerie delle 60mila abitazioni distrutte dallo scambio a fuoco tra Israele e Hamas, scheletri di case ormai svuotate di oggetti e di affetti, divenute pericolosi luoghi di gioco per piccoli e meno piccoli. Un lungo giro su strade a dir poco dissestate per ricordare i 52 giorni di guerra dell’operazione “Margine protettivo” e i 2.139 morti palestinesi. Sui viali, agli angoli delle stradine, grandi poster che celebrano “i martiri” di questa guerra, coloro che sono caduti combattendo per Gaza, ma non si fa in tempo a vederli tutti.

Padre Jorge incalza: “questo era un ospedale, qui c’erano abitazioni da dove sparavano razzi, quello che si vede un po’ più avanti, invece, era una fabbrica di biscotti” e poi “le montagnole da dove sparavano i carri armati e i vicoli da dove sono penetrati a piedi i soldati israeliani, i resti dei tunnel distrutti”.

Un racconto in sequenza che cattura occhi e cuore con la delegazione Cei in piedi ad ascoltare e a fare domande. Intorno nugoli di bambini vocianti, qualcuno mostra le dita a mo’ di “vittoria”, i più giocano intralciando la strada dei pick up che a fatica riprendono il viaggio, sgommando nel fango melmoso. E poi ancora macerie. Un salto all’ospedale giordano, tra i pochissimi presidi ospedalieri della Striscia, per ascoltare quante persone oggi a Gaza portano sul loro corpo ferite, menomazioni e mutilazioni varie e poi alla scuola del Patriarcato Latino, uno dei tre istituti cattolici della Striscia.

Le lezioni sono riprese già da diversi giorni, i lavori di riparazione dei danni provocati dalla guerra sono stati prontamente conclusi. Qui la Cei ha, tra l’altro, finanziato la costruzione di una grande sala didattica. Vivace lo scambio dei vescovi con i giovani delle ultime classi, culminato con “in bocca al lupo per l’esame di fine corso” e la consapevolezza che “i giovani di Gaza sono la vera risorsa di questa terra, il suo futuro. Siamo rimasti colpiti dalla loro voglia di vivere” nonostante tre guerre negli ultimi anni sei anni (da fine 2008). Ma la speranza a Gaza abita anche nell’istituto delle suore di Madre Teresa di Calcutta che assistono oltre trenta bambini orfani, disabili fisici e mentali, “spesso rifiutati dalle loro famiglie e che oggi sono i nostri angeli” dice con orgoglio padre George, mentre i vescovi giocano con loro. “Ne vorremmo prendere molti di più ma non possiamo. Il sogno sarebbe quello di costruire una cattedrale della carità dove accogliere tutti questi piccoli angeli”.

Martedì ultima tappa della visita. Per la Presidenza della Cei è il momento di ascoltare la sofferenza della gente di Sderot, centro israeliano bersaglio dei razzi di Hamas. Poi a Gerusalemme per pregare al santo Sepolcro e il rientro in Italia. La testimonianza della comunità cattolica di Gaza attende di essere raccontata. Anche a Papa Francesco.

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Tre libretti che fanno discutere https://www.lavoce.it/tre-libretti-che-fanno-discutere/ https://www.lavoce.it/tre-libretti-che-fanno-discutere/#comments Thu, 27 Mar 2014 15:02:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23951 Tre libretti che fanno discutere sono al centro dell’attenzione degli educatori e dei responsabili dei programmi scolastici, e in generale di tutti coloro che a qualunque titolo sono chiamati a operare nella vita civile della collettività.

Tra questi ci sono educatori e genitori cattolici, i laici difensori della tradizione culturale maggioritaria dell’umanità, preti, vescovi, religiosi, suore e via dicendo. Ma che libretti sono? Qualche decennio fa c’era il libretto rosso di Mao… Quelli di adesso, se li vedi, sembrano del tutto innocenti e, se li leggi, del tutto suadenti. Insegnano a rispettare chi è diverso, riferendosi non al colore della pelle o altro ma alla omosessualità, in modo da evitare l’omofobia.

Questo deve essere insegnato ai bambini della scuola primaria fino alle superiori con insegnamenti appropriati e secondo un progetto rispondente a una “strategia nazionale antiomofobia”, affidato per decreto legge dal governo Letta a 29 associazioni Lgbt (lesbico gay bisessuale transessuale) finanziato con 10 milioni di euro. Non è qui il luogo per discutere adeguatamente della questione, di cui abbiamo già trattato e trattiamo anche in questo numero.

Desidero solo segnalare che la grande maggioranza del mondo cattolico non è d’accordo con questa iniziativa, e lo ha detto in varie occasioni. Se ne è fatto portavoce a livello nazionale anche il card. Bagnasco, presidente della Cei, che ha chiesto ai politici di porre rimedio a questa sciagurata iniziativa ritirando i libretti. Sciagurata perché considerata lesiva del diritto delle famiglie di intervenire sull’educazione dei figli in materia di educazione sessuale. Scrivo questo perché il 26 marzo il Fatto quotidiano, in Cronaca, con tanto di foto, fa una critica radicale a Bagnasco che “ignora la laicità dello Stato” e vorrebbe che si gettassero al rogo i libretti, che secondo il redattore dell’articolo servono a rendere i figli più moderni dei loro padri e capaci di evitare ogni forma di discriminazione.

Ora, senza entrare nella polemica, mi pare di dover rivendicare il diritto di Bagnasco, come dei cattolici e di tutti gli uomini liberi, di esprimere le loro opinioni e le loro valutazioni morali. Lo Stato con sistemi democratici potrà fare le sue leggi, esigendo il rispetto della legalità, non potrà però impedire che i cittadini esprimano opinioni diverse e valutazioni anche contrastanti. Nel caso poi che si addivenga a forme di costrizione, non potrà impedire che si possa ricorrere all’obiezione di coscienza.

Non è la prima volta che i cattolici – insieme a cittadini dal pensiero non vincolato a interessi di parte o ideologie devastanti, come è avvenuto in maniera eclatante e tragica per il nazismo e il comunismo – si trovino all’opposizione e usino tecniche di boicottaggio delle leggi che considerano ingiuste, pur con i rischi che tutti conosciamo. Il tema dell’educazione è stato sempre un tema forte e decisivo per i cristiani, e su di esso si sono svolte le battaglie culturali più famose della storia, che oggi, in tempi di dialogo, sarebbero anacronistiche e potrebbero essere risolte con la scienza e la sapienza, con la buona volontà scevra da interessi di lobby precostituite o di ideologie autoreferenziali, nella comune ricerca del bene della persona e della società.

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La prolusione del card. Bagnasco al Consiglio permanente Cei: contro le miserie materiali e morali https://www.lavoce.it/la-prolusione-del-card-bagnasco-al-consiglio-permanente-cei-contro-le-miserie-materiali-e-morali/ Thu, 27 Mar 2014 14:57:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23948 Il card. Angelo Bagnasco mentre tiene la prolusione
Il card. Angelo Bagnasco mentre tiene la prolusione

Una Chiesa che vuole servire il Paese con i “mezzi della debolezza e della povertà” come insegna Papa Francesco, ma che non rinuncia a parlare e a occuparsi di tutto ciò che riguarda gli uomini: così ha detto lunedì sera a Roma, nella prolusione ai lavori del Consiglio episcopale permanente (terminato ieri, giovedì), il presidente della Cei card. Angelo Bagnasco.

Richiamando il messaggio del Papa per la Quaresima, dove si parla di Dio che si rivela al mondo “con i mezzi della debolezza e della povertà”, il Cardinale ha detto che “è con tale spirito che anche noi continueremo il compito di revisione dello Statuto” della stessa Cei, avviato nei mesi scorsi, oltre ad affrontare due “Note di rilievo”: una sulla scuola cattolica, “vero patrimonio del Paese”, e la seconda sull’“Ordo virginum, nuovo carisma per la Chiesa”.

Non ha poi tralasciato di invitare il nuovo Governo “a incidere su sprechi e macchinosità istituzionali e burocratiche, ma soprattutto a mettere in movimento la crescita e lo sviluppo”. Di fronte a una “povertà in rapido e preoccupante aumento” il card. Bagnasco ha richiamato alcuni dati del rapporto Caritas 2014 False partenze di imminente presentazione. Ha ricordato che “gli sforzi delle 220 Caritas diocesane e degli 814 Centri di ascolto si sono moltiplicati, e le iniziative sono in quattro anni raddoppiate, registrando un aumento impressionante di italiani che bussano alla porta, così come di gruppi sociali che fino a oggi erano estranei al disagio sociale… Come vescovi, vogliamo incoraggiare il servizio delle nostre Caritas e dei Centri di ascolto, come di tutte le 25.000 parrocchie e delle molte aggregazioni: è uno spiegamento di persone e di risorse che umilmente affronta un’onda sempre più grande e minacciosa”.

Parlando di “miseria morale e spirituale”, il Presidente della Cei ha ricordato come nel primo caso si divenga “schiavi del vizio e del peccato”, causa non infrequente anche di “rovina economica”; e nel secondo ci si allontana da Dio “rifiutando il Suo amore”. “L’autosufficienza è la forma sostanziale di ogni peccato”, e una forma particolare e attuale di questa “alterigia” è rappresentata dalla “violenza accattivante delle ideologie”. Ha qui fatto l’esempio del fatto che “l’obiezione di coscienza è ormai sul banco europeo degli imputati. Non è più un diritto dell’uomo? Perché accade che in Europa alcune serie ‘raccomandazioni’ sono tranquillamente disattese, mentre altre, non senza ideologismo, vengono assunte come vincoli obbliganti?”.

“L’Occidente non è più al centro del mondo”, ha proseguito, anche per certi comportamenti ambigui e “ricattatori” verso i popoli poveri, quali “finanziamenti in cambio di leggi immorali” (in riferimento ai temi della vita, famiglia, contraccezione, ecc.). Il Cardinale ha giudicato questa azione politica una “corruzione dell’umanesimo”, ammonendo che “se l’Occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’Occidente e troverà altri lidi meno ideologici e più sensati”.

Per questo – ha aggiunto, citando il Papa – “i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito della evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi nell’ambito del privato”.

Sviluppando il concetto di “difesa della vita” da quella nascente fino al suo termine naturale, ha poi affermato che “è una visione iper-individualista all’origine dei mali del mondo, tanto all’interno delle famiglie quanto nell’economia, nella finanza e nella politica. Ma il sentire profondo del nostro popolo è diverso”.

Tra le conseguenze, “aree diverse di sviluppo e risorse, di ricchi e di poveri, di giustizia e di ingiustizia, di diritti umani proclamati e di fatto violati, ad esempio i diritti del bambino, oggi sempre più aggredito: ridotto a materiale organico da trafficare, o a schiavitù, o a spettacolo crudele, o ad arma di guerra, quando non addirittura esposto all’aborto o alla tragica possibilità dell’eutanasia”. E ancora, “la tratta delle donne, la violazione, a volte fino alla morte, della loro dignità”. E “forme di violenza e di barbara criminalità che assume anche forme organizzate e mafiose, come è stato ricordato nei giorni scorsi dal Santo Padre incontrando i familiari delle vittime”.

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Bassetti accolto nella sua cattedrale. “Cardinale per servire la Chiesa e non per servirsi di essa!” https://www.lavoce.it/bassetti-accolto-nella-sua-cattedrale-il-cardinale-e-per-servire-la-chiesa-e-non-per-servirsi-di-essa/ Sun, 23 Feb 2014 18:27:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22599

[caption id="attachment_22600" align="alignleft" width="270"]Il Cardinale Bassetti fa ingresso nella Cattedrale di Perugia Il Cardinale Bassetti fa ingresso nella Cattedrale di Perugia - GALLERIA FOTOGRAFICA[/caption] Nella cattedrale di Perugia, la folla dei fedeli ha accolto don un lungo appaluso il suo arcivescovo, da ieri cardinale Gualtiero Bassetti. E le parole di saluto, del presidente del Capitolo della Cattedrale mons. Fausto Sciurpa, che lo ha accolto all'ingresso della Cattedrale, del Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, del sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, non sono state parole di fredda formalità. Un saluto e augurio particolare è stato quello del cardinale Silvano Piovanelli arcivescovo emerito di Firenze, il quale ha ricordato gli anni in cui è stato vicerettore del Seminario di Firenze quando Rettore era Bassetti. E Bassetti si è commosso in particolare quando Piovanelli ha ripetuto “io sono stato cardinale per la sede, ma tu lo sei per la tua persona!”. E la cattedrale gli si è stretta intorno con un applauso al quale si sono uniti anche i fedeli che hanno seguito la messa dal grande schermo allestito nella vicina Chiesa del Gesù. La liturgia solenne ha avuto il tono di un abraccio caloro di tutta una comunità al suo vescovo. E non formali sono state anche le parole di Bassetti, a cominciare dai saluti con cui ha iniziato l'omelia, dovuti, ma accompagnati da un cenno o un ricordo di stima e affetto. L'omelia di Bassetti è iniziata con il suo sguardo che scrutava tra i presenti a scorgere volti conosciuti. Praticamente tutti. Dai concelebranti, i cardinali Giuseppe Betori e Silvano Piovanelli, l'attuale e l'emerito arcivescovo di Firenze, e il cardinale Ennio Antonelli, predecessore di Bassetti sulla cattedra di Perugia. E poi il segretario generale della Cei Nunzio Galantino, e il presidente della conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco, i vescovi dell'Umbria e anche vescovi di diocesi della Toscana. Trenta vescovi sono giunti da tutta Italia hanno concelebrato con lui la sua prima Messa da cardinale in San Lorenzo alla quale hanno partecipato più di 130 sacerdoti umbri e toscani. All’offertorio sono stati portati all’altare i prodotti della terra degli agricoltori umbri di “Campagna amica” della Coldiretti regionale, frutto del lavoro dell’uomo. Bassetti ha ringraziato tutti per la loro presenza, i sacerdoti, i religiosi e le religiose diocesani e quelli venuti da tutte le diocesi della regione” un ringraziamento particolare lo ha espresso all'ottantenne parroco di Popolano, “perché a Popolano ci sono le mie radici umane e cristiane con il bassesimo e la cresima!”. Bassetti ha ringraziato della loro presenza anche le autorità e alla “scorta che mi ha accompagnato dalla Madonna del bagno”, e per la stampa che in questi due giorni gli ha dedicato grande attenzione. E poi si è rivolto ai fedeli. “Grazie a voi, miei fedeli, che siete venuti numerosi anche a Roma!”. “Ieri - ha confidato Bassetti - m'è quasi venuta la sciatica per le quattro ore in piedi a salutare tutti, e l'ho fatto con molto piacere, e qualcuno mi ha anche augurato ‘si faccia coraggio!’”.  “A voi tutti - ha aggiunto - il mio carissimo abbraccio e saluto”. Nell'omelia ha ripreso le parole di Papa Francesco sul servizio dei Cardinali che non sono lì per “fare carriera” ma per servire e seguire Cristo”, per “servire la Chiesa semza mai servirsi di essa”. Al termine della liturgia il cardinale Angelo Bagnasco ha rivolto un saluto e un ringraziamento al caridnale Bassetti e anche ai fedeli di Perugia. “Fa bene a tutti noi pastori sentire la comunità cristiana che corrisponde all'affetto dei suoi pastori”. Basseti, prima dell'omaggio e della consacrazione della Diocesi alla Madonna delle Grazie ha detto ancora il suo grazie a tutti i presenti. “Stasera qui mi pare di rivedere una di quelle immagini del popolo di Dio in cui la Madonna tiene tutti fedeli, giovani, anziani, autorità, sotto il suo manto. Ecco, ora cantiamo tutti a Maria”. Ha poi concluso con un'ultima “piccola notizia”. “Stamattina - ha detto - il Papa dopo la messa m'ha detto ‘hai visto? Ha portato i doni all'altare una famiglia di Perugia’. Ecco - ha aggiunto - anche questo è un atto di attenzione e benedizione del Papa per la nostra Chiesa. E io stasera benedico tutte le nostre famiglie!”.    ]]>

[caption id="attachment_22600" align="alignleft" width="270"]Il Cardinale Bassetti fa ingresso nella Cattedrale di Perugia Il Cardinale Bassetti fa ingresso nella Cattedrale di Perugia - GALLERIA FOTOGRAFICA[/caption] Nella cattedrale di Perugia, la folla dei fedeli ha accolto don un lungo appaluso il suo arcivescovo, da ieri cardinale Gualtiero Bassetti. E le parole di saluto, del presidente del Capitolo della Cattedrale mons. Fausto Sciurpa, che lo ha accolto all'ingresso della Cattedrale, del Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, del sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, non sono state parole di fredda formalità. Un saluto e augurio particolare è stato quello del cardinale Silvano Piovanelli arcivescovo emerito di Firenze, il quale ha ricordato gli anni in cui è stato vicerettore del Seminario di Firenze quando Rettore era Bassetti. E Bassetti si è commosso in particolare quando Piovanelli ha ripetuto “io sono stato cardinale per la sede, ma tu lo sei per la tua persona!”. E la cattedrale gli si è stretta intorno con un applauso al quale si sono uniti anche i fedeli che hanno seguito la messa dal grande schermo allestito nella vicina Chiesa del Gesù. La liturgia solenne ha avuto il tono di un abraccio caloro di tutta una comunità al suo vescovo. E non formali sono state anche le parole di Bassetti, a cominciare dai saluti con cui ha iniziato l'omelia, dovuti, ma accompagnati da un cenno o un ricordo di stima e affetto. L'omelia di Bassetti è iniziata con il suo sguardo che scrutava tra i presenti a scorgere volti conosciuti. Praticamente tutti. Dai concelebranti, i cardinali Giuseppe Betori e Silvano Piovanelli, l'attuale e l'emerito arcivescovo di Firenze, e il cardinale Ennio Antonelli, predecessore di Bassetti sulla cattedra di Perugia. E poi il segretario generale della Cei Nunzio Galantino, e il presidente della conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco, i vescovi dell'Umbria e anche vescovi di diocesi della Toscana. Trenta vescovi sono giunti da tutta Italia hanno concelebrato con lui la sua prima Messa da cardinale in San Lorenzo alla quale hanno partecipato più di 130 sacerdoti umbri e toscani. All’offertorio sono stati portati all’altare i prodotti della terra degli agricoltori umbri di “Campagna amica” della Coldiretti regionale, frutto del lavoro dell’uomo. Bassetti ha ringraziato tutti per la loro presenza, i sacerdoti, i religiosi e le religiose diocesani e quelli venuti da tutte le diocesi della regione” un ringraziamento particolare lo ha espresso all'ottantenne parroco di Popolano, “perché a Popolano ci sono le mie radici umane e cristiane con il bassesimo e la cresima!”. Bassetti ha ringraziato della loro presenza anche le autorità e alla “scorta che mi ha accompagnato dalla Madonna del bagno”, e per la stampa che in questi due giorni gli ha dedicato grande attenzione. E poi si è rivolto ai fedeli. “Grazie a voi, miei fedeli, che siete venuti numerosi anche a Roma!”. “Ieri - ha confidato Bassetti - m'è quasi venuta la sciatica per le quattro ore in piedi a salutare tutti, e l'ho fatto con molto piacere, e qualcuno mi ha anche augurato ‘si faccia coraggio!’”.  “A voi tutti - ha aggiunto - il mio carissimo abbraccio e saluto”. Nell'omelia ha ripreso le parole di Papa Francesco sul servizio dei Cardinali che non sono lì per “fare carriera” ma per servire e seguire Cristo”, per “servire la Chiesa semza mai servirsi di essa”. Al termine della liturgia il cardinale Angelo Bagnasco ha rivolto un saluto e un ringraziamento al caridnale Bassetti e anche ai fedeli di Perugia. “Fa bene a tutti noi pastori sentire la comunità cristiana che corrisponde all'affetto dei suoi pastori”. Basseti, prima dell'omaggio e della consacrazione della Diocesi alla Madonna delle Grazie ha detto ancora il suo grazie a tutti i presenti. “Stasera qui mi pare di rivedere una di quelle immagini del popolo di Dio in cui la Madonna tiene tutti fedeli, giovani, anziani, autorità, sotto il suo manto. Ecco, ora cantiamo tutti a Maria”. Ha poi concluso con un'ultima “piccola notizia”. “Stamattina - ha detto - il Papa dopo la messa m'ha detto ‘hai visto? Ha portato i doni all'altare una famiglia di Perugia’. Ecco - ha aggiunto - anche questo è un atto di attenzione e benedizione del Papa per la nostra Chiesa. E io stasera benedico tutte le nostre famiglie!”.    ]]>
Dai nostri inviati al Convegno nazionale di pastorale giovanile: prendere il largo con i giovani https://www.lavoce.it/dai-nostri-inviati-al-convegno-nazionale-di-pastorale-giovanile-prendere-il-largo-con-i-giovani/ Thu, 20 Feb 2014 13:48:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22483 Foto di gruppo della delegazione regionale umbra al convegno nazionale di pastorale giovanile
Foto di gruppo della delegazione regionale umbra al convegno nazionale di pastorale giovanile

“Tra il porto e l’orizzonte” è il felice titolo del 13° Convegno di pastorale giovanile svoltosi a Genova dal 10 al 13 febbraio, sull’antico porto, in un centro congressi realizzato in ex magazzini. L’immagine del porto è adatta per ogni pastorale ma in modo particolare per la pastorale giovanile: l’impegno per i giovani deve lasciare la sicurezza dell’approdo per prendere il largo e provare nuove rotte, avendo fisso lo sguardo sulla stella polare che è Cristo.

Non è facile navigare in questo mare turbolento del nostro tempo. Quando mai è stato facile? Gli interventi qualificati di tanti esperti-testimoni hanno dato uno spaccato della realtà giovanile molto concreto.

Il convegno era coordinato dal vice direttore nazionale del Servizio di pastorale giovanile perché il direttore, don Michele Falabretti, è ricoverato per una grave malattia. Don Michele ha seguito il convegno dalla sua cameretta di degenza attraverso streaming; è intervenuto con tanta serenità dando testimonianza di fede forte e fiducioso abbandono in Dio, anche in questo momento difficile per la sua vita. Una testimonianza che ha colpito tutti; per lui si è pregato nelle liturgie che hanno scandito lo svolgimento dei lavori. Non solo si è ascoltato, discusso, ma la preghiera ha sempre accompagnato ogni giornata del convegno.

Celebrazioni presiedute dal card. Bagnasco, da vescovi che hanno seguito con interesse i lavori, liturgie celebrate nelle belle chiese del cento di Geneva; soprattutto nella basilica della Madonna delle Vigne, dove è parroco don Nicolò Anselmi, precedente direttore nazionale del Servizio.

Protagonisti del convegno sono stati Nando Pagnoncelli, sondaggista; Pierpaolo Triani, pedagogista dell’Università Cattolica, Costanza Miriano, giornalista Rai, mamma di quattro figli e autrice di alcuni libri che stanno diventando un caso letterario come Sposati e sii sottomessa; suor Carolina Iavazzo, nel passato collaboratrice diretta del beato Pino Puglisi, oggi impegnata nella Locride; don Rossano Sala, salesiano e professore di Pastorale giovanile presso la Pontificia università salesiana; don Domenico Ricca, cappellano del carcere minorile Aporti di Torino. Personaggi qualificati e protagonisti di quella “Chiesa in uscita” così cara a Papa Francesco.

L’accoglienza della Chiesa locale e della società civile è stata molto calorosa. Scherzando, si notava come in quest’occasione è stata smentita la proverbiale “tirchieria” dei genovesi. Da sottolineare i numerosi stand di iniziative proposte da case editrici, oratori, associazioni e diocesi. Una fantasia e vitalità per annunciare Cristo ai giovani che fa toccare con mano l’impegno di tanti per questo settore vitale della pastorale.

Molto interessante la visita organizzata al Museo dell’emigrazione: milioni di persone dal porto di Genova hanno sognato un mondo nuovo per sfuggire dalla miseria, oggi vediamo tanti giovani stranieri che vengono da noi per gli stessi motivi che hanno spinto i nostri padri a farlo (tra il 1860 e il 1920 circa 20 milioni di italiani hanno lasciato il paese per cercare migliori condizioni di vita).

Nel terminare il convegno in collegamento video, don Falabretti ha detto: “Se Dio, in Gesù, ci ha mostrato tutta la sua tenerezza per l’uomo, allora lo faccio anch’io… È qui, è soltanto qui che nasce la vera e profonda passione educativa. È questo l’orizzonte più bello che Genova ci lascia nel cuore”.

Tra i 500 partecipanti al convegno, la delegazione della nostra regione era molto numerosa. Quasi tutte le diocesi sono state presenti con vari rappresentanti. Da notare la presenza di alcuni nostri seminaristi, che danno a ben sperare per un futuro impegno in questo settore della pastorale. Nell’atrio del convegno a Genova, un ampio striscione ricordava ai presenti del secondo Happening nazionale degli oratori, che si svolgerà ad Assisi dal 4 al 7 settembre. L’evento vedrà impegnata la Pastorale giovanile regionale nell’organizzazione di questo importante appuntamento nazionale della Federazione oratori Italia.

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Convegno nazionale di pastorale giovanile: temi e prospettive https://www.lavoce.it/convegno-nazionale-di-pastorale-giovanile-temi-e-prospettive/ Thu, 06 Feb 2014 14:40:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22023 GmgSi terrà a Genova la prossima settimana il 13° Convegno nazionale organizzato dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile (Snpg). L’ispirazione per il tema, “Tra il porto e l’orizzone” è venuta – dice don Michele Falabretti, responsabile Snpg – “dal luogo scelto, ovvero il porto antico di Genova. Il porto esprime bene l’idea di accoglienza, di riparo. E la cura educativa è innanzitutto la capacità di custodirti soprattutto nei momenti di difficoltà. Nello stesso tempo, una cura educativa vera è quella che ti permette di ripartire e che ti apre nuovi orizzonti. Un educatore in gamba è pronto ad accogliere il giovane e a lasciarlo ripartire con un percorso di vita senza lasciarlo in mare aperto. Così accende il faro per orientarlo”.

Cosa si propone di dire il convegno a chi si occupa dell’animazione e della cura del mondo dei giovani?

“Il convegno si rivolge a tutti quelli che hanno il coraggio e la responsabilità di farsi carico dei giovani. Le direzioni della navigazione della vita non sono sempre certe, a volte si tratta di provare a uscire in mare aperto e, se necessario, tornare indietro. La capacità dell’educatore è quella di riconoscere il bisogno di gradualità. Il mare aperto è un bisogno di tutti, ci possono essere false partenze. L’educatore è a fianco del giovane perché non si perda”.

Come interloquire con giovani sempre più istruiti, che abitano con i genitori, che non hanno lavoro, che non riescono a mettere su famiglia, che non hanno fiducia nelle istituzioni?

“Ripartendo dalla centralità della comunità cristiana. Non è più il tempo degli ‘esperti di pastorale giovanile’ cui caricare il tema dei giovani come fosse un ‘problema’. Un concetto questo bene espresso nel documento del 1999 Educare i giovani alla fede. La comunità deve farsi carico dei giovani. La situazione è drammatica, ma se ne viene fuori insieme. Non possono essere un prete, due suore e quattro educatori a tenere in piedi una bella esperienza e battere la mano sulla spalla a un giovane dicendogli: ‘Stai tranquillo, che tanto prima o poi un lavoro salta fuori’. Di educatori che sanno suonare la chitarra e che sorridono ma non riescono a cogliere i problemi reali dei giovani non sappiamo che farcene. È urgente ridisegnare la figura dell’educatore”.

Che tratti distintivi deve avere questa nuova figura?

“Innanzitutto deve avere una passione profonda, che sappia spendersi nel momento in cui accetta la sfida educativa, che a volte ti fa andare a mille e a volte ti fa perdere colpi. Ma senza abbandonare i ragazzi. Un educatore che non costruisce solo momenti di festa ma che condivide tutto con i giovani, anche le lacrime, quando non sa più che fare. La cura educativa non è legata solo al ‘saper fare’ ma al ‘saper essere’. C’è bisogno di una passione che torni senza paura alla domanda: perché lo facciamo?”.

Parlava di comunità cristiana. In che modo la Chiesa deve ricalibrare la propria azione pastorale?

“Deve essere una comunità che attiva delle reti, e che tiene lo sguardo aperto sui suoi giovani. La pastorale giovanile non sono le cose che fai per e con i giovani ma è la capacità degli educatori di tornare dagli adulti e fare in modo che tengano l’attenzione alta sulle nuove generazioni. Una pastorale giovanile non può basarsi su una fiducia smisurata negli ‘eventi’ (davanti ai quali comunque non ci si deve tirare indietro; e penso alle Gmg, che sono bellissime). Se tornare a casa, per un giovane, vuol dire non aver futuro, anche quei momenti rischiano di essere un tradimento. Sono l’offerta di un sogno che mai si potrà realizzare. Occuparsi dei giovani a 360 gradi, ma non perché li si considera malati. La cura educativa va intesa come il collocare i giovani dentro la vita di una comunità, accanto agli adulti, agli anziani, ai bambini. Mettere i giovani in condizione di essere persone in grado di ricevere dalla comunità, ma anche di donare”.

Come dire: aiutare i giovani a vivere, e non a campare…

“Aggiungerei anche aiutare i giovani a collocarsi nel mondo. La comunità cristiana può mostrare al mondo che esiste un modo attento e pieno di carità di fare spazio alle nuove generazioni. Allo stesso modo, i giovani devono sapere che la vita si conquista, e che noi non possiamo portare i loro pesi in eterno. Nessun giovane si è mai conquistato uno spazio perché gli adulti o chi gli stava davanti lo ha fatto passare. Nella vita si entra formandosi. La fede non è fuga dal mondo, ma lo strumento che ti permette di entrarci, avendo con te la forza della verità del Vangelo”.

Il convegno

Era il porto e l’orizzonte. Le direzioni della cura educativa” è il tema del XIII Convegno nazionale che il Servizio Cei per la pastorale giovanile della Cei organizza a Genova dal 10 al 13 febbraio. Il convegno è indirizzato agli incaricati diocesani di pastorale giovanile e a coloro che si occupano dell’animazione del mondo giovanile. La scelta del tema si inserisce nel decennio che la Chiesa italiana ha dedicato alla “cura educativa”, inserito in un contesto di fede cristiana. Ad aprire i lavori sarà mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, e a concluderli il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei.

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La foresta buona e silenziosa cresce https://www.lavoce.it/la-foresta-buona-e-silenziosa-cresce/ Thu, 06 Feb 2014 13:59:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21996 Mons. Benedetto Tuzia
Mons. Benedetto Tuzia

“Noi conosciamo la vita delle persone e ne vogliamo testimoniare la dignità, il senso della famiglia, la capacità di dedizione e di sacrificio, la bontà spesso eroica di ogni giorno. Restiamo ammirati della loro fede umile e semplice, e vorremmo che questa foresta buona e silenziosa avesse più voce degli alberi che cadono rumorosi”. Sono parole pronunciate dal Presidente dei Vescovi italiani card. Angelo Bagnasco qualche giorno addietro, che esprimono la conoscenza e la vicinanza dei Pastori nei confronti delle comunità. Fede e bontà sono diffuse nel nostro popolo e hanno “radici profonde e antiche”, segno di un sentire religioso diffuso che è un vero patrimonio del nostro Paese. Per questo i Vescovi ritengono doveroso “dare voce a tanti che non hanno voce e volto, ma che formano il tessuto connettivo del Paese con il loro lavoro, la dedizione e l’onestà”. “L’Italia – ha sostenuto il Presidente della Cei – non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione”. Di qui l’invito a reagire a una visione esasperata che tende ad accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno. “Non dobbiamo credere – ha ribadito – a questo disegno demoniaco che lacera, scoraggia e divide… Nulla deve rubarci la speranza nelle nostre forze, se le mettiamo insieme con sincerità”.

 

forestaFa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce, recita il proverbio. L’invito è a scegliere di parlare della “foresta che cresce”, di allontanarci da quell’albero che cade, di continuare a diffondere un messaggio culturale di speranza. Fa meno rumore una foresta che cresce, lo sappiamo bene. Ma vogliamo essere questi alberi che crescono senza far rumore, per offrire l’ossigeno che contrasta un diffuso inquinamento, e ricordare a tutti – società e individui, politici e persone comuni, giovani e anziani – che l’onestà, il rispetto della dignità di ogni persona è il capitale più grande su cui un Paese deve saper investire e conservare per noi oggi e per le generazioni future. C’è attorno a noi un frastuono continuo di alberi che cadono, talvolta trascinando con sé anche altri “alberi” innocenti. Ma noi non possiamo e non vogliamo attardarci a vedere solo questa parte del mondo! È vero, è una parte rumorosa, che fa scalpore, richiama l’attenzione. Ma lascia sempre più tristi e impoveriti. Siamo convinti che sempre, nella storia e nel nostro presente, esiste una foresta che cresce, assai più bella e positiva, piena di speranza anche nei momenti tristi e difficili. È questa “foresta” che vogliamo imparare a scoprire, nelle nostre vite, nelle nostre esperienze, nelle nostre relazioni, adoperandoci per sostenerne la voce. E vogliamo anche raccontarla e condividerla. Perché non si cresce da soli, ma dentro una foresta: una foresta ricca di differenze e di varietà, di tempi e modi diversi, ma tutta in crescita, insieme. Scopriamola ogni giorno, e soprattutto impegnamoci a esserne parte. È il nostro modo di alimentare la speranza.

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Consiglio permanente Cei, le parole del card. Bagnasco https://www.lavoce.it/consiglio-permanente-cei-le-parole-del-card-bagnasco/ Fri, 31 Jan 2014 15:56:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21884 Il card. Angelo Bagnasco
Il card. Angelo Bagnasco (foto Andrea Coli)

31/01/2014 – Dire “una parola di prossimità” alla gente, per far crescere quella “foresta buona e silenziosa” che è la “fede umile e semplice”, in modo che abbia “più voce degli alberi che cadono rumorosi”. È la scelta del card. Angelo Bagnasco, che nella prolusione al Consiglio permanente della Cei ha usato quel “filo d’oro, forte e duttile insieme, capace di adattarsi senza spezzarsi” che è la gioia del Vangelo per spiegare come i Vescovi italiani vogliano “essere compagni di strada”, e non “censori arcigni”, dell’uomo di oggi, credente e non credente. La revisione dello Statuto della Cei, il Sinodo sulla famiglia, il grande appuntamento del 10 maggio per la scuola in piazza San Pietro con il Papa, sono gli argomenti all’attenzione del “parlamentino” della Cei in questi giorni. “Dio c’entra”, ripete la Chiesa al mondo moderno con voce “alta e mite”. Punto di forza: la cultura del noi che capovolge i rapporti – sociali, economici, politici, fra le nazioni – e funziona come antidoto a “una cultura che sembra una bolla di fantasmi, di miti vuoti, di apparenze luccicanti, di bugie promettenti”. È il noi che ispira la “cultura dell’incontro e del dialogo, per cui ci si ascolta al fine di comprendersi senza finzioni”. È il noi che ci aiuta a contrastare l’immagine dell’Italia come “palude fangosa”, trovando il coraggio di diventare “voce dei senza lavoro” e di superare la tentazione di “omologare tutto e tutti”. A distanza di 14 anni dalla sua formulazione, ha esordito il card. Bagnasco, i Vescovi italiani riprendono in mano lo Statuto della Cei, “alla luce delle attuali circostanze storiche, nel segno di una crescente partecipazione”, su sollecitazione del Papa e dopo aver raccolto il frutto della riflessione delle 16 Conferenze episcopali regionali. Durante il Consiglio permanente, i Vescovi hanno preso in esame il “ricco materiale pervenuto” per un lavoro “attento e proficuo”. “Prossimità” e cultura del “noi”: sono queste le due parole-chiave della prolusione, in cui, tra le proposte, c’è anche quella di “ripensare seriamente delle forme organiche di servizio civile, che siano delle tappe di vita e dei tirocini del noi”. Alla base, quella “visione antropologica veramente umanistica per cui, anche per chi non crede, la persona non solo vive di relazioni ma è relazione; i diritti e i doveri restano tali e i desideri restano desideri; alle cose si riconosce la loro specifica natura, e le differenze vengono dichiarate per quello che sono con rispetto e senza smanie di omologazioni forzate o violente. Nel nostro Occidente – denuncia – sembra di assistere a uno strano paradosso: quanto più si parla di società e di bene comune, di rispetto e di diritti, tanto più si rivela arrogante il disegno oscuro di omologare tutto e tutti”.

Nel nostro Paese, persiste una “grave discriminazione per cui da un lato si riconosce la libertà educativa dei genitori, e dall’altro la si nega nei fatti, costringendoli ad affrontare pesi economici supplementari” ha quindi evidenziato il card. Bagnasco, che ha ricordato che la Chiesa “ha nel suo Dna la missione di evangelizzare e di educare”, e che “il compito educativo oggi è una missione chiave”, come dice Papa Francesco. Ogni anno, chiudere delle scuole cattoliche rappresenta “un documentato aggravio sul bilancio dello Stato, un irrimediabile impoverimento della società e della cultura, e viene meno un necessario servizio alle famiglie”. E proprio “per sostenere l’importanza decisiva della scuola tutta, dell’educazione e della libertà educativa”, i Vescovi italiani hanno promosso “un evento pubblico” per il 10 maggio in piazza San Pietro, al quale Papa Francesco “ha dato non solo la sua approvazione, ma ha assicurato la sua personale presenza”. E ancora: “L’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione”. Il Cardinale ha esortato tutti a “reagire a una visione esasperata e interessata che vorrebbe accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno. A questo disegno, che lacera, scoraggia e divide, e quindi è demoniaco, non dobbiamo cedere”, ha aggiunto, lanciando un forte appello “affinché la voce dei senza-lavoro, che sale da ogni parte del Paese, trovi risposte più efficaci in ogni ambito di responsabilità… Il dibattito sulla riforma dello Stato è certamente necessario”, ma non deve andare “a scapito di ciò che la gente sente più bruciante sulla propria pelle, e cioè il dramma del lavoro”. Tra le urgenze da affrontare, la “situazione insostenibile delle carceri”. La società “ha bisogno di lavoro e di famiglia”. Con questo binomio Bagnasco ha concluso la prolusione, citando il lavoro di consultazione “grande e capillare” fatto dalla Chiesa italiana in vista del prossimo Sinodo sulla famiglia, e auspicando che quest’ultima sia “sostenuta da politiche più incisive ed efficaci anche in ordine alla natalità, difesa da tentativi di indebolimento e promossa sul piano culturale e mediatico senza discriminazioni ideologiche”.

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Custodire l’umanità. I temi trattati al convegno https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-i-temi-trattati-al-convegno/ Mon, 02 Dec 2013 20:11:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20895 Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Immagini dal convegno “Custodire l’umanità”

«Papa Francesco ricorda con molta insistenza che il Vangelo è seme di umanesimo nella storia. Bisogna che riemerga questa potenza umanizzante del Vangelo per il mondo di oggi e il Convegno di Assisi, con i suoi numerosi e autorevoli relatori, offre questa forza umanizzante del Vangelo in preparazione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana dedicato al tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” , che si terrà a Firenze nel novembre 2015». A dirlo, a margine della sua “lezione inaugurale” (il testo integrale della relazione), è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo all’apertura del Convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”, che si è tenuto il 29 e 30 novembre a Santa Maria degli Angeli in Assisi (Teatro Lyrick). Il convegno era poromosso da Conferenza episcopale umbra (Ceu), Progetto Culturale della Cei, Università degli Studi e per Stranieri di Perugia.
Il tema scelto per questo importante evento culturale, ha evidenziato il cardinale, «riprende quanto il Santo Padre Francesco ha annunciato all’inizio del suo Pontificato, e che richiama alla Chiesa universale con parole e azioni».
«Come discepoli per grazia, ma anche in quanto persone, siamo chiamati a prenderci cura dell’umanità là dove vive – ha proseguito il presidente della Cei –. Ci si addentra n

elle periferie – termine riccamente evocativo – non con una strategia di assalto, ma con la temperatura del cuore. Siamo qui per questo: ogni altra ottica sarebbe offensiva. Ma che cosa sono le “periferie”? Da un punto di vista sociologico sono i luoghi fuori dal “centro” della città; in senso più ampio, lontani dal potere, dagli apparati delle decisioni. Ma, intermini  più radicali e universali, le periferie sono i luoghi e le situazioni di lontananza dal centro più profondo dell’umano che è la verità, l’amore, la giustizia. Quando si vive vicini a questo centro allora si è centrati, e le altre distanze sociologiche diventano secondarie. Viceversa, quando siamo decentrati rispetto al bene e alla verità, all’amore a alla giustizia, allora vivere nel centro del potere, del successo, della salute, non cancella il nostro essere dolorosamente periferici rispetto a ciò che vale».

Alla sessione di apertura del Convegno sono intervenuti, oltre al cardinale Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Assisi e vice presidente della Ceu mons. Domenico Sorrentino, il vescovo di Città di Castello mons. Domenico Cancian, delegato Ceu per la Commissione regionale dei Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace e la Salvaguardia del Creato, e Vittorio Sozzi, del Progetto Culturale della Cei.
Mons. Sorrentino ha evidenziato che «custodire l’umanità tocca il nostro vissuto, ha a che fare con le nostre preoccupazioni più radicali e le nostre speranze più vive, e ci spinge a misurarci senza paura con il rischio che forse per la prima volta l’umanità corre in modo così vasto e globale: quello di smarrire la sua identità». Interessante il riferimento del presule al  Cantico delle Creature di san Francesco da cui si sviluppa anche quell’orizzonte attuale sul creato. «Un cantico che è una preghiera di grande profilo umanistico – ha detto mons. Sorrentino – è posto nell’inclusione tra due prospettive umanistiche, che inseriscono la contemplazione della creazione dentro una cultura del dono e una cultura della speranza di cui abbiamo assolutamente bisogno per custodire la nostra umanità».
E’ stato quindi mons. Cancian a sottolineare nel suo saluto il senso plurimo  del verbo custodire che «evoca chiaramente la dimensione contemplativa dell’uomo che trova la sua massima espressione in Maria».

«Custodire è anche accogliere con attenzione e rispetto – ha aggiunto mons. Cancian –, meditare e cercare di comprendere, essere consapevoli di avere in dono qualcosa di Santo e di sacro che non può essere perduto, trascurato, usato a piacimento, consumato secondo il principio narcisistico dell’usa e getta. Tale atteggiamento del custodire è riferito al Creatore, all’umanità specie dei più deboli e fragili, quelli che papa Francesco chiama le periferie esistenziali».

Sozzi ha ricordato come «l’impegno culturale della comunità cristiana non può mai limitarsi ad una semplice analisi sociologica o all’applicazione di categorie ideologiche, ma si caratterizza come vero e proprio servizio all’uomo: un servizio che rianima la speranza e apre prospettive impensate».

Facendo riferimento all’attuale momento di crisi che, come ha ricordato papa Francesco, sembra generare rassegnazione e pessimismo,  Sozzi ha sottolineato che «se la crisi è affrontata con un giusto discernimento può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei modelli economico-sociali per recuperare l’umanità in tutte le sue dimensioni».

Nella seconda sessione della mattinata sul tema “Quale modernità 
post-secolare?” sono intervenuti  Andrea Riccardi, Salvatore Natoli e mons. Bruno Forte.

Andrea Riccardi docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre e già ministro della Repubblica,  ha proposto interessanti spunti di riflessione sul tema “I cristiani e la globalizzazione”.Il lungo processo  della modernità ha messo in campo le molte opportunità legate alla globalizzazione ma con esse le tante problematiche socio-economiche e culturali. «Un effetto della globalizzazione – ha detto Riccardi – è la crescita del senso individuale della vita, che ha allentato legami sociali e ha sradicato movimenti di massa. E’ la crisi di tante forme comunitarie e la forma normale di vita diventa individuale. Di contro si sviluppa l’insicurezza, il mondo appare multipolare».

Andrea Riccardi ha anche parlato di scontro di civiltà, dei rapporti con l’Islam, di altre globalizzazione che si sono verificate nel passato: «a sua maniera il cristianesimo nasce come globalizzazione al di là delle frontiere etnico-linguistiche-culturali». La globalizzazione è un avvenimento che non ha trovato i cristiani impreparati «nella globalità del Concilio ed extra  Concilio si comincia  a vivere con gli altri in un mondo complesso in cui matura una teologia positiva dell’altro – ha aggiunto Riccardi –. Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.

Politiche della felicità: giustizia e beni comuni” è stato il tema trattato dal prof. Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca. «Il processo di secolarizzazione ha portato nella modernità europea ad una progressiva perdita di riferimento alla trascendenza. Oggi ci troviamo in un passaggio d’epoca che definirei secolarizzazione della secolarizzazione, dall’attesa della fine dei tempi si è passati al tempo senza fine cercando di rendere migliore il dimorare degli uomini sulla terra e verso il raggiungimento della felicità massima. Ma sono necessarie politiche finalizzate alla giustizia e beni comuni nel distribuire equamente la ricchezza e salvaguardare la terra. In questo contesto il cristianesimo è ancora attuale con il suo messaggio d’amore e di carità ed in questo riesce ad essere influente e su questa strada è il suo futuro possibile».

A chiudere la sessione è stato l’intervento di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e apprezzato teologo, sul tema “Custodire l’umanità oltre l’utopia e il disincanto. L’umanesimo cristiano alla prova del post-moderno”.  Dal totalitarismo della ragione moderna alle ideologie nichiliste, il trionfo del soggetto e della ragione nel disconoscimento della trascendenza portano alla ricerca di vie altre per l’uomo nel rapporto con l’Assoluto, nella sua condizione filiale «la proposta dell’umanesimo cristiano – ha detto mons. Forte – s’incontra oggi con modelli diversi di umanesimo che ispirano tante opzioni speculative e stili di vita. Un primo modello è quello dell’umanesimo religioso aperto alla trascendenza  come condizione che rende autentica ogni esperienza religiosa e che va rispettata in ogni forma di ricerca del divino. Un secondo modello potrebbe essere quello aperto alle questioni ultime, ma non coniugate ad un’esplicita opzione di fede anche se aperte al dialogo e alla ricerca comune. Un terzo modello di umanesimo è costituito dal cosiddetto pensiero debole, cioè che si chiude pregiudizialmente alla possibilità del trascendente e alle domande che lo riguardano. Certamente la proposta cristiana si pone come critica nei confronti di questo pensiero».

«In questo la proposta cristiana si offre come un nuovo umanesimo – ha concluso mons. Forte – proprio per la sua forza di suscitare novità di vita nell’accoglienza del dono “dell’altro”. Ai cristiani è richiesta una perenne novità di vita, e con essi ai credenti di altre fedi, ai non credenti in ricerca, agli indifferenti. Nei loro confronti è richiesto uno stile di annuncio fatto di presenza irradiante nella fede e nella carità, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare il cuore dell’uomo».

Alla prima sessione pomeridiana dedicata a “Economia e società”, sono intervenuti gli accademici Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, di Luigino Bruni, docente di Politica economica alla Lumsa di Roma, e Adriano Fabris, docente di Filosofia morale all’Università di Pisa.
Magatti ha aperto il suo intervento facendo un excursus sulla crescita economica dal secondo dopoguerra ad oggi, che «il processo di accumulazione, coinvolgendo nuovi strati sociali, ha virato verso una progressiva socializzazione». La corsa all’accumulazione, ha ricordato il docente, ha avuto già negli anni ’70 il suo culmine rispetto a un termine più lungo che era stato programmato. Da qui la crisi mondiale che oggi si vive. Oggi «la mera espansione finanziaria non può costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica, ma è necessario un ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore. Un contributo importante dovrà avvenire da nuove forme di accumulazione sociale e culturale, ossia la cura dei luoghi e delle persone patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società sono alla ricerca».

Bruni si è soffermato sul concetto della «custodia dell’umanità» che «oggi passa anche per certi versi soprattutto dalla custodia dei beni comuni». La sua relazione ha trattato, da una prospettiva economica, in particolare, «le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche».

Fabris ha incentrato il suo intervento sul denaro «come forma di relazione degli esseri umani fra loro» e come questo rapporto abbia modificato rapporti socio-economici. «Il denaro oggi – ha detto il docente – si è fatto virtuale, autoreferenziale: è uno dei modi in cui si attua l’autoaffermazione delle nuove tecnologie provocando conseguenze sbagliate e ingiuste». L’evoluzione in positivo dell’attuale crisi economica è nella critica dell’attuale modo di agire e «nel promuovere, attraverso il giusto uso del denaro, relazioni buone».

Nell’ultima sessione della prima giornata sono intervenuti Philip Jenkins, docente di Storia alla Baylor University (Usa), mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, Franco Vaccari, docente e fondatore di “Rondine-Cittadella della Pace” (Arezzo) e l’ambasciatore palestinese a Londra Manuel Hassassian, docente di Scienza politica all’Università di Betlemme.

Il professor Jenkins ha sostenuto che, «per quanto riguarda le situazioni di conflitto e violenza del mondo contemporaneo, prevalentemente situate nel Medio Oriente islamico, ma anche nell’Asia orientale, si prospetti un possibile futuro di pace e di parallela diminuzione dell’estremismo. Ciò attraverso l’europeizzazione dell’Islam in corso, visibile anche nel mutamento della concezione della donna che, combinata con un processo di secolarizzazione, condurrà nel breve termine alla riduzione di violenza e conflitti. Questa secolarizzazione incrementerà però, nel lungo periodo, individualismo e atomizzazione della società».
«Nei conflitti in cui lo scontro sarà tra le ambizioni degli Stati, da una parte e la difesa dei diritti dell’ individuo e delle comunità dall’altra – ha evidenziato il docente statunitense –, i gruppi e le istituzioni religiose giocheranno un ruolo fondamentale affrontando il bisogno urgente di definire e difendere questi diritti. In ciò i cristiani  troveranno una causa comune con le altre fedi, inclusa l’Islam. Il conflitto si trasformerà dunque in una sfida culturale non violenta tra valori religiosi e valori secolari».

Mons. Nazzaro ha ripercorso le tappe della storia siriana riportando l’esperienza vissuta in prima persona a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Egli ha messo in luce come le varie culture religiose avevano imparato a convivere come «figli della stessa patria con tradizioni diverse» fino al marzo 2011. Mons. Nazzaro ha sostenuto che «i conflitti scoppiati in seguito alla Primavera Araba non siano da considerarsi una guerra civile tra musulmani e cristiani, come risulta il più delle volte dall’informazione dei media, ma piuttosto una guerra tra l’esercito e le frange di al-Qaeda».
L’ambasciatore Hassassian, ricollegandosi all’intervento del professor Jenkins, ha manifestato il proprio ottimismo per quanto riguarda la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, «a condizione che la pace non venga imposta come “diktat” da parte di Israele come avvenuto in passato, ma come effettiva trattativa mediata dall’intervento dell’Unione Europea».

Il professor Vaccari ha portato l’esperienza costruttiva di pace di “Rondine”  intervenendo sul tema “Guarire le relazioni per giungere alla pace”, in particolare soffermandosi sulle tante “periferie del mondo”. «Non solo nei territori di guerra – ha evidenziato Vaccari –, ma in ogni società succedono crescenti disarticolazioni ad ogni livello sociale cultuale, politico, umano, della relazione e quindi la disarticolazione del tessuto sociale crea milioni, miliardi di periferie e il cuore e la mente diventano deserto piano piano, si desertifica l’umanità. Dobbiamo costruire una cultura nuova della relazione con l’altro e dentro questa relazione forte, la persona si può ritrovare, esprimere il dolore, superare il conflitto e ricostruirsi».
Soffermandosi poi sul concetto che «la relazione ha un aggettivo forte, che è la custodia», Vaccari ha detto: «noi a “Rondine”, infatti, viviamo un laboratorio di custodia reciproca quotidiana: i giovani che vengono qui dai luoghi di guerra accettano la sfida per vedere se lontano dalla propaganda che avvelena il cuore e la mente possono custodirsi reciprocamente, da nemici diventare amici. L’israeliano accoglie alla stazione il palestinese e lo porta a Rondine come suo custode e viceversa. Questa è l’esperienza che dice che la strada di una relazione ricompresa ed educata è la via per la risoluzione di ogni tipo di conflitto».

Alla relazione di Vaccari è seguito un breve ma significativo intervento di un giovane israeliano ospite di “Rondine”, che ha affermato: l’esperienza di convivenza é riuscita ad abbattere il «muro non solo fisico ma anche mentale» che divide gli israeliani dai palestinesi, portandoli entrambi e considerarsi semplicemente come amici.

SECONDA GIORNATA
La prima sessione era dedicata ai destini delle utopie del Novecento e alla famiglia con i contributi di Lucetta  Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma,  Roberto Volpi, statistico e saggista, e  Adriano Pessina, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano.

Scaraffia ha affrontato il tema della rivoluzione sessuale come crisi di un’utopia e uno degli effetti della secolarizzazione e dei cambiamenti della morale legata alla sessualità:  “E’ stata una delle trasformazione più grandi in Occidente, un cambiamento che ha inciso sulla morale sessuale, abbandonando  quella cristiana verso altre vie. Sono cambiati molti da allora i rapporti tra i sessi, le modalità del concepimento separando la procreazione dalla libertà della vita sessuale”. Una delle conseguenze maggiori di questa rivoluzione è stata a scapito della famiglia: “ Liberi da ogni morale sessuale, la famiglia orienta le sue scelte in modo diverso specie in riferimento ai figli, che sono voluti e si sceglie quando farli nascere ritenendo che i figli voluti crescono meglio, guardando  quindi alla qualità rispetto alla quantità.

Cresce una propaganda armonistica a favore dalla coppia e della famiglia, che considera il cattolicesimo contro la felicità umana.  Oggi possiamo dire che erano ideologie infondate e troppo sbandierate e gli effetti propagandati non si sono verificati per la famiglia e le difficoltà hanno colpito le famiglie disagiate”. In conclusione gli aspetti positivi di questi grandi cambiamenti: “Oggi si possono affrontare i problemi sessuali con maggiore serenità – ha detto Scaraffia – si ha un maggiore rispetto delle ragazze madri, il rispetto per il corpo femminile e la condanna di ogni forma di violenza sulle donne.  La Chiesa ha chiarito meglio la sua posizione su questi temi e operato per il bene dell’essere umano”.

Della questione antropologica familiare si è occupato Volpi tracciando un quadro storico sociale della famiglia tradizionale che ha espresso il massimo della sua forza nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. “Tutti si sposavano in giovane età – ha detto Volpi – e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d’ingresso nella società adulta,  uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”. La situazione attuale sembra invece portare ad una rivoluzione fallimentare della famiglia, passata da un atteggiamento sociale di tipo aggressivo a difensivo. E i numeri parlano chiaro con la decrescita demografica, con l’invecchiamento della popolazione dove 1 persona su 6 s trova nella fascia tra gli 0 e i 17 anni mentre  12 milioni sono gli over 65 su un totale di 60 milioni. “Una famiglia stanca e decrepita dove mancano i ragazzi che sono il collante delle famiglie con la società – ha detto Volpi -. Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell’economia e il bassissimo grado di mobilità sociale  specie in Italia. Sono cresciute le famigli uni personale al 30 per cento  e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.

Una riflessione sull’uomo come capitale umano posto al centro del mercato biotecnologico che permette nuove forme di benessere personale è stato il tema dell’intervento di Adriano Pessina. “E’ impensabile conservare l’uomo così, perché il dibattito sul potenziamento dell’uomo si salda ormai con il superamento della condizione e della natura umana – ha detto Pessina -. In questo s’inserisce la possibilità per l’uomo di progettare la propria vita, il desiderio di un benessere che porti alla felicità ma che stride con l’insoddisfazione della condizione umana di oggi. Le  modifiche  genetiche, le migliori intelligenze aiutate dalla scienza che dipendono dal mercato portano sempre più ad un soggettivismo solipsistico. L’uomo deve fare i conti però con la propria finitezza. Del resto il finito e l’infinito si sono riconciliati nella persona di Cristo e questa è la sola strada del nuovo umanesimo”.

Alla seconda sessione dedicata a “L’uomo, l’arte e il sacro” hanno relazionato mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore (Firenze), e  Sergio Givone, docente di Estetica all’Università degli Studi di Firenze.

Mons. Verdon ha proposto una riflessione sulla «funzione dell’arte sacra cristiana» a partire dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Giotto, che rappresenta l’epoca in cui l’espressione artistica era indissolubilmente legata alla sfera cristiana, ci propone l’uomo Francesco come colui che «pregando percepisce nel cuore la forza del linguaggio divino». Linguaggio divino che si fa pane e si confonde nel «puzzo dei bassi fondi dell’Urbe» nella famosa Vocazione di San Matteo del Caravaggio: il linguaggio dell’artista è «efficace come indagine religiosa» per quanto sconcertante per il pubblico cristiano dell’epoca. L’arte va quindi verso la visione di Cristo «come l’anti-eroe» per eccellenza (Rembrandt), Colui che va a cercare l’uomo nella sua «periferia esistenziale». Ma, col passare dei secoli fino alla società odierna, «il genere umano, reso insensibile dal benessere, immobilizzato dai piaceri», reputa «politicamente scorretto e addirittura offensivo» realizzare opere che facciano chiara allusione a Cristo (Wallinger) o alla fede in genere. Ma ciò che di fatto emerge dalle opere degli artisti di oggi è una «ricerca spirituale focalizzata sull’uomo ma paradossalmente priva di Dio» (Viola), in cui «traspare tuttavia, anche se in maniera confusa, la sete di salvezza, la fame di senso e di vita vera». «La Chiesa – ha concluso mons. Verdon – con la sua millenaria tradizione di bellezza, deve andare incontro all’uomo» e noi cristiani siamo chiamati a «rispondere a quanti sperano da noi qualcosa dell’arte del vivere evangelico».

Givone ha ricordato come «a partire dai secoli  XV-XVI il processo di secolarizzazione sembra allontanare l’arte dal sacro. Se in passato “la penna dei profeti riusciva ad intingersi nell’essenza del divino”, successivamente l’uomo ha dovuto confrontarsi con la natura, come dimostra la teoria di Galileo Galilei riguarda alla «secolarizzazione della Natura». Nel contempo, ha sostenuto il docente, «emergono teorie e tecniche che ripropongono un’ idea dell’arte in cui il sacro ricopre un ruolo preponderante: la tecnica della prospettiva lineare, a partire da Masaccio, la teoria vichiana del singolo, la poetica di Bach del contrappunto ( l’arte della fuga), ma anche in epoca contemporanea nella visione del sociologo Adorno, nello scrittore Joyce e nell’artista Kandinskij».

La prima sessione del pomeriggio “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia”, ha visto intervenire due docenti universitari di Storia contemporanea, Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli.

Galli della Loggia ha fatto un excursus storico dell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica e istituzionale del Paese dal Risorgimento ad oggi, evidenziando il loro fondamentale contributo nei momenti più difficili della storia d’Italia. Inoltre, non ha tralasciato anche i momenti molto forti di tensione tra la Chiesa e gli stessi cattolici impegnati ad iniziare, come l’ha definito lo stesso docente, dal «padre unico della Repubblica italiana, Alcide De Gasperi».
Galli della Loggia ha ricordato l’impegno, universalmente riconosciuto, dei cattolici e della stessa Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa «socio fondatore della Repubblica». Soffermandosi sull’odierna società italiana «corrotta fino al marciume», lo storico ha sostenuto che «per rimuovere questo marciume occorre mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico».
A margine del suo intervento, Galli della Loggia ha sostenuto che: «non si costruisce la politica sulla fede, ma la fede può produrre l’entusiasmo necessario per animare la politica che si costruisce intorno a delle ideologie e a dei valori».

Giovagnoli ha centrato il suo intervento sul bene comune alla luce del magistero di papa Francesco che «ha sviluppato un originale riflessione sul tema dell’amicizia politica, quale via privilegiata per realizzare una dinamica di sviluppo al servizio di tutti per contrastare la conflittualità esasperata favorita dall’individualismo consumista».
«Nell’ottica del bene comune – ha evidenziato Giovagnoli –, il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità».
«Oggi i cattolici – ha concluso il docente – sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale».

Alla Sessione conclusivaL’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, coordinata da Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano», sono intervenuti il professor Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo, che ha relazionato sul “potere tecnologico e povertà evangelica”, offrendo ampi spunti di riflessione sull’odierna «crisi radicale dell’umanesimo», e l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu e vice presidente della Cei.
Mons. Bassetti, nel «tirare le fila» del Convegno, non ha esitato a definirlo straordinario e sorprendente: sia per la qualità degli interventi, che per la grande risonanza di pubblico che ha avuto questo convegno. Per questo motivo non posso che iniziare ringraziando calorosamente tutti i relatori e il pubblico numerosissimo che è venuto qui ad Assisi anche da fuori regione e che ha dimostrato, in questa due giorni, un’attenzione costante: ho notato che moltissimi scrivevano prendendo appunti e sono tantissimi coloro che ci hanno già richiesto gli atti».
«Voglio ringraziare anche tutte le associazioni e le realtà ecclesiali della regione che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa – ha proseguito il suo intervento mons. Bassetti il cui testo integrale è consultabile sul sito www.chiesainumbria.it –. Un’iniziativa complessa e molto impegnativa che è stata realizzata grazie allo sforzo progettuale di alcuni giovani intellettuali supportati, con grandissima partecipazione e competenza, da un gruppo di giovanissimi volontari, per lo più studenti, che hanno dato tutto se stessi per il successo di questa iniziativa. E ringrazio, infine, non certo ultimo per importanza, il Signore che ha permesso tutto questo. Che ha fatto sì che, attraverso percorsi inattesi e inesplorati, per due giorni, qui ad Assisi, alcuni tra i più importanti intellettuali laici e cattolici del nostro Paese, e non solo, si incontrassero e dialogassero intorno alle parole di papa Francesco: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”».

«Questo incontro – ha evidenziato il presule – è il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all’interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. Molti degli interventi di questi giorni sono partiti proprio da questo assunto di fondo».
«La grande narrazione del tempo presente – ha detto mons. Bassetti – è caratterizzata dal paradigma della “crisi economica” a cui si aggiunge quello dell’agonia e del “declino” del mondo occidentale. Un declino, secondo alcuni ineluttabile, i cui effetti sarebbero sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei debiti pubblici degli Stati si legano, inesorabilmente, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e con l’aumento di comportamenti antisociali. Il magistero della Chiesa cattolica ormai da anni insiste, giustamente, nel ritenere che alla base di questa lancinante crisi economica si colloca una profonda crisi morale dell’uomo moderno…, che vive in un indefinito e opprimente presente, con sempre meno consapevolezza del proprio passato e della propria storia e, di conseguenza, con sempre meno capacità di proiettarsi nel futuro.
«Uno dei fattori più inquietanti, preoccupanti e più drammatici di questa difficilissima crisi morale-economica – ha proseguito mons. Bassetti – è proprio questa rottura del patto tra le generazioni, tra i vecchi e i giovani, che di fatto sta scaricando dolorosamente il peso maggiore della crisi sui nostri figli e sui nostri nipoti. Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione».

«I dati pubblicati ieri dall’Istat sul tasso di disoccupazione giovanile in Italia – sottolineato il presule – lasciano sgomenti: il 41% dei giovani non ha un lavoro. È il dato peggiore dal 1977 ad oggi. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dei dati economici, ma un drammatico vuoto esistenziale, una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? Questa consapevolezza della crisi morale-economica della nostra società non deve, però, in alcun modo, farci perdere la speranza e farci distogliere lo sguardo dalla bussola della nostra vita, che è sempre indubitabilmente Cristo».
Poi mons. Bassetti si è soffermato sul «gesto che ha smosso la storia» nel 2013, le dimissioni di Papa Benedetto XVI, definendole «un gesto di cui non si può non sottolineare l’umiltà, la libertà e la fede profondissima. Un gesto a cui noi oggi guardiamo con ammirazione, devozione e gratitudine. Un gesto, dicevo, che ha mosso la storia, che ha aperto strade nuove e inaspettate, come l’arrivo di un nuovo pontefice “preso dalla fine del mondo” e che, tra le moltissime novità che si potrebbero sottolineare, ha preso, per primo, il nome del poverello d’Assisi, San Francesco. Questo tempo, dunque, non è soltanto un tempo segnato dalla crisi economica, ma è indubbiamente un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti. Per la Chiesa questo tempo è, indiscutibilmente, il tempo dell’annuncio. Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo».

«Una chiesa che per sua natura, dunque – ha evidenziato ancora l’arcivescovo –, non può che essere missionaria e che, soprattutto, deve avere “le porte aperte” per “uscire verso gli altri” e “giungere alle periferie umane”. Verso quelle periferie dell’esistenza, in cui le povertà materiali si assommano alle povertà relazionali, e “verso quei luoghi dell’anima” – come abbiamo scritto nel messaggio iniziale di questo convegno – “dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere, nella speranza che l’umano, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile della tecnica, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale”».
«La Chiesa altro non è che il piccolo gregge – ha sottolineato mons. Bassetti avviandosi alla conclusione –, il popolo viandante lungo i sentieri del tempo, nella compagnia con gli uomini e le donne fratelli e sorelle, votato non al proprio tornaconto, non all’acquisizione di qualsivoglia posto di prestigio, di rendita, di potere: ma al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo, con sguardo di amore preferenziale rivolto a chi abita le “periferie esistenziali” del mondo moderno».
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Circa un migliaio sono stati i partecipanti (provenienti da undici regioni italiane) a questo evento culturale umbro di respiro internazionale per i relatori esteri che interverranno. Molto coinvolto anche il mondo dei media con più di cinquanta giornalisti provenienti da tutt’Italia e l’iniziativa del “Salotto delle interviste” a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori.

Inoltre, la segreteria organizzativa del Convegno, evidenzia anche il grande interesse che ha suscitato il tema “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” nelle Scuole superiori dell’Umbria (vi hanno partecipano circa 200 studenti di una decina di Istituti) e nelle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.

Al termine della sessione sull’arte, sabato mattina  è stata presentata l’importante Mostra fotografica “Aure”, come contributo-testimonianza artistico al Convegno, dalla sua stessa autrice, la giornalista e documentarista polacca Monika Bulaj. Sono scatti dedicati ad importanti temi di ricerca quali: i confini delle fedi (mistica, archetipi, divinazione, possessione, pellegrinaggi, corpo, culto dei morti), minoranze, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Asia, Europa e Africa.

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Resoconto tratto da www.chiesainumbria.it

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Il sito web del convegno: www.custodireumanita.it/

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“Reportage” di don Saulo Scarabattoli dal Convegno nazionale dei cappellani delle carceri https://www.lavoce.it/reportage-di-don-saulo-scarabattoli-dal-convegno-nazionale-dei-cappellani-delle-carceri/ Thu, 31 Oct 2013 13:23:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20363 Foto di gruppo dei cappellani con papa Francesco
Foto di gruppo dei cappellani con papa Francesco

Il Papa in carcere? Sì, mercoledì scorso, 23 ottobre, è come se Papa Francesco fosse entrato in carcere – o meglio, in ognuna delle oltre 200 carceri sparse sul territorio del nostro Paese. “Dite ai carcerati che il Papa prega per loro… Dite che Dio abita anche nelle loro celle”. Eravamo 150 cappellani, provenienti da ogni parte d’Italia, a Roma per il nostro Convegno nazionale. Erano passati 15 anni dal convegno precedente, anche se rappresentanti di tutte le regioni, in genere due volte l’anno, ci incontriamo con il responsabile generale (ispettore, si chiama) per riflettere e offrire indicazioni al lavoro di ognuno di noi. Il Papa ci ha aperto il suo cuore, come è solito fare, e ci ha confidato alcuni sentimenti ed esperienze degli incontri che ha potuto avere con questi uomini, e donne, e anche ragazzi, prima a Buenos Aires e poi in Italia (ancora solo nel carcere minorile di Casal del Marmo, Roma). Chi vede i carcerati solo attraverso la lente – deformata! – delle notizie di cronaca nera, non riesce ad avvicinarsi al mistero della loro vita, al mistero di ogni vita. La cronaca, per forza di cose, riporta la fotografia solamente esteriore e superficiale dei protagonisti.

Ma il “cuore” delle persone è ben al di là del racconto dei fatti… Il Papa ha confidato che, quando andava a parlare con qualcuno che aveva commesso un delitto, alla fine dell’incontro aveva come una specie di visione: se anche lui si fosse trovato nelle stesse situazioni (di abbandono, di solitudine, di disperazione, di angoscia) di quelle persone, chissà se avrebbe avuto la stessa sorte? Perché loro sono lì, e noi invece siamo qui?Una domanda, questa, che ogni cappellano, penso, si pone quando entra nel “recinto” – lì dove i rumori della cronaca, e l’urlo dei titoli dei giornali, svaniscono, e resta la persona con il suo volto che, visto da vicino, è così diverso dalle foto di prima pagina! Guardare le persone negli occhi – a volte persi, spenti, a volte avidi di luce… – ti dà la sensazione di entrare in uno spazio “sacro”, che non puoi attraversare senza aver tolto i calzari (un po’ come Mosè davanti al roveto ardente). Lo so che possono sembrare parole di circostanza, retoriche e anche fastidiose per certe orecchie: ma noi che le incontriamo tutti i giorni, sentiamo che questo è vero… Ed è anche l’unico modo di entrare in relazione vera (“comunione”, diciamo da cristiani) con il mistero della loro vita. Ce lo ha detto, nel momento della adorazione, anche mons. Bregantini, che all’inizio del suo ministero da prete è stato cappellano nel carcere di Palmi, in Calabria – dove poi ha impegnato la sua vita da Vescovo per liberare gli uomini dalle grinfie delle mafie -: si tratta di assomigliare a Ruth (protagonista del libro omonimo della Bibbia), che è entrata nel popolo che non era suo, condividendo poi tutto… Se noi cappellani, ha sottolineato Bregantini, non “entriamo” nel popolo dei carcerati, saremo degli impiegati, non i pastori inviati dal Pastore ad assorbire l’odore – a volte sgradevole! – delle pecore.

Nei tre giorni del convegno abbiamo potuto riflettere ancora, e celebrare con altri vescovi e anche con il card. Bagnasco, attuale presidente dei Vescovi italiani (Cei). Ma l’emozione più profonda l’abbiamo vissuta alla testimonianza di due donne, ambedue vedove perché alcuni assassini hanno ucciso i loro mariti. La cronaca del loro dramma è apparsa viva davanti a noi nel dolore del loro racconto, nella emozione della voce, nelle lacrime ancora lì, sulla soglia degli occhi, come quel giorno (del 1980 per l’una, del 2011 per l’altra). Erano un carabiniere e un poliziotto, che mentre esercitavano il loro lavoro, sono stati uccisi in maniera crudele e gratuita… Si può perdonare chi ti ha ucciso un marito – o un figlio, o un genitore? No, non è possibile – con le nostre povere forze. Ma Claudia e Lina hanno testimoniato che, guardando al Crocifisso, magari dopo mesi e anni di stordimento e di preghiera, hanno sentito nascere dentro di loro questa dolcezza e questa pace. E hanno sentito di poter incontrare gli assassini dei loro mariti, e hanno vissuto il miracolo di un abbraccio che non veniva da loro, ma era il prolungamento di quello che Gesù ha dato al ladrone pentito. Gli studiosi la chiamano “giustizia riconciliativa”; noi la possiamo chiamare meraviglia dell’amore che nasce da Dio. Un convegno per riempire il nostro cuore di cappellani di tante emozioni. Con la gioia di essere anche noi, umilmente, a operare in un settore di quell’“ospedale da campo” che, come dice Papa Francesco, è – deve essere! – la Chiesa.

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Casavola (Cnb): sui temi di bioetica, confronto senza pregiudizi https://www.lavoce.it/casavola-cnb-sui-temi-di-bioetica-confronto-senza-pregiudizi/ Thu, 17 Oct 2013 12:01:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20168 legge-omofobia-protesta-genderLa bioetica è un campo in cui “il legislatore dovrebbe intervenire il meno possibile”, cioè “solo quando è indispensabile indicare un comportamento come doveroso o vietarne un altro quando è inaccettabile per la morale collettiva”. La legge aurea, in questo campo, consiste nel “rispettare il tribunale interiore della nostra coscienza” e nel proseguire sulla via del “dialogo costruttivo” tra cattolici e laici, tenendo conto della diversità delle posizioni, ma cercando al tempo stesso un denominatore comune rivolto al bene comune del Paese. Francesco Paolo Casavola, confermato in questi giorni presidente del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), sintetizza così il mandato dell’organismo appena rinnovato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Lo abbiamo intervistato.

Il Cnb si rinnova: con quali obiettivi?

“Alla base dell’attività del nuovo Comitato, come si evince già dalla sua composizione, c’è l’idea di allargare lo spettro delle competenze, che consentirà di conseguenza di allargare i temi dei gruppi di lavoro, dai quali poi scaturisce la produzione di pareri e documenti. Tra i nuovi membri del Comitato ci sono infatti uno psichiatra esperto di neuroscienze, un esperto di diritto comparato, un neonatologo, un economista sanitario, un esperto di medicina legale e un avvocato che opera in questo ambito, con il valore aggiunto di una grande esperienza nel contenzioso. Tutte competenze, queste, non ancora presenti nella composizione del Comitato appena scaduta”.

Quali sono i “fronti caldi” su cui vi concentrerete?

“Dobbiamo seguire i mutamenti morfologici della nostra società. La demografia ci segnala un’estensione costante della fascia degli anziani, che comporta una straordinaria quantità di problematiche: dalla biomedicina all’applicazione delle nuove tecnologie per le protesi e il sostegno alla ridotta o assente autonomia, fino alle patologie di carattere psicologico e psichiatrico. All’interno del Cnb, il dibattito su questi e sugli altri temi legati alla bioetica avviene collegialmente nelle plenarie, non è semplicemente l’espressione dei singoli componenti”.

Il card. Bagnasco si è detto preoccupato per il rischio della perdita della “differenza”, tra i sessi e le generazioni. Quale contributo può arrivare da un organismo come il vostro?

“Il tema dell’orientamento sessuale è oggi oggetto di un turbamento collettivo: basti pensare alla questione dell’omofobia e alla richiesta dell’omologazione agli eterosessuali anche per quanto riguarda il rapporto familiare. Sono problemi scottanti, ma che vanno affrontati senza pregiudizi, tenendo conto che la società cambia, ma che non tutto deve essere omologato. Il principio da cui si parte è naturalmente il rispetto della persona, ma il matrimonio tra un uomo e una donna è un’altra cosa: le diversità vanno salvaguardate, non omologate. Altrimenti, il rischio che si corre è quello di una discriminazione al contrario”.

Anche il tema dell’inizio e della fine vita continua a essere messo a dura prova.

“La procreazione assistita, e in particolare tutto quanto attiene alla fecondazione eterologa, l’aborto, l’eutanasia: sono alcuni dei grandi problemi della bioetica che sono sempre sul tappeto. L’eutanasia, ad esempio, non va intesa come una psicosi per cui tutti corrono a uccidersi, come possono far pensare anche alcuni gesti clamorosi di persone importanti in questi giorni, che vanno inquadrati invece come momenti di una solitudine tragica. La tendenza naturale di ognuno di noi è a protrarre la vita. Papa Francesco ci insegna a vedere dovunque la possibilità che si manifesti la misericordia di Dio: non possiamo essere giudici senza appello, dobbiamo lasciare che si apra l’orizzonte – per noi esseri umani, inconoscibile – della misericordia”.

Come si “dialoga” in bioetica tra cattolici e laici?

“L’intenzione del Cnb è continuare sulla via del dialogo costruttivo, che tenga conto della diversità delle posizioni ma abbia lo stesso orientamento di garantire la libertà intellettuale e morale, nel modo che possa essere più utile alla vita della comunità. Evitando le cristallizzazioni, e partendo da quelle che Kant considera le due dimensioni indubitabili dell’essere umano: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. È il grande tema della coscienza, tanto caro a Papa Francesco, e che per noi cattolici ha una luce in più che diventa decisiva nell’orientare i comportamenti e le scelte”.

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La prolusione del card. Bagnasco al Consiglio permanente Cei https://www.lavoce.it/la-prolusione-del-card-bagnasco-al-consiglio-permanente-cei/ Thu, 26 Sep 2013 13:10:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19323 prolusioneUna Chiesa italiana che è in profonda sintonia, spirituale e pastorale, con il Papa Francesco venuto “quasi dalla fine del mondo”. E non solo perché è il Vescovo di Roma e Primate d’Italia, ma soprattutto perché il suo stile pastorale nuovo sta visibilmente facendo breccia tra “vicini” e “lontani”: questo il filo conduttore che si può cogliere nella prolusione del card. Angelo Bagnasco ai lavori del Consiglio permanente della Cei apertisi il 23 settembre a Roma.

Incontro che è stato segnato sin dalle prime battute dalle “tre precise direttive” che Papa Francesco aveva consegnato alla Cei riunita in assemblea nel maggio scorso, quando abbracciò tutti i vescovi, a uno a uno, nella basilica di San Pietro i confratelli delle 226 diocesi italiane.

Ma il card. Bagnasco si è anche occupato degli aspetti culturali e spirituali di questo momento storico. Ha parlato di un “virus” che si è diffuso nel “suolo umano”, che lo sta impoverendo e svuotando di relazioni: questo virus è l’individualismo, “una radice avvelenata che non sempre è presa nella debita considerazione”. La condizione umana appare segnata da “una prospettiva autoreferenziale, insofferente ai legami”, che “porta con sé un carico di violenza che anche i drammatici fatti di cronaca, sempre più numerosi, testimoniano, a partire dalla violenza sulle donne”. Dentro questa realtà serve uno sforzo speciale per tornare a una “civile e serena convivenza”, recuperando “la cultura dell’incontro e dei legami” che un tempo “era il tessuto della vita e rendeva solida ed affidabile la società intera”.

Il Presidente della Cei ha collegato questa solidità al ruolo svolto dal “microcosmo della famiglia”, senza il quale “è impossibile vivere il macrocosmo della società e del mondo”. Del resto, la gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti: “Non ci si può illudere che tutto sia nuovamente a portata di mano come prima. Grande impegno viene profuso dai responsabili della cosa pubblica, ma i proclamati segnali di ripresa non sembrano dare, finora, frutti concreti sul piano dell’occupazione, che è il primo, urgentissimo obiettivo. Ogni passo è benvenuto, ma l’ora esige una sempre più intensa e stabile concentrazione di energie, di collaborazioni, di sforzi congiunti senza distrazioni. Ogni atto irresponsabile, da qualunque parte provenga, passerà al giudizio della storia”, ha poi ribadito, alludendo alla delicata situazione politica e ai rischi di instabilità degli ultimi tempi.

Di fronte al dramma della disoccupazione, con il 37,3% dei giovani in cerca di lavoro e spesso costretti a emigrare, ha richiamato l’esigenza di sostenere in ogni modo la famiglia, a partire dallo strumento fiscale del “fattore famiglia” che permetterebbe la “restituzione di quanto la famiglia stessa produce in termini di benessere generale”. Il Cardinale ha poi ribadito l’insegnamento della Chiesa, riproposto anche dal Papa, sull’unione uomo-donna come struttura di base. “Il matrimonio non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso” ma “distinguere non vuol dire discriminare. In ogni caso – ha continuato – nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno incriminare in alcun modo, chi sostenga ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura”.

Sui giovani e l’annuncio del Vangelo, ha parlato in toni calorosi e commossi della Giornata mondiale della gioventù di Rio, che ha mostrato come “i giovani nella Chiesa ci sono, che Dio è presente nel mondo, che l’umanità ne sente il bisogno”, che “la Chiesa accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente”. Ha sottolineato la richiesta formulata dai giovani alla Chiesa di “stare con loro” e ha rimarcato la necessità di fare spazio ai giovani, che “non vogliono essere esclusi dall’avventura né della vita né della Chiesa” e che “vogliono imparare a vivere ‘decentrati’ su Cristo, sine glossa, sul Vangelo senza letture ideologiche né di tipo pelagiano, né di tipo gnostico, di vivere la Chiesa senza storture funzionaliste e clericalismi”.

Si è infine soffermato sui gravi e diffusi episodi di intolleranza e violenza verso i cristiani in tante parti del mondo, e ha richiamato il grave e persistente fenomeno dell’immigrazione, con la recente visita del Papa a Lampedusa, “meta di disperazione e di speranza per molti”.

Le richieste del Papa alla Cei

Le “indicazioni” che la Chiesa italiana ha avuto da Papa Francesco all’assemblea nel maggio scorso, riguardano – ha detto il card. Bagnasco – in particolare il “dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche, che il Papa ha confermato essere compito di noi Vescovi; poi, come rendere forti le Conferenze episcopali regionali perché siano voci delle diverse realtà; e infine il numero delle diocesi italiane, tema sul quale ha lavorato un’apposita Commissione episcopale, su richiesta della competente Congregazione per i vescovi”. Sembrano tre punti “piccoli”, ma in realtà significano un impegno di notevole revisione della vita interna della Cei, del suo stile pastorale, del modo stesso di fare pronunciamenti ufficiali.

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Famiglia, “architetto” della società https://www.lavoce.it/famiglia-architetto-della-societa/ Thu, 19 Sep 2013 13:49:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19130 Torino, 12 settembre, l’apertura della Settimana Sociale
Torino, 12 settembre, l’apertura della Settimana Sociale

“Coraggio, avanti su questa strada con le famiglie!” è stato il saluto, pieno di slancio, che Papa Francesco ha rivolto, dopo l’Angelus, ai 1.300 partecipanti alla 47a Settimana sociale a Torino. Il Papa si è rallegrato “per il grande impegno che c’è nella Chiesa in Italia con le famiglie e per le famiglie, e che è un forte stimolo anche per le istituzioni e per tutto il Paese”.

“La famiglia non è un affare privato”: ecco “la prima conclusione, il punto di non-ritorno del nostro cammino”, ha detto tracciando le fila dei lavori Luca Diotallevi, vice presidente del Comitato organizzatore. Ma, soprattutto, “ci costringe a inserire nel dibattito pubblico italiano un elemento scandalosamente scorretto”.

L’architettura della famiglia “è una parte essenziale, ineliminabile, dell’architettura della civitas” ha detto ancora Diotallevi. L’obiettivo: un New Deal sulla famiglia (auspicato anche da Franco Pasquali, coordinatore di Retinopera). Prima mossa: un esame di coscienza. Diotallevi è volutamente provocatorio: “Cosa abbiamo fatto noi laici cattolici italiani, in questi tre anni nella civitas e nella ecclesia, anni così difficili e talvolta drammatici?”. E ancora: “È inutile, o ipocrita, che i laici cattolici italiani si pongano la questione della famiglia senza porsi anche con schiettezza la questione dello stato in cui versa oggi il cattolicesimo politico in Italia… Se è vero che la famiglia non è un affare privato, ma pubblico, ciò significa che il caso della famiglia ha molti profili, e sicuramente uno anche politico”.

È una vera e propria “chiamata alle armi”, nella direzione pacifica di chi accetta il dialogo e il confronto, quella di Diotallevi. “Bisogna combattere”, e la partita si gioca sul piano politico: è lì che vanno pensate con creatività le azioni collettive, che rimandano a una parola che è ricorsa molto di frequente nella Settimana sociale: “alleanza”.

Quello dei laici cattolici si profila come “un impegno pesante e protratto nel tempo”. Inutile nascondersi, del resto, che “sono decenni che agli italiani viene negato di avere un voto pesante almeno quanto quello che hanno i cittadini delle grandi democrazie”. Vogliamo essere noi, invece, a decidere chi ci rappresenta, ne abbiamo il diritto e il dovere. “Bisogna combattere”, con “l’agonismo della libertà” di sturziana memoria e con la capacità di “convergere”.

E la prima battaglia è quella di “continuare ad affermare lo spirito e la lettera con cui la nostra Costituzione riconosce i diritti e i doveri di quella particolare formazione sociale che è la famiglia fondata sul matrimonio. Non possiamo spaventarci né tacere di fronte a chi propone o minaccia di trasformare un diritto in un reato di opinione”.

Ma sono tanti i temi sul tappeto, come “la valenza pubblica dell’impegno educativo, la contestazione radicale che va portata alla pretesa dello Stato di farsi educatore, la crisi dell’educazione alla laboriosità e all’intraprendere, il carattere ingiusto e inefficiente della pressione fiscale che oggi debbono sopportare i contribuenti italiani e le loro famiglie, la onerosità e gli aspetti sperequativi del modello di welfare State tuttora imperante”. Senza contare lo “sfruttamento” delle famiglie immigrate e il degrado degli spazi urbani che incide sulla qualità della vita, non solo delle periferie.

Le Settimane sociali, ha detto il Papa all’apertura di questa edizione, “sono state provvidenziali e preziose, e lo sono ancora oggi”. Anche per la loro capacità di “affrontare, e se possibile anticipare, gli interrogativi e le sfide talvolta radicali posti dall’attuale evoluzione della società”. “Coraggio, avanti”, il suo invito all’Angelus. Appuntamento allora al 2017.

Il Messaggio del Papa

Per la Settimana sociale Papa Francesco ha inviato un Messaggio al card. Bagnasco, presidente della Cei. “Le Settimane sociali – scrive – sono uno strumento privilegiato attraverso il quale la Chiesa in Italia porta il proprio contributo per la ricerca del bene comune del Paese. Questo compito, che è di tutta la comunità nelle sue diverse articolazioni, appartiene in modo specifico ai laici e alla loro responsabilità… Per la comunità cristiana la famiglia è ben più che ‘tema’: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali… Il futuro della società, e in concreto della società italiana, è radicato negli anziani e nei giovani: questi, perché hanno la forza e l’età per portare avanti la storia; quelli, perché sono la memoria viva”.

Il premier Enrico Letta durante il suo intervento alla Settimana Sociale
Il premier Enrico Letta durante il suo intervento alla Settimana Sociale

I temi e i momenti dell’incontro di Torino

La 47a Settimana sociale dei cattolici italiani, sul tema “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”, si è svolta con base al teatro Regio di Torino il 12-15 settembre. Gli interventi, anche in forma video, si possono trovare sul sito www.settimanesociali.it. La prolusione è stata tenuta dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sul tema “L’architettura della famiglia: logica e ricadute sociali”. Il giorno 13, dopo i saluti del premier Enrico Letta, si sono tenute le relazioni: “I diritti della famiglia riconosciuti nella Costituzione italiana” (Lorenza Violini); “La famiglia oggi: scenari e prospettive” (G. Carlo Blangiardo), “Le politiche familiari per il bene comune” (Stefano Zamagni). Hanno quindi preso avvio i gruppi di lavoro / assemblee tematiche, che riguardavano: la missione educativa della famiglia (con Franco Miano, presidente dell’Ac, e il pedagogo Domenico Simeone); le alleanze educative, in particolare con la scuola (M. Grazia Colombo dell’Agesc, suor Anna Monia Alfieri della Fidae); accompagnare i giovani nel mondo del lavoro (suor Silvana Rasello del Ciofs-Fp, e l’economista Vittorio Pelligra); la pressione fiscale sulle famiglie (Roberto Bolzonaro del Forum famiglie, e l’economista Luigi Campiglio); famiglia e sistema di welfare (Francesco Antonioli del Sole 24 Ore, e il giurista Luca Antonini); il cammino comune con le famiglie immigrate (con i sociologi Maurizio Ambrosini e Laura Zanfrini); abitare la città (Paola Stroppiana dell’Agesci, e l’economista Luigi Fusco Girard); la custodia del creato per una solidarietà intergenerazionale (con il pedagogo Pierluigi Malavasi, e Simone Morandini della Fondazione Lanza). Il sabato pomeriggio è andata in onda una puntata speciale di A Sua immagine dedicata alla Settimana. Le conclusioni, domenica mattina, sono state affidate al prof. Luca Diotallevi, vice presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali.

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Papa Francesco ai vescovi italiani: anche con il servizio dell’autorità chiamati a essere “segno del Signore risorto” https://www.lavoce.it/papa-francesco-ai-vescovi-italiani-anche-con-il-servizio-dellautorita-chiamati-a-essere-segno-del-signore-risorto/ Fri, 24 May 2013 16:50:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17005 FAMIGLIA_LE_VOCI“La gioia del primo incontro” col nuovo pontefice da parte di tutti i Vescovi italiani e “il desiderio di riconoscerci nella fede nel Signore Gesù e partecipi del mistero luminoso della Chiesa”: sono i due sentimenti espressi dal card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, nel saluto rivolto questa sera a Papa Francesco durante la celebrazione della “professio fidei” nella basilica di S. Pietro. L’incontro di preghiera vede la presenza del personale della Cei, di religiosi e religiose, e di una folta delegazione del laicato cattolico con i responsabili delle principali aggregazioni e movimenti. Questo momento si colloca quasi al termine dei lavori della 65ª assemblea generale della Cei, che si è tenuta dal 20 al 24 maggio, ed è stata voluto dal Consiglio Episcopale Permanente quale momento qualificante all’interno dell’ “Anno della Fede”. Inoltre, questo incontro assume un particolare significato per il nuovo pontefice, perché conclude la visita ad Limina Apostolorum delle 226 diocesi italiane, iniziata con Benedetto XVI e proseguita in questi mesi con Papa Francesco.

“La mancata vigilanza rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio”. È il passo centrale del primo discorso rivolto da Papa Francesco ai vescovi italiani, riuniti per la loro assemblea generale e questa sera insieme nella Basilica di San Pietro per la “Professio fidei” (leggi qui il discorso o vedi il video).

“La conseguenza dell’amare il Signore  – ha detto Papa Francesco – è dare tutto – proprio tutto, fino alla stessa vita – per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna”.

“Essere Pastori – ha concluso Papa Francesco – vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine”.

Nel corso della preghiera le lampade sulla tomba dell’Apostolo sono state accese da un Vescovo, da una religiosa e da una famiglia. La famiglia è quella di Maria e Lino Le Voci che con loro tre figli vivono a Perugia.

 

 

 

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Il card. Bagnasco: Italia nel vortice dell’emergenza https://www.lavoce.it/il-card-bagnasco-italia-nel-vortice-dellemergenza/ Thu, 23 May 2013 15:18:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16949 Bagnasco tiene la prolusione all’assemblea generale della Cei
Bagnasco tiene la prolusione all’assemblea generale della Cei

Un allarme lanciato in maniera pacata, ma assolutamente “grave”: è la voce del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che si è levata all’apertura dell’Assemblea generale dei vescovi. Cosa sta succedendo in Italia, se il presidente della Cei parla di “vortice dell’emergenza”, di un “Paese al bivio”? Se giunge ad ammonire i politici perché diano il massimo del contributo, tutte le parti in causa, evitando “intoppi e impuntature” che “resteranno scritti nella storia”?

Evidentemente la posta in gioco è il prolungarsi e forse l’incancrenirsi di una crisi dalle molteplici facce, che il card. Bagnasco ha dipinto come fonte di “angoscia” per un numero crescente di persone, non solo per motivi economici ma anche etici e personali; dove emerge ancora una volta, come in tanti altri casi di difficoltà, la “generosità dei cristiani” ma che potrebbe non bastare più. Quindi, il monito della Conferenza episcopale è chiaro: il dovere di tutti, a partire dai cristiani, è quello di essere partecipi di un grande sforzo per far recuperare alla società la forza di riprendere un percorso di crescita e sviluppo, le cui basi prima che economiche e finanziarie sono da cercare in un generale orientamento per il “bene comune”, prima e vera vittima della crisi finanziaria e politica di questi ultimi anni.

Il Cardinale ha aperto la sua prolusione con parole di fiducia e profonda gioia per l’elezione di Papa Francesco, parlando del fatto che con questo evento recente “la Chiesa e il mondo guardano a Roma”. Questa visione positiva e provvidenziale si colloca quasi come baluardo di fronte alle difficoltà, oggettivamente gravi, del momento politico ed economico, non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa. Per questo – ha ricordato Bagnasco – urgono “le opere della fede”, che già sono evidenti nelle migliaia di strutture di carità e solidarietà che aprono le porte (parrocchie, centri di ascolto, mense ecc.) ai tanti bisognosi e ai nuovi poveri figli di questa crisi.

Le parole più impegnative, quasi di “rimprovero”, il presidente dei Vescovi le ha avute per il mondo politico, quando ha parlato di “situazioni intricate e personalismi, che hanno assorbito energie e tempo, degni di ben altro impiego, vista la mole e la complessità dei problemi che assillano famiglie, giovani e anziani”.

Secondo il Cardinale, “dopo il responso delle urne, i cittadini hanno il diritto che quanti sono stati investiti di responsabilità e onore per servire il Paese, pensino al Paese senza distrazioni, tattiche o strategie che siano”. Un evidente riferimento alle lungaggini estenuanti che hanno preceduto la nascita del governo Letta, questa sorta di “grande coalizione” auspicata dal presidente Napolitano che, senza il suo autorevole intervento, forse non avrebbe visto la luce. Un richiamo quindi che i politici italiani, di tutti gli schieramenti, non possono far finta di non conoscere, perché viene offerto con rispetto e anche con grande sincerità, frutto dell’amore per l’Italia che la Chiesa intera ha sempre mostrato e che i Vescovi interpretano, anche a nome del popolo cristiano, pronto a spendersi per il bene di tutti.

Un accenno infine alle parti conclusive della prolusione del card. Bagnasco, nelle quali emerge il tema complesso e dibattuto della vita, dell’etica, della bioetica. Si tratta di un coacervo di problemi deflagranti, alcuni dei quali definiti addirittura “disumani e spietati” (dove è in gioco, come nel caso della tutela dell’embrione, la sopravvivenza di un essere umano a tutti gli effetti). Il Cardinale ha fatto riferimento – ad esempio – anche alle richieste di riconoscimento delle unione gay, sulle quali ha affermato che si tratterebbe di “rappresentazioni similari” alla famiglia, che in “modo felpato” andrebbero a costituire un vulnus progressivo alla specifica identità della famiglia”.

In aggiunta, ha affermato che queste unioni “non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento”. Stesso discorso per eutanasia, suicidio assistito, addirittura infanticidio, citati dal card. Bagnasco quali sintomi di un abbandono del valore supremo della “sacralità della vita”. Come pure, emerge il tema della libertà di educazione e, quindi, della scuola cattolica, gravemente minacciata nella sua sussistenza anche per l’inazione pubblica.

Questo il quadro complessivo della prolusione, che si presenta come un contributo sia al percorso faticoso del nuovo Governo, sia al recupero dell’impegno dei cristiani chiamati a offrire un supplemento di energie per far rinascere il nostro Paese dopo anni di declino.

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Il card. Bagnasco a Foligno per il 300° della Madonna del Pianto https://www.lavoce.it/il-card-bagnasco-a-foligno-per-il-300-della-madonna-del-pianto/ Thu, 16 May 2013 12:54:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16746 La processione con il card. Bagnasco (Foto studio Futura di Valeriana Sisti)
La processione con il card. Bagnasco (Foto studio Futura di Valeriana Sisti)

Nella serata di martedì 14 maggio, a 300 anni esatti di distanza, è stato solennemente celebrato l’anniversario dell’incoronazione della statua della beata Vergine Maria del Pianto, avvenuta nel 1713 per volontà del Capitolo vaticano. La devozione nei confronti della Madonna del Pianto era giunta a Foligno nel 1614 e si era affermata nella chiesa di San Leonardo: a quel periodo risale la statua lignea, riccamente abbigliata, della Vergine con il Bambino. Tale culto deriva da un evento accaduto a Roma nel 1546, quando un’immagine della Madonna con il Bambino pianse dopo essere stata testimone di un duello che si era concluso con la morte di uno dei contendenti, cui l’altro aveva rifiutato il perdono. La particolare venerazione per la Madre di Dio, cara ai folignati soprattutto per la sua materna partecipazione alle vicende umane, si è poi consolidata nel 1703, quando fu attribuita alla Madonna del Pianto la protezione della città di Foligno, che dal 1628 per decisione del Comune si era definita “Città della Madonna”, durante un disastroso terremoto avvenuto il giorno della festa. La stessa devozione si è manifestata ancora una volta in occasione della traslazione della sacra effigie dal santuario in cattedrale, e poi nella messa presieduta dal card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. Dopo un breve momento di saluto, la statua della Madonna del Pianto è stata prelevata dalla chiesa di Sant’Agostino e portata in processione verso la cattedrale di San Feliciano dove, tra celebrazioni animate da varie parrocchie e gruppi che culmineranno con la Veglia di Pentecoste presieduta dal vescovo mons. Gualtiero Sigismondi sabato 18, resterà fino al 25 maggio, quando sarà riportata solennemente nel santuario con una celebrazione presieduta dal card. Giuseppe Betori, folignate, arcivescovo di Firenze. In una cattedrale gremita di fedeli, alla presenza delle autorità civili e militari, dei Vescovi dell’Umbria e di molti sacerdoti della diocesi, il card. Bagnasco ha sottolineato l’importanza della devozione mariana quale strada sicura per raggiungere una fede autentica in Cristo, e la validità della pietà popolare come elemento fondante di una Chiesa vicina alla gente, che vive e celebra la sua fede in una dimensione familiare. Il Vangelo proprio della Madonna del Pianto, che ci riporta alle nozze di Cana, è sintesi del clima di festa e dell’autentica sequela di Cristo secondo la modalità insegnata da Maria: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Il vescovo, mons. Gualtiero Sigismondi, ringraziando il card. Bagnasco per la sua presenza in un momento così difficile per la città di Genova, ha affidato alla Madonna del Pianto il dolore per la sciagura avvenuta nei giorni scorsi nel porto. La statua mariana, tradizionalmente visibile solo il giorno della festa, la domenica che precede la festa di sant’Antonio, continua ad essere meta del pellegrinaggio di molti fedeli, che possono ammirarla da vicino e affidarle, come da sempre sono soliti fare i folignati, le loro gioie e i loro dolori.

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Il card. Bagnasco: “Il popolo italiano non si arrende” https://www.lavoce.it/il-card-bagnasco-il-popolo-italiano-non-si-arrende/ Thu, 27 Sep 2012 13:29:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13016 Le gravi questioni del momento, dall’economia alla politica, dalla corruzione alla disoccupazione giovanile, dall’attacco all’istituto della famiglia a quello verso la vita sono state al centro dell’analisi che il presidente della Conferenza episcopale italiana, card. Angelo Bagnasco, ha proposto lunedì sera – 24 settembre – nella prolusione ai lavori del Consiglio episcopale permanente Cei riunito a Roma. Il suo discorso – undici pagine di testo con ampi riferimenti a diversi interventi recenti del Papa – ha preso le mosse dall’esigenza “di meglio comprendere le radici profonde, culturali, morali ed economiche, della crisi”, anche se “non è la prima volta, nell’Italia moderna, che si debbano affrontare prove dure e inesorabili”. “Forse, in altri passaggi – ha aggiunto – s’imponevano convinzione diffusa, coraggio corale, quasi un entusiasmo contagioso”. Invece oggi sembra non essere più così. Anzi, il Cardinale presidente ha notato che il Paese è come avvolto in “una cappa di sfiducia”, “fattore più pernicioso e pervasivo”, a cui fa da contrasto soltanto un “popolo che tiene, resiste; naturalmente si interroga e patisce; ma non si arrende e vuol reagire”. Tra l’altro, le sue parole sulla inaccettabilità di un sistema politico corrotto sono state messe in relazione, più o meno diretta, con le dimissioni della governatrice del Lazio a seguito dello scandalo delle “spese” dei consiglieri.

Per una pastorale dinamica. La morte di don Ivan Martini nella sua chiesa colpita dal terremoto, la scomparsa del card. Carlo Maria Martini, quella pochi giorni dopo del vescovo emerito mons. Maffeo Ducoli, i “tradimenti impensabili” che hanno riguardato la Casa pontificia sono stati richiamati dal card. Bagnasco per ricordare una verità: “La Chiesa non è moribonda – come a volte si vorrebbe e viene rappresentata… La Chiesa è unita e, seppure sotto sforzo, vuole affrontare le traversie del tempo con umiltà, vigore e lungimiranza”. Da questo riconoscimento ha quindi fatto derivare il legame del popolo cristiano con gli eventi che ci attendono – Anno della fede, Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, ricordo dei 50 anni del Concilio e dei 20 del Catechismo della Chiesa cattolica – auspicando per questi tempi nuovi e difficili “una pastorale non più solo stanziale” ma aperta a “un contesto culturale dinamico”. Di fronte a un Dio “diventato per molti il grande Sconosciuto” ha auspicato un annuncio più incisivo, fatto anche con gli strumenti di cui la Chiesa italiana dispone (Avvenire, Sir, Tv2000). I protagonisti di questo impegno per riavvicinare gli uomini a Dio – ha poi ricordato – sono da un lato il clero, per il quale urge “una decisa accelerazione alla pastorale vocazionale” per avere “preti entusiasti, con una chiara identità”; e il laicato fatto di “credenti di prim’ordine, con una forte presa soprannaturale”.

Le riforme attese. Riprendendo il tema della crisi, il Cardinale ha deplorato il “reticolo di corruttele e di scandali” emerso in questi ultimi tempi, creando “una rafforzata indignazione che la classe politica continua a sottovalutare”. Ha quindi auspicato “riforme tanto importanti quanto attese”, avendo presente le imminenti elezioni che rappresentano “non un passaggio taumaturgico, ma un vincolo democraticamente insuperabile, e quindi qualificante e decisivo”. Del resto, la crisi “che non è congiunturale ma di sistema” esige di essere affrontata con “competenza e autorevolezza”. Diversamente, il futuro sarebbe ancora più nero per i giovani che – ha detto – “sono il nostro maggiore assillo” perché “è intollerabile lo sperpero antropologico di cui, loro malgrado, sono attori”. Parole accorate e ferme il porporato ha usato anche a proposito degli attacchi alla famiglia, con la rivendicazione delle unioni di fatto cui “assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri”. Da qui ha fatto derivare la richiesta alla politica di “presidiare in maniera privilegiata la famiglia, riconoscendo pubblicamente il valore unico e ponendo in essere le misure necessarie e urgenti, affinché non sia umiliata e non deperisca”. Forte il richiamo anche ai valori “non negoziabili”, tra cui quello alla tutela della vita contro, ad esempio, la richiesta “palese o larvata” di introduzione dell’eutanasia. In questo quadro ha ricordato che la comunità civile attende “il varo definitivo, da parte del Senato, del provvedimento relativo al fine vita, cioè le Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento)”.

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