amore Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/amore/ Settimanale di informazione regionale Fri, 28 Apr 2023 15:13:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg amore Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/amore/ 32 32 Rimanere nel Suo amore https://www.lavoce.it/rimanere-nel-suo-amore/ Fri, 07 May 2021 16:27:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60551

Il Vangelo di Giovanni che ci ha accompagnato in queste domeniche ci ha introdotto al mistero dell’amore non con definizioni, ma attraverso le parole di Gesù nei “discorsi di addio”. Nel contesto dell’ultima cena, Gesù ci lascia il suo grande “testamento”, che possiamo approfondire nei capitoli 13-17. La liturgia, in questa domenica e nella domenica precedente, ci ha fatto ascoltare una parte del capitolo 15. Il fraseggio di Giovanni procede non tanto per passaggi conseguenziali quanto per cerchi concentrici che ritornando sullo stesso tema; e ogni volta si allarga e approfondisce il tema stesso. È una modalità che facilita la contemplazione, che è la via privilegiata per accostarci al mistero dell’amore di Dio. “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). Con queste parole Gesù prepara i suoi discepoli alla separazione da loro. Una prima separazione è la morte in croce; la seconda, totalmente diversa, è la sua ascensione al Cielo.

Dall’allegoria si passa alla vita

Anche noi siamo chiamati a immergersi in questo mistero della nuova presenza di Gesù, che celebreremo domenica prossima nella solennità dell’Ascensione. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9) afferma Gesù nel Vangelo di questa domenica. “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4), ci aveva detto Gesù nel Vangelo di domenica scorsa, spiegando questo legame con l’allegoria della vite e i tralci (Gv 15,1-8). Dall’allegoria si passa alla vita: “rimanere in”, non è l’indicazione di un luogo, ma la permanenza di un legame che, al contrario della staticità, fa muovere le gambe, perché muove il cuore. “Rimanere in” lui, per “andare con” lui là dove egli ci indicherà. Questo legame è la condizione necessaria per la realizzazione di ogni progetto di Gesù, che è sempre un progetto d’amore. In lui ha inizio ogni progetto, e in lui ogni progetto ha il suo compimento, ma nel cammino non ci lascia soli: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4) è la garanzia necessaria per “rimanere nella gioia” e camminare nella gioia, affinché sia piena (v. 11).

Nella relazione la preghiera incontra la volontà del Padre

Il Vangelo di domenica scorsa ci ricordava che, se il legame tra la vite e i tralci rende visibile il legame tra Gesù e i discepoli (v. 5), il rapporto tra l’agricoltore e la vite (v. 1) descrive il legame tra Gesù e il Padre. Gesù esplicita questo rapporto nel Vangelo di questa domenica: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi” (v. 9). È dentro questo legame che si comprende la duplice affermazione che chiude sia il Vangelo di domenica scorsa che quello di questa domenica: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto” (v. 8); “perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda” (v. 16). È dentro questa relazione che la nostra preghiera diventa tutt’uno con la volontà del Padre e supera la semplice richiesta di ciò di cui abbiamo bisogno, per immergersi nel vero desiderio: il bisogno di Lui.

L’amore non si conquista, ma si accoglie

Ma l’amore di cui ci parla Gesù è ben diverso dalla concezione emotivo-sentimentale con cui spesso viene confuso. Il Vangelo ci ricorda che l’amore ha un’origine, è lui ci amati per primo e ci ha scelti: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, e per questo può dirci: “Rimanete”. L’amore non è una conquista, ma un accogliere il dono che Gesù ci ha fatto: la sua amicizia (Gv 15,14). E l’amore di cui ci parla Gesù è tremendamente concreto, scevro da ogni sentimentalismo: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (v. 13). Fine di ogni ambiguità sentimentalista ed evasione dalla realtà! L’amore è invece un’immersione nella vita reale, che richiede anche una disciplina e una volontà. Gesù stesso applica la parola “comandamento” al concetto di amore: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”. Anche il suo amore verso il Padre è strutturato dall’osservare i comandamenti del Padre (v. 10). Nello stesso tempo, osservare i comandamenti non costituisce la garanzia di poter “conquistare” l’amore. Essi semmai ne sono la custodia: l’amore non si conquista, ma si accoglie.

È l'esperienza che fanno i discepoli

È l’esperienza che fa Pietro e quanti erano con lui, narrata dalla prima lettura. Lo Spirito santo è effuso anche sui pagani, oltre il confine segnato dalla legge di Mosè che precludeva ai non circoncisi la possibilità di conoscere Dio (At 10,44-45). Pietro aveva intuito la novità che il Signore risorto aveva inaugurato, e trova conferma nell’irruzione dello Spirito anche sui pagani. (vv. 34-35). Lo Spirito santo sorprende sempre, perché è la perenne novità dell’amore di Dio. Infatti la seconda lettura ci ricorda che “Dio è amore” (1Gv 4,8). Se rimaniamo in Lui, anche noi, oggi, saremo capaci di meravigliarci delle novità che lo Spirito suggerisce alla Chiesa.]]>

Il Vangelo di Giovanni che ci ha accompagnato in queste domeniche ci ha introdotto al mistero dell’amore non con definizioni, ma attraverso le parole di Gesù nei “discorsi di addio”. Nel contesto dell’ultima cena, Gesù ci lascia il suo grande “testamento”, che possiamo approfondire nei capitoli 13-17. La liturgia, in questa domenica e nella domenica precedente, ci ha fatto ascoltare una parte del capitolo 15. Il fraseggio di Giovanni procede non tanto per passaggi conseguenziali quanto per cerchi concentrici che ritornando sullo stesso tema; e ogni volta si allarga e approfondisce il tema stesso. È una modalità che facilita la contemplazione, che è la via privilegiata per accostarci al mistero dell’amore di Dio. “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). Con queste parole Gesù prepara i suoi discepoli alla separazione da loro. Una prima separazione è la morte in croce; la seconda, totalmente diversa, è la sua ascensione al Cielo.

Dall’allegoria si passa alla vita

Anche noi siamo chiamati a immergersi in questo mistero della nuova presenza di Gesù, che celebreremo domenica prossima nella solennità dell’Ascensione. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9) afferma Gesù nel Vangelo di questa domenica. “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4), ci aveva detto Gesù nel Vangelo di domenica scorsa, spiegando questo legame con l’allegoria della vite e i tralci (Gv 15,1-8). Dall’allegoria si passa alla vita: “rimanere in”, non è l’indicazione di un luogo, ma la permanenza di un legame che, al contrario della staticità, fa muovere le gambe, perché muove il cuore. “Rimanere in” lui, per “andare con” lui là dove egli ci indicherà. Questo legame è la condizione necessaria per la realizzazione di ogni progetto di Gesù, che è sempre un progetto d’amore. In lui ha inizio ogni progetto, e in lui ogni progetto ha il suo compimento, ma nel cammino non ci lascia soli: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4) è la garanzia necessaria per “rimanere nella gioia” e camminare nella gioia, affinché sia piena (v. 11).

Nella relazione la preghiera incontra la volontà del Padre

Il Vangelo di domenica scorsa ci ricordava che, se il legame tra la vite e i tralci rende visibile il legame tra Gesù e i discepoli (v. 5), il rapporto tra l’agricoltore e la vite (v. 1) descrive il legame tra Gesù e il Padre. Gesù esplicita questo rapporto nel Vangelo di questa domenica: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi” (v. 9). È dentro questo legame che si comprende la duplice affermazione che chiude sia il Vangelo di domenica scorsa che quello di questa domenica: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto” (v. 8); “perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda” (v. 16). È dentro questa relazione che la nostra preghiera diventa tutt’uno con la volontà del Padre e supera la semplice richiesta di ciò di cui abbiamo bisogno, per immergersi nel vero desiderio: il bisogno di Lui.

L’amore non si conquista, ma si accoglie

Ma l’amore di cui ci parla Gesù è ben diverso dalla concezione emotivo-sentimentale con cui spesso viene confuso. Il Vangelo ci ricorda che l’amore ha un’origine, è lui ci amati per primo e ci ha scelti: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, e per questo può dirci: “Rimanete”. L’amore non è una conquista, ma un accogliere il dono che Gesù ci ha fatto: la sua amicizia (Gv 15,14). E l’amore di cui ci parla Gesù è tremendamente concreto, scevro da ogni sentimentalismo: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (v. 13). Fine di ogni ambiguità sentimentalista ed evasione dalla realtà! L’amore è invece un’immersione nella vita reale, che richiede anche una disciplina e una volontà. Gesù stesso applica la parola “comandamento” al concetto di amore: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”. Anche il suo amore verso il Padre è strutturato dall’osservare i comandamenti del Padre (v. 10). Nello stesso tempo, osservare i comandamenti non costituisce la garanzia di poter “conquistare” l’amore. Essi semmai ne sono la custodia: l’amore non si conquista, ma si accoglie.

È l'esperienza che fanno i discepoli

È l’esperienza che fa Pietro e quanti erano con lui, narrata dalla prima lettura. Lo Spirito santo è effuso anche sui pagani, oltre il confine segnato dalla legge di Mosè che precludeva ai non circoncisi la possibilità di conoscere Dio (At 10,44-45). Pietro aveva intuito la novità che il Signore risorto aveva inaugurato, e trova conferma nell’irruzione dello Spirito anche sui pagani. (vv. 34-35). Lo Spirito santo sorprende sempre, perché è la perenne novità dell’amore di Dio. Infatti la seconda lettura ci ricorda che “Dio è amore” (1Gv 4,8). Se rimaniamo in Lui, anche noi, oggi, saremo capaci di meravigliarci delle novità che lo Spirito suggerisce alla Chiesa.]]>
L’amore disinnesca l’odio https://www.lavoce.it/lamore-disinnesca-lodio/ Fri, 15 May 2020 14:29:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57146 logo reubrica commento al Vangelo

Il Vangelo di Giovanni di questa domenica VI di Pasqua ci accompagna ‘speditamente’ verso le prossime solennità pasquali: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19). “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi sempre, lo Spirito della verità” (vv. 16-17). In pochi versetti è racchiusa la garanzia del permanere del Risorto in mezzo ai suoi, che nel contesto dell’Ultima Cena affrontano il dolore di un annuncio: la sua morte, che avevamo accantonato, ma che ora diventa ineludibile. Una presenza che riguarda anche la comunità cristiana di sempre, quella delle origini, descritta nelle due letture che la liturgia ci propone; e in particolare la nostra comunità. Una comunità cristiana chiamata a risplendere nel mondo per la sua capacità di farsi sale, “sciogliendosi” nelle necessità dei fratelli. Filippo opera in Samaria, compiendo le opere di Gesù (At 8,5-8). Gesù aveva iniziato il suo ministero partendo proprio dalle necessità concrete del suo popolo. Ma per compiere le opere del Risorto non si può prescindere da lui e dall’amore per lui. Allora il mondo, anche quello che odia i cristiani, non avrà più alibi, perché le nostre opere portano l’eco di una vita donata, così come è descritta nella seconda lettura: “Questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo (1Pt 3,16).

Dirsi cristiani e poi sbraitare contro?

Certo, coloro che si dicono cristiani e hanno gridato per l’apertura al popolo della celebrazione eucaristica e poi hanno sbraitato sui social “stracciandosi le vesti” contro Silvia Romano e la sua conversione anziché gioire con la famiglia per il suo ritorno alla vita, non hanno certo “svergognato” coloro che non amano i credenti in Cristo, come ci ricorda san Pietro nella sua lettera (1Pt 3,16). cristiaA questi cristiani san Paolo ricorda la necessità di provare a fare sul serio con il Vangelo per accostarsi all’eucarestia (1Cor 11,23-29). Forse, questo tempo di digiuno eucaristico rischia di essere passato invano. È lecito domandarsi perché, l’odio verso i cristiani. A questo domanda ha già risposto Gesù: “Perché hanno odiato me” (Gv 15,18), riconoscendo un’attenuante al mondo: perché è incapace di riconoscere l’amore (14,17). L’odio rende freddo il cuore e acceca la vista. Ma è proprio questa la “differenza” cristiana: rimanere legati a Cristo significa pensare e agire come lui, con la consapevolezza che solo l’amore è capace di disinnescare la miccia dell’odio. Fa eco a questa visione sul mondo il pensiero di Paolo VI nel suo Testamento: “Non si creda di giovargli [al mondo] assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo”. La successione di atteggiamenti che Paolo VI sintetizza, sembra esplicitare quanto ci dice san Pietro nella seconda lettura, in riferimento all’amore per Cristo: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

La nostra fede non è filosofia ma è un incontro

La nostra fede non è una filosofia, né una serie di regole morali da osservare, ma un incontro che stabilisce una relazione permanente. Essa necessita continuamente di essere rinnovata da “gesti e parole”, che ne diventano l’alimento necessario. Non si può prescindere dalla logica dell’Incarnazione, che è la via scelta da Dio e non può non essere anche la via della Chiesa. Di conseguenza possiamo dire che è anche il criterio di discernimento per il nostro agire e il nostro credere. Questa stupenda sintesi, che tiene insieme l’essere e l’agire del credente, delinea anche il giusto rapporto tra la libertà dell’amore e dell’amare, con la necessità dell’agire secondo l’amore, espresso nei Comandamenti. L’evangelista Giovanni delinea un interessante percorso in due affermazioni: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” e “chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (14,15.21). Sembrano esprimere lo stesso concetto, ma in realtà indicano un percorso e una priorità: l’amore liberamente ricevuto e accolto spinge a uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, e ci impone regole e atteggiamenti che non feriscano l’altro, che non tradiscano quella relazione che ci ha cambiato la vita. Allora scegliere di agire nel rispetto di quella relazione è accogliere i comandamenti, che diventano il segno di aver accolto quell’amore che è una Persona: Gesù Cristo, presente in mezzo a noi e nei fratelli. I comandamenti, e più in genere le regole morali, non definiscono l’amore, ma ne sono la custodia. Don Andrea Rossi]]>
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Il Vangelo di Giovanni di questa domenica VI di Pasqua ci accompagna ‘speditamente’ verso le prossime solennità pasquali: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19). “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi sempre, lo Spirito della verità” (vv. 16-17). In pochi versetti è racchiusa la garanzia del permanere del Risorto in mezzo ai suoi, che nel contesto dell’Ultima Cena affrontano il dolore di un annuncio: la sua morte, che avevamo accantonato, ma che ora diventa ineludibile. Una presenza che riguarda anche la comunità cristiana di sempre, quella delle origini, descritta nelle due letture che la liturgia ci propone; e in particolare la nostra comunità. Una comunità cristiana chiamata a risplendere nel mondo per la sua capacità di farsi sale, “sciogliendosi” nelle necessità dei fratelli. Filippo opera in Samaria, compiendo le opere di Gesù (At 8,5-8). Gesù aveva iniziato il suo ministero partendo proprio dalle necessità concrete del suo popolo. Ma per compiere le opere del Risorto non si può prescindere da lui e dall’amore per lui. Allora il mondo, anche quello che odia i cristiani, non avrà più alibi, perché le nostre opere portano l’eco di una vita donata, così come è descritta nella seconda lettura: “Questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo (1Pt 3,16).

Dirsi cristiani e poi sbraitare contro?

Certo, coloro che si dicono cristiani e hanno gridato per l’apertura al popolo della celebrazione eucaristica e poi hanno sbraitato sui social “stracciandosi le vesti” contro Silvia Romano e la sua conversione anziché gioire con la famiglia per il suo ritorno alla vita, non hanno certo “svergognato” coloro che non amano i credenti in Cristo, come ci ricorda san Pietro nella sua lettera (1Pt 3,16). cristiaA questi cristiani san Paolo ricorda la necessità di provare a fare sul serio con il Vangelo per accostarsi all’eucarestia (1Cor 11,23-29). Forse, questo tempo di digiuno eucaristico rischia di essere passato invano. È lecito domandarsi perché, l’odio verso i cristiani. A questo domanda ha già risposto Gesù: “Perché hanno odiato me” (Gv 15,18), riconoscendo un’attenuante al mondo: perché è incapace di riconoscere l’amore (14,17). L’odio rende freddo il cuore e acceca la vista. Ma è proprio questa la “differenza” cristiana: rimanere legati a Cristo significa pensare e agire come lui, con la consapevolezza che solo l’amore è capace di disinnescare la miccia dell’odio. Fa eco a questa visione sul mondo il pensiero di Paolo VI nel suo Testamento: “Non si creda di giovargli [al mondo] assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo”. La successione di atteggiamenti che Paolo VI sintetizza, sembra esplicitare quanto ci dice san Pietro nella seconda lettura, in riferimento all’amore per Cristo: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

La nostra fede non è filosofia ma è un incontro

La nostra fede non è una filosofia, né una serie di regole morali da osservare, ma un incontro che stabilisce una relazione permanente. Essa necessita continuamente di essere rinnovata da “gesti e parole”, che ne diventano l’alimento necessario. Non si può prescindere dalla logica dell’Incarnazione, che è la via scelta da Dio e non può non essere anche la via della Chiesa. Di conseguenza possiamo dire che è anche il criterio di discernimento per il nostro agire e il nostro credere. Questa stupenda sintesi, che tiene insieme l’essere e l’agire del credente, delinea anche il giusto rapporto tra la libertà dell’amore e dell’amare, con la necessità dell’agire secondo l’amore, espresso nei Comandamenti. L’evangelista Giovanni delinea un interessante percorso in due affermazioni: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” e “chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (14,15.21). Sembrano esprimere lo stesso concetto, ma in realtà indicano un percorso e una priorità: l’amore liberamente ricevuto e accolto spinge a uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, e ci impone regole e atteggiamenti che non feriscano l’altro, che non tradiscano quella relazione che ci ha cambiato la vita. Allora scegliere di agire nel rispetto di quella relazione è accogliere i comandamenti, che diventano il segno di aver accolto quell’amore che è una Persona: Gesù Cristo, presente in mezzo a noi e nei fratelli. I comandamenti, e più in genere le regole morali, non definiscono l’amore, ma ne sono la custodia. Don Andrea Rossi]]>
Amore, dal romanzo alle fiction. Quanti secoli! https://www.lavoce.it/amore-dal-romanzo-alle-fiction-quanti-secoli/ Fri, 01 May 2020 10:50:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57004 logo abat jour, rubrica settimanale

Parbleu! Non è vero che in tempo di coronavirus tutta le nostre attività vanno avanti col freno tirato. Le fiction televisive, ad esempio, hanno fatto registrare un vero balzellone in avanti. E l’ozio della pandemia ha imposto molte delle loro molte puntate anche all’autore di abat-jour, notoriamente prevenuto verso tutto ciò che (come fiction, appunto) viene dal latino fingere . E invece oggi lui si rammarica del fatto che il mostro invisibile ha decurtato della puntata più importante, l’ultima, due delle fiction più coinvolgenti: Doc – Nelle tue mani e Il commissario Maltese. Tra le tante impressioni positive, ne emerge però una molto negativa: il rapporto sessuale sembra ridotto a poco più di una stretta di mano. Il matrimonio oggi non serve più a nulla, sembra. L’eterno Montalbano convive con Livia, ma Inge è quasi una riserva fissa, e poi lui non si tira mai indietro quando altre fìmmine si fanno avanti. Il suo vice Mimì è sposato, ma vive in perenne tensione a tradire la moglie Beba... Il commissario Maltese, la sera stessa del giorno in cui l’ha sottratta all’amico che l’affiancava per l’ultima volta nella sua lotta alla mafia trapanese, deliba felicemente Elisa, la fidanzata che viene dal Nord.

Quanto diverso il racconto dell'amore!

Quanti secoli sono passati da quando lo sguardo di Lucia, stressata fino al pianto al culmine della “notte degli inganni”, dalla barca che la portava lontano dalle grinfie di don Rodrigo andava accarezzando con lo sguardo, al chiarore della luna, i luoghi della sua infanzia? E le ultime che quel suo sguardo mestissimo accarezzava erano la casa di Renzo e la chiesetta: “Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!”. Faccio male se lascio che cresca lo sgongolo d’amarezza che mi s’è formato in gola? Faccio male. Anche perché… Angelo M. Fanucci]]>
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Parbleu! Non è vero che in tempo di coronavirus tutta le nostre attività vanno avanti col freno tirato. Le fiction televisive, ad esempio, hanno fatto registrare un vero balzellone in avanti. E l’ozio della pandemia ha imposto molte delle loro molte puntate anche all’autore di abat-jour, notoriamente prevenuto verso tutto ciò che (come fiction, appunto) viene dal latino fingere . E invece oggi lui si rammarica del fatto che il mostro invisibile ha decurtato della puntata più importante, l’ultima, due delle fiction più coinvolgenti: Doc – Nelle tue mani e Il commissario Maltese. Tra le tante impressioni positive, ne emerge però una molto negativa: il rapporto sessuale sembra ridotto a poco più di una stretta di mano. Il matrimonio oggi non serve più a nulla, sembra. L’eterno Montalbano convive con Livia, ma Inge è quasi una riserva fissa, e poi lui non si tira mai indietro quando altre fìmmine si fanno avanti. Il suo vice Mimì è sposato, ma vive in perenne tensione a tradire la moglie Beba... Il commissario Maltese, la sera stessa del giorno in cui l’ha sottratta all’amico che l’affiancava per l’ultima volta nella sua lotta alla mafia trapanese, deliba felicemente Elisa, la fidanzata che viene dal Nord.

Quanto diverso il racconto dell'amore!

Quanti secoli sono passati da quando lo sguardo di Lucia, stressata fino al pianto al culmine della “notte degli inganni”, dalla barca che la portava lontano dalle grinfie di don Rodrigo andava accarezzando con lo sguardo, al chiarore della luna, i luoghi della sua infanzia? E le ultime che quel suo sguardo mestissimo accarezzava erano la casa di Renzo e la chiesetta: “Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!”. Faccio male se lascio che cresca lo sgongolo d’amarezza che mi s’è formato in gola? Faccio male. Anche perché… Angelo M. Fanucci]]>
Nel disastro di Casteldaccia un amore senza misura https://www.lavoce.it/casteldaccia-amore-senza-misura/ Sat, 10 Nov 2018 08:00:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53335 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

“Non ti preoccupare, papà, a Rachele ci penso io!”. Federico, 15 anni, voleva salvare Rachele, la sorellina di un anno che fango e acqua portati dalla piena stavano minacciando nella villetta di Casteldaccia, in Sicilia, dove poi sono morte nove persone di due diverse famiglie. Tra le vittime anche Federico e Rachele, che sono volati in cielo abbracciati.

Come succedeva spesso prima della tragedia: perché Federico, faccia pulita da bravo ragazzo, quella sorella, da quando era arrivata, se la coccolava tutti i giorni, ci giocava, la proteggeva. Le voleva un bene dell’anima, e non l’ha voluta lasciare fino all’ultimo, perché lei era indifesa di fronte a quell’ondata di melma, rami spezzati e detriti che nel giro di pochi minuti ha sterminato due famiglie.

Per Federico più di qualcuno, raccontando il fatto, ha usato la parola ‘eroe’: chi lo ha conosciuto racconta di un ragazzino generoso e altruista, che spesso si prendeva responsabilità anche più grandi di lui per aiutare la famiglia. Un angelo, che semplicemente (!) amava le persone a lui più care. “La misura dell’amore è amare senza misura” ha scritto sant’Agostino. Ora Federico abbraccerà Rachele per l’eternità, con il suo amore senza misura.

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di Daris Giancarlini

“Non ti preoccupare, papà, a Rachele ci penso io!”. Federico, 15 anni, voleva salvare Rachele, la sorellina di un anno che fango e acqua portati dalla piena stavano minacciando nella villetta di Casteldaccia, in Sicilia, dove poi sono morte nove persone di due diverse famiglie. Tra le vittime anche Federico e Rachele, che sono volati in cielo abbracciati.

Come succedeva spesso prima della tragedia: perché Federico, faccia pulita da bravo ragazzo, quella sorella, da quando era arrivata, se la coccolava tutti i giorni, ci giocava, la proteggeva. Le voleva un bene dell’anima, e non l’ha voluta lasciare fino all’ultimo, perché lei era indifesa di fronte a quell’ondata di melma, rami spezzati e detriti che nel giro di pochi minuti ha sterminato due famiglie.

Per Federico più di qualcuno, raccontando il fatto, ha usato la parola ‘eroe’: chi lo ha conosciuto racconta di un ragazzino generoso e altruista, che spesso si prendeva responsabilità anche più grandi di lui per aiutare la famiglia. Un angelo, che semplicemente (!) amava le persone a lui più care. “La misura dell’amore è amare senza misura” ha scritto sant’Agostino. Ora Federico abbraccerà Rachele per l’eternità, con il suo amore senza misura.

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Notti di musica e amore: il programma degli eventi in Umbria https://www.lavoce.it/notti-musica-amore-programma-degli-eventi-umbria/ Fri, 22 Jun 2018 11:16:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52151

Un programma molto romantico quello d’inizio estate in Umbria. Musica al tramonto sul lago, passeggiate lungo sentieri naturali e mostre fotografiche.

SPOLETO

Festival 2Mondi Dal 29 giugno al 15 luglio Spoleto ospita il Festival dei 2Mondi, 17 giorni di grandi eventi tra spettacoli di opera, musica, teatro e danza, mostre, appuntamenti cinematografici e tantissimi ospiti. La 61esima edizione si inaugura con la nuova produzione del Minotauro, opera lirica in 10 quadri, commissionata alla compositrice Silvia Colasanti. È una produzione del Festival anche l’oratorio drammatico Jeanne d’Arc au Bûcher di Arthur Honegger e Paul Claudel, che chiude la manifestazione in Piazza Duomo e che avrà come protagonista il premio oscar Marion Cotillard. La danza è rappresentata dai coreografi Lucinda Childs, Jean-Claude Gallotta e John Neumeier. Alla sezione Teatro, partecipano, fra gli altri Corrado Augias, Alessandro Baricco, Victoria Chaplin Thierrée e Aurélia Thierrée, Rezo Gabriadze, Marco Tullio Giordana, Manuela Kustermann, Silvio Orlando, Ugo Pagliai, Letizia Renzini, Daniele Salvo. Per info: www.festivaldispoleto.com

MUSICA

Trasimeno music festival Si svolgerà dal 29 giugno al 5 luglio la quattordicesima edizione del Trasimeno Music Festival. L’appuntamento come ogni anno, offrirà al pubblico una serie di eventi musicali unici e diversi ogni sera, con protagonisti grandi interpreti della musica classica e giovani musicisti di talento, che si esibiranno seguendo un programma elegante e variegato: da Mozart a Beethoven, da Bach a Schubert. Il festival, nato da un’idea della pianista canadese Angela Hewitt, si terrà nei più suggestivi e affascinanti luoghi dell’Umbria: il Castello del Sovrano Militare Ordine di Malta e il Borgo di San Savino a Magione, la basilica di San Pietro di Perugia e il Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio. Il programma su www.trasimenomusicfestival.com

BORGHI

Notte romantica Anche l’Umbria partecipa a “La Notte Romantica dei Borghi più Belli d’Italia” per festeggiare, sabato 23 giugno, l’amore in tutte le sue forme, ma anche l’arrivo del solstizio d’estate. Nelle piazze, nei vicoli e nei palazzi dei quasi 200 borghi aderenti all’iniziativa tanti gli appuntamenti in programma: un’occasione unica per ammirarne non solo l’inestimabile patrimonio storico, artistico e culturale ma anche gli angoli suggestivi, i paesaggi incontaminati, la filosofia del buon vivere e le prelibatezze enogastronomiche. Cene a lume di candela con menù a tema pensati per l’occasione, musica, visite guidate, mostre ed esposizioni fino a mezzanotte, quando la serata culminerà con il lancio di migliaia di palloncini nel cielo. Una notte magica che sarà l’occasione per appassionati e innamorati di celebrare la bellezza dei Borghi d’Italia. Per maggiori informazioni: http://borghipiubelliditalia.it/

ITINERARI

I sentieri del Perugino Ha preso avvio il 13 giugno il progetto di Anci Umbria “I sentieri del Perugino nelle terre del marchese” che prevede camminate immersi nella natura e tra borghi medievali ricchi di storia, cultura e tradizioni enogastronomiche. Un’iniziativa a cui hanno collaborato i quattro Comuni di Città della Pieve, Paciano, Panicale e Piegaro e che punta a valorizzare e promuovere in sinergia le Terre del Perugino offrendo a cittadini e turisti un pacchetto di 5 percorsi “dotati di tutti i servizi, ben curati e segnalati”, che formano un anello irregolare lungo complessivamente circa 100 chilometri. L’idea che sta alla base è quella di puntare sul turismo esperienziale che ormai muove la domanda e i mercati turistici; in particolare con il prodotto ‘cammini’ che sono fruibili tutto l’anno e sono la grande novità inserita nel Piano strategico nazionale volto a valorizzare i piccoli borghi”. Il progetto prevede un diretto coinvolgimento delle strutture ricettive e ristorative adiacenti ai 5 itinerari e di alcune associazioni locali ambientaliste e di camminatori come ‘L’olivo e la ginestra’, ‘Il riccio’, ‘Tavernelle cammina’ e ‘Anello del fiume d’oro’. Gli itinerari sono così strutturati: da Città della Pieve a Paciano e Panicale (19 km), da Panicale a Fontignano (21 km), da Fontignano a Castiglion Fosco (20 km), da Castiglione Fosco a Piegaro (21 km) e da Piegaro a Città della Pieve (21 km).

ISOLA MAGGIORE

Moon in june Il 22-23-24 giugno all’ Isola maggiore (Lago Trasimeno) si tiene “Moon in june” con i consueti concerti al tramonto. Il programma di quest’anno prende il via venerdì 22 alle 18.45 al Campo del Sole di Tuoro con “Fields conduction”, concerto di una piccola orchestra che dà vita ad oggetti elettronici riciclati e reinventati. Tra gli altri eventi di questa edizione poi “Le luci della centrale elettrica” progetto artistico/musicale di Vasco Brondi che proporrà l’originale spettacolo “Terra spirituale e tecnologica”.

GALLERIA NAZIONALE

Le fotografie di Guido Harari Dal 29 giugno al 26 agosto 2018 la mostra Le fotografie di Guido Harari sarà presso la Galleria Nazionale dell’Umbria. L’esposizione, dal titolo Wall of Sound, presenta un centinaio di immagini di uno dei maggiori fotografi contemporanei di musica. La rassegna rientra nel programma “Jazz goes to the Museum” che porterà una serie di concerti nella sala Podiani della Galleria Nazionale dell’Umbria. Attraverso oltre 100 fotografie, la mostra presenta un’ampia panoramica del lavoro di un autore che, in più di quarant’anni di attività, ha immortalato autori del calibro di Fabrizio De André, di cui è stato uno dei fotografi personali, Lou Reed, Giorgio Gaber, Bob Dylan, Vinicio Capossela e tanti altri.

ORVIETO

Tango festival Nella Città della Rupe, da venerdì 29 giugno a domenica primo luglio tre giorni di tango, teatro e grande spettacolo. Il programma della manifestazione propone show e milonghe, ma anche incontri di studio con maestri internazionali e seminari. L’evento, che si svolgerà tra palazzo Capitano del popolo e piazza del Duomo, vedrà tra i protagonisti anche i campioni italiani di tango da pista 2018, Riccardo Pagni e Giulia del Porro, che si esibiranno, in piazza del Duomo, durante la serata conclusiva. Pe info: www.orvietotangofestival.it]]>

Un programma molto romantico quello d’inizio estate in Umbria. Musica al tramonto sul lago, passeggiate lungo sentieri naturali e mostre fotografiche.

SPOLETO

Festival 2Mondi Dal 29 giugno al 15 luglio Spoleto ospita il Festival dei 2Mondi, 17 giorni di grandi eventi tra spettacoli di opera, musica, teatro e danza, mostre, appuntamenti cinematografici e tantissimi ospiti. La 61esima edizione si inaugura con la nuova produzione del Minotauro, opera lirica in 10 quadri, commissionata alla compositrice Silvia Colasanti. È una produzione del Festival anche l’oratorio drammatico Jeanne d’Arc au Bûcher di Arthur Honegger e Paul Claudel, che chiude la manifestazione in Piazza Duomo e che avrà come protagonista il premio oscar Marion Cotillard. La danza è rappresentata dai coreografi Lucinda Childs, Jean-Claude Gallotta e John Neumeier. Alla sezione Teatro, partecipano, fra gli altri Corrado Augias, Alessandro Baricco, Victoria Chaplin Thierrée e Aurélia Thierrée, Rezo Gabriadze, Marco Tullio Giordana, Manuela Kustermann, Silvio Orlando, Ugo Pagliai, Letizia Renzini, Daniele Salvo. Per info: www.festivaldispoleto.com

MUSICA

Trasimeno music festival Si svolgerà dal 29 giugno al 5 luglio la quattordicesima edizione del Trasimeno Music Festival. L’appuntamento come ogni anno, offrirà al pubblico una serie di eventi musicali unici e diversi ogni sera, con protagonisti grandi interpreti della musica classica e giovani musicisti di talento, che si esibiranno seguendo un programma elegante e variegato: da Mozart a Beethoven, da Bach a Schubert. Il festival, nato da un’idea della pianista canadese Angela Hewitt, si terrà nei più suggestivi e affascinanti luoghi dell’Umbria: il Castello del Sovrano Militare Ordine di Malta e il Borgo di San Savino a Magione, la basilica di San Pietro di Perugia e il Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio. Il programma su www.trasimenomusicfestival.com

BORGHI

Notte romantica Anche l’Umbria partecipa a “La Notte Romantica dei Borghi più Belli d’Italia” per festeggiare, sabato 23 giugno, l’amore in tutte le sue forme, ma anche l’arrivo del solstizio d’estate. Nelle piazze, nei vicoli e nei palazzi dei quasi 200 borghi aderenti all’iniziativa tanti gli appuntamenti in programma: un’occasione unica per ammirarne non solo l’inestimabile patrimonio storico, artistico e culturale ma anche gli angoli suggestivi, i paesaggi incontaminati, la filosofia del buon vivere e le prelibatezze enogastronomiche. Cene a lume di candela con menù a tema pensati per l’occasione, musica, visite guidate, mostre ed esposizioni fino a mezzanotte, quando la serata culminerà con il lancio di migliaia di palloncini nel cielo. Una notte magica che sarà l’occasione per appassionati e innamorati di celebrare la bellezza dei Borghi d’Italia. Per maggiori informazioni: http://borghipiubelliditalia.it/

ITINERARI

I sentieri del Perugino Ha preso avvio il 13 giugno il progetto di Anci Umbria “I sentieri del Perugino nelle terre del marchese” che prevede camminate immersi nella natura e tra borghi medievali ricchi di storia, cultura e tradizioni enogastronomiche. Un’iniziativa a cui hanno collaborato i quattro Comuni di Città della Pieve, Paciano, Panicale e Piegaro e che punta a valorizzare e promuovere in sinergia le Terre del Perugino offrendo a cittadini e turisti un pacchetto di 5 percorsi “dotati di tutti i servizi, ben curati e segnalati”, che formano un anello irregolare lungo complessivamente circa 100 chilometri. L’idea che sta alla base è quella di puntare sul turismo esperienziale che ormai muove la domanda e i mercati turistici; in particolare con il prodotto ‘cammini’ che sono fruibili tutto l’anno e sono la grande novità inserita nel Piano strategico nazionale volto a valorizzare i piccoli borghi”. Il progetto prevede un diretto coinvolgimento delle strutture ricettive e ristorative adiacenti ai 5 itinerari e di alcune associazioni locali ambientaliste e di camminatori come ‘L’olivo e la ginestra’, ‘Il riccio’, ‘Tavernelle cammina’ e ‘Anello del fiume d’oro’. Gli itinerari sono così strutturati: da Città della Pieve a Paciano e Panicale (19 km), da Panicale a Fontignano (21 km), da Fontignano a Castiglion Fosco (20 km), da Castiglione Fosco a Piegaro (21 km) e da Piegaro a Città della Pieve (21 km).

ISOLA MAGGIORE

Moon in june Il 22-23-24 giugno all’ Isola maggiore (Lago Trasimeno) si tiene “Moon in june” con i consueti concerti al tramonto. Il programma di quest’anno prende il via venerdì 22 alle 18.45 al Campo del Sole di Tuoro con “Fields conduction”, concerto di una piccola orchestra che dà vita ad oggetti elettronici riciclati e reinventati. Tra gli altri eventi di questa edizione poi “Le luci della centrale elettrica” progetto artistico/musicale di Vasco Brondi che proporrà l’originale spettacolo “Terra spirituale e tecnologica”.

GALLERIA NAZIONALE

Le fotografie di Guido Harari Dal 29 giugno al 26 agosto 2018 la mostra Le fotografie di Guido Harari sarà presso la Galleria Nazionale dell’Umbria. L’esposizione, dal titolo Wall of Sound, presenta un centinaio di immagini di uno dei maggiori fotografi contemporanei di musica. La rassegna rientra nel programma “Jazz goes to the Museum” che porterà una serie di concerti nella sala Podiani della Galleria Nazionale dell’Umbria. Attraverso oltre 100 fotografie, la mostra presenta un’ampia panoramica del lavoro di un autore che, in più di quarant’anni di attività, ha immortalato autori del calibro di Fabrizio De André, di cui è stato uno dei fotografi personali, Lou Reed, Giorgio Gaber, Bob Dylan, Vinicio Capossela e tanti altri.

ORVIETO

Tango festival Nella Città della Rupe, da venerdì 29 giugno a domenica primo luglio tre giorni di tango, teatro e grande spettacolo. Il programma della manifestazione propone show e milonghe, ma anche incontri di studio con maestri internazionali e seminari. L’evento, che si svolgerà tra palazzo Capitano del popolo e piazza del Duomo, vedrà tra i protagonisti anche i campioni italiani di tango da pista 2018, Riccardo Pagni e Giulia del Porro, che si esibiranno, in piazza del Duomo, durante la serata conclusiva. Pe info: www.orvietotangofestival.it]]>
Un amore concreto https://www.lavoce.it/un-amore-concreto/ Sun, 29 Oct 2017 08:00:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50358 domenica della parola

"Ti amo, Signore, mia forza", dichiara il salmista che ha sperimentato l’amore di Dio attraverso interventi concreti di Lui nella sua vita. E di amore ci parla la Parola di Dio di questa 30ma domenica del T. O., ma di un amore che si prova perché prima lo si è ricevuto. Il contesto evangelico da cui deduciamo il messaggio è la terza diatriba tra Gesù e i Suoi “avversari”. Dopo la prima che ha visto protagonisti gli erodiani inviati dai farisei (22,15-22) e la seconda portata avanti dai sadducei (22,23-33), questa è la volta dei farisei che impostano in prima persona la provocazione. Anzi, è un capo di loro, un “dottore della Legge” a farsi avanti e ad interrogare Gesù: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Il titolo “Maestro” riconosciuto a Gesù può essere stato pronunciato con sincerità perché Gesù ha appena chiuso la bocca ai rivali dei farisei, cioè ai sadducei. Inadeguata potrebbe sembrare la domanda sul “grande comandamento”. Nella tradizione giudaica, così come ci è pervenuto nel Talmud, erano totalizzati 613 precetti, di cui 365 “negativi” (n. dei giorni dell’anno) e 248 “positivi” (n. delle ossa che si riteneva avessero gli esseri umani). Ebbene, tra questi, ce n’era uno considerato “grande”? Per Gesù poteva costituire un trabocchetto visto che nella Sacra Scrittura si legge “Tu hai promulgato i tuoi precetti perché siano osservati interamente” e ancora “non dovrò vergognarmi se avrò considerato tutti i tuoi comandi” (Sal 119), per dire che l’uomo che ha osservato “tutti” i precetti e solo lui è un “giusto” e tale da poter essere fiero di sé. Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura citando quello che è il cuore della dottrina e della preghiera israelita: l’ascolto! È il noto brano dello “Shemà, Israel” (“Ascolta, Israele”) che due volte al giorno veniva e ancora oggi viene recitato dagli ebrei osservanti, tra l’altro come obbligo espresso in uno dei precetti. Sebbene qui non venga riportato da Gesù l’imperativo “Ascolta”, forse perché scontato, è ripreso invece quasi letteralmente il testo del Deuteronomio (6,5): “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Il Signore va quindi amato a partire dal cuore (sede dei sentimenti), durante tutta la vita e con tutte le facoltà intellettive. L’evangelista Matteo nel mettere in bocca a Gesù questo “comandamento” alla fine si discosta dal Deuteronomio e al posto del terzo elemento “con tutte le forze” (letteralmente con “l’eccesso di sé”), propone “con tutta la tua mente” dando così risalto al coinvolgimento dell’intelletto nell’amare Dio. Tutto l’uomo deve essere armonicamente proteso ad amare Dio. Ma Gesù non si ferma all’amore per Dio e, sempre citando la Scrittura, aggiunge un secondo “comandamento”: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. La fonte da cui è tratto questo comandamento è il libro del Levitico che ci aiuta anche ad identificare la fisionomia del “prossimo”: non è soltanto colui che mi è prossimo fisicamente e affettivamente, ma anche colui che mi è vicino eppure è stato causa di ingiustizia e di sofferenza o si trova esso stesso nell’indigenza! I versetti da cui è tratta la citazione dicono infatti: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” e ancora “Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso” (Lv 19,18.34). L’amore dunque, seppur necessiti di parole, si riscontra nella realtà dei fatti. Ecco quindi il nesso con la Prima Lettura che elenca i precetti dell’amore concreto: l’accoglienza del forestiero, il soccorso alle vedove e agli orfani, il prestito senza interesse, la pietà verso i poveri. Ma tali gesti d’amore si adempiono nella misura in cui si è fatta esperienza dell’amore di Dio e il Suo amore lo si sperimenta negli eventi della vita e soprattutto dall’incontro personale e comunitario con Lui attraverso l’ascolto della Parola. Come la fede e l’amore per Dio da parte del popolo d’Israele nasce dall’“ascolto”, così anche per le comunità cristiane, come quella dei Tessalonicesi cui Paolo scrive, ha origine dall’aver “accolto la Parola in mezzo a grandi prove” e la conseguenza è la fecondità spirituale tanto che la loro fede “si è diffusa dappertutto”. L’“ascolto” della Parola consente all’uomo di sentirsi amato da Dio e perciò atto ad amare a sua volta. Tornando perciò al brano evangelico, Gesù termina il Suo dialogo con i farisei i quali non fanno obiezione alcuna perché condividono l’amore per Dio e tuttavia Gesù si spinge oltre associandolo inscindibilmente all’amore per il prossimo: l’amore per Dio è vero se viene dimostrato altrettanto al prossimo. Infine Gesù sigilla il discorso affermando che ai due precetti dell’amore per Dio e per il prossimo “sono appesi” (letteralmente) la Legge e i Profeti. Gesù muore “appeso” alla Croce dell’amore per il Padre e per l’umanità, e volgendo lo sguardo a Lui che è stato trafitto “ogni uomo minacciato nella sua esistenza incontra la sicura speranza di trovare liberazione e redenzione” (san Giovanni Paolo II). PRIMA LETTURA Dal libro dell'Esodo 22, 20-26 SALMO RESPONSORIALE Salmo 17 SECONDA LETTURA I lettera di Paolo ai tessalonicesi 1,5c-10 Commento al Vangelo della XXX Domenica del tempo ordinario - Anno A Dal Vangelo di Matteo 22, 34-40]]>
domenica della parola

"Ti amo, Signore, mia forza", dichiara il salmista che ha sperimentato l’amore di Dio attraverso interventi concreti di Lui nella sua vita. E di amore ci parla la Parola di Dio di questa 30ma domenica del T. O., ma di un amore che si prova perché prima lo si è ricevuto. Il contesto evangelico da cui deduciamo il messaggio è la terza diatriba tra Gesù e i Suoi “avversari”. Dopo la prima che ha visto protagonisti gli erodiani inviati dai farisei (22,15-22) e la seconda portata avanti dai sadducei (22,23-33), questa è la volta dei farisei che impostano in prima persona la provocazione. Anzi, è un capo di loro, un “dottore della Legge” a farsi avanti e ad interrogare Gesù: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Il titolo “Maestro” riconosciuto a Gesù può essere stato pronunciato con sincerità perché Gesù ha appena chiuso la bocca ai rivali dei farisei, cioè ai sadducei. Inadeguata potrebbe sembrare la domanda sul “grande comandamento”. Nella tradizione giudaica, così come ci è pervenuto nel Talmud, erano totalizzati 613 precetti, di cui 365 “negativi” (n. dei giorni dell’anno) e 248 “positivi” (n. delle ossa che si riteneva avessero gli esseri umani). Ebbene, tra questi, ce n’era uno considerato “grande”? Per Gesù poteva costituire un trabocchetto visto che nella Sacra Scrittura si legge “Tu hai promulgato i tuoi precetti perché siano osservati interamente” e ancora “non dovrò vergognarmi se avrò considerato tutti i tuoi comandi” (Sal 119), per dire che l’uomo che ha osservato “tutti” i precetti e solo lui è un “giusto” e tale da poter essere fiero di sé. Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura citando quello che è il cuore della dottrina e della preghiera israelita: l’ascolto! È il noto brano dello “Shemà, Israel” (“Ascolta, Israele”) che due volte al giorno veniva e ancora oggi viene recitato dagli ebrei osservanti, tra l’altro come obbligo espresso in uno dei precetti. Sebbene qui non venga riportato da Gesù l’imperativo “Ascolta”, forse perché scontato, è ripreso invece quasi letteralmente il testo del Deuteronomio (6,5): “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Il Signore va quindi amato a partire dal cuore (sede dei sentimenti), durante tutta la vita e con tutte le facoltà intellettive. L’evangelista Matteo nel mettere in bocca a Gesù questo “comandamento” alla fine si discosta dal Deuteronomio e al posto del terzo elemento “con tutte le forze” (letteralmente con “l’eccesso di sé”), propone “con tutta la tua mente” dando così risalto al coinvolgimento dell’intelletto nell’amare Dio. Tutto l’uomo deve essere armonicamente proteso ad amare Dio. Ma Gesù non si ferma all’amore per Dio e, sempre citando la Scrittura, aggiunge un secondo “comandamento”: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. La fonte da cui è tratto questo comandamento è il libro del Levitico che ci aiuta anche ad identificare la fisionomia del “prossimo”: non è soltanto colui che mi è prossimo fisicamente e affettivamente, ma anche colui che mi è vicino eppure è stato causa di ingiustizia e di sofferenza o si trova esso stesso nell’indigenza! I versetti da cui è tratta la citazione dicono infatti: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” e ancora “Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso” (Lv 19,18.34). L’amore dunque, seppur necessiti di parole, si riscontra nella realtà dei fatti. Ecco quindi il nesso con la Prima Lettura che elenca i precetti dell’amore concreto: l’accoglienza del forestiero, il soccorso alle vedove e agli orfani, il prestito senza interesse, la pietà verso i poveri. Ma tali gesti d’amore si adempiono nella misura in cui si è fatta esperienza dell’amore di Dio e il Suo amore lo si sperimenta negli eventi della vita e soprattutto dall’incontro personale e comunitario con Lui attraverso l’ascolto della Parola. Come la fede e l’amore per Dio da parte del popolo d’Israele nasce dall’“ascolto”, così anche per le comunità cristiane, come quella dei Tessalonicesi cui Paolo scrive, ha origine dall’aver “accolto la Parola in mezzo a grandi prove” e la conseguenza è la fecondità spirituale tanto che la loro fede “si è diffusa dappertutto”. L’“ascolto” della Parola consente all’uomo di sentirsi amato da Dio e perciò atto ad amare a sua volta. Tornando perciò al brano evangelico, Gesù termina il Suo dialogo con i farisei i quali non fanno obiezione alcuna perché condividono l’amore per Dio e tuttavia Gesù si spinge oltre associandolo inscindibilmente all’amore per il prossimo: l’amore per Dio è vero se viene dimostrato altrettanto al prossimo. Infine Gesù sigilla il discorso affermando che ai due precetti dell’amore per Dio e per il prossimo “sono appesi” (letteralmente) la Legge e i Profeti. Gesù muore “appeso” alla Croce dell’amore per il Padre e per l’umanità, e volgendo lo sguardo a Lui che è stato trafitto “ogni uomo minacciato nella sua esistenza incontra la sicura speranza di trovare liberazione e redenzione” (san Giovanni Paolo II). PRIMA LETTURA Dal libro dell'Esodo 22, 20-26 SALMO RESPONSORIALE Salmo 17 SECONDA LETTURA I lettera di Paolo ai tessalonicesi 1,5c-10 Commento al Vangelo della XXX Domenica del tempo ordinario - Anno A Dal Vangelo di Matteo 22, 34-40]]>
La Parola della domenica. L’amore non muore mai https://www.lavoce.it/la-parola-della-domenica-lamore-non-muore-mai/ Thu, 03 Nov 2016 17:34:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47848 MESSALE metti piccola in commento al vangeloLa liturgia di questa domenica ci parla della vita dopo la morte. Del resto l’anno liturgico volge al termine, e la Chiesa ci richiama a porre l’attenzione sulle verità ultime. La splendida testimonianza che ci offrono i fratelli Maccabei nella prima lettura è l’anticipazione della nostra idea di risurrezione dai morti. Il Vangelo si apre con la figura dei sadducei, rappresentanti del gruppo religioso e politico della casta sacerdotale; negavano la vita eterna e limitavano la Bibbia ai primi cinque libri di Mosè, la Torah.

Per mettere in ridicolo i farisei, loro avversari, chiedono a Gesù di pronunciarsi sulla risurrezione, evidenziandone l’incompatibilità con la legge mosaica e le contraddizioni che sgorgano da tale fede. Per questo si appellano alla legge del levirato (da levir, che significa cognato), per cui bisogna che il parente prossimo sposi la donna rimasta vedova se è senza figli, in modo da assicurare una discendenza al defunto (cfr. Dt 25,5). La legge del levirato prevede solo la discendenza come possibilità di sopravvivenza oltre la morte. Gesù ribalta le evidenze dei sadducei. In risposta alla domanda a trabocchetto dei sadducei sulla sorte della donna che ha avuto in terra sette mariti, Gesù riafferma anzitutto il fatto della risurrezione, correggendo nello stesso tempo la rappresentazione materialistica e caricaturale che ne fanno i sadducei. La beatitudine eterna non è semplicemente un potenziamento e prolungamento delle gioie terrene, con piaceri della carne e della tavola a sazietà. L’altra vita è davvero un’altra vita, una vita di qualità diversa. È, sì, il compimento di tutte le attese che l’uomo ha in terra, e anzi infinitamente di più, ma su un piano diverso. “Quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli”.

Nella parte finale del Vangelo, Gesù spiega il motivo perché ci deve essere vita dopo la morte: Dio è “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. Dove sta in ciò la prova che i morti risorgono? Se Egli stesso si definisce “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” ed è un Dio dei vivi, non dei morti, allora vuol dire che Abramo, Isacco e Giacobbe vivono da qualche parte, anche se, al momento in cui Dio parla a Mosè, sono già morti da secoli.

Interpretando in modo errato la risposta che Gesú dà ai sadducei, alcuni hanno sostenuto che il matrimonio non ha alcun seguito in cielo. Ma con quella frase Gesù rigetta l’idea caricaturale che i sadducei presentano dell’aldilà, come fosse un semplice proseguimento dei rapporti terreni tra coniugi; non esclude che essi possano ritrovare, in Dio, il vincolo li ha uniti sulla terra. “È possibile che due sposi, dopo una vita che li ha associati a Dio nel miracolo della creazione, nella vita eterna non abbiamo più niente in comune, come se tutto fosse dimenticato, perduto? Non sarebbe questo in contrasto con la parola di Cristo, che non si deve dividere ciò che Dio ha unito? Se Dio li ha uniti sulla terra, come potrebbe dividerli in cielo? Può tutta una vita insieme finire nel nulla senza che si smentisca il senso stesso della vita di quaggiù, che è di preparare l’avvento del Regno, i cieli nuovi e la terra nuova?” (padre Raniero Cantalamessa).

È la Scrittura stessa, non solo il naturale desiderio degli sposi, ad appoggiare questa speranza. Il matrimonio, dice la Scrittura, è “un grande sacramento” perché simboleggia l’unione tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,32). Possibile dunque che sia cancellato proprio nella Gerusalemme celeste, dove si celebra l’eterno banchetto nuziale tra Cristo e la Chiesa, di cui esso è immagine? Secondo questa visione, il matrimonio non finisce del tutto con la morte, ma viene trasfigurato, spiritualizzato, sottratto a tutti quei limiti che segnano la vita sulla terra, come, del resto, non sono dimenticati i vincoli esistenti tra genitori e figli o tra amici.

Nel prefazio della Messa dei defunti la liturgia dice che con la morte vita mutatur, non tollitur (la vita è mutata, non è tolta); lo stesso si deve dire del matrimonio che è parte integrante della vita.

Ma cosa dire a quelli che hanno avuto un’esperienza negativa, di incomprensione e di sofferenza, nel matrimonio terreno? Non sarebbe motivo di spavento, anziché di consolazione, l’idea che il legame non si rompa neppure con la morte? No, perché nel passaggio dal tempo all’eternità il bene resta, il male cade. L’amore che li ha uniti, fosse pure per breve tempo, rimane; i difetti, le incomprensioni, le sofferenze che si sono inflitte reciprocamente cadono. Moltissimi coniugi sperimenteranno solo quando saranno riuniti “in Dio” l’amore vero tra di loro e, con esso, la gioia e la pienezza dell’unione che non hanno goduto in terra. È anche la conclusione di Goethe sull’amore tra Faust e Margherita: “Solo in cielo l’irraggiungibile [cioè l’unione piena e pacifica tra due creature che si amano] diventerà realtà”. In Dio tutto si capirà, tutto si scuserà, tutto ci si perdonerà.

E che dire di quelli che sono stati legittimamente sposati a diverse persone, come i vedovi e le vedove risposati? (Fu il caso presentato a Gesù dei sette fratelli che avevano avuto, successivamente, in moglie la stessa donna). Anche per loro dobbiamo ripetere la stessa cosa: quello che c’è stato di amore e donazione veri con ognuno dei mariti o delle mogli avuti, essendo obiettivamente un “bene” e venendo da Dio, non sarà annullato. Lassù non ci sarà più rivalità in amore o gelosia. Queste cose non appartengono all’amore vero, ma al limite intrinseco della creatura.

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Nobili intenzioni e ignobili effetti https://www.lavoce.it/nobili-intenzioni-e-ignobili-effetti/ https://www.lavoce.it/nobili-intenzioni-e-ignobili-effetti/#comments Fri, 04 Mar 2016 16:27:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45636 don-paolo-giuliettiCi sono sentimenti e desideri che fanno onore all’uomo: uno di questi è certamente la paternità. Che non consiste solo nell’avere un figlio, ma nell’introdurlo alla vita trasmettendogli il meglio di sé: affetto, ideali, storie, competenze, patrimoni… mediante quella nobile arte che si chiama educazione. Attraverso di essa, spesso con doglie altrettanto acute di quelle del parto, ma anche con dolcissime gioie, si diventa compiutamente genitori poiché si “mette al mondo” un uomo o una donna.
Profondissimo istinto, tanto che la sterilità – oggi purtroppo sempre più diffusa – viene percepita quasi come una diminutio di umanità, causando non di rado grande sofferenza. Come non ricordare l’afflizione dei personaggi biblici privi di discendenza, quali Abramo, Anna, Zaccaria? E come non comprendere che una persona omosessuale possa vivere intensamente il desiderio di paternità? Sarebbe strano, piuttosto, il contrario. Ci sono pratiche vergognose perché indegne dell’uomo: il catechismo li chiamava “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”; oggi “peccati che gridano verso il cielo”.
Diciture senz’altro politically incorrect, ma che esprimono bene il rifiuto dinanzi a tali comportamenti. Nella lista non è incluso il commercio di organi, ma il senso comune inorridisce quando un gesto di grande altruismo, come la donazione di un rene, diventa oggetto di compravendita. L’altro infatti è ridotto a uno strumento, un mezzo che uso – e pago poco – per raggiungere i miei scopi. La sua povertà, già di per sé avvilente, diventa occasione per un ulteriore e più odioso sfruttamento. Quando poi a essere oggetto di vendita sono elementi utilizzati per dare vita a un altro essere umano, come ovuli, sperma, gestazione… la questione si complica; entra in gioco una terza persona che sarà privata non di un organo, ma della piena contezza della propria identità biologica. Il che, forse, è addirittura peggio.

Come può accadere che sentimenti tanto nobili si servano di pratiche tanto ignobili? Nella Laudato si’ Papa Francesco mette a fuoco lo strapotere del “paradigma tecnocratico”: l’idea che, per il fatto che una cosa sia tecnicamente possibile, diventi anche lecita e persino buona.
La qual cosa non vale solo a determinare il ricorso al cosiddetto “utero in affitto”, ma influisce pesantemente sul modo di praticare la tecnica, l’economia, la politica, la medicina, le relazioni sociali, l’uso delle risorse dell’ambiente. Si smarrisce il senso della finalità e dell’organicità dell’azione umana, per concentrarsi sull’ottenimento – a qualsiasi costo – di quanto si desidera.
Accade così che le attività nate per servire l’uomo, i suoi nobili desideri, gli si ritorcano contro, danneggiando il genere umano e la sua casa, il pianeta terra. Al di là delle gazzarre politiche, dunque, la vicenda della paternità di Niki Vendola ci aiuti tutti, persone Lgtb e persone eterosessuali, credenti e non, gente di destra e gente di sinistra, a riflettere seriamente su dove stiamo andando.

Fermiamoci, come invita a fare Papa Francesco, “per recuperare la profondità della vita […]. Non rinunciamo a farci domande sui fini e il senso di ogni cosa” (LS 113). È urgente, aggiunge, una “coraggiosa rivoluzione culturale. […] È indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane” (LS 114).

Tutti abbiamo da farci delle domande, degli esami di coscienza; di tutti abbiamo bisogno per trovare e praticare delle risposte efficaci.

Parliamone.

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La presenza a Roma di famiglie umbre https://www.lavoce.it/la-presenza-a-roma-di-famiglie-umbre/ Thu, 01 Oct 2015 13:11:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43664 Alcuni partecipanti alla veglia di preghiera organizzata dalla Cei per il Sinodo straordinario sulla famiglia
Alcuni partecipanti alla veglia di preghiera organizzata dalla Cei per il Sinodo straordinario sulla famiglia

La veglia di preghiera di sabato pomeriggio 3 ottobre , che precede l’inizio del Sinodo sulla famiglia, rappresenta un incontro di famiglie riunite attorno a Papa Francesco e ai Padri sinodali per pregare e per invocare dal Signore grazia e sapienza, prudenza e audacia per l’assise vaticana.

L’Umbria sarà presente con numerose famiglie, in rappresentanza delle otto diocesi, che hanno organizzato pullman e un’intera giornata da trascorrere in comunione tra celebrazioni, catechesi e testimonianze.

La veglia, promossa dall’ufficio di Pastorale familiare della Conferenza episcopale italiana, ha per icona la presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme. Sarà aperta dal saluto di mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei, al quale farà seguito una serie di testimonianze in video delle catechesi di Papa Francesco.

“L’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna – ricordava il Papa nell’udienza del 27 maggio scorso – alleanza per la vita, non si improvvisa, non si fa da un giorno all’altro. Non c’è il matrimonio express: bisogna lavorare sull’amore, bisogna camminare”.

Alcune testimonianze riguarderanno la famiglia nella malattia, la famiglia e la Chiesa come grande famiglia di Dio. All’arrivo del Pontefice, una famiglia presenterà una lampada accesa, mentre Bergoglio pronuncierà la preghiera di benedizione e invocazioni allo Spirito.

Alle famiglie che non potranno recarsi a Roma si chiede di unirsi in preghiera dalle loro case accendendo una candela da porre poi sul davanzale della finestra, seguendo la diretta tv, o in altra modalità, secondo la possibilità della famiglia stessa.

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Umanità, esperienza di fraternità https://www.lavoce.it/umanita-esperienza-di-fraternita/ Thu, 01 Oct 2015 12:52:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43654 Uno degli incontri del Cortile di Francesco (credit Andrea Cova)
Uno degli incontri del Cortile di Francesco (credit Andrea Cova)

L’Umbria e gli umbri hanno partecipato con interesse e attenzione, manifestando quella sete di pace e dialogo che da sempre contraddistingue il Cuore verde d’Italia. Il Cortile di Francesco, “costola” del Cortile dei Gentili, è stata la proposta che l’Umbria e gli umbri hanno voluto fare all’Italia e al mondo, facendo diventare Assisi ancora una volta parola buona, bella, vera capace di raggiungere tutti gli uomini di buona volontà.

Infatti, quest’anno abbiamo voluto mettere a tema l’ umanità , cioè quel che riguarda la vita di ciascuno. Ed ecco il Cortile di Francesco, spazio di incontro e di dialogo, con il quale abbiamo voluto rilanciare la sfida della fraternità a partire dall’elemento più coagulante e più distanziante che esista: l’umanità appunto, ossatura e carne di ciascuno. Ovviamente, il sostantivo umanità designa ciò che ci appartiene per natura, ma il termine può essere inteso anche come una “qualità”, che si può riconoscere propria ed essenziale ad alcuni esseri viventi piuttosto che ad altri.

In tal senso, si apre il campo alle più svariate interpretazioni e attribuzioni di ciò che è o non è riconducibile alla nostra specie. Rispetto alla fraternità, l’umanità rappresenta il minimo comune denominatore, ma allo stesso tempo è anche il suo massimo comun divisore. Come insegna la matematica, il minimo comun denominatore mette in relazione numeri (frazioni) altrimenti incomunicabili tra loro.

Così è l’umanità per le etnie, le religioni, le culture; è la tinta base della fraternità. Tuttavia, è la stessa umanità che ci differenzia e, come fa il massimo comun divisore, svolge “naturalmente” la funzione di maggior fattore di distinzione. Lo si vede chiaramente nella differenza tra il maschile e il femminile; è l’arcobaleno della fraternità. La miscela tra la tinta base e i colori è tutt’altro che scontata. Perciò, l’approccio al Cortile che abbiamo proposto è quello dello “spirito di Assisi”: ogni esperienza umana autenticamente vissuta, di credenti e non credenti, getta un bagliore di luce sull’esistenza e sul mondo, che può aiutare a comprendere meglio la realtà ed orientarsi al bene.

Mi piace applicare, a quanto abbiamo vissuto in questi giorni, le parole di Papa Francesco contenute nella sua ultima Lettera enciclica sulla cura della casa comune: “Dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte, alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio” (Laudato si’ 63).

Lo stesso vale al fine di costruire una società globale che rispetti ed onori ogni essere umano, ponendolo in condizione di esprimere il dono che egli è. Chi è stato presente al Cortile di Francesco e chi ci ha seguito da casa, è stato invitato ad assumere uno sguardo audace, come il nostro: l’altro è il motivo della mia presenza al Cortile, colui al quale mi rivolgo; l’altro che incontro è pieno di valore, bello, prezioso. Avevamo proposto a tutti una parola che appartiene al vocabolario della fraternità: stupore!

Nel Cortile il dialogo non voleva essere una strategia per convincere l’altro delle proprie ragioni, ma lo sguardo incantato sulla sua esperienza unica. Lo sguardo colmo di meraviglia doveva condurre a vedere la bellezza del fratello e quindi all’amore per lui. Proprio l’amore poteva divenire la spinta a comunicare ciò che ciascuno aveva di più caro.

Il Cortile è stata così un’esperienza di fraternità, nella quale l’umanità non è stato il minimo comun denominatore che appiattisce, ma che arricchisce; e non è stato nemmeno il massimo comun divisore che separa, ma che conduce al riconoscimento del fratello, bello perché differente da me. Insieme abbiamo dipinto l’universale, stupefacente, armonia dei colori!

 

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Una casa con le porte sempre aperte https://www.lavoce.it/una-casa-con-le-porte-sempre-aperte/ Thu, 10 Sep 2015 09:42:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43157 Le "Nozze di Cana" aperte a tutti; opera del Veronese (Parigi, Louvre)
Le “Nozze di Cana” aperte a tutti; opera del Veronese (Parigi, Louvre)

All’udienza generale di mercoledì in piazza San Pietro, Papa Francesco si è soffermato sul legame tra la famiglia e la comunità cristiana: “I grandi eventi delle potenze mondane – ha esordito – si scrivono nei libri di storia, e lì rimangono. Ma la storia degli affetti umani si scrive direttamente nel cuore di Dio; ed è la storia che rimane in eterno. È questo il luogo della vita e della fede. La famiglia è il luogo della nostra iniziazione, insostituibile, indelebile, a questa storia”.

A braccio ha aggiunto: “… A questa storia di vita piena, che finirà nella contemplazione di Dio per tutta l’eternità nel Cielo, ma incomincia nella famiglia. Per questo è tanto importante la famiglia!”.

E proseguendo: “Il Figlio di Dio imparò la storia umana per questa via, e la percorse fino in fondo. È bello ritornare a contemplare Gesù e i segni di questo legame. Egli nacque in una famiglia e lì ‘imparò il mondo’: una bottega, quattro case, un paesino da niente. Eppure, vivendo per trent’anni questa esperienza, Gesù assimilò la condizione umana, accogliendola nella sua comunione con il Padre e nella sua stessa missione apostolica. Poi, quando lasciò Nazareth e incominciò la vita pubblica, Gesù formò intorno a sé una comunità, un’assemblea, cioè una con-vocazione di persone. Questo è il significato della parola ‘Chiesa’.

Nei Vangeli, l’assemblea di Gesù ha la forma di una famiglia; e di una famiglia ospitale, non di una setta esclusiva, chiusa. Vi troviamo Pietro e Giovanni, ma anche l’affamato e l’assetato, lo straniero e il perseguitato, la peccatrice e il pubblicano, i farisei e le folle. E Gesù non cessa di accogliere e di parlare con tutti, anche con chi non si aspetta più di incontrare Dio nella sua vita. È una lezione forte per la Chiesa! I discepoli stessi sono scelti per prendersi cura di questa assemblea, di questa famiglia degli ospiti di Dio”.

Passando quindi all’attualità: “Perché sia viva nell’oggi questa realtà dell’assemblea di Gesù, è indispensabile ravvivare l’alleanza tra la famiglia e la comunità cristiana. Potremmo dire che la famiglia e la parrocchia sono i due luoghi in cui si realizza quella comunione d’amore che trova la sua fonte ultima in Dio stesso. Una Chiesa davvero secondo il Vangelo non può che avere la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre. Le chiese, le parrocchie, le istituzioni, con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei!”.

Riprendendo quindi un’affermazione contenuta nel libro Gli insegnamenti di J. M. Bergoglio (Lev, 2104) a cura del Pontificio consiglio per la famiglia: “Contro i centri di potere ideologici, finanziari e politici… riponiamo le nostre speranze in questi centri di potere? No! Centri dell’amore! La nostra speranza è in questi centri dell’amore, centri evangelizzatori, ricchi di calore umano, basati sulla solidarietà e la partecipazione”.

In definitiva, “rafforzare il legame tra famiglia e comunità cristiana è oggi indispensabile e urgente. Certo, c’è bisogno di una fede generosa per ritrovare l’intelligenza e il coraggio per rinnovare questa alleanza. Le famiglie a volte si tirano indietro, dicendo di non essere all’altezza: ‘Padre, siamo una povera famiglia e anche un po’ sgangherata’, ‘Non ne siamo capaci’, ‘Abbiamo già tanti problemi in casa’, ‘Non abbiamo le forze’. Questo è vero. Ma nessuno è degno, nessuno è all’altezza, nessuno ha le forze! Senza la grazia di Dio, non potremmo fare nulla. Tutto ci viene dato, gratuitamente dato. E il Signore non arriva mai in una nuova famiglia senza fare qualche miracolo. Ricordiamoci di quello che fece alle nozze di Cana. Sì, il Signore, se ci mettiamo nelle sue mani, ci fa compiere miracoli! I miracoli di tutti i giorni, quando c’è il Signore, lì, in quella famiglia.

Naturalmente, anche la comunità cristiana deve fare la sua parte. Ad esempio, cercare di superare atteggiamenti troppo direttivi e troppo funzionali, favorire il dialogo interpersonale e la conoscenza e la stima reciproca. Le famiglie prendano l’iniziativa e sentano la responsabilità di portare i loro doni preziosi per la comunità. Tutti dobbiamo essere consapevoli che la fede cristiana si gioca sul campo aperto della vita condivisa con tutti. La famiglia e la parrocchia devono compiere il miracolo di una vita più comunitaria per l’intera società”.

 

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Amore oltre le barriere linguistiche https://www.lavoce.it/amore-oltre-le-barriere-linguistiche/ Wed, 09 Sep 2015 11:01:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43102 Foto di gruppo dei giovani di Trestina in Perù
Foto di gruppo dei giovani di Trestina in Perù

C’è chi parte per curiosità, chi per spirito d’avventura… chi lo vede come un punto d’arrivo e chi come una partenza, un nuovo inizio. C’è chi parte con lo zaino leggero e chi, “per stare tranquillo”, riempie ogni spazietto vuoto della valigia.

C’è chi si fa film mentali su cosa troverà, chi parte a occhi chiusi e cuore aperto. Un mese di sorrisi, abbracci, sguardi, paure, dubbi e domande. Il fatto è che non si può spiegare a parole ciò che spesso nemmeno gli occhi riescono a contenere.

Abbiamo conosciuto la povertà, quella vera, ma anche l’amore e la fede. La fede di chi, pur non avendo nulla, con il Signore ha tutto. Momenti intensi quelli vissuti da noi 18 ragazzi di Trestina e dintorni, guidati dal sacerdote don Simone Valori, che quest’anno abbiamo trascorso un agosto decisamente diverso dal solito!

Un viaggio dall’altra parte del mondo alla scoperta del Perù. Prima tappa Huaylas, dove abbiamo partecipato all’inaugurazione dell’oratorio dedicato a Mauro Zambri, uno dei primi trestinesi a recarsi nella parrocchia peruviana dopo la nascita del gemellaggio con la parrocchia San Donato, che si era sin da subito innamorato di quei luoghi.

La costruzione dell’oratorio aveva preso il via proprio in coincidenza dell’arrivo del primo gruppo di volontari, tra cui anche il parroco don Vinicio Zambri. Poi è stato il momento di Pallasca. Catechisti di bambini che si sono affidati completamente a noi, così impacciati e balbettanti (viste le difficoltà linguistiche) che spesso ci sentivamo fuori posto… ma sempre nel posto giusto.

L’unica “arma” a nostra disposizione le parole che padre Ugo de Censi, missionario e fondatore dell’Operazione Mato Grosso, ci aveva lasciato al nostro arrivo a Lima: “Amate ogni bambino. Potrete non capire la lingua ma, se li amate, loro lo sapranno”.

Lungo il viaggio di ritorno, tappa a Tauca e ai suoi taller, scuole dove ragazzi di diverse età vengono indirizzati a un mestiere per garantire loro un futuro. I vari corsi vanno dalla falegnameria alla scultura, dal mosaico alla creazione di gioielli e vetrate e tanto altro. Opera imponente quella di padre Ugo che, una volta impostata questa struttura educativa, decise quale sarebbe stato l’unico criterio per l’ingresso ai corsi: il livello di povertà.

Tutto per i più poveri, tutto per dar loro una vita e un futuro migliore. Non si può non rimanere incantati dalla bellezza del posto, che sembra come avvolto da un’aura speciale che ti fa star lì, immobile, a fissare le tante “opere d’arte” e le manine di quei ragazzi che si dedicano completamente al loro lavoro, quasi senza far caso alla tua presenza.

Dopo una breve tappa a Chimbote e una visita alla sua meravigliosa cattedrale, è giunto il momento, anche se per molti a malincuore, di ripartire. In Perù abbiamo lasciato tutto ciò che avevamo. Ci siamo spogliati di tutto, svuotati. Nonostante ciò, non ci siamo mai sentiti così pieni. Pieni di vita, amore e speranza, doni gratuiti di bambini, anziani e volontari che abbiamo incontrato lungo il nostro cammino e che rimarranno segni indelebili nei nostri cuori. Siamo partiti senza sapere cosa avremmo trovato, ora sappiamo che non saremo più gli stessi.

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Misericordia sconfinata di Dio e della Chiesa https://www.lavoce.it/misericordia-sconfinata-di-dio-e-della-chiesa/ Thu, 03 Sep 2015 10:45:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43023 Papa Francesco
Papa Francesco

“Divenni a me stesso una contrada di miseria”, ma “la Tua misericordia mi volava attorno, fedele, di lontano”, perché “la Tua onnipotenza non è lontana da noi, anche quando noi siamo lontani da Te”; Tu, Signore, “sei presente anche a coloro che si allontanano da Te”; “Tu, o Altissimo, non abbandoni il nostro fango”.

Sono parole di un peccatore che, inseguito dalla misericordia del Signore, è diventato un grande santo. Parole di Agostino – nel libro delle Confessioni – che mi sono rimbalzate nel cuore leggendo la lettera di Papa Francesco a mons. Rino Fisichella in vista dell’Anno santo della Misericordia.

Ha davvero un sapore agostiniano il messaggio di Francesco, che detta le linee maestre di quell’evento che la Chiesa cattolica celebrerà a partire dal dicembre prossimo.

La Misericordia vi appare nella sua vera essenza – che spesso noi stessi cristiani non comprendiamo appieno – come esperienza che manifesta in pienezza la verità di Dio, l’essenza del nostro Signore.

“Misericordia” non è una bella parola di cui riempirsi la bocca, non è un “buon sentimento” nel quale cullarsi, non è riducibile a qualche nobile gesto. Misericordia è la sostanza di Dio che si comunica ai Suoi figli perché possano diventare segno e immagine di Lui. “A immagine di Dio li creò”, affinché manifestino nella storia l’amore di Dio, che non è mai vinto dal peccato dell’uomo.

Misericordia è l’amore di Dio all’uomo che trasforma l’uomo in amore che si dona. E come l’amore, misericordia di Dio è diffusivum sui (diffonde se stesso), così l’amore, misericordia della Chiesa, si diffonde sugli uomini peccatori. Questo è, nelle parole del Papa, il significato, la natura, lo scopo dell’Anno santo che ci apprestiamo a celebrare.

Un Giubileo che segna molte novità: non solo chiama gli uomini verso Dio, ma segna il cammino di Dio verso gli uomini. È l’anno santo del “pellegrinaggio di Dio” verso i peccatori, nel quale la misericordia del Signore non tanto li aspetta nelle grandi basiliche, ma va a cercarli nelle loro case, nei luoghi della loro sofferenza, nelle carceri in cui scontano la pena dei loro errori.

Per questo, l’indulgenza giubilare la potranno ricevere in pienezza malati e sofferenti impossibilitati a farsi pellegrini, i carcerati costretti nei luoghi della detenzione; la potranno ottenere quelli che, non potendo recarsi nelle “sedi” del perdono, si dedicheranno alle opere di misericordia corporali e spirituali. Anche i morti potranno ottenerla attraverso il bene compiuto dai loro cari.

Francesco allarga, con questo testo, i confini della misericordia: tutti i preti [e non solo quelli espressamente autorizzati, ndr], in questo anno potranno assolvere dal peccato di aborto, indicando a chi si è macchiato di questa colpa “un percorso di conversione” che li porti a conoscere e ricevere “il vero e generoso perdono del Padre”.

Anche questo, affinché la misericordia di Dio possa raggiungere tutti nel loro habitat, prima ancora che siano i peccatori a pellegrinare verso Dio. Diventa verità concreta la parabola della pecorella smarrita, che il pastore non sta ad attendere, ma va personalmente a cercare per riportarla, sulle sue spalle, all’ovile; come pure la parabola del Padre misericordioso che “corre incontro” al figlio prodigo, perché l’amore di Dio non può attendere.

L’amore di Dio è sempre segnato da una grande fretta di salvare i suoi figli peccatori. Lo scritto di Papa Francesco non cessa, dall’inizio alla fine, di stupire nella volontà di allargare i confini della misericordia. Si rivolge anche ai seguaci del vescovo Lefebvre, che hanno rotto con la Chiesa cattolica: la misericordia di Dio vuole raggiungere anche loro.

Stabilisce infatti, il Papa, che anche i sacerdoti della Fraternità San Pio X possano assolvere “validamente e lecitamente” i fedeli che a loro si accostano nelle chiese da loro officiate. Davvero, la misericordia del nostro Dio non ha confini: Francesco vuole che la Chiesa manifesti concretamente e in pienezza questa grande verità.

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L’amore fa rifiorire la città https://www.lavoce.it/lamore-fa-rifiorire-la-citta/ Thu, 03 Sep 2015 10:44:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43022 famiglia-parcoSono proseguite per tutto il mese di agosto le catechesi del mercoledì di Papa Francesco sulla famiglia.

Il 2 settembre il Vescovo di Roma ha quindi affrontato l’argomento dal punto di vista della sua valenza sociale.

Alla luce del Vangelo – ha sottolineato – i legami familiari “all’interno dell’esperienza della fede e dell’amore di Dio, vengono trasformati, vengono ‘riempiti’ di un senso più grande, e diventano capaci di andare oltre se stessi, per creare una paternità e una maternità più ampie, e per accogliere come fratelli e sorelle anche coloro che sono ai margini di ogni legame”.

“L’invito – ha aggiunto – a mettere i legami familiari nell’ambito dell’obbedienza della fede e dell’alleanza con il Signore non li mortifica; al contrario, li protegge, li svincola dall’egoismo, li custodisce dal degrado, li porta in salvo per la vita che non muore. La circolazione di uno stile familiare nelle relazioni umane è una benedizione per i popoli: riporta la speranza sulla Terra”.

Attraverso i gesti di amore che avvengono in una famiglia che decide, ad esempio, di adottare un figlio, si rivela il volto stesso di Dio: “Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici. Un solo uomo e una sola donna, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più”.

Per il Vescovo di Roma, “la famiglia che risponde alla chiamata di Gesù riconsegna la regìa del mondo all’alleanza dell’uomo e della donna con Dio”. Pensiamo se a un’alleanza di questo tipo venisse consegnato il “timone della storia”, e se ogni decisione fosse assunta con “lo sguardo rivolto alla generazione che viene. I temi della terra e della casa, dell’economia e del lavoro, suonerebbero una musica molto diversa! Se ridaremo protagonismo, a partire dalla Chiesa, alla famiglia che ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica, diventeremo come il vino buono delle nozze di Cana, fermenteremo come il lievito di Dio”.

“Ecco – ha concluso Francesco – il lievito che riporta la vita nella Babele della civiltà moderna, dove l’allegria è spesso forzata e di facciata: le nostre città sono diventate desertificate per mancanza d’amore, per mancanza di sorriso. Tanti divertimenti, tante cose per perdere tempo, per far ridere, ma l’amore manca. Il sorriso di una famiglia è capace di vincere questa desertificazione delle nostre città. E questa è la vittoria dell’amore della famiglia. Nessuna ‘ingegneria’ economica e politica è in grado di sostituire questo apporto delle famiglie”.

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La solennità di san Lorenzo nelle parole dell’arcivescovo Bassetti https://www.lavoce.it/la-solennita-di-san-lorenzo-nelle-parole-dellarcivescovo-bassetti/ Thu, 13 Aug 2015 12:48:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42474 San Lorenzo
San Lorenzo

Nella solennità di san Lorenzo, primo diacono della Chiesa, santo cui è dedicata la cattedrale di Perugia, il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, nella messa della vigilia ha ordinato sette diaconi permanenti provenienti da sette comunità parrocchiali: Francesco Buono e Gian Mauro Maggiurana da Tavernelle; Giovanni Brustenghi dal Castiglione della Valle; Lanfranco Cipolletti da Cerqueto di Marsciano; Francesco Germini da Pila; Aristide Bortolato da Pierantonio; Luigi Fioroni da San Barnaba in Perugia.
Il giorno dopo il Cardinale ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica delle ore 11.30 in cattedrale, concelebrata come ogni anno da una folta rappresentanza di sacerdoti provenienti dai cinque continenti che a Perugia studiano l’Italiano.

Qui di seguito il testo dell’omeliatenuta dal Cardinale nel giorno della solennità, il 10 agosto scorso:

All’inizio di questa celebrazione, m’è caro salutare le autorità di ogni genere e grado, e, soprattutto, i sacerdoti di altre nazionalità che, per motivi di studio, sono presenti nella nostra Diocesi e nella nostra città. Voi, carissimi presbiteri, rendete presente fra noi quella Chiesa della Pentecoste, nata 50 giorni dopo la Pasqua del Signore, che canta ed esprime le meraviglie dello Spirito. Perugia possa essere sempre nei vostri confronti Chiesa e città accoglienti.

Carissimi, festeggiare il Santo Patrono è come festeggiare un padre, un fratello, un amico – San Lorenzo è uno dei santi più venerati nella Chiesa: il suo culto è antichissimo.

Per la Chiesa è sempre tempo di martirio

L’immagine del diacono Lorenzo, con gli strumenti della sua passione, che oggi veneriamo, ci rimanda ai tempi lontani, in cui i cristiani venivano perseguitati e condannati ad atroci supplizi. Purtroppo per la Chiesa è sempre tempo di martirio. Più di quattromila sono i cristiani uccisi fra il 2013 e il 2014 per motivi legati alla loro fede. Sessantamila cristiani sono imprigionati nei campi di detenzione della Corea del Nord. Più di mille chiese sono state attaccate da estremisti dell’Islam. Più di cento sono i Paesi del mondo in cui si registra un crescente disprezzo per la libertà religiosa.

Secondo l’ultimo Dossier della Caritas, almeno cento milioni di cristiani sono perseguitati e lottano per la fede. L’intolleranza religiosa, come ben sapete, sta purtroppo crescendo. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a questi fatti che scuotono la nostra coscienza di uomini e di cristiani e non possiamo non farci carico delle sofferenze di tanti fratelli e sorelle.

Affrontare insieme alle Istituzioni civili il fenomeno migratorio e dei profughi

Un altro fenomeno dei nostri giorni: il problema migratorio e quello dei profughi. Gente costretta a lasciare la propria terra e consegnarsi nelle mani di trafficanti senza scrupoli, che si servono di essi come di merce da trasporto. In poco più di sette mesi, in migliaia hanno trovato la loro tomba nel Mar Mediterraneo. Fra questi, tante donne e bambini. Il Santo Padre ha parlato chiaramente: “Respingere i migranti? Questa è guerra! Pensiamo a quei fratelli partiti dalla Birmania… sono cacciati da un Paese all’altro e vanno per mare… quando arrivano in un porto o su una spiaggia – sono parola di Papa Francesco – danno loro un po’ d’acqua e un po’ da mangiare e li ricacciano in mare! Questo, dice il Papa, è un conflitto non risolto, questa è guerra, questa si chiama violenza, si chiama uccidere…”.

Cari Fratelli e Sorelle, noi vogliamo essere Chiesa solidale e vogliamo esprimere secondo le nostre possibilità un’accoglienza generosa e concreta, impegnandoci come Caritas e con l’aiuto delle Istituzioni locali, che regolano i flussi dei migranti.

Siamo chiamati ad amare i fratelli, soprattutto i più poveri del mondo

San Lorenzo, nostro celeste patrono aiuti tutti noi a vivere e a consolidare la civiltà dell’amore costruita in due millenni di cristianesimo e fondata sul Vangelo. Essa, non è compito solo di pochi esperti e non riguarda solo gli addetti ai lavori, ma è un dovere di tutti, ognuno per la sua parte. Cresca nei nostri cuori il fuoco della carità che infiammò san Lorenzo, il quale, caduto in terra come un seme, ci dice oggi che la misura definitiva del nostro essere amati da Dio è soltanto quella  dell’amore verso i fratelli. Siamo chiamati ad amare i fratelli, soprattutto i più poveri del mondo, con quell’amore commovente e misterioso con cui ci ama Gesù. Amare per un cristiano significa dare vita, dare gioia, comunicare speranza.

La gente è stanca di attendere e di ascoltare tante promesse

Nell’omelia di ieri sera, durante l’ordinazione di sette diaconi, citavo le parole del Vangelo: “Gesù vedendo le folle che erano stanche ne sentì compassione”, sottolineando come anche oggi sia importante vedere le “folle stanche”.

Oggi il nostro popolo è stanco, spesso sfiduciato e demotivato… La gente è stanca di attendere e di ascoltare tante promesse, che spesso non vanno oltre le parole. I giovani sono stanchi, li vedo spesso depressi e umiliati, cercano un senso alto per la vita, un lavoro, e non hanno chi possa indicare loro la strada, chi possa essere da faro affinché la loro fragile imbarcazione arrivi sicura al porto dell’esistenza.

Sono stanche le coppie di sposi e sentiamo sempre più frequentemente di coppie che divorziano o si separano. Come vorrei che le giovani coppie potessero carpire la bellezza dell’amore sponsale e coniugale, dell’amore genitoriale e della fatica di essere padre e madre, non tanto perché si mette al mondo una vita, ma perché la si accompagna pazientemente, perché la si educa ascoltandola, formandola, fino a lasciare i figli liberi, liberi della libertà di Dio, capaci di scelte grandi, positive e belle.

Potessero davvero comprendere gli sposi cristiani che la loro primaria vocazione è quella di trasmettere l’icona del nome di Dio: Dio è amore e proprio la coppia uomo-donna, unita nel sacramento del matrimonio, rivela questa identità di Dio.

Un padre di cinquanta anni minacciato di sfratto è quel sacramento di Cristo che san Lorenzo aveva colto nei poveri

Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Mons. Oscar Romero: oggi beato e martire della Chiesa. Otto giorni prima di morire ha concluso una sua omelia con queste parole: “Se vedessimo che è Cristo, l’uomo bisognoso, l’uomo torturato, l’uomo prigioniero, l’uomo ucciso, Lui in ogni persona umana calpestata così indegnamente lungo le nostre strade, vedremmo in questo Cristo calpestato una moneta d’oro che si raccoglie con cura e si bacia, né certo ci vergogneremmo di Lui”.

Un padre di cinquanta anni, con quattro figli, minacciato di sfratto, come mi è capitato di incontrare in questi giorni, non è forse anche lui sacramento di Cristo, segno della sua misteriosa presenza, proprio quel sacramento che Lorenzo aveva colto nei poveri? San Lorenzo, diacono, martire, nostro celeste patrono, aiutaci ad amare Cristo, i poveri e la Chiesa, che tu ha fecondato con il tuo sangue! Amen!

 

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Il coraggio profetico dell’ottimismo https://www.lavoce.it/il-coraggio-profetico-dellottimismo/ https://www.lavoce.it/il-coraggio-profetico-dellottimismo/#comments Thu, 16 Jul 2015 10:38:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39137 Chi ha avuto tempo e ha potuto seguire il viaggio di Papa Francesco in America Latina – nei tre Paesi più poveri: Ecuador, Bolivia e Paraguay -, anche se non ha ascoltato tutte le parole dette e si è limitato a immaginare le cifre delle presenze, avrà avuto certamente una domanda da porsi: quella gente là cosa cerca, cosa vuole, perché tutta quella folla? Pensare che mancavano anche i maxi-schermi per trasmettere le immagini. A occhio nudo, poco potevano vedere quelli che stavano lontano dai palchi centrali delle celebrazioni.

Si tira in ballo il feeling tra il primo Papa latinoamericano e le popolazioni che in lui si sentono rispecchiate e rappresentate; si dice anche che Francesco rappresenta un tipo nuovo di Papa, vicino alla gente, che fa gesti di simpatia e di confidenza verso tutti, soprattutto malati ed emarginati. Tutto vero. Ma forse c’è qualcosa di più. Francesco dice cose che gli altri non dicono o non sanno dire, non sono in grado di dire, non hanno il coraggio di dire. Già.

Si sente dire da parte di alcuni politici – che non seguono le idee più diffuse – di guardare avanti con fiducia, di essere ottimisti e fiduciosi, operativi e non rassegnati. Nei giorni scorsi i giornali hanno curiosamente riportato due eventi: a Perugia l’imprenditore di successo, non laureato, Brunello Cucinelli di Solomeo, ha parlato nell’aula magna dell’Università invitando i giovani laureati a darsi da fare perché il tempo è favorevole per una rinascita e uno sviluppo, una specie di “rinascimento” che ci attende.

Il saggio e astuto imprenditore non manca di citare grandi autori: recentemente ho colto da lui una citazione da Marco Aurelio: “Ciò che giova all’ape, giova anche all’alveare”, intendendo di non lasciarsi guidare da schematismi preconcetti. L’altro, questa volta laureato, Matteo Renzi, va a parlare in Africa, a Nairobi in Kenya, all’Università, e a docenti e studenti addita – anche lui – orizzonti positivi, la vittoria sul terrorismo e un mondo in cui possano essere artefici del loro futuro: “Siate leader e non follower” (gente che precede, non che segue).

Un nostro carissimo amico missionario di Città di Castello, padre Francesco Pierli, che lavora in ambito culturale e missionario a Nairobi, ha scritto che anche il Kenya si sta incamminando verso una specie di rinascita o rinascimento, per il fervore delle iniziative e degli impegni.

Ciò tuttavia non riesce a elevarsi e farsi sentire al di sopra di ciò che prevale nei talk show, di ciò che gira in Rete, dove prevalgono i tempi dell’economia e della finanza, dove il linguaggio è scarno e senza anima, o animato solo da rabbia e contrapposizione.

Francesco parla di povertà, dignità, equità, di accoglienza degli uni verso gli altri; parla di pace, di concordia, di solidarietà, di coraggio nell’affrontare la vita, di lavoro per tutti, rispetto del creato, di libertà dalle dittature e dalla sottomissione alle ferree leggi della finanza; parla di amore, di tenerezza, di purezza di cuore, di vocazione, di gioia del Vangelo, della bellezza del creato.

Parla al cuore e con il cuore, e ognuno lo percepisce, sentendosi chiamato al dialogo intimo e profondo con se stesso. Bergoglio non usa il linguaggio banale della volgarizzazione, ma è come se guardasse ognuno negli occhi. Ognuno in quelle migliaia si sente guardato e toccato.

Non è un “vecchio parroco di campagna”, come pensano alcuni incalliti critici del suo stile pastorale: per quelle masse di persone, è un uomo mandato da Dio, un profeta inviato a ridare speranza e dignità a chi si sentiva e era abbandonato a se stesso. E anche chi non arriva a questa identificazione, sente il grande afflato di umanità che da lui promana.

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Figli sepolti dalle “frane” https://www.lavoce.it/figli-sepolti-dalle-frane/ Wed, 24 Jun 2015 13:44:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36484 separazione-divorzio-crisi-coppia-figliNell’udienza generale di mercoledì in piazza San Pietro, Papa Francesco ha portato avanti le catechesi sulla famiglia (testo completo su www.vatican.va ) riflettendo “sulle ferite che si aprono proprio all’interno della convivenza famigliare, quando cioè nella famiglia stessa ci si fa del male. La cosa più brutta!”

Si ripetono allora “parole e azioni, e omissioni, che invece di esprimere amore, lo sottraggono o, peggio ancora, lo mortificano. Quando queste ferite, che sono ancora rimediabili, vengono trascurate, si aggravano: si trasformano in prepotenza, ostilità, disprezzo”.

“Lo svuotamento dell’amore coniugale – ha proseguito – diffonde risentimento nelle relazioni. E spesso la disgregazione ‘frana’ addosso ai figli. Ecco, i figli. Vorrei soffermarmi un po’ su questo punto.

Nonostante la nostra sensibilità apparentemente evoluta, e tutte le nostre raffinate analisi psicologiche, mi domando se non ci siamo anestetizzati anche rispetto alle ferite dell’anima dei bambini. Quanto più si cerca di compensare con regali e merendine, tanto più si perde il senso delle ferite, più dolorose e profonde, dell’anima.

Parliamo molto di disturbi comportamentali, di salute psichica, di benessere del bambino, di ansia dei genitori e dei figli… ma sappiamo ancora che cos’è una ferita dell’anima?”.

“Nella famiglia – ha ribadito – tutto è legato assieme: quando la sua anima è ferita in qualche punto, l’infezione contagia tutti… Tante volte i bambini si nascondono per piangere da soli. Tante volte. Dobbiamo capire bene questo”.

Poi, in riferimento a Matteo 19,4-6: “Quando l’uomo e la donna sono diventati una sola carne, tutte le ferite e tutti gli abbandoni del papà e della mamma incidono nella carne viva dei figli”.

“È vero, d’altra parte – ha sottolineato – che ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare perfino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza.

Non mancano, grazie a Dio, coloro che, sostenuti dalla fede e dall’amore per i figli, testimoniano la loro fedeltà a un legame nel quale hanno creduto, per quanto appaia impossibile farlo rivivere. Non tutti i separati però sentono questa vocazione. Non tutti riconoscono, nella solitudine, un appello del Signore rivolto a loro”.

E ha concluso: “Attorno a noi troviamo diverse famiglie in situazioni cosiddette irregolari ”, anche se – ha precisato – “a me non piace questa parola. E ci poniamo molti interrogativi: come aiutarle? Come accompagnarle? Come accompagnare [le famiglie in crisi] perché i bambini non diventino ostaggi del papà o della mamma? Chiediamo al Signore una fede grande, per guardare la realtà con lo sguardo di Dio; e una grande carità, per accostare le persone con il suo cuore misericordioso”.

 

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In totale dedizione ai poveri https://www.lavoce.it/in-totale-dedizione-ai-poveri/ Wed, 27 May 2015 10:00:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34195 Festa per la beatificazione di Oscar Romero a San Salvador
Festa per la beatificazione di Oscar Romero a San Salvador

Se i persecutori di mons. Romero “sono spariti nell’ombra dell’oblio e della morte, la memoria di Romero invece continua a essere viva e a dare conforto a tutti i derelitti e gli emarginati della terra”: lo ha sottolineato il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, che sabato 23 maggio ha presieduto a San Salvador la solenne celebrazione per la beatificazione dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero Galdámez, ucciso in odium fidei il 24 marzo 1980.

Nella sua omelia il card. Amato ha sottolineato che l’“opzione per i poveri” di Romero “non era ideologica ma evangelica. La sua carità si estendeva anche ai persecutori, ai quali predicava la conversione al bene e ai quali assicurava il perdono, nonostante tutto”.

Mons. Romero non si fece scoraggiare dalle minacce di morte né dalle critiche quotidiane che riceveva, anzi andava avanti senza rancori per nessuno.

Per questo, ha sottolineato il Cardinale, non è un “simbolo di divisione, ma di pace, di concordia, di fratellanza. Ringraziamo il Signore per questo suo servo fedele, che alla Chiesa ha donato la sua santità e all’umanità la sua bontà e la sua mitezza”.

La Conferenza episcopale salvadoregna, nel messaggio pubblicato per la beatificazione di mons. Romero – intitolato Entra nella gioia del tuo Signore (Mt 25,21) – ricorda che “la morte di mons. Romero commosse il mondo”. Da allora, in questi trentacinque anni, “il cammino non è stato facile… La difficoltà maggiore è stata la manipolazione della figura e delle parole del Beato”. Per questo nel loro messaggio i Vescovi sottolineano, citando ampiamente le sue stesse parole, che Romero “fu uomo di Dio”, uomo di profonda comunione, totalmente abbandonato alla volontà di Dio.

Fu anche “uomo della Chiesa”, secondo il suo motto episcopale Sentire cum Ecclesia , a cui dedicò le quattro lettere pastorali scritte durante il suo ministero di arcivescovo.

In una di esse “spiegò ampiamente che la Chiesa esiste per annunciare e rendere presente il mistero di Cristo” e illustrò come la Chiesa che desiderava costruire in El Salvador fosse “in totale sintonia con la dottrina del Concilio Vaticano II come è stata intepretata dai documenti di Medellin”.

L’aspetto più conosciuto di Romero fu “il suo amore per i poveri e la sua completa dedizione per la promozione e la difesa della loro dignità come persone e come figli di Dio”, facendo propria l’opzione dei Vescovi latinoamericani espressa a Puebla nel 1977.

L’ultimo aspetto su cui si soffermano i Vescovi riguarda “mons. Romero testimone della fede fino allo spargimento del sangue”. Egli – scrivono – “fu assassinato perché amava i poveri, sull’esempio del suo Maestro, Gesù di Nazareth. A loro prestò la sua voce di profeta, e a loro dedicò la sua vita, rinunciando alla comoda soluzione di abbandonare il gregge e fuggire come fanno i mercenari”.

“Questo è l’uomo di Dio che a partire dal 23 maggio veneriamo come beato. La sua testimonianza ci stimoli a vivere coerentemente gli impegni battesimali. La sua parola illumini il nostro cammino di vita cristiana. La sua intercessione apra vie di riconciliazione tra noi, e ci aiuti a vincere tutte le forme di violenza, perché si stabilisca tra noi il Regno della vita, della giustizia, della verità, dell’amore e della pace”.

 

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Uno per Uno per Uno = Uno https://www.lavoce.it/uno-per-uno-per-uno-uno/ Tue, 26 May 2015 13:37:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34121 Abbiamo constatato che, con l’Ascensione, Gesù manda i discepoli in tutto il mondo assicurando loro la sua presenza nel loro agire; abbiamo meditato che la Pentecoste è il momento del dono dello Spirito alla Chiesa nascente e a quanti accolgono l’invito ad amare come Egli ama.

Oggi, festa della santissima Trinità, contempliamo e gioiamo di questo “gioco d’amore” tra il Padre, il Figlio e lo Spirito santo guardando a Dio nella Sua intima relazione triadica, fatto Uno dall’amore. Gesù ci invita a entrare e immergerci in questa circolarità d’amore per scoprirne la bellezza, le conseguenze sulla nostra vita. Una comunione, quella delle tre Persone divine, che non resta tra sé e sé, ma invita ciascuno di noi a prenderne parte, misticamente.

La Trinità, questa straordinaria “famiglia”, nel Suo disegno salvifico ha scelto di entrare nella storia degli uomini per essere un tutt’uno con noi, e trasformarci in figli di Dio. Oggi questa festa ci interroga più che mai sulla grande sfida che viviamo in un contesto dove sembra massima la difficoltà e la frammentazione dei rapporti, dove l’individualità è assolutizzata, dove la diversità fa paura, anche quella tra uomo e donna; ma dove l’anelito e la condizione di vivere assieme, gli uni accanto agli altri, ha una dimensione globale come mai fino ad ora. Il Vangelo dunque ci rivela la Trinità non tanto e solo come una verità da credere, ma come una realtà da vivere.

Don Tonino Bello scriveva: “Secondo una suggestione semplicissima e splendida, nella Trinità non c’è Uno più Uno più Uno, uguale a Tre. Ma c’è Uno per Uno per Uno, che fa sempre Uno. Quando si vive veramente l’uno per l’altro, densificando questo rapporto di oblatività, la comunione raggiunge il vertice”.

La Trinità è un’esperienza di amore che solo amando possiamo comprendere, trovandovi luce per affrontare le sfide che ci sorprendono, e da riversare sugli altri. Come persone singole, come sposi, come comunità, dobbiamo entrare sempre di più nel dinamismo trinitario donatoci da Gesù con la sua morte e risurrezione, per sperimentarne le innumerevoli conseguenze – oltreché spirituali – culturali, relazionali, sociali, economiche, familiari, in un’esistenza resa nuova e plasmata dal “dimorare nel seno della Trinità”. L’esperienza mistica della Trinità, infatti, vissuta nella dimensione comunitaria, può aprire prospettive inedite e feconde di novità per tutte le dimensioni della vita umana, aiutandoci a trovare risposte ai più spinosi interrogativi dell’uomo di oggi, come l’incontro fra culture diverse, necessario e urgente per la pace universale e per la civiltà globale. E così, anche attraverso un nuovo umanesimo, l’umanità assaporerà in tutta la sua ricchezza il dono ricevuto dall’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù.

Da questo si comprende l’enorme portata dell’annuncio del Vangelo della Trinità, e della responsabilità che la comunità cristiana e la Chiesa hanno nei confronti dell’intera famiglia umana. La grande missione di “fare discepoli tutti i popoli”, figli dell’unico Dio che è Padre, Figlio e Spirito santo, è dunque di estrema attualità anche oggi.

È proprio Gesù con la sua vicinanza, che incoraggia i discepoli “turbati” e dubbiosi e trasmette loro il potere ricevuto dal Padre. Così come, se facciamo esperienza della sua presenza nell’eucaristia, nella Parola, nella fraternità della comunione, nella missione, Egli oggi farà fiorire anche il deserto. E la vita trinitaria che fluisce liberamente, nei luoghi della comunione, genera l’unità che è il segno della Sua presenza fra noi, e il dono supremo che attira sulla terra la vita del Cielo e affascina: “L’unità, che divina bellezza! Chi potrà mai azzardarsi a parlare di lei? È ineffabile! Si sente, si vede, si gode, ma è ineffabile. Tutti godono della Sua presenza, tutti soffrono della Sua assenza. È pace, è gaudio, è ardore, è amore, è clima di eroismo, di somma generosità. È Gesù tra noi!… E io mi sono resa conto che oggi il mondo che non crede, o che crede diversamente, è particolarmente toccato da questa presenza di Gesù” (Chiara Lubich).

 

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Spirito maestro di amore https://www.lavoce.it/spirito-maestro-di-amore/ Tue, 19 May 2015 09:23:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33662 La liturgia propone un brano del Vangelo di Giovanni che è parte del lungo discorso di commiato che Gesù fa ai suoi, tutto incentrato sull’amore, che egli svela nella sua natura più profonda e dona come suo testamento. A un certo punto Gesù annuncia il dono dello Spirito santo, che chiama Paràclito. Il discepolo di Gesù ha questo di grande: sa di essere attirato dentro questa circolarità d’amore che è Dio Trinità.

“Paràclito” (dal greco) significa: chiamato in difesa, chiamato accanto, chiamato in aiuto, quindi difensore, consolatore. Lo Spirito santo ci difende e ci consola “oggi”, rimanendo con noi sempre, insegnandoci ogni cosa, ricordandoci tutto ciò che Gesù ci ha detto. Lo Spirito rimane sempre con noi, ci conforta, lenisce i nostri dolori e ci reca sollievo, allontanando da noi quel senso di turbamento che ci può prendere per ciò che di “poco buono” o apparentemente incomprensibile accade attorno a noi, illuminandolo con la luce della parola che Gesù ci ha insegnato, richiamandola alla memoria e facendocela rivivere.

“Questo ricordare nello Spirito e grazie allo Spirito – afferma Papa Francesco – non si riduce a un fatto mnemonico; è un aspetto essenziale della presenza di Cristo in noi e nella sua Chiesa. Lo Spirito di verità e di carità ci ricorda tutto ciò che Cristo ha detto, ci fa entrare sempre più pienamente nel senso delle sue parole. Noi tutti abbiamo questa esperienza: un momento, in qualsiasi situazione, c’è un’idea e poi un’altra si collega con un brano della Scrittura… È lo Spirito che ci fa fare questa strada: la strada della memoria vivente della Chiesa. E questo chiede da noi una risposta: più la nostra risposta è generosa, più le parole di Gesù diventano in noi vita, diventano atteggiamenti, scelte, gesti, testimonianza. In sostanza, lo Spirito ci ricorda il comandamento dell’amore, e ci chiama a viverlo”.

Lo Spirito santo, pertanto, ci difende dalla mentalità del “mondo” che ci chiama a pensare a noi stessi, al proprio piacere, alla propria carriera, all’affermazione di sé, alla propria gloria. Ci spinge a vivere e a impegnarci a testimoniare nel nostro ambiente i valori che Gesù ha portato sulla terra: potrà essere lo spirito di concordia e di pace, di servizio ai fratelli, di comprensione e di perdono, di onestà, di giustizia, di correttezza nel nostro lavoro, di fedeltà, di purezza, di rispetto verso la vita, ecc.

Ancora Papa Francesco: “Lo Spirito ci fa parlare con gli uomini nel dialogo fraterno. Ci aiuta a parlare con gli altri riconoscendo in loro dei fratelli e delle sorelle; a parlare con amicizia, con tenerezza, con mitezza, comprendendo le angosce e le speranze, le tristezze e le gioie degli altri”. Ma c’è di più: lo Spirito santo ci fa parlare anche agli uomini nella profezia, cioè facendoci “canali” umili e docili della Parola di Dio. La profezia è fatta con franchezza, per mostrare apertamente le contraddizioni e le ingiustizie, ma sempre con mitezza e intento costruttivo. Penetrati dallo Spirito di amore, possiamo essere segni e strumenti di Dio che ama, che serve, che dona la vita. Dunque Gesù ci dona lo Spirito, che agisce in noi facendoci uomini “nuovi” la cui caratteristica saliente è proprio la carità.

È lo Spirito santo che diffonde in noi l’amore e ci fa capaci di amare. Quell’amore che noi, per Suo desiderio, dobbiamo mantener acceso nei nostri cuori. E com’è questo amore? Non è terreno, limitato; è amore evangelico. È universale come quello del Padre celeste, che manda pioggia e sole su tutti, sui buoni e sui cattivi, inclusi i nemici. È un amore che non attende nulla dagli altri, ma ha sempre l’iniziativa, ama per primo. È un amore che si fa uno con ogni persona: soffre con lei, gode con lei, si preoccupa con lei, spera con lei. E lo fa, se occorre, concretamente, a fatti. Un amore quindi non semplicemente sentimentale, non di sole parole. Un amore per il quale si ama Cristo nel fratello e nella sorella. È un amore, ancora, che tende alla reciprocità, a realizzare con gli altri l’amore reciproco.

È quest’amore che, essendo espressione visibile, concreta, della nostra vita evangelica, sottolinea e avvalora la parola che poi potremo e dovremo offrire per evangelizzare. Citando la serva di Dio Chiara Lubich, ci piace ringraziarlo così: “Vogliamo stare con te… ‘Ottimo consolatore, ospite dolce dell’anima, dolce refrigerio’, Tu sei la luce, la gioia, la bellezza. Tu trascini le anime, tu infiammi i cuori e fai concepire pensieri profondi e decisi di santità con impegni individuali inattesi. Tu operi quello che molte prediche non avrebbero insegnato. Tu santifichi”.

 

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