Aldo Capitini Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/aldo-capitini/ Settimanale di informazione regionale Thu, 02 Dec 2021 17:02:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Aldo Capitini Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/aldo-capitini/ 32 32 Cammini di pace per un mondo in ‘guerra diffusa’ https://www.lavoce.it/cammini-pace-mondo-guerra/ Wed, 26 Sep 2018 16:18:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52954 di Tonio Dell’Olio

Il 4 e il 7 ottobre sono date vicine di calendario e si annusano a vicenda per sentirne la fragranza. Il giorno di san Francesco e quello della Marcia Perugia – Assisi ci indicano qualcosa di più che un breve tratto di calendario perché, sia pure con linguaggi e culture diverse, sono in grado di parlare alla coscienza stessa del nostro oggi. Di Aldo Capitini – ne sono certo – solo nel sapiente scorrere della storia riusciremo a comprendere a pieno la portata e il significato. Ma si sa che aveva inteso indicare le fonti di una nonviolenza che sgorga tanto dal ragionamento semplicemente umano sull’esistenza, quanto dalla spiritualità di un Vangelo “sine glossa” come quello vissuto da Francesco. Una radicalità che è capace di parlare all’uomo e alla sua anima, alla storia e alla trama dei giorni, alla politica per risvegliarla al suo senso ultimo, alla società tutta per dire per cosa vale la pena battersi, ovvero mettersi in cammino.

Peraltro la celebrazione del Santo di Assisi quest’anno spalanca le porte sull’ottavo centenario del suo incontro con il sultano d’Egitto Melik al Kamil, che sarà celebrato nel 2019. Al tempo in cui a parlarsi erano i ferri di lance e spade, col risultato di distruzione, sofferenze e morte, Francesco osò sfidare il suo tempo con la parola nonviolenta dell’amore del nemico, con la pratica – che era stata del Cristo dell’incontro e del dialogo, soprattutto col più lontano. La “casa da riparare” era il mondo ferito dall’odio e dagli interessi di parte, dalla corsa ad accaparrarsi ricchezze e onori e dall’uso strumentale delle religioni. Si era arrivati a illudersi che ci si potesse acquistare pezzi di paradiso a suon di duelli e di infedeli infilzati a fil di spada! Ed è per queste ragioni che il centenario dell’incontro di Damietta ricuce in un vincolo ancora più stretto e intimo la festa di san Francesco con la Marcia Perugia-Assisi, perché, in un’epoca in cui ci si rifugia nei castelli merlati delle proprie sicurezze identitarie, bisogna osare ancora mettersi in cammino. Nel tempo che ha sdoganato la volgarità aggressiva e offensiva da un social network, da una televisione o, ancora peggio, da un palazzo delle istituzioni democratiche, diventa urgente riproporre la grammatica della nonviolenza.

Mentre le cifre giornaliere della spesa armiera mondiale e nazionale equivalgono alle stesse che sarebbero sufficienti per “aiutare a casa loro” coloro che per fame e per guerra sono costretti a cercare dignità altrove, è necessario che qualcuno ricordi il principio costituzionale del ripudio del conflitto armato, il Vangelo degli abbracci coi lebbrosi e i samaritani, il dovere di giustizia.

D’altra parte, va esattamente sotto il titolo di “spirito d’Assisi” il movimento di incontro e preghiera per la pace tra rappresentanti di fedi diverse convocati il 27 ottobre 1986 da Giovanni Paolo II nella città serafica, a indicare che non vi può essere speranza di pace senza il contributo essenziale delle religioni, e che pertanto anche la stessa Perugia-Assisi non sarebbe una marcia “della” e “per” la pace se non contemplasse la partecipazione attiva di Chiese, comunità di fede e del popolo dei credenti con il medesimo ‘spirito’ che animò Francesco a muovere i propri passi in direzione di Malik al Kamil.

Mai come in questo tempo abbiamo avvertito tanto urgente la sete dell’umanità per la pace, intesa come pratica della nonviolenza, ricerca della giustizia e salvaguardia del creato. Perché è il cantico Laudato si’ la vera colonna sonora dei passi che da Perugia conducono ad Assisi.

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L’Umbria del dialogo e dell’Università saluta mons. Bromuri: è stato la voce di chi non ha voce, non dimenticheremo la sua lezione https://www.lavoce.it/lumbria-del-dialogo-e-delluniversita-saluta-mons-bromuri-e-stato-la-voce-di-chi-non-ha-voce-non-dimenticheremo-la-sua-lezione/ Mon, 17 Aug 2015 17:51:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42563 Incontro-Amici-Voce-27-giugno-2015-(foto-Andrea-Coli)20

Monsignor Elio Bromuri, scomparso il 17 agosto dopo una lunga malattia, è stato un grande uomo di dialogo e di cultura. Tra i suoi numerosi incarichi, è stato docente di Ecumenismo presso l’Istituto Teologico di Assisi, ma anche di Storia della Chiesa presso l’Università per stranieri. Da qui il saluto e la preghiera unanime del mondo ecclesiastico e culturale umbro, dopo quello politico e giornalistico.

Il Sacro Convento di Assisi

“Costruttore e tessitore di ponti e per anni voce di chi non ha voce”: così lo ricorda padre Mauro Gambetti, custode del Sacro convento di Assisi. Le parole di padre Gambetti sono riportate sul sito sanfrancesco.org, dove la comunità francescana conventuale di Assisi esprime “cordoglio e preghiera” dopo la morte di don Elio.

L’Università per Stranieri

 Il rettore dell’Università per stranieri, Giovanni Paciullo, in una nota si dice “particolarmente addolorato dalla scomparsa di monsignor Elio Bromuri, dovendogli tanto della mia formazione e della mia crescita nell’impegno civile; un impegno iniziato in Fuci avendolo come assistente e guida una volta che ne assunsi la presidenza. La sua sensibilità per l’accoglienza ed il dialogo tra i popoli sono stati e restano per me ancora oggi, come rettore di questo prestigioso ateneo, un riferimento fondamentale. Mancheranno a tutti la sua sensibilità, la sua generosità, il suo rigore morale, la sua comprensione nei confronti di quanti, vivendo situazioni difficili, attraverso di lui hanno potuto mantenere un rapporto con la Fede e con la Chiesa”.

La Tavola della Pace

“Con la scomparsa di don Elio Bromuri, Perugia e l’Umbria perdono un uomo del dialogo. La sua attenzione al dialogo interreligioso, ecumenico e interculturale è stata una risorsa autentica, preziosa e, dobbiamo ammetterlo, abbastanza rara per la nostra comunità”. A dirlo, in una nota, è Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace. “La sua fermezza nelle proprie convinzioni – prosegue Lotti – non gli ha impedito di assumere un atteggiamento di sincera apertura, di ascolto e dialogo anche con coloro che apparivano più lontani. Per questo don Elio è riuscito ad animare una fitta sequenza di incontri e relazioni tutt’altro che banali o scontate. Penso innanzitutto all’incontro-scontro con Aldo Capitini, il suo pensiero, la Marcia per la pace Perugia-Assisi attorno ai quali ha voluto ripetutamente riflettere. Ma anche alla tenacia con cui ha costruito occasioni di incontro con la comunità islamica. Don Elio non ha mai nascosto o camuffato il suo punto di vista ma non ha mai censurato quello degli altri. Anzi, dagli altri si è sempre lasciato interrogare”. “‘Interrompere un dialogo non è mai piacevole’, ha scritto nel suo ultimo editoriale de La Voce, ‘ma in questi casi è inevitabile’. Speriamo di riprenderlo, caro don Elio – conclude Lotti – insieme a tutti quelli che non vorranno dimenticare la tua lezione”.

 

 


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Fiordelli, energico e intelligente precursore https://www.lavoce.it/fiordelli-energico-e-intelligente-precursore/ Fri, 12 Dec 2014 12:45:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29486 Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II
Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II

Il 23 dicembre cadrà il 10° anniversario di morte di mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), il primo vescovo residenziale di Prato, sacerdote umbro di nascita e di antiche origini familiari nella nostra regione.

Le origini

Questa straordinaria figura di ecclesiastico nasce il 9 gennaio 1916 a Città di Castello, quarto di cinque fratelli, da padre tifernate e madre originaria della vicina Sansepolcro. A 6 anni Fiordelli è avviato agli studi primari nella stessa città, frequentando la scuola elementare fondata dal vescovo Carlo Liviero (1866-1932). Il 4 ottobre 1927 fa ingresso nel Seminario di Città di Castello e, 5 anni dopo, nell’ottobre 1932, è inviato da mons. Liviero a Roma, come promettente alunno del Pontificio seminario romano maggiore. A soli 22 anni è quindi ordinato sacerdote a Roma e, dopo aver concluso gli studi filosofici e teologici nel Laterano, è incardinato nella diocesi di Città di Castello, allora guidata da mons. Filippo Maria Cipriani (1878-1956).

Dal suo vescovo don Fiordelli è incaricato di numerose mansioni, tra cui quella di insegnante di Religione al liceo classico di Città di Castello, di assistente della locale sezione di Azione cattolica, di padre spirituale nel Seminario diocesano e, infine, di altri svariati compiti pastorali negli ambiti – a lui congeniali – della pastorale della famiglia, della gioventù e della cultura.

Fonda “La Voce”

In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo settore, nei difficili anni dell’immediato dopoguerra il giovane sacerdote s’impegnò a puntellare la comunità politica locale sull’urgenza di un ritorno, a tutti i livelli, al pieno rispetto delle leggi morali e civili, fondando ad esempio La Voce cattolica, il cui primo numero esce appunto nella primavera del 1945, a guerra non ancora terminata. In breve tempo il nostro giornale, grazie al dinamismo e all’intraprendenza di Fiordelli, raggiunse la tiratura – eccezionale, per il tempo – di oltre 24 mila copie, divenendo uno dei più importanti settimanali regionali (tanto per farsi un’idea, il maggiore quotidiano nazionale, il Corriere della sera, in quello stesso periodo raggiungeva una tiratura di 400 mila copie).

Nel 1953 La Voce, per espresso volere di tutti i Vescovi umbri, diventa, grazie anche a Fiordelli, il settimanale cattolico di tutta la regione. Dalle sue colonne, fino alla nomina a vescovo di Prato, egli firmò articoli e riflessioni di acuta analisi culturale e politica: originali e, diremmo, inconsueti per le testate diocesane del tempo.

Dopo 16 anni di un così attivo ministero presbiterale nella diocesi di Città di Castello, Fiordelli viene nominato dal servo di Dio papa Pio XII (1939-1958), il 7 luglio 1954, vescovo di Prato, ricevendo la consacrazione episcopale il 3 ottobre 1954, cioè a soli 38 anni (fu il più giovane vescovo d’Italia), dalle mani di mons. Cipriani. Ricoprì il suo incarico a Prato fino al 7 dicembre 1991, giorno nel quale rassegnò le dimissioni, come canonicamente prescritto per raggiunti limiti d’età.

Esce la sua biografia

La sua vicenda umana ed ecclesiale è ora ricostruita nel libro di Giuseppe Brienza, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato (editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 161, euro15), che rievoca episodi interessanti della vita della Chiesa e del movimento cattolico italiano in difesa della famiglia e della vita negli anni 1950-70.

Brienza, giornalista e saggista che non è nuovo a ben documentate ricostruzioni biografiche di protagonisti della Chiesa in Italia, ricorda ad esempio l’impegno di mons. Fiordelli durante il Concilio Vaticano II e, in particolare, la sua “primogenitura” nella definizione, accolta nel testo della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964), della comunione coniugale sacramentale come Chiesa domestica, piccola Chiesa.

Non manca l’attenzione al contributo teologico di Fiordelli in campo ecclesiologico, di dottrina sociale della Chiesa e di spiritualità, laicale e familiare in particolare, che ne fa parlare come il “padre” della pastorale familiare in Italia.

Fiordelli si spese fin dall’inizio del suo episcopato per diffondere su larga scala corsi di preparazione al matrimonio che sviluppassero – soprattutto verso i più giovani – una rinnovata consapevolezza dell’importanza del vincolo sacramentale e della chiamata “alta” al matrimonio. Ancora, sempre su sua proposta la Cei costituì il Comitato episcopale per la famiglia (oggi Commissione episcopale per la famiglia e la vita), del quale Fiordelli fu eletto presidente per più mandati consecutivi.

Profeta anti-abortista

La lettura delle pagine di un breve saggio del vescovo Fiordelli, L’aborto e la coscienza (1975), intelligentemente riproposto come appendice nel volume di Brienza, è quanto mai importante per comprendere il passato socio-politico di cui viviamo gli esiti e la natura delle sfide etico-giuridiche che oggi ci interpellano. Lo scritto raccoglie una serie di conferenze sul tema, “profeticamente” tenute dal vescovo di Prato ben tre anni prima dell’approvazione della legge 194/1978, che ha introdotto l’Ivg nel nostro ordinamento.

Per questa sua opera, come ha riconosciuto l’arcivescovo di Ferrara, mons. Luigi Negri, nel suo Invito alla lettura, mons. Fiordelli va ricordato per la sua preziosa e coraggiosa difesa della famiglia, “spendendosi in un’intensa, profonda, intelligente ed equilibrata pastorale che assunse, in più di un’occasione, un carattere obiettivamente profetico. Capì e fece capire – certamente alla sua diocesi, ma non solo – che la battaglia per la difesa della sacralità della vita, della famiglia, della paternità, della maternità, dell’educazione dei figli, è stata ed è la grande battaglia della Chiesa e del popolo del nostro Paese, e che la si poteva fare non soltanto con la chiarezza dei princìpi, che mons. Fiordelli sapeva evocare da par suo, ma anche con una vera esperienza di famiglia cristiana” (p. 11).

Né va dimenticato, in tema di difesa della famiglia cristiana, che mons. Fiordelli era già stato al centro di una polemica a livello nazionale per aver dichiarato che, dal punto di vista della Chiesa, erano da considerare pubblici peccatori e concubini coloro che erano sposati civilmente. In tale polemica si inserì Aldo Capitini, che decise di farsi cancellare dal registro del battesimo, e quindi di rinunciare anche formalmente all’appartenenza alla Chiesa cattolica; fu il primo caso di “sbattezzo”. Fiordelli finì sotto processo, con sentenza di condanna in primo grado (28 febbraio 1958), ma venne poi assolto in appello (25 ottobre 1958).

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Per la pace e la fraternità https://www.lavoce.it/per-la-pace-e-la-fraternita/ Fri, 17 Oct 2014 13:21:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28544 marcia-pace-assisiSono la “pace e la fraternità” i temi della Marcia Perugia-Assisi che si svolgerà domenica prossima. Tante le adesioni di enti locali, associazioni e scuole ma anche tante le polemiche e qualche significativa assenza di organizzazioni e movimenti che hanno fatto parte della storia di questa manifestazione, ideata e voluta nel 1961 da Aldo Capitini, da alcuni definito il “Gandhi italiano”. Una marcia che avviene a 100 anni dall’inizio della Prima guerra mondiale con i suoi 10 milioni di morti e 20 milioni tra feriti ed invalidi. Anche oggi però “la pace è in pericolo e il 19 ottobre vogliamo lanciare un forte segnale d’allarme” ha detto Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace che organizza la PerugiAssisi, nella conferenza stampa che si è svolta la scorsa settimana a Roma. “Noi – ha proseguito – non sappiamo più cos’è la pace. La diamo per scontata e non ci accorgiamo che la stiamo perdendo. Non sappiamo nemmeno cosa sia la guerra e siamo sempre più disposti a farla.

Il 19 ottobre marceremo contro la Terza guerra mondiale denunciata da Papa Francesco e ignorata dalla gran parte della politica e delle istituzioni. Denunciamo il pericoloso tentativo di rilegittimare la guerra come strumento inevitabile”. Alla marcia hanno aderito 763 tra associazioni, enti locali e scuole di 480 città. Per la prima volta non ci saranno però l’Agesci, l’associazione italiana degli scout e delle guide, ed il Movimento Nonviolento, fondato proprio da Capitini. Accusano Lotti di una “gestione personalistica” e “poco trasparente” della manifestazione e ritengono che avrebbe dovuto dimettersi da questo incarico di coordinatore dopo essersi candidato nelle ultime elezioni politiche (senza essere stato eletto). “I nostri bilanci sono online e trasparenti” ha replicato Lotti, che ha anche ricordato di essersi sempre impegnato sui temi della pace e di volere continuare a farlo. Tornando ai numeri della prossima Marcia Lotti ha sottolineato che ci saranno studenti di 100 scuole e sindaci, consiglieri, assessori e presidenti di 100 tra Comuni, Province e Regioni. Questi ultimi dalla Basilica di San Francesco rivolgeranno un nuovo appello per il riconoscimento della pace come diritto umano fondamentale.

A tale proposito Andrea Ferrari, presidente del Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, ha ricordato che molti degli enti da lui rappresentati hanno contribuito ad organizzare la Marcia “nella convinzione che la pace, oggi più che mai, comincia nelle nostre città dove la crisi sta alimentando povertà, paure e insicurezza”. “La Perugia Assisi sarà per noi un giorno di scuola” ha affermato Aluisi Solini, dirigente scolastico e coordinatore della Rete delle scuole di pace. “Daremo avvio ad un nuovo programma di educazione alla cittadinanza democratica perché la pace ha bisogno di una nuova cultura, si insegna, s’impara e si vive. A partire dalla scuola”. Le guerre – è stato detto – non sono solo quelle combattute con le armi, ma anche quelle combattute dall’economia che genera sfruttamento, povertà, fame, distruzione dell’ambiente, diseguaglianze sempre più forti. A questo proiposito “la marcia vuole essere il punto di partenza non di arrivo” ha detto padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi. “Il 19 ottobre – ha proseguito – vivremo la festa della pace, di ripudio della guerra e di amore per il prossimo. Sarà una marcia spinta solo dalla coscienza degli uomini di buona volontà che chiedono ai governanti, come fece lo stesso Francesco d’Assisi ai potenti di allora, di pensare al bene degli uomini e non alla guerra”. La partenza avverrà come al solito alle ore 9 dai Giardini del Frontone a Perugia e la marcia si concluderà alle 15 alla Rocca Maggiore di Assisi. Per informazioni www.perugiassisi.org

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I movimenti per la pace fanno Rete https://www.lavoce.it/i-movimenti-per-la-pace-fanno-rete/ Fri, 01 Aug 2014 13:54:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27364 Mamarcia-pace-bnntenere alta l’attenzione sui drammi che vivono popoli anche lontani e costruire una politica di pace sulle orme di Aldo Capitini, nella cultura e nella pratica della nonviolenza. Sono gli obiettivi che si prefigge la “Rete della pace”, composta a livello nazionale da una sessantina di associazioni e costituita nell’aprile scorso a Verona. Tante le associazioni che vi hanno aderito anche in Umbria, tra le quali Acli, Arci, Cgil, Legambiente, Agesci, Udu e Rete degli studenti medi. Scopi, finalità e programmi sono stati illustrati venerdì scorso a Perugia in una conferenza stampa cui hanno partecipato Sergio Bassoli, responsabile nazionale delle politiche globali della Cgil, Maurizio Gubbiotti di Legambiente, Paolo Tamiazzo dell’Arci e il presidente regionale dell’Acli Vincenzo Menna.

La Rete della pace è stata definita “espressione della Tavola della pace, cui si ispira e da cui trae origine” della quale però non fa più parte dal 2011, con l’apertura – ha detto Bassoli – di un confronto “che ci ha portato a mettere in discussione i suoi assetti e le forme organizzative”. Un confronto – ha aggiunto – che “è un segno di vitalità dei movimenti per la pace in Italia e che oggi ci vede impegnati in percorsi paralleli, ma senza polemiche perché gli obiettivi sono comuni. Continuiamo quindi ad auspicare una strada comune per la riorganizzazione e il rilancio della Tavola della pace. Anche se non facciamo parte del comitato organizzatore della prossima Marcia della Pace Perugia-Assisi del 19 ottobre, noi ci saremo”.

La Rete della pace – è stato spiegato – è una esperienza di coordinamento e di confronto tra tutti coloro che nella società civile lavorano in Italia per promuovere la pace, fondata sul rispetto dei diritti umani, su giustizia e equità sociale, sulla solidarietà, l’inclusione e la mondialità, sulla legalità, sulla nonviolenza e sulla cittadinanza attiva. Tra i suoi obiettivi ci sono anche la “promozione di una società aperta e multiculturale, che individui nell’immigrazione e nell’intercultura una risorsa per la comunità”, e la promozione di politiche locali e globali per la salvaguardia dell’ambiente. A questo proposito Maurizio Gubbiotti ha ricordato che dei 6 milioni di profughi all’anno, ormai più della metà sono “profughi ambientali” che fuggono da guerre per l’acqua e altre risorse primarie e da eventi climatici.

Tra gli obiettivi immediati della Rete ci sono la mobilitazione – di questi giorni – per la pace in Palestina, con manifestazioni svoltesi anche in Umbria, e una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un “Servizio civile come strumento di cittadinanza attiva, di protezione e di difesa non armata e nonviolenta del Paese”. A questo proposito Bassoli ha annunciato che dal 20 ottobre comincerà la raccolta delle firme necessarie in tutta Italia. Per quanto riguarda la situazione nella striscia di Gaza la Rete della Pace ha avviato una raccolta di farmaci e medicinali ma ha anche rinnovato l’appello al Governo italiano e alle istituzioni internazionali per una immediata soluzione diplomatica della crisi.

Paolo Tamiazzo dell’Arci ha detto che bisogna “lavorare per la pace” anche con progetti nelle scuole, mentre Vincenzo Menna ha auspicato una “voce unitaria dell’Europa per le politiche del Mediterraneo e sul problema dei flussi migratori”. Ha inoltre sottolineato l’impegno delle Acli per favorire il dialogo interreligioso in un mondo dove spesso la religione “è usata come ragione di conflitti e di guerre”.

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PerugiAssisi ha bisogno di te! https://www.lavoce.it/perugiassisi-ha-bisogno-di-te/ Thu, 31 Jan 2013 12:35:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14871 L’intervento di Bruno Bracalente (foto Crocchioni)
L’intervento di Bruno Bracalente (foto Crocchioni)

La parola d’ordine è partecipazione. Obiettivo: costruire insieme la Perugia(Assisi) del 2019, puntando su imprenditorialità giovanile e rivitalizzazione dei centri storici, in primis quello del capoluogo umbro. Questo il messaggio lanciato giovedì dalla Fondazione PerugiAssisi 2019 nel corso dell’open day organizzato per far conoscere alla cittadinanza la “corsa” verso la candidatura a Capitale europea della cultura e le possibilità di partecipazione attiva. La designazione di una città come Capitale della cultura da parte dell’Unione europea – il 2019 sarà il turno di Italia e Bulgaria – non avviene, infatti, sulla base del suo patrimonio artistico e delle manifestazioni esistenti, ma per il programma di eventi culturali che intende realizzare nell’anno di assegnazione del titolo, durante il quale la città è invitata a valorizzare le proprie peculiarità e a dimostrare la propria creatività. Il primo passo verso il titolo arriverà tra qualche mese: ad ottobre PerugiAssisi dovrà proporre alla Commissione europea la candidatura ufficiale attraverso la presentazione di un progetto culturale. Da qui la necessità della partecipazione diretta dei cittadini. “L’Europa ci chiede entro ottobre un programma culturale di eventi prima, durante e dopo l’anno della candidatura – ha spiegato Arnaldo Colasanti, direttore artistico della Fondazione –. Per questo ci servono le vostre idee e le vostre proposte su come vorreste che fosse la Perugia del 2019. Dobbiamo guardare al futuro, senza però mai perdere di vista il nostro passato, anzi partendo da esso, dagli altissimi esempi culturali del territorio umbro: san Francesco, Aldo Capitini, Sandro Penna, ecc.”. Come è possibile partecipare? Le strade sono diverse. È possibile, infatti, inviare la propria idea o proposta attraverso il sito internet www.perugiassisi2019.eu, nell’apposita sezione “Partecipa – Invia la tua proposta”. Per chi, poi, vuole collaborare concretamente c’è la possibilità di diventare “volontario” o “ambasciatore” e di offrire, quindi, la propria disponibilità sia nel corso degli eventi (attività di organizzazione, comunicazione, ecc.) sia promuovendo la candidatura dentro e fuori i confini regionali. Per aderire occorre compilare la scheda di partecipazione via web, nel sito della fondazione, sezione “Partecipa – Ambasciatore/volontario”. La Fondazione, dal canto suo, è già al lavoro da mesi. “La candidatura – ha spiegato il presidente Bruno Bracalente – vuole aprire una finestra sul futuro di partecipazione attiva della cittadinanza, che non riguarderà solo Perugia e Assisi, ma tutta l’Umbria. Molti Comuni hanno, infatti, già dato ampia disponibilità a partecipare. Al momento, sono due le strade su cui stiamo lavorando. La prima è quella di costruire progetti di rigenerazione urbana di aree dismesse, come già avvenuto, ad esempio, per il recupero delle aree portuali di Genova e Marsiglia, rispettivamente Capitali della cultura 2004 e 2013. Noi ci focalizzeremo sui centri storici, realtà storicamente e culturalmente peculiari dell’Umbria; in particolare lavoreremo per la rivitalizzazione dell’acropoli di Perugia, luogo di enormi potenzialità e, al contempo, di grande sofferenza. A questa prima strada di intervento – ha continuato Bracalente – si congiunge strettamente la seconda: la corsa al titolo di Capitale è rivolta principalmente ai giovani e ad incentivare la loro imprenditorialità. Per questo stiamo lavorando concretamente per creare un luogo dove i giovani possano realizzare imprese legata alla cultura, alla creatività e all’alta tecnologia. Lo abbiamo già individuato nell’area dell’ex carcere, con la prospettiva anche di realizzare un vero e proprio ‘distretto’ dislocato in varie zone del centro storico”.

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PerugiAssisi: modello di città del futuro https://www.lavoce.it/perugiassisi-modello-di-citta-del-futuro/ Thu, 13 Dec 2012 17:06:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14256
La basilica superiore di Assisi invasa dai turisti

Essere “Capitale europea della cultura” per una città e per un territorio significa avere una straordinaria occasione di crescita, culturale ed economica. È così che Perugia ed Assisi, fortemente rivali in epoche lontane, hanno trovato nella candidatura a “Capitale europea della cultura 2019” l’occasione per collaborare ad un grande progetto comune, che si allarga anche all’intera regione. Ne parliamo con Claudio Ricci, uno dei massimi esperti di territorio e turismo, dal 2006 sindaco di Assisi, la città da cui è partita l’idea della candidatura.

Ricci, quali obiettivi si pone la candidatura a Capitale europea della cultura?

“La candidatura è un modo per dire all’Europa che in Umbria sono nate molte cose, come l’umanesimo francescano, che si sintetizza nei due abbracci al lebbroso e al sultano, affermando l’idea che nell’altro in qualsiasi situazione si trovi e comunque la pensi, c’è sempre un valore e l’arte pittorica europea. L’intelligenza creativa e l’umanesimo francescano possono costituire i due presupposti sui quali proporre all’Unione europea la nuova città. Non vogliamo solo raccontare i nostri valori, ma indicare come pensiamo di costruire la città futura, la città diffusa. Assisi e Perugia si guardano da lontano, l’aeroporto San Francesco d’Assisi è nel mezzo ed è la porta per il mondo. I centri storici non sono separati, ma dialogano con lo spazio diffuso. Non si può fare una corretta progettazione senza tenere conto delle esigenze delle persone, ma si devono mettere in armonia le persone e l’ambiente ed è con questo obiettivo che si è pensato alla candidatura”.

Come è nata questa proposta?

“L’idea della candidatura di Assisi è nata nel 2005-2006, ma poi insieme a Perugia si è pensato di allargarla alla ‘rete delle città dell’Umbria’ e quindi all’intera regione, per dare una prospettiva strategica per i prossimi15 anni. I Fondi comunitari per la cultura, il turismo e l’ambiente possono essere utilizzati per costruire progetti comuni, lavorando insieme, combinando i fattori, mettendo insieme valori, persone, città, territori”.

Lo “spirito di Assisi”, è un’espressione entrata ormai nell’uso comune, a ricordo dello storico incontro del 27 ottobre 1986 voluto dal Papa Giovanni Paolo II. Cosa ha significato quell’evento per Assisi?

“È molto complesso fare una sintesi dei significati valoriali e culturali di questa espressione, che costituisce anche un forte fattore di comunicazione culturale e turistica non solo per Assisi, ma per tutta l’Umbria. Come segno di gratitudine verso il beato Giovanni Paolo II, lo scorso ottobre abbiamo ratificato il gemellaggio di Assisi con la sua città natale, Wadowice. Inoltre Benedetto XVI nella sua visita dello scorso anno, in occasione dei 25 anni dall’evento, ha voluto scegliere un segno: il pellegrinaggio, il cammino. Il cammino si fa insieme, ognuno conserva la propria identità, il dialogo non deve annullarla, ma sottolinearla e rafforzarla”.

Qual ruolo può continuare a giocare la città in questo processo?

“Assisi deve continuare ad avere cura di questo valore, facendolo crescere e mettendolo in luce ogni giorno. Tutto quello che si fa ad Assisi deve essere orientato al rafforzamento di questa eredità che deriva dallo spirito di Assisi. Siamo anche in contatto con l’Ufficio delle Nazioni Unite che svolge attività per favorire il dialogo tra i popoli. Come presidente italiano dei 47 siti Patrimonio culturale dell’umanità, devo dire che anche l’Unesco è molto attenta a questi aspetti, salvaguardando e valorizzando le diversità e le identità delle persone e dei luoghi”.

“Dal rinascimento dei centri urbani il volano della ripresa” titolava un recente articolo del Sole 24 Ore, ricordando come “le città sono al centro delle contraddizioni e delle sfide di oggi, lì ha abitato la speranza di futuro, per le città passa il rinnovamento del paese”. Come immagina la sua Amministrazione Assisi nel 2019?

“In Italia sono stati censiti 22.000 centri storici. Si è discusso molto sulla loro valorizzazione, creando molti modelli e norme, ma i processi di rilancio sono lenti e graduali. Un primo problema è quello dell’accessibilità (parcheggi, percorsi meccanizzati, svincoli, sottopassi): la gente vuole arrivare il più vicino possibile alla propria abitazione. Ma oltre all’accessibilità fisica si deve arrivare a quella tecnologica, tramite la rete internet veloce e wi-fi, garantendo livelli tecnologici elevati e gratuiti. Servono poi luoghi di aggregazione sociale per realizzare mostre, congressi, esposizioni, eventi, non solo nel centro storico, ma anche altrove, luoghi dove le persone si possano incontrare e dialogare. È necessaria infine una maggiore flessibilità urbanistica. Nei secoli ci sono stati sempre adattamenti urbanistici, ma dall’800 i regolamenti sono diventati più rigidi e gli edifici non possono essere modificati. È giusta la tutela, sì, ma applicata in modo flessibile per favorire la trasformazione ed il riutilizzo”.

La recente realizzazione di Unesco Natura Territorio Olio (Unto), legando la città ai significati simbolici dell’olivo, ma anche all’olio come condimento principe della nostra cucina, può aprire ad Assisi nuove opportunità nel campo del turismo eno-gastronomico, da affiancare al turismo religioso che da sempre costituisce la risorsa più importante per la città?

“La manifestazione è nata per valorizzare il patrimonio storico e culturale legato alle produzioni tipiche del territorio di Assisi, in primis l’olio. Far conoscere i piccoli produttori, le loro famiglie, le loro tradizioni, i loro prodotti. Il turismo sarà sempre più legato alla possibilità di offrire prodotti veri, poco costruiti, offrendo ricordi utili, facendo vivere al turista un’esperienza, vedendo i luoghi, le lavorazioni, in rapporto stretto con il paesaggio. In un suo libro sul Cammino di Santiago, Paulo Coelho parla della differenza del far sentire l’ospite accolto o atteso. Perché sia atteso, tutti i residenti e non solo gli operatori turistici devono fornire un’adeguata accoglienza e concorrere a coinvolgerlo, prendendolo per mano, lavorando in forma empatica”.

La Marcia della pace Perugia-Assisi quest’anno si è svolta a Gerusalemme. Ritiene che portare la Marcia in territori oggetto di conflitto possa essere un’iniziativa utile e da ripetere, o invece sarebbe preferibile che la Marcia Perugia-Assisi tornasse a svolgersi nell’itinerario pensato da Aldo Capitini?

“Assisi ha sempre assicurato adeguati servizi di accoglienza per i partecipanti alla Marcia, specialmente i questi ultimi anni. Crediamo infatti nello spirito capitiniano, che si può sintetizzare nella parola ‘fratellanza’ che lo avvicina allo spirito francescano. È importante che la Marcia si sia spostata a Gerusalemme, che si siano fatte incontrare le persone, praticando il dialogo in maniera più solida. Il lavoro dal basso è sicuramente più lento, ma più proficuo. Mi auguro che nel 2013 la Marcia torni al suo percorso naturale, e magari si prosegua con esperienze di alternanza nei luoghi di conflitto. Stiamo anche pensando all’idea di tracciare l’itinerario della Marcia per poterlo far percorrere anche in periodi diversi da quello del suo svolgimento”.

Lei ha recentemente ricevuto il premio “Toga candida” istituito dall’associazione “Umbria mia Umbria” per premiare gli umbri eccellenti, assegnato sulla base delle preferenze espresse da 3.600 cittadini. Come ha vissuto questo riconoscimento che le è stato conferito in un momento in cui l’antipolitica sembra trovare sempre più spazio anche nella nostra regione?

“Il riconoscimento mi è giunto totalmente inatteso, e lo considero un gesto di cortesia dei cittadini nei miei confronti. La nostra Amministrazione ha vissuto questa esperienza basandola su tre principi. Il primo è la vicinanza alla gente, tenere le porte aperte, stringere le mani, ascoltare. Il secondo è il contenimento della pressione fiscale. Infine il terzo è quello di praticare una politica del fare, del fare il più possibile, nelle grandi opere, come nel risolvere, magari in ritardo, i piccoli problemi dei cittadini. Abbiamo anche istituito ad Assisi una Scuola italiana per la pubblica amministrazione, per la formazione di dirigenti e funzionari di Comuni e di altri enti pubblici. Io ho imparato a fare il sindaco da solo, ma non è la strada migliore. Non tutti, come me, hanno avuto l’opportunità di crescere gradualmente in un’Amministrazione, sino a ricoprire il ruolo di sindaco; l’obiettivo della Scuola è proprio quello di formare adeguatamente i nuovi amministratori pubblici”.

Il personaggio

Claudio Ricci

Claudio Ricci, nato a Perugia nel 1964, ingegnere, ha collaborato con Aeroporti di Roma fino al 1992. Successivamente oltre a svolgere attività di progettazione edile, è stato amministratore di Atam ed ha svolto attività di docenza e ricerca/progetti in Centri studi e Università. Dal 1995 ha ricoperto anche incarichi istituzionali: è sindaco di Assisi dal 2006, presidente dei Siti e beni italiani “Patrimonio mondiale Unesco”, delegato nazionale Anci per il turismo dal 2011, componente di Icomos (Italia – Consiglio nazionale monumenti e siti) dal 2011. Nel 2007 è stato nominato commissario di Governo in occasione della visita del Papa Benedetto XVI ad Assisi. È stato nominato Cavaliere al merito della Repubblica nel 2009 ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello nazionale. È considerato tra i massimi esperti italiani di territorio e turismo.

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Mille anni documentati https://www.lavoce.it/mille-anni-documentati/ Thu, 24 Nov 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9794 L’archivio di Stato di Perugia ha compiuto 70 anni. Per l’occasione ha promosso una settimana di iniziative (dal 18 al 26 novembre) per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi della tutela e della valorizzazione della memoria. L’archivio di Stato di Perugia è – tra l’altro – l’unico sul territorio nazionale ad avere quattro Sezioni dipendenti, dotate di attrezzature e di servizi per la conservazione e la consultazione del materiale documentario, situate a Gubbio, Assisi, Foligno e Spoleto. Il suo patrimonio documentario è molto ricco in quanto rispecchia la storia più che millenaria delle diverse città in cui è stato prodotto. La documentazione più antica proviene dagli archivi di enti religiosi, in particolare da monasteri benedettini, gli unici istituiti prima dell’anno Mille. Per esempio, a Perugia sono conservati documenti in pergamena datati dal 995 d.C. appartenenti al monastero di Santa Maria di Valdiponte. Nel XIII secolo, con la nascita degli Ordini mendicanti, anche la produzione documentaria registrò uno straordinario incremento. In tutte e cinque le sedi sono inoltre presenti pergamene e registri delle corporazioni religiose soppresse dallo Stato dopo l’Unità d’Italia. Con l’Archivio storico del Comune di Perugia sono pervenuti oltre 800 registri parrocchiali (battesimi, matrimoni, decessi e “stati delle anime”). Parallelamente, è conservato l’archivio del Delegato apostolico, l’organo politico emanazione dell’autorità pontificia preposto al governo cittadino in modo continuativo a partire dalla cosiddetta “guerra del sale” (1540). Non mancano archivi e documenti di uffici statali e di organi finanziari, di uffici dei vari ministeri, nonché gli archivi notarili; oltre all’archivio storico della Provincia di Perugia. Lungo è inoltre l’elenco di archivi di enti soppressi, famiglie, persone, associazioni. Tra i più antichi e interessanti, quello della famiglia Bourbon di Sorbello e del Monte Santa Maria con documenti dal XII al XIX secolo. Tra gli archivi personali, non si possono non citare quelli di Aldo Capitini (sec. XX) e Walter Binni (sec. XX). A inaugurare la serie di iniziative previste per la Settimana, il 18 novembre si è svolto un convegno al Museo archeologico dell’Umbria. Sono stati anche presentati il sito web e il sistema informativo dell’istituto, a cura di Pier Maurizio della Porta. A conclusione di giornata, la cerimonia di intitolazione della sala di studio dell’Archivio di Perugia a Roberto Abbondanza, già direttore dell’Archivio, presidente del Consiglio regionale, assessore comunale, docente universitario, raffinato esponente e animatore della cultura locale. Giovedì 24 novembre è stato presentato il progetto di riordino e inventariazione de “L’archivio del Commissariato generale straordinario per le provincie dell’Umbria: settembre 1860 – gennaio 1861”. Il progetto è stato reso possibile grazie al contributo della Fondazione Brunello Cucinelli nell’ambito dell’iniziativa “Adotta un archivio / Adotta un documento”.

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In attesa del Papa https://www.lavoce.it/in-attesa-del-papa/ Thu, 27 Oct 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9731 Il 27 ottobre Papa Benedetto XVI è venuto ad Assisi, patria di san Francesco uomo di pace, venticinque anni dopo la visita promossa dal beato Giovanni Paolo II, per ricordare e rinnovare quell’audace incontro di tutte le confessioni religiose, al fine di pregare insieme per la pace nel mondo: ogni confessione per suo conto, ma tutti insieme a pregare nello stesso tempo e con lo stesso scopo. Nel 1986 parve a molti un azzardo, e qualche voce isolata gridò allo scandalo, o almeno al rischio di contaminazione; poi l’iniziativa si rivelò per quello che era e doveva essere: un incontro di credenti per chiedere al Dio in cui ciascuna religione crede, ma che è l’unico Dio di tutti anche se variano i nomi e gli intendimenti, di aiutarci a promuovere la pace tra tutti gli umani. “Non più la guerra – gridò con forza Papa Giovanni Paolo II – ma la pace!”. Prese allora particolare configurazione quello “spirito di Assisi” che, intuìto anche da Aldo Capitini in una sua lettera all’eremita sorella Maria di Campello, lo spinse a promuovere cinquant’anni fa la nota “Marcia della pace”, pur se ancora inficiata di ideologia e di politica; ma trovò ampia esplicitazione proprio nelle parole, e ancor più nelle preghiere e nei gesti del Papa e dei rappresentanti di tutte le religioni del mondo. La pace si fece non solo attesa politica, ma ideale di vita, di spiritualità, di fede, e se ne chiese il dono a Dio, che tutela come nessun’altra potenza umana la dignità e la speranza dell’uomo. Tre anni dopo, nel 1989, come si ricorderà, crollarono come birilli e senza spargimento di sangue tutti i regimi comunisti. Questo però non ha significato – purtroppo! – la nascita dell’era della pace. Anzi dieci anni dopo, con il crollo delle Torri gemelle causato da altra ideologia, s’ebbe una ripresa della crudele inciviltà della guerra, che pensa di risolvere problemi veri con la violenza e l’arbitrio. Abbiamo bisogno di ritornare a quel bagno di grazia di venticinque anni fa, nella speranza che cessino anche altre guerre mai dichiarate, ma non meno produttrici di sofferenza e di ingiustizie, come quelle che la tragica finanza di rapina in corso fa balenare. Speriamo di no, e per questo, come Papa Benedetto oggi ci invita a fare, torniamo a pregare, a riflettere seriamente sulla responsabilità degli umani dinanzi alla storia, a cercare insieme le ardue vie della pace. O, se vogliamo dirlo con le parole d’un saggio pensatore, don Italo Mancini – che scriveva nel fatidico 1989 “Tornino i volti” -, a far tornare, come lui la chiamava, “l’etica dei volti”. È infatti questo il nuovo soggetto della storia per l’ethos futuro del mondo, una specie di patria sempre intravvista, particolarmente dai cristiani, e mai veramente posseduta: il Prossimo, l’Altro, il Volto, per giungere finalmente ad una fraternità senza terrore, che è poi la civiltà dell’Amore, specifico frutto della fede e dell’ethos cristiano, ma anche sogno razionale d’ogni persona di buona volontà. Dall’incontro degli esponenti delle diverse religioni del mondo, quindi, non ci aspettiamo tanto un embrasson nous solo formale, di cortesia, non incisivo nell’ora tragica della storia che stiamo attraversando, ma anche un incoraggiamento reciproco a credere e a camminare senza riserve mentali lungo le vie della pace e della fraternità, sollecitati in questo dall’unico Dio in cui tutte le religioni s’incontrano. Ci aspettiamo anche un clima diverso nel rapporto tra le religioni, che sia, perché no?, preparazione ed attesa, del giorno in cui riusciremo a dire tutti insieme: “Padre nostro”.

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Le radici antiche del pacifismo https://www.lavoce.it/le-radici-antiche-del-pacifismo/ Thu, 22 Sep 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9633 “La pace è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli governanti”. È una frase di Aldo Capitini, e più che una frase è il motivo di tutto il suo impegno, volto a trasmettere al più vasto numero possibile di persone un impegno concreto per la pace. Istintivamente viene da dire che – proprio perché è una cosa così importante – non può essere lasciata in mano a nessuno in modo esclusivo, né soprattutto in modo conflittuale. I governanti non hanno il monopolio del perseguimento della pace. È verissimo. Ma essi, per loro specifico ruolo, sono e devono sentirsi investiti direttamente del compito di conservare e rafforzare il bene primario della pace. A loro compete di operare scelte concrete di ordine politico, che rendano percepibile l’intento di lavorare in ambito economico e amministrativo per la pace all’interno delle comunità. In questo modo la pace diviene il criterio delle scelte di giustizia e di equità che caratterizza tutte le scelte politiche. La stessa cosa vale per le relazioni internazionali. Aiutare i Paesi a superare le loro crisi, se non lo si fa per amore, lo si deve fare per conservare la pace, per eliminare le ragioni di possibili conflitti, scaturiti dalla “collera dei poveri”. In questa prospettiva la pace sociale interna e internazionale diventa il sale della politica e dell’economia: non più il Pil o il profitto. In questo senso, la pace è un valore di tale importanza che non può essere lasciata neppure in mano ai soli pacifisti, pur animati da ottime intenzioni, ma che non possono cambiare le sorti di niente se dalle manifestazioni non si passa a scelte politiche che incidano sulla storia concreta dei popoli. Altro aspetto del tema della pace è che non può essere sostenuta con le riduttive ragioni del pacifismo gandhiano o capitiniano. L’Umbria su questo piano dovrebbe essere più attenta a non perdere radici più antiche non percepite dal pensiero di Capitini. Con tutto il rispetto per questo pensatore, attivo propugnatore del valore della pace, da perseguire attraverso la via della non-violenza attiva, non si può dimenticare – come è stato recentemente sottolineato in un’assemblea di dirigenti scolastici dell’Umbria – che la pace è un bene messianico di cui parla Isaia in famosi passaggi del suo libro (capitoli 2 e11: “Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme…”; “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci…”). Testi che spinsero Giorgio La Pira a portare ai capi di Stato, nei tempi della guerra fredda, la prospettiva della pace da raggiungere navigando insieme verso il “porto di Isaia” (VII secolo a.C.). Il cristianesimo sarà poi la religione di uno che ha detto e praticato la non-violenza: il Crocifisso Risorto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace…” (Gv 14,27). In seguito, nella storia, i cristiani non sono sempre stati pacifici, ma non perché cristiani: perché poco cristiani. Nello stesso tempo vi sono stati martiri ed eroi della fede che hanno professato l’ideale dell’amore fin verso i nemici, e il perdono, operando per la riconciliazione. L’Umbria non può dimenticare Francesco d’Assisi, e una generazione prima di lui il vescovo di Assisi chiamato Magister Rufinus che scrisse un trattato sul bene della pace (De bono pacis). In un orizzonte più generale, si può ricordare il coraggioso insegnamento dei Papi che nel terribile secolo XX, con due guerre mondiali e tragedie a non finire, si sono opposti alle guerre e invocato la pace. Ultimo di questi gesti sarà compiuto il 27 ottobre in Assisi con i rappresentanti delle religioni, invitati da Benedetto XVI a pregare per la pace tra popoli. La pace quindi non va lasciata in mano ad altri, ma ognuno la custodisca e la promuova in ogni ambiente in cui vive ricordando sempre, inoltre, che se non interviene il Signore, vano sarà ogni sforzo umano (Salmo 126).

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Così l’Umbria celebra il 150° https://www.lavoce.it/cosi-lumbria-celebra-il-150/ Thu, 17 Mar 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9213 Sarà “tricolore” per sei sere, fra il 16 e il 27 marzo, la Cascata delle Marmore, verde alla sommità, bianca al centro e rossa alla base, grazie ad un sistema d’illuminazione che trasformerà una delle più eminenti bellezze naturali dell’Umbria in un suggestivo simbolo delle celebrazioni. Questa è una delle principali iniziative messe in campo dall’Umbria, promosse da Regione, Province e Comuni di Perugia e Terni, per il 150esimo dell’Unità d’Italia. Per l’occasione l’Umbria sarà presente a Roma negli spazi espositivi del “Vittoriano”, del Palazzo di Giustizia, di Valle Giulia e Castel Sant’Angelo, all’interno della mostra “Regioni e Testimonianze d’Italia”, che si terrà dal 27 marzo al 3 luglio, nel quadro delle Celebrazioni, dove ogni Regione avrà a disposizione uno “stand” in cui presentare la propria storia tra passato, presente e futuro, attraverso video, documenti, fotografie, manufatti e “memorabilia”. Testimonial sarà il giornalista, scrittore ed autore televisivo Enrico Vaime chiamato ad illustrare, in un intervento filmato, storia, caratteristiche e peculiarità della regione nello stand ad essa dedicato. A rappresentare l’arte umbra nella mostra “Arte e Regioni”, curata da Louis Godart nel salone centrale del complesso del “Vittoriano” saranno Napoleone Verga, Gerardo Dottori, Leoncillo Leonardi, Alberto Burri ed Aldo Capitini. Ogni regione esporrà quattro opere d’arte per offrire un saggio della produzione artistica dell’Italia dal 1861 ad oggi. Anche le Ferrovie dello Stato hanno reso omaggio all’evento. Infatti giovedì 17 marzo, alle 12, all’unisono in 150 stazioni italiane, l’inno nazionale ha onorato il tricolore. In Umbria sono state 6 le stazioni ferroviarie interessate dall’iniziativa: Perugia, Terni, Foligno, Assisi, Spoleto ed Orvieto, dove l’Inno di Mameli è stato mandato in diffusione sonora al cospetto della bandiera. C’è spazio anche per la polemica con Maurizio Ronconi, che definisce “un grave errore e sciatteria istituzionale non aver organizzato per l’anniversario dell’Unità d’Italia un solenne ‘Consiglio di tutte le istituzioni umbre’. In questi giorni si assisterà alla moltiplicazione e alla sovrapposizione delle celebrazioni come se la storia di ciascun Comune, provincia, regione, sia diversa e scritta da gente diversa. Si è persa l’occasione straordinaria per manifestare pubblicamente e visivamente, insieme all’anniversario dell’unità d’Italia, il segno dell’unità dell’Umbria”. Per l’occasione la Provincia di Perugia ha promosso, tra l’altro, per il pomeriggio del 17 marzo, un recital di poesie, canti e racconti dell’Italia “risorta” con Emanuela Faraglia, Giulio Brandelli e Maurizio Terzetti. Venerdì sono in programma, in sala consiliare, una seduta solenne e straordinaria del Consiglio provinciale di Perugia e, quindi, la presentazione del volume Eredi dell’Unità.

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Capitini, post-cristiano esegeta di Francesco https://www.lavoce.it/capitini-post-cristiano-esegeta-di-francesco/ Thu, 03 Feb 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9094 Il n. 5 della rivista Perusia (novembre 2010, Guerra edizioni, Perugia), riporta gli Atti della giornata di studi che si è svolta il 1° ottobre 2009 sul tema “Aldo Capitini e l’Università per Stranieri”. Tra gli studi ivi riportati su Capitini (1899 -1968), una delle figure più note della Perugia del Novecento, figurano due contributi che riguardano Aldo Capitini interprete di Francesco d’Assisi, di Gabriele Rigano e Il post-cristianesimo di Aldo Capitini di Mario Olivieri. Gabriele Rigano è borsista presso l’Università per Stranieri di Perugia. Lavora nella redazione di Storia e politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa. Ha pubblicato vari saggi di storia religiosa e politica del Novecento. Ha curato con altri studiosi Roma 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione. Ha pubblicato Il caso Zolli. L’itinerario di un intellettuale in bilico tra fedi, culture e nazioni e Il podestà giusto d’Israele. Vittorio Tredici, il fascista che salvò gli ebrei. Mario Olivieri, docente all’Università per Stranieri di Perugia, ha al suo attivo, oltre ad una lunga esperienza didattica e di ricerca, alcune pubblicazioni su periodi storici e fenomeni socio-culturali del Medioevo (Il destino del cavaliere. Aspetti dell’ideologia cavalleresca, ed. Guerra, Perugia 1990; Compendio della storia d’Italia. Documenti per la storia d’Italia, Guerra, Perugia 2007). I due contributi gettano una nuova luce sulla figura e il pensiero di Capitini, studiato proprio nel suo rapporto con il cristianesimo e con la figura di Gesù (Olivieri) e con il francescanesimo e la vita di Francesco d’Assisi (Rigano). Abituati a leggere soltanto pagine relative alla pace e pacifismo e alla non violenza, attraverso questi due contributi abbiamo una conoscenza più profonda delle posizioni e dei giudizi di valore che Capitini sviluppa in alcuni suoi scritti. La critica dei due autori non pretende di essere esaustiva e non coglie tutti gli aspetti del pensiero capitiniano, ma centra il nucleo del suo pensiero religioso che è stato classificato come post-cristiano, frutto di forzature sui personaggi di Gesù e di Francesco dettate da un presupposto pacifista e non violento e nella dichiarata contrapposizione alla Chiesa cattolica. Su questi temi il prossimo 10 febbraio si svolgerà un dialogo alle 21 nella sala della biblioteca del Centro di accoglienza in via Bontempi 13 a Perugia.

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Energie di pace da “scatenare” sul mondo https://www.lavoce.it/energie-di-pace-da-scatenare-sul-mondo/ Thu, 13 Jan 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9032 Nel venticinquesimo anno dalla prima grande preghiera per la pace innalzata dai capi di tutte le grandi religioni del mondo ad Assisi, il Papa torna nella città umbra ed invita di nuovo i leader religiosi. Nel 1986, a preparare l’incontro voluto da Giovanni Paolo II, con la diocesi di Assisi e il movimento dei Focolari c’era anche la Comunità di Sant’Egidio seguita dall’allora don Vincenzo Paglia, oggi vescovo di Terni – Narni – Amelia. “Ho avuto la gioia di partecipare a quell’incontro e di avere organizzato assieme agli amici di Sant’Egidio un evento analogo ogni anno in diverse città del mondo” ha detto mons. Paglia in una nota per la stampa, diffusa non appena avuta la notizia dell’annuncio del Papa.Mons. Paglia, chi ha pensato che a suo tempo, 25 anni fa, il card, Ratzinger fosse se non contrario quanto meno tiepido rispetto all’incontro del 27 ottobre 1986, ora dovrebbe ricredersi. “È vero che il cardinale Ratzinger non venne ad Assisi nel 1986, come è vero anche che Giovanni Paolo II non avrebbe realizzato questo evento se ‘il più grande teologo del dopo-Concilio’ – così Wojtyla chiamava il suo collaboratore – non avesse dato il suo assenso. In ogni caso, mi pare evidente che Benedetto XVI non voglia semplicemente commemorare una data, per quanto significativa. Suo desiderio è scendere nelle profondità della storia, compresa quella spirituale, per cogliervi le energie di bene e ‘liberarle’ in vista della pace. È in questa prospettiva che bisogna comprendere quel che viene chiamato lo ‘spirito di Assisi’”. Non pensa che tale incontro possa attenuare il carattere di “difensore della fede” che è attribuito da molti nella Chiesa cattolica, e anche al di fuori di essa negli ambienti tradizionalisti della ortodossia e dell’anglicanesimo, a Papa Benedetto? “Non c’è dubbio che taluni non compresero appieno quello storico evento. C’era ad esempio chi pensava che le religioni fossero tutte uguali o chi voleva raggiungere una sorta di Credo comune tra tutti. Nulla di più sbagliato: è contro sia la storia che le stesse religioni. Benedetto XVI ha chiarito – e ce n’era bisogno! – che le religioni non possono prescindere dal confronto con la verità. È la grande lezione del discorso fatto a Ratisbona: la fede richiede l’intervento della ragione e viceversa. Assisi oggi vuol dire anche questo. La fermezza nell’identità è parte essenziale di qualsiasi incontro e dialogo. In questi 25 anni lei con la Comunità di Sant’Egidio avete tenuto vivo con iniziative internazionali annuali lo spirito di Assisi. Cosa pensate per il futuro, come Comunità di Sant’Egidio? “Non è stato facile tener viva questa prospettiva. Gli stessi organizzatori pensavano che l’incontro di Assisi dovesse restare un unicum, irrepetibile. In verità, l’evento aveva in se stesso come un’energia di pace irresistibile. Lo stesso Giovanni Paolo II volle che continuasse. E penso di poter dire che, se questi incontri non fossero continuati, non solo oggi difficilmente parleremmo dello spirito di Assisi, ma sarebbero rimaste inattive tante energie di pace che hanno invece portato non poco frutto nel corso di questi venticinque anni. La scelta di Benedetto XVI impegna ancor più la Comunità di Sant’Egidio a continuare questo straordinario pellegrinaggio di pace nelle diverse città del mondo, come sino ad ora ha fatto”. Tuttavia non pensa che un tema così importante e decisivo per le religioni e la pace nel mondo debba coinvolgere tutta la Chiesa, e non solo questa o quella comunità ecclesiale e quel determinato Ordine religioso? “Senza alcun dubbio. Direi che deve coinvolgere anche la nostra Umbria e le nostre diocesi, a partire da Assisi, come pure tutte quelle realtà carismatiche chiamate a far risplendere la ricchezza dei doni di Dio. Penso al bene che le comunità ecclesiali potrebbero – e spesso portano – nel mondo immettendo nella storia fermenti di amicizia, di fraternità, di preghiera, mentre il mondo vede globalizzare solo il commercio e uno spirito individualista”. L’incontro di Assisi capita in un momento difficile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Pensa che questo evento sia in grado di rilanciare l’entusiasmo e il desiderio di camminare verso la riconciliazione e la comunione tra i credenti? “Senza dubbio lo spirito di Assisi significa anelito all’unità, in tutti i sensi. Guai a lasciare libero lo ‘spirito del diavolo’ che è, appunto, di ‘divisione’. La Chiesa – e il Papa in prima persona – mostra l’impegno per l’unità di tutto il genere umano. È questo l’orizzonte teologico più evidente che viene affermato in questi incontri. L’unità dei cristiani, in questi eventi, appare nella sua urgenza: mostra con più chiarezza lo scandalo della divisione e fa intravedere la forza della comunione”. La Regione Umbria dopo questa iniziativa potrà ancora rifiutarsi di inserire nel suo Statuto il richiamo a san Francesco e a san Benedetto? “A me pare un riferimento molto utile. E non per motivi di parte. Infatti – purtroppo quando si è incatenati al pregiudizio non lo si capisce – molti non sanno che è stata scelta Assisi e non Roma perché san Francesco è compreso da tutte le religioni e da tutti i laici. È davvero un santo di tutti, universale, e in un certo senso ‘laico’. Che l’Umbria lo ponga nel suo Statuto è riconoscere l’universalità di questo suoi figlio. Chi ne ha paura, ha forse paura di se stesso, senza saperlo”. Quest’anno sarà ance il 50° della Marcia della pace inventata da Capitini. Ma di questo sarà bene parlare in modo più appropriato e approfondito a suo tempo. “Chi legge Capitini trova conferma in quanto dicevo. Egli disse che la Marcia della pace non poteva che finire ad Assisi, appunto a causa di san Francesco. Ma di questo parleremo ancora. Non c’è dubbio che è un evento da cogliere nella prospettiva della pace, in un momento in cui anche andare a messa può essere causa di morte…”.

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Un popolo arcobaleno https://www.lavoce.it/un-popolo-arcobaleno/ Thu, 20 May 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8460 Lo striscione ufficiale della Marcia della pace Perugia-Assisi ha espresso quest’anno il bisogno di “un’altra cultura”. In circa 100 mila l’hanno seguito, nonostante il tempo inclemente, fino alla Rocca maggiore dove gli organizzatori della manifestazione hanno messo l’accento su mancanza di lavoro, integrazione, accoglienza del diverso, tutela della Costituzione, crisi economica e povertà. Nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva inviato un telegramma definendo la Marcia “di grande significato per quanti quotidianamente sono impegnati in difesa di fondamentali valori umani e sociali”. È stato padre Giuseppe Piemontese, custode del Sacro Convento, ad accogliere il “popolo della Marcia, un arcobaleno” alla basilica pontificia. Padre Piemontese si è rivolto “al popolo della pace, componenti della Tavola della pace, autorità, uomini e donne della politica e dei sindacati, associazioni, giovani, famiglie, gente comune, appassionati cercatori e operatori di pace. In questo luogo – ha quindi detto -, reso significativo dalla presenza e dalla testimonianza di Francesco d’Assisi, che è stato riconosciuto in tutto il mondo quale araldo e messaggero di pace, i vostri ideali e le vostre aspirazioni acquistano consistenza di speranza”. “Nell’incontro e nel confronto col Poverello di Assisi – ha proseguito -, la passione per la pace trova approvazione e sostegno, riceve identità di percorso e concretezza di metodo per sfociare nella beatitudine evangelica dei figli di Dio, promessa agli operatori di pace. Ognuno di noi porta nel cuore un sogno ed un progetto: un’umanità e una società giusta e onesta, un ambiente sano e bello, un mondo dove tutti si relazionano con gioia e trascorrono l’esistenza senza conflitti, in pace”. Alla marcia hanno aderito quest’anno 635 città e 335 enti locali, 130 associazioni e reti nazionali, 518 associazioni locali e 125 scuole. La prossima edizione si svolgerà il 25 settembre 2011, a cinquant’anni esatti dalla prima storica camminata per la pace di 24 chilometri tra Perugia ed Assisi, ideata dal filosofo pacifista perugino Aldo Capitini. La marcia seguirà il percorso tradizionale. Proprio riguardo all’evento del prossimo anno, una proposta interessante è giunta dal sindaco di Assisi, Claudio Ricci, che vorrebbe vedere segnata, in modo permanente, la “Via della pace” Perugia-Assisi, posizionando una scultura al punto di partenza, una scultura all’arrivo e altre opere d’arte nei punti di riferimento dell’itinerario. Il Saluto del Papa«A sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Domenico Sorrentino, Vescovo di AssisiIn occasione della sosta alla basilica di San Francesco della Marcia per la pace Perugia-Assisi, il Santo Padre rivolge ai presenti un cordiale saluto e auspica che il generoso impegno e costante esempio di cristiani e persone di buona volontà favoriscano nelle famiglie, negli ambienti di lavoro e nei diversi contesti sociali pace vera e duratura nel rispetto della giustizia, dialogo paziente, convinta stima verso gli altri, sacrificio personale e comunitario. Affidando tali voti all’intercessione di san Francesco d’Assisi, profeta e testimone di pace, il Sommo Pontefice assicura il ricordo nella preghiera e invia a vostra eccellenza, alle autorità civili e a tutti i partecipanti, la implorata benedizione apostolica. Cardinale Tarcisio BertoneSegretario di Stato di Sua Santità»

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Pace: un dovere esigente https://www.lavoce.it/pace-un-dovere-esigente/ Thu, 11 Oct 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6189 Tante istanze hanno marciato da Perugia ad Assisi, sulle gambe di 200 mila persone. Al centro la richiesta di diritti umani per tutti, con i cattolici che hanno levato alta la loro voce. Mentre san Francesco – era scritto su uno striscione – veniva richiesto come ministro della Difesa e santa Chiara come quella della Famiglia. Il pontefice Benedetto XVI, nel messaggio inviato ai marciatori, ha ricordato che ‘la pace è dono prezioso di Dio e un esigente dovere di ciascuno’, oltre a rinnovare l’appello ‘per una pacifica soluzione dei conflitti delle varie regioni del mondo’. Il Papa ha poi auspicato che ‘l’esempio evangelico di san Francesco susciti nei credenti rinnovata coscienza della preziosa realtà della pace, quale dono di Dio ed esigente dovere di ciascuno’. Si è marciato allora per i diritti dei monaci e del popolo della ex Birmania, per la legalità invocata dai familiari delle vittime della mafia, per un’informazione libera nel nome della giornalista Anna Politkovskaya (c’era anche una delegazione russsa), per aumentare la quota del Pil che il Governo italiano destina alla cooperazione internazionale (tutt’oggi fermo a circa lo 0,2 per cento invece dello 0,7 fissato da oltre un decennio come obbiettivo irrinunciabile) e per la difesa dell’ambiente. In 200 mila – secondo le stime degli organizzatori – hanno marciato domenica da Perugia ad Assisi per chiedere ‘Tutti i diritti umani per tutti’. La Marcia della pace del 7 ottobre ha visto sfilare quest’anno meno bandiere di partiti e di sindacati, meno ‘segni’ di parte, così come era nelle intenzioni del suo ideatore, Aldo Capitini. È stata la marcia degli scout, oltre 7 mila giunti da tutta Italia secondo quanto ha affermato la Tavola della pace, accanto a don Ciotti e ai parenti di alcune vittime della mafia e a 250 volontari della Federazione degli organismi di volontariato cristiano internazionale (Focsiv). Volantini contro lo sfruttamento di un corso d’acqua in Umbria da parte di una multinazionale sono stati distribuiti dal comitato ‘Rio Fergia’. ‘Marciare quest’anno ha avuto un valore eccezionale – ha dichiarato il presidente delle Acli, Andrea Oliviero – perché la testimonianza tragica e insieme luminosa del popolo e dei monaci birmani ci invita a riscoprire una radicalità spirituale che non è intimismo, né rifiuto dell’impegno politico: è anzi la forza di affrontare ogni rischio per la pace’. Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la Marcia della pace è stato ‘un appuntamento di rilievo per tutti coloro che dedicano il proprio impegno all’obiettivo di costruire un futuro di pace e solidarietà’. Scrivendo ai coordinatori della Tavola della pace, Flavio Lotti e Grazia Bellini, Napolitano ha ribadito che il rispetto di ogni persona, senza distinzioni di sesso, razza, religione o opinioni politiche è fra i principi ai quali si ispira l’azione internazionale dell’Italia, ‘conformemente al dettato costituzionale ed alle più nobili tradizioni civili e giuridiche del nostro Paese’. (pa .gio.)Alla veglia, anche don Milani e il TibetSabato sera, nonostante la pioggia, la cattedrale di San Lorenzo era gremita di persone – per lo più scout – venute per partecipare alla veglia ‘Sotto lo stesso cielo’, promossa da Conferenza episcopale umbra, Agesci, Libera International, Pax Christi. Un momento di preghiera, riflessione ed impegno sulla pace e i diritti umani, insieme a letture, profeti e testimoni che illuminano il cammino. La veglia, guidata da don Fabio Corazzina (Pax Christi) e Sabrina De Cianni (Agesci), è stata accompagnata da un coro di scout, ed è stata contraddistinta da gesti, segni e testimonianze. Dopo l’apertura, affidata a un brano della Populorum progressio, mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, nel dare un saluto di benvenuto, ha ricordato la figura di Franco Rasetti, scienziato umbro che rifiutò di lavorare per la costruzione della bomba atomica. Mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, ha portato il saluto di san Francesco e del Santo Padre, invitando a camminare non solo per le vie del mondo ma anche nel profondo del cuore. Cecilia Dall’Oglio (Focsiv) ha espresso l’attualità della Populorum progessio nel quarantesimo anniversario; Maresco Ballini, uno dei primi allievi di don Milani, ha ricordato l’impegno del priore di Barbiana per garantire a tutti il diritto all’istruzione. Il lama Lobsang Lungrig, monaco tibetano, e Dekyi Dolkar, dell’Associazione donne tibetane, hanno ricordato il dramma della Birmania e del Tibet. Max Bressan e Barbara Cartella, incaricati del settore pace – nonviolenza – solidarietà dell’Agesci, hanno fatto memoria dell’impegno scout della pace e della figura di Robert Baden-Powell. L’invito ad essere responsabili costruttori di pace e custodi dei diritti è stato segnato dallo ‘stand up’ (un gesto di impegno contro la povertà, legato alla campagna degli obiettivi del millenno) e dalla Fiamma dello spirito scout, segno di fraternità e di pace, che è stata accesa in Kenya il 22 febbraio scorso in ricordo del centenario dello scautismo, è giunta in Inghilterra il 31 luglio e infine a Perugia; e infine da un macigno, simbolo dell’oppressione dei diritti, via via frantumato dall’accettazione personale della fatica di questo percorso di liberazione e di pace, segno speranza per le generazioni future. Fra i presenti ricordiamo ancora don Tonio Dell’Olio (Libera International), padre Alex Zanotelli, padre Kizito Sesana, Luisa Morgantini (vicepresidente Parlamento europeo), Dina Tufano (capo guida Agesci), Chiara Sapigni (presidente della Federazione Italiana dello scoutismo), Paola Stroppiana (presidente Agesci).

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Partì Capitini, seguirono i cattolici https://www.lavoce.it/parti-capitini-seguirono-i-cattolici/ Thu, 04 Oct 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6171 La Marcia per la pace Perugia-Assisi ha cambiato pelle negli anni. Quasi un appuntamento di sparuti idealisti ai tempi di Aldo Capitini, fino al fenomeno di massa che è oggi, seguita dalle tv nazionali e amplificata nel mondo tramite internet. La Chiesa cattolica la snobbava agli inizi, quando c’era Capitini. Una manifestazione di cui poi la sinistra pacifista italiana si appropriò per lungo tempo: le bandiere rosse (nonostante Capitini invitasse a non portare simboli di partito) hanno sempre sventolato accanto alle bandiere della pace, a tratti dominandole come negli anni ’80. Poi, dagli anni ’90, anche i cattolici iniziano a camminare con sempre maggiore convinzione sulla strada che da Perugia va ad Assisi, scout in testa. Promuovendo proprie marce di pace in altre parti del mondo: nel 1992 Pax Christi organizza la Marcia dei 500 su Sarajevo, i Beati costruttori di pace fanno lo stesso a Mostar, molti scout si impegnano in iniziative di solidarietà nella crisi nei Balcani, lavorando in Bosnia, Croazia, Slovenia e poi Albania. Anni ’90: messaggio del PapaGli organizzatori della Marcia iniziano a declinare la parola pace in diritti umani, cooperazione, solidarietà. Quando al Sacro Convento di Assisi nasce la Tavola per la pace, il 13 gennaio 1996, i cattolici ci sono: Cisl, Acli, Pax Christi, Emmaus Italia, Agesci, Mani tese, Focsiv, Cnca, Beati i costruttori di pace. Per la prima volta, il 12 ottobre 2003, un Papa invia un messaggio agli organizzatori della Marcia. Mons. Sergio Goretti, dalla loggia della basilica, legge il messaggio di Giovanni Paolo II ai partecipanti della marcia: ‘Mi rallegro con gli organizzatori e i protagonisti della Marcia Perugia-Assisi – scrisse il Pontefice – che in questa benemerita iniziativa hanno voluto unire le due dimensioni: l’Europa e la pace’. ‘Gli scout hanno sempre partecipato’, afferma la coordinatrice nazionale della Marcia, Grazia Bellini, 60 anni, ex presidente nazionale dell’Agesci, organizzazione che conta oggi 176 mila soci in Italia. Bellini (Tavola della pace): ‘Chi attacca la marcia, lo fa in malafede’ ‘Ormai da molti anni la Marcia non può essere identificata con una parte politica’, continua Bellini, ‘sarebbe solo polemica strumentale. Abbiamo sempre mandato gli inviti a tutti i politici, da destra a sinistra. Anche se, quando il centrodestra era al Governo, Gianfranco Fini non volle nemmeno riceverci. Oggi chi marcia non dice solo no alla guerra, ma chiede ai Governi più soldi per la cooperazione internazionale (l’Italia è ferma da un decennio allo 0,2% del Pil, anche se il governo Prodi ha sanato il debito pregresso con la comunità internazionale, ndr), più rispetto dei diritti umani, più giustizia’. L’attuale Marcia della pace è importante per gli scout, che festeggiano quest’anno il centenario della nascita del movimento. ‘La fiaccola della fraternità scout – spiega Bellini – accesa in Kenya a Nyeri, sulla tomba del nostro fondatore Baden Powell, arriverà il 7 ottobre alla Rocca di Assisi’.

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Maturare coscienze senza schieramenti https://www.lavoce.it/maturare-coscienze-senza-schieramenti/ Thu, 04 Oct 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6172 Domenica si terrà la Marcia Perugia-Assisi, e il Papa manderà un messaggio. Non è la prima volta, ma è un segno di attenzione piuttosto recente. Ne parliamo con mons. Vincenzo Paglia, delegato della Conferenza episcopale umbra per i problemi sociali e il lavoro. ‘Il messaggio del Papa – spiega mons. Paglia – è la novità di queste ultime edizioni della Marcia, da quando i vescovi umbri, attraverso la Commissione che presiedo, si sono inseriti in maniera più robusta nel determinare anche i contenuti dell’evento. Il messaggio del Papa, che qualifica la Marcia dandole una rilevanza internazionale particolarmente significativa, sarà letto dal Vescovo di Assisi come già le ultime due volte, quando i partecipanti giungeranno a mezzogiorno nella piazza della basilica di San Francesco’.Anche questa sosta davanti alla basilica di San Francesco, è una novità. ‘Lo è dall’ultima manifestazione; prima non era mai accaduto’. Quest’anno si è discusso sulla definizione della Marcia. Per la pace o per i diritti umani? ‘La Marcia conserva la sua qualifica fondamentale di difesa e promozione della pace. C’è stata ultimamente sorpresa quando si è aggiunta la dizione circa i diritti umani. L’abbiamo voluta per sottolineare la Dichiarazione universale dei diritti umani, il cui anniversario sarà l’anno prossimo, perché vorremmo che già dalla vigilia si ponesse attenzione a questa carta delle Nazioni Unite che ha segnato larga parte della cultura occidentale e molta parte delle altre culture; e ci auguriamo, ovviamente, che si estenda sempre più, sino a divenire patrimonio comune dell’umanità. In questo contesto si pone l’incontro del 6 ottobre sul 40’della Populorum progressio’. La Marcia si presenta anche ‘contro la miseria e la guerra e l’antipolitica” ‘Vuole essere anche una manifestazione contro la povertà, perché siamo a metà del quindicennio degli Obiettivi di sviluppo del millennio stabiliti dalle Nazioni Unite per la lotta alla fame. Purtroppo molti Paesi, compresa l’Italia, sono ancora molto indietro nel rispetto degli impegni presi per sradicare la povertà, che tutti avevano congiuntamente sottoscritto’. La Marcia è cambiata, ma c’è chi dice ancora oggi che è politicizzata. Nel centrosinistra ci sono politici che partecipano quel tanto che basta per apparire in tv, e dal centrodestra raccoglie più critiche che adesioni.’Tutti gli organizzatori, quindi anche la Commissione Ceu, sono convinti della necessità di evitare ogni tipo di strumentalizzazione politica, e ogni sforzo sarà fatto in questo senso, per esempio chiedendo di partecipare a tutto il tragitto. Questo perché interessa sempre più a tutti la maturazione di una coscienza. Tra l’altro, non è di poco conto sottolineare che una grande parte dei partecipanti provengono dal mondo dei credenti’. La Marcia è nata da Aldo Capitini, noto pacifista, ma è stato anche un uomo che ha rifiutato la Chiesa richiedendo lo sbattezzo. Questo ha sempre fatto problema alla Chiesa umbra, e in particolare ai cattolici che lo hanno conosciuto personalmente’. ‘Non dobbiamo misconoscere la storia e neppure le difficoltà di quei tempi, che portavano a polarizzazioni che oggi hanno poco senso. D’altronde la pace è una di quelle dimensioni planetarie che sono senza dubbio ispirate anche dalla tradizione evangelica, ed è bene che questa prospettiva diventi patrimonio di tutti. Per certi versi a me piace anche avvicinare questa marcia a quella, purtroppo dispersa, dei monaci e delle monache buddiste in Birmania’. Può sembrare un accostamento audace, vista la libertà di cui noi godiamo. In che senso? ‘Come patrimonio comune della pace, che si sposa in maniera indissolubile con la nonviolenza, con la mitezza, con la misericordia. In questo senso la Marcia Perugia-Assisi assume tonalità che all’inizio erano poco presenti o solo in nuce, ma che oggi sono arricchite anche dalla varietà dei partecipanti. E si deve dire che la Marcia è dei partecipanti, è di coloro che desiderano una pace universale. Non è uno slogan appartenuto a qualcuno’.I vescovi parteciperanno? ‘I fedeli delle nostre otto Chiese umbre parteciperanno attivamente alla Marcia e a tutti gli eventi. Compresi i vescovi. Per esempio, nell’Onu dei popoli a Perugia e dei giovani a Terni, nella veglia di sabato e nella messa di domenica mattina, al momento della lettura del messaggio del Papa. Segnalo anche l’impegno della Commissione a proseguire, terminata la Marcia, un’azione doprattutto dalle scuole, organizzando numerosi corsi di educazione alla pace’.

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Anticlericali. Anacronistici https://www.lavoce.it/anticlericali-anacronistici/ Thu, 03 Nov 2005 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4781 Sulla sagra anticlericale che si è tenuta alla fine della settimana scorsa a Perugia, abbiamo ricevuto lettere e commenti sia scritti che verbali, ai quali abbiamo preferito rispondere declassando l’avvenimento a livello di una sagra goliardica. Ora, a fatto avvenuto, anche per suggerimento di alcuni lettori, sembra di dover rilevare una tendenza anticlericale e anticattolica che si va diffondendo di cui la sagra può considerarsi più che un sintomo.

Si avverte cioè una forma di malcelata avversione che in certe occasioni diventa astio, disprezzo e odio. Alcuni hanno il complesso dell’accerchiamento e credono che la Chiesa costituisca una minaccia per la loro libertà e i loro progetti politici e culturali. Vorrebbero che i cattolici consumassero la loro fede nei luoghi a ciò deputati senza uscire dal tempio e dai confini del sacro codificato ritualmente. Molto fumo d’incenso, in altri termini, ma nessuna dichiarazione sulla vita, sull’economia, sull’etica. Quelle questioni possono essere trattate da tutti, ma non da uomini di Chiesa, perché legati al Concordato che li chiude nella sfera del principio di “libera Chiesa in libero Stato”.

Non tengono conto che questa formula, peraltro datata e arricchita da elementi propri del nuovo Concordato del 1983, non intende depotenziare il credente togliendogli i suoi diritti di cittadino, come non depotenzia i cittadini nelle loro libere espressioni proprie dell’esperienza religiosa. Anziché protestare e scandalizzarsi e minacciare ricatti (abolizione del Concordato, cancellazione della legge dell’8 per mille ecc) si dovrebbe sviluppare un dialogo e una collaborazione per cui le due sfere della società, quella laica e quella religiosa, concorrano al miglior bene dei cittadini realizzando quelle finalità che nessuna delle due realtà sociali riesce da sola a compiere. Si pensi soltanto per un momento alla dimensione sociale dell’emarginazione e dell’educazione dei giovani e anche della conservazione dei beni artistici e culturali che costituiscono una risorsa primaria della nostra economia.

Quanto alla sagra anticlericale culminata nel gesto dello ‘sbattezzo’ si deve confessare meraviglia e pena per l’ignoranza e la miopia di chi non considera che un sacramento, per chi non crede, non esiste tout court e tuttavia un fatto se è avvenuto non si può cancellare (factum infectum fieri nequit). Oggi l’autorità ecclesiastica non esercita alcun potere coercitivo sui fedeli e tanto meno sui cittadini. Le sue regole sono di ‘foro interno’ e obbligano in coscienza chi vi aderisce con fede. Può escludere con legge generale una categoria di persone dalla partecipazione alla comunione eucaristica. Ma anche in questo caso vale per chi è credente. Quindi uno “sbattezzo” può avere soltanto il valore di diffondere un messaggio di disprezzo verso una comunità che si onora di avere ricevuto il battesimo fin dai primi secoli cristiani. Vorrei capire cosa avrebbero fatto se anziché il battesimo avessero ricevuto la circoncisione.

Con la demonizzazione del cristianesimo, considerato come una peste da togliersi da addosso, non credo, tuttavia, che auspichino l’avvento di forme religiose fondamentaliste che pure si vanno diffondendo nel mondo, o di una società dove circolano liberamente e impunemente ogni sorta di riti e culti anche satanici e cruenti. Cosa dunque? È penoso che un libero e incontrastato rifiuto della fede che appartiene alla coscienza di ognuno, abbia bisogno di una pacchiana manifestazione di disprezzo per persone idee e cose sacre.

Quale fu il “casus belli

La sagra anticlericale tenutasi a Perugia è l’ultima figlia del meeting anticlericale organizzato a Fano nel 1984, in occasione della visita di Giovanni Paolo II. L’origine remota del fenomeno risale però agli anni ’60, quando Aldo Capitini reagì contro il vescovo di Prato, che aveva pubblicamente condannato una coppia che si era sposata civilmente, chidendo la cancellazione dai registri di battesimo. Fano è oggi sede dell’Associazione per lo sbattezzo, che si presenta come ‘formata da uomini liberi che si sostentano a vicenda in una società che attenta in mille modi al loro bisogno di affermare il rifiuto di qualsiasi rito iniziatico’. Gli aderenti compilano un modulo che viene spedito alla parrocchia di origine, se non al Vescovo, per diffidare la Chiesa dal ‘compiere qualsiasi atto avente rilevanza civile, quali ad esempio dichiarazioni pubbliche relative alla condotta morale dello sbattezzato’. Accanto all’Associazione opera l’Unione degli atei e degli agnostici religiosi (Uaar), che nel 1999 è ricorsa al Garante della privacy per affermare il diritto di rinuncia all’appartenenza alla Chiesa.

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CdL: a Norcia per un’altra “idea di pace” https://www.lavoce.it/cdl-a-norcia-per-unaltra-idea-di-pace/ Thu, 08 Sep 2005 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4679 Dalla mancata partecipazione alla marcia Perugia-Assisi all’organizzazione di un’iniziativa alternativa a Norcia ‘contro il falso pacifismo e terrorismo’: cambia strategia la Casa della Libertà, attraverso il comitato ‘Unione per la libertà’, di fronte ad una nuova edizione della marcia ideata da Aldo Capitini nel 1961.

La contro-manifestazione, ai piedi della statua di San Benedetto, ‘vuole dare conto di un’altra idea di pace’, hanno ricordato gli organizzatori, tra i quali il portavoce del comitato, Luigi Fressoia, il senatore Franco Asciutti, presidente provinciale di Forza Italia, il consigliere comunale di Perugia Renzo Baldoni (An) e l’avvocato Giacomo Borrione.

“Non ci saranno strumentalizzazioni, hanno assicurato i rappresentanti del comitato, ma si vogliono contestare ‘alla radice’ le motivazioni addotte dai promotori della Marcia, che fanno risalire il terrorismo islamico alla miseria, alla fame, alle ingiustizie del mondo, quando invece si sa che la povertà non genera terrorismo e soprattutto che gli stati arabi hanno immense ricchezze di petrolio”.

Su queste posizioni si schiera anche il sindaco di Assisi, Giorgio Bartolini, confermando la mancata adesione del Comune alla marcia. “Come sempre, diamo il supporto logistico per gli ospiti che vengono in città – dice Bartolini – ma non aderiamo all’iniziativa che è di parte. Poi quest’anno è organizzata in occasione dell’11 settembre. Mi sembra proprio una forzatura perché questa data è il segno incancellabile dell’attacco del terrorismo al mondo occidentale”.

Il Sindaco di Assisi promuoverà un incontro nella sala della Conciliazione, proprio domenica mattina, per ricordare le vittime degli attentati di 4 anni fa. L’iniziativa di Norcia è criticata dalla Chiesa diocesana perché la convocazione della popolazione di fronte alla statua di San Benedetto, per manifestare per la pace, crea “situazioni polemiche che non hanno motivo di esistere nella nostra cultura. Si riafferma, nel rapporto tra cristiani e musulmani, quanto recentemente ribadito dal Papa Benedetto XVI, nella più perfetta unità con la Santa Sede e le altre Chiese dell’Umbria. Si invitano i cristiani a pregare per la pace nel mondo e ad elevare preghiere di suffragio per tutte le vittime del terrorismo, della violenza e di chi, in qualunque modo, mina la pacifica convivenza dei popoli”.

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Discorso del Presidente del consiglio regionale dell’Umbria Mauro Tippolotti https://www.lavoce.it/discorso-del-presidente-del-consiglio-regionale-dellumbria-mauro-tippolotti/ Thu, 23 Jun 2005 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4550 Palazzo Cesaroni, 21 giugno 2005 Vorrei esprimere, a nome del Consiglio regionale dell’Umbria, i sentimenti di benvenuto in quest’aula a mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia e di Città della Pieve. La Sua presenza, Eccellenza, oggi assume un particolare significato poiché avviene in un momento storico complesso e difficile, in cui le Sue parole – nell’annuncio della visita pastorale si calano adeguatamente soprattutto quando Ella rileva che l’incontro “fuori dalla comunità cristiana avviene per una migliore conoscenza dell’ambiente e delle condizioni di vita delle città’ e richiama ‘la necessità, superando tempi di comportamenti solitari, di riscoprire la forza e l’efficacia dell’ insieme’. E, a questo proposito, mi piace ricordare la citazione che il cardinale Carlo Maria Martini fece nel Parlamento italiano in occasione del centenario della nascita di Giorgio La Pira ricordandone le parole allorquando riprendendo il concetto di “città” “come riferimento culturale geografico e politico” lo intese soprattutto come ‘metafora trascrizione documento vivente della storia e della civiltà umana, nonché come “casa’, domicilio, humus della persona umana e non già museo di reliquie. In questo senso, assumono valore di simbolo la casa l’officina, l’ospedale la scuola e la cattedrale”.La nostra regine, per moltissime ragioni e più di altre, ha intrecciato costantemente nel suo cammino di civiltà gli aspetti istituzionali e religiosi . Sullo sfondo della nostra storia costituendo dei forti elementi identitari che fanno dell’Umbria universalmente riconosciuta terra di pace, terra di armonia tra l’ambiente e l’uomo si stagliano naturalmente con diverse carature ed in distinti contesti le figure di san Francesco d’Assisi e di Aldo Capitini come uomini di pace rivoluzionari nella loro ricerca e nel loro rifiuto della violenza ed ancora come altri hanno scritto la cosiddetta “religiosità laica” di Capitini fu soprattutto l’idea di far passare la religione da credo e istituzione impositiva a “libera aggiunta” ; al posto del dogma c’è l’imperativo etico della non violenza”. Ed allora oggi nel momento in cui nel mondo le questioni dei valori trovano spazio negli ordinamenti legislativi pur con diverse e contrastate condivisioni non possiamo presentarci a priori culturalmente sguarniti allorquando si stanno affermando messaggi di presunta liberazione dell’individuo – soprattutto sul versante economico – giustapposti ad un elevato grado di compressione sociale. Da questo, quindi credo che sia necessario ripensare la laicità tenendo conto che già nel mondo medievale e nell’epoca premoderna la sua definizione era improntata ad una grande duttilità, la cui radice storica potrebbe essere rinvenuta nel riconoscimento – teorizzato dalla Chiesa fin dal V secolo – che potere religioso e potere civile attingono a sfere esistenziali distinte e dotate ciascuna di una propria autonomia e di un proprio intrinseco valore e che poi, soprattutto nell’Europa moderna è coincisa con la reciproca comprensione affermandosi inizialmente come una dimensione politica di convivenza tra fedi religiose – tutte cristiane – che a fatica rinunciavano a combattersi. La sua affermazione – quindi – è inestricabilmente legata al rafforzamento dello Stato e alla sua concentrazione di poteri, e quindi alla separazione tra Stato e chiese. Nello schema classico della laicità, alla neutralità dello stato corrispondeva l’universalità della cittadinanza, che mette tra parentesi la fede religiosa, relegandola nel privato. Oggi però il problema si è enormemente complicato. La globalizzazione e le grandi migrazioni degli ultimi decenni ci pongono di fronte ad una situazione del tutto diversa: dobbiamo prendere atto della presenza di religioni non cristiane nello spazio sociale e politico delle democrazie europee. Ed è a questo punto che il modello tradizionale di laicità richiede una sua corretta rielaborazione . In un contesto multiculturale e multireligioso, il rischio dell’interferenza delle religioni nella sfera pubblica rende più difficile realizzare la neutralità dello Stato. È pertanto ineludibile un ripensamento del confine tra pubblico e privato: a nessun individuo e a nessun gruppo deve esser chiesto di mettere da parte la sua identità: piuttosto deve essere chiesto di esprimerla in coerenza con i principi della libertà individuale e dell’eguale rispetto dovuto a tutti. L’espressione dell’identità religiosa (o di orientamenti filosofici non religiosi) deve essere considerata in via di principio compatibile con la sfera pubblica. Questa, e non altra, dev’essere la ragione di ogni intervento delle istituzioni, e questa, non altra, deve essere la richiesta da fare alle religioni. La base di questa riflessione è che – a mio parere – il riconoscimento del modello tradizionale e di quello ottocentesco della laicità va profondamente rielaborato. Vanno contrastati i nuovi fondamentalismi con una idea nuova di laicità, soprattutto ribadendo che non esiste un fondamentalismo religioso in assoluto ma che tutte le religioni corrono il rischio del fondamentalismo, e che tutte possono invece essere compatibili con una società moderna: e la storia del cristianesimo è lì a dimostrarlo. Evidentemente questa ricerca non può prescindere – secondo me – da almeno tre premesse fondamentali: In primo luogo andrebbe riaffermata la neutralità dello Stato nel suo senso originario di imparzialità tra le diverse religioni, e di autonomia delle decisioni pubbliche da qualunque religione, senza significare l’emarginazione del sentimento religioso; in secondo, nei conflitti che inevitabilmente sorgono tra le rivendicazioni di riconoscimento e le esigenze pubbliche di imparzialità e di equilibrio, il criterio fondamentale a cui ricorrere, dovrebbe essere quello della libertà e dell’eguale rispetto; infine, dovrebbe essere evitata la rigida sovrapposizione tra identità religiosa e identità nazionale europea, o peggio ancora occidentale – perché si creerebbero le premesse per un uso strumentale della religione da una parte, e dall’altra per alimentare dei conflitti che sfocerebbero inevitabilmente nell’intolleranza e nel presupposto scontro tra civiltà, respingendo nel contempo una versione radicale e iperrelativistica che si risolve nell’imposizione di un indifferentismo delle culture che comunque non potrebbe che essere solo il risultato di un processo spontaneo.Sulla base di questi presupposti credo sia oggi opportuno riaprire una riflessione a tutti i livelli sul contenuto e sulle forme possibili della laicità nelle Istituzioni contemporanee. A partire dalla manifesta disponibilità di questo consesso regionale. Sono sicuro che l’apertura, la maturità e la forza delle nostre istituzioni, sapranno trovare il livello I politico equilibrato per dare la giusta risposta a questa esigenza che sento fortissima. Mi conceda, Eccellenza di concludere con le parole che Giovanni Paolo II, nel febbraio del 2004 rivolse – a nome di tutti i rappresentanti delle confessioni religiose – ai capi di stato e di governo del mondo intero: ‘Auspico che lo spirito e l’impegno di Assisi (che venne definita in quell’occasione la città della pace) conducano tutti gli uomini di buona volontà a ricercare la verità, la giustizia, la libertà, l’amore, affinché ogni persona umana possa godere dei propri diritti inalienabili ed ogni popolo possa godere della pace. (testo trascritto non rivisto dall’autore)

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