Africa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/africa/ Settimanale di informazione regionale Thu, 26 Sep 2024 20:03:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Africa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/africa/ 32 32 Mare (di dolore) in cui vanno a fondo anche le radici cristiane dell’Europa https://www.lavoce.it/mare-di-dolore-in-cui-vanno-a-fondo-anche-le-radici-cristiane-delleuropa/ https://www.lavoce.it/mare-di-dolore-in-cui-vanno-a-fondo-anche-le-radici-cristiane-delleuropa/#respond Fri, 27 Sep 2024 08:00:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77758

Il giornale britannico The Guardian ha pubblicato un reportage dettagliato e fitto fitto di testimonianze dal vivo sulle vessazioni cui vengono sottoposte le persone migranti subsahariane che arrivano in Tunisia. Il governo autocratico del presidente Kaid Saied ha ricevuto molti fondi dall’Unione Europea sotto la regia italiana e usa di fatto la disperazione delle folle disperate che arrivano dal resto dell’Africa come una minaccia. Di fatto è il modello-Turchia che si ripete.

A rendere ancora più grave e dolorosa la situazione vi è l’intreccio tra criminalità organizzata tunisina e forze di polizia favorito dallo stesso governo. Il reportage è una vera e propria galleria degli orrori descritta con abbondanza di particolari e riguarda soprattutto la sorte delle donne che vengono tutte sistematicamente abusate e violentate.

I rappresentanti delle poche organizzazioni di difesa dei diritti umani presenti e operanti nel Paese e gli stessi migranti hanno raccontato delle torture e di morti violente rimaste tutte impunite. E dire che l’accordo stipulato dal nostro governo prevedeva anche il rispetto dei diritti umani! Peccato che contemporaneamente non prevedeva né meccanismi di controllo e né sanzioni. Europol afferma di non avere alcun accordo di collaborazione con la Tunisia. Un mare di dolore in cui “le radici cristiane dell’Europa” si sono smarrite.

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Il giornale britannico The Guardian ha pubblicato un reportage dettagliato e fitto fitto di testimonianze dal vivo sulle vessazioni cui vengono sottoposte le persone migranti subsahariane che arrivano in Tunisia. Il governo autocratico del presidente Kaid Saied ha ricevuto molti fondi dall’Unione Europea sotto la regia italiana e usa di fatto la disperazione delle folle disperate che arrivano dal resto dell’Africa come una minaccia. Di fatto è il modello-Turchia che si ripete.

A rendere ancora più grave e dolorosa la situazione vi è l’intreccio tra criminalità organizzata tunisina e forze di polizia favorito dallo stesso governo. Il reportage è una vera e propria galleria degli orrori descritta con abbondanza di particolari e riguarda soprattutto la sorte delle donne che vengono tutte sistematicamente abusate e violentate.

I rappresentanti delle poche organizzazioni di difesa dei diritti umani presenti e operanti nel Paese e gli stessi migranti hanno raccontato delle torture e di morti violente rimaste tutte impunite. E dire che l’accordo stipulato dal nostro governo prevedeva anche il rispetto dei diritti umani! Peccato che contemporaneamente non prevedeva né meccanismi di controllo e né sanzioni. Europol afferma di non avere alcun accordo di collaborazione con la Tunisia. Un mare di dolore in cui “le radici cristiane dell’Europa” si sono smarrite.

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Il gusto amaro della cioccolata delle contraddizioni https://www.lavoce.it/gusto-amaro-cioccolata-contraddizioni/ https://www.lavoce.it/gusto-amaro-cioccolata-contraddizioni/#respond Fri, 10 May 2024 08:53:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76094

La cioccolata rappresenta senza dubbio lo specchio delle peggiori contraddizioni che viviamo nel nostro tempo. Per quanto sia dolce al palato è causa di profonde ingiustizie. Da qualche tempo il prezzo del cacao è aumentato (una tonnellata di cacao costa dodicimila dollari) ma non certo perché sia aumentato il salario dei coltivatori! Il 70% delle fave di cacao si raccoglie in Africa occidentale dove ultimamente si registra un aumento delle fitopatie, condizioni meteorologiche particolarmente avverse (vedi il Niño) e la ricaduta dei cambiamenti climatici. Sono questi i fattori degli aumenti. Chi guadagna di più è la catena di mediatori e speculatori senza scrupoli e le grandi multinazionali. Nel 2023 Lindt, Mondelez e Nestlé insieme hanno ricavato quattro miliardi di dollari dalla vendita del cioccolato, mentre Hershey ha guadagnato due miliardi (fonte Oxfam). Senza contare i problemi relativi all’uso di fertilizzanti nocivi per i coltivatori e i consumatori e all’impiego di minori. Soltanto incentivando la costituzione di cooperative e consorzi si potrà sperare in una produzione equa e sostenibile, ovvero giusta. Dalla Costa d’Avorio e da molte altre parti dell’Africa e dell’America Latina giungono notizie di iniziative coraggiose che lascerebbero sperare bene se solo venissero incentivate da politiche globali più giuste e da una maggiore consapevolezza degli amanti del buon cioccolato.]]>

La cioccolata rappresenta senza dubbio lo specchio delle peggiori contraddizioni che viviamo nel nostro tempo. Per quanto sia dolce al palato è causa di profonde ingiustizie. Da qualche tempo il prezzo del cacao è aumentato (una tonnellata di cacao costa dodicimila dollari) ma non certo perché sia aumentato il salario dei coltivatori! Il 70% delle fave di cacao si raccoglie in Africa occidentale dove ultimamente si registra un aumento delle fitopatie, condizioni meteorologiche particolarmente avverse (vedi il Niño) e la ricaduta dei cambiamenti climatici. Sono questi i fattori degli aumenti. Chi guadagna di più è la catena di mediatori e speculatori senza scrupoli e le grandi multinazionali. Nel 2023 Lindt, Mondelez e Nestlé insieme hanno ricavato quattro miliardi di dollari dalla vendita del cioccolato, mentre Hershey ha guadagnato due miliardi (fonte Oxfam). Senza contare i problemi relativi all’uso di fertilizzanti nocivi per i coltivatori e i consumatori e all’impiego di minori. Soltanto incentivando la costituzione di cooperative e consorzi si potrà sperare in una produzione equa e sostenibile, ovvero giusta. Dalla Costa d’Avorio e da molte altre parti dell’Africa e dell’America Latina giungono notizie di iniziative coraggiose che lascerebbero sperare bene se solo venissero incentivate da politiche globali più giuste e da una maggiore consapevolezza degli amanti del buon cioccolato.]]>
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Popoli in “catene” per il dio denaro https://www.lavoce.it/popoli-in-catene-per-il-dio-denaro/ https://www.lavoce.it/popoli-in-catene-per-il-dio-denaro/#respond Fri, 22 Mar 2024 11:18:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75429 Uomini e donne congolosi di spalle con magliette bianche all'interno di una chiesa che guardano Papa Francesco seduto accanto ad un sacerdote congolese, vicino c'è una croce

“Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega”.

Neocolonialismo, nuova forma di oppressione e privazione della libertà

Così Papa Francesco scrive nel Messaggio annuale per la Quaresima in cui, nel mettere a tema l’esperienza di libertà dell’uomo, richiama all’attenzione anche sulle moderne forme di oppressione e di privazione della libertà che molti uomini e donne ancora vivono. Tra queste si può annoverare un recente fenomeno che comunemente prende il nome di “neocolonialismo”, ma di cui non si parla poi così diffusamente.

Perciò abbiamo chiesto a padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, attualmente direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Roma, di parlarci di questo fenomeno e delle sue conseguenze, in virtù anche della sua attività missionaria, in Uganda e in Kenya, e di quella da ‘cronista di missione’, nella maggior parte dei Paesi dell’Africa.

Padre Albanese cosa si intende per colonialismo e neocolonialismo?

“Con colonialismo indichiamo quella serie di conquiste, dapprima delle Americhe, poi dell’Africa e di altri paesi, da parte di nazioni del Nord del mondo, che ha raggiunto il suo massimo nell’Ottocento guardando in particolare il continente africano e che si è protratto fino alla metà del Novecento. Dopodiché, negli anni ’60 del secolo scorso è iniziato il processo di indipendenza di quelle che erano le colonie, perché queste hanno affermato il principio di autodeterminazione diventando così indipendenti dalle potenze coloniali. Questo fenomeno della colonizzazione è stato estremamente invasivo e ha causato sofferenze indicibili alle popolazioni autoctone. Emblematico è il caso di quello che oggi noi chiamiamo Repubblica Democratica del Congo, ma che un tempo di chiamava Zaire e ancor prima Congo belga: paese africano la cui popolazione, a seguito della conquista, ha subito una grande sudditanza e una forte esclusione sociale perché il potere era tutto concentrato nelle mani delle forze di occupazione, attraverso lo sfruttamento delle cosiddette commodity (materie prime) di cui ancora oggi è ricchissimo.

E qui vengo al punto: nel nostro tempo siamo passati ad una versione riveduta e ancor più scorretta di colonialismo, il neocolonialismo appunto, per cui apparentemente i Paesi un tempo occupati sono ora indipendenti ma vengono fortemente condizionati dagli interessi economici di diversi attori internazionali. E se nei secoli scorsi erano le potenze occidentali ad occupare i territori, nel neocolonialismo ci sono altri player, oltre l’Occidente, come l’Impero del drago (Cina), la Russia, la Turchia, o economie emergenti come il Brasile o il Sudafrica, che portano avanti una politica, per usare il gergo anglosassone, di exploitation (sfruttamento) delle commodity energetiche ma anche alimentari. Tutto ciò determina ancora una volta una condizione di sudditanza di molti Paesi del Global South (Sud del mondo)”.

Quali sono i Paesi più interessati da questo fenomeno?

“Certamente non solo l’Africa, anche se questo continente è paradigmatico perché risente degli interessi occidentali, come di quelli russi, cinesi e indiani, ma anche Paesi dell’America latina o dell’Oriente, come ad esempio Cambogia e Vietnam. Purtroppo, da parte di diverse nazioni non c’è, evidentemente, attenzione nei confronti della res publica dei popoli. E mai come oggi, soprattutto il mondo cattolico deve coltivare l’‘azzardo dell’utopia’ cioè di una globalizzazione intelligente, segnata dalla solidarietà e dalla fratellanza universale, perché come afferma papa Francesco ‘siamo tutti sulla stessa barca’ e ‘nessuno si salva da solo’”.

Quali sono gli effetti del neocolonialismo?

“Anzitutto quello più evidente è la povertà: a seguito della finanziarizzazione dell’economia abbiamo meno dell’1% della popolazione mondiale che ha una ricchezza superiore al restante 99%. All’interno di questi paesi del Sud del mondo c’è più o meno la stessa percentuale. La differenza qual è? È che non è paragonabile la povertà nel Nord del mondo, per esempio in Europa, nonostante vi sia stato un notevole impoverimento soprattutto del ceto medio, con la povertà del Global South dove c’è un senso di precarietà molto più evidente e le persone sono costrette a fuggire da povertà, guerre, epidemie. Anche il debito estero di questi Paesi è ‘finanziarizzato’, che in linguaggio corrente significa che il pagamento degli interessi è legato alle speculazioni di borsa, aumentando così la dipendenza e la marginalità di questi popoli con il resto del mondo. Un altro male, paradossale, è quello della disoccupazione”.

Perché paradossale?

“Dico paradossale perché in fondo in Paesi come l’Africa tutti dovrebbero vivere come nababbi perché ricco di materie prime; eppure ci sono Stati come quello della Repubblica Centrafricana che, con una popolazione di 5-6 milioni di abitanti, un territorio due volte l’Italia ricco di petrolio, uranio e diamanti per non parlare delle foreste ricchissime di legname pregiato, ha un prodotto interno lordo di 5/6 miliardi di dollari. Una cifra davvero irrisoria se confrontata con il Pil di altre nazioni benestanti. Tutto ciò è aggravato dalle cosiddette guerre dimenticate, quelle guerre che non fanno notizia.  In merito a questo mi tornano alla mente le parole dell’economista e politologo francese Frederic Bastiat, il quale in un trattato sul libero scambio delle merci affermava: ‘dove non passano le merci, passeranno gli eserciti’, che in positivo significa che le politiche regionali a livello economico rappresentano un deterrente contro la conflittualità, ma di converso significa anche che le guerre si fanno proprio per motivi economici, per il dio denaro con la d minuscola”.

Francesco Verzini
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Uomini e donne congolosi di spalle con magliette bianche all'interno di una chiesa che guardano Papa Francesco seduto accanto ad un sacerdote congolese, vicino c'è una croce

“Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega”.

Neocolonialismo, nuova forma di oppressione e privazione della libertà

Così Papa Francesco scrive nel Messaggio annuale per la Quaresima in cui, nel mettere a tema l’esperienza di libertà dell’uomo, richiama all’attenzione anche sulle moderne forme di oppressione e di privazione della libertà che molti uomini e donne ancora vivono. Tra queste si può annoverare un recente fenomeno che comunemente prende il nome di “neocolonialismo”, ma di cui non si parla poi così diffusamente.

Perciò abbiamo chiesto a padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, attualmente direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Roma, di parlarci di questo fenomeno e delle sue conseguenze, in virtù anche della sua attività missionaria, in Uganda e in Kenya, e di quella da ‘cronista di missione’, nella maggior parte dei Paesi dell’Africa.

Padre Albanese cosa si intende per colonialismo e neocolonialismo?

“Con colonialismo indichiamo quella serie di conquiste, dapprima delle Americhe, poi dell’Africa e di altri paesi, da parte di nazioni del Nord del mondo, che ha raggiunto il suo massimo nell’Ottocento guardando in particolare il continente africano e che si è protratto fino alla metà del Novecento. Dopodiché, negli anni ’60 del secolo scorso è iniziato il processo di indipendenza di quelle che erano le colonie, perché queste hanno affermato il principio di autodeterminazione diventando così indipendenti dalle potenze coloniali. Questo fenomeno della colonizzazione è stato estremamente invasivo e ha causato sofferenze indicibili alle popolazioni autoctone. Emblematico è il caso di quello che oggi noi chiamiamo Repubblica Democratica del Congo, ma che un tempo di chiamava Zaire e ancor prima Congo belga: paese africano la cui popolazione, a seguito della conquista, ha subito una grande sudditanza e una forte esclusione sociale perché il potere era tutto concentrato nelle mani delle forze di occupazione, attraverso lo sfruttamento delle cosiddette commodity (materie prime) di cui ancora oggi è ricchissimo.

E qui vengo al punto: nel nostro tempo siamo passati ad una versione riveduta e ancor più scorretta di colonialismo, il neocolonialismo appunto, per cui apparentemente i Paesi un tempo occupati sono ora indipendenti ma vengono fortemente condizionati dagli interessi economici di diversi attori internazionali. E se nei secoli scorsi erano le potenze occidentali ad occupare i territori, nel neocolonialismo ci sono altri player, oltre l’Occidente, come l’Impero del drago (Cina), la Russia, la Turchia, o economie emergenti come il Brasile o il Sudafrica, che portano avanti una politica, per usare il gergo anglosassone, di exploitation (sfruttamento) delle commodity energetiche ma anche alimentari. Tutto ciò determina ancora una volta una condizione di sudditanza di molti Paesi del Global South (Sud del mondo)”.

Quali sono i Paesi più interessati da questo fenomeno?

“Certamente non solo l’Africa, anche se questo continente è paradigmatico perché risente degli interessi occidentali, come di quelli russi, cinesi e indiani, ma anche Paesi dell’America latina o dell’Oriente, come ad esempio Cambogia e Vietnam. Purtroppo, da parte di diverse nazioni non c’è, evidentemente, attenzione nei confronti della res publica dei popoli. E mai come oggi, soprattutto il mondo cattolico deve coltivare l’‘azzardo dell’utopia’ cioè di una globalizzazione intelligente, segnata dalla solidarietà e dalla fratellanza universale, perché come afferma papa Francesco ‘siamo tutti sulla stessa barca’ e ‘nessuno si salva da solo’”.

Quali sono gli effetti del neocolonialismo?

“Anzitutto quello più evidente è la povertà: a seguito della finanziarizzazione dell’economia abbiamo meno dell’1% della popolazione mondiale che ha una ricchezza superiore al restante 99%. All’interno di questi paesi del Sud del mondo c’è più o meno la stessa percentuale. La differenza qual è? È che non è paragonabile la povertà nel Nord del mondo, per esempio in Europa, nonostante vi sia stato un notevole impoverimento soprattutto del ceto medio, con la povertà del Global South dove c’è un senso di precarietà molto più evidente e le persone sono costrette a fuggire da povertà, guerre, epidemie. Anche il debito estero di questi Paesi è ‘finanziarizzato’, che in linguaggio corrente significa che il pagamento degli interessi è legato alle speculazioni di borsa, aumentando così la dipendenza e la marginalità di questi popoli con il resto del mondo. Un altro male, paradossale, è quello della disoccupazione”.

Perché paradossale?

“Dico paradossale perché in fondo in Paesi come l’Africa tutti dovrebbero vivere come nababbi perché ricco di materie prime; eppure ci sono Stati come quello della Repubblica Centrafricana che, con una popolazione di 5-6 milioni di abitanti, un territorio due volte l’Italia ricco di petrolio, uranio e diamanti per non parlare delle foreste ricchissime di legname pregiato, ha un prodotto interno lordo di 5/6 miliardi di dollari. Una cifra davvero irrisoria se confrontata con il Pil di altre nazioni benestanti. Tutto ciò è aggravato dalle cosiddette guerre dimenticate, quelle guerre che non fanno notizia.  In merito a questo mi tornano alla mente le parole dell’economista e politologo francese Frederic Bastiat, il quale in un trattato sul libero scambio delle merci affermava: ‘dove non passano le merci, passeranno gli eserciti’, che in positivo significa che le politiche regionali a livello economico rappresentano un deterrente contro la conflittualità, ma di converso significa anche che le guerre si fanno proprio per motivi economici, per il dio denaro con la d minuscola”.

Francesco Verzini
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Progetto “Bara Ni Yiriwa” per migliorare la condizione femminile in Mali https://www.lavoce.it/progetto-bara-ni-yiriwa-per-migliorare-la-condizione-femminile-in-mali/ https://www.lavoce.it/progetto-bara-ni-yiriwa-per-migliorare-la-condizione-femminile-in-mali/#respond Wed, 06 Mar 2024 18:19:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75123 Lo staff composto da un gruppo di donne e uomini malesi con abiti colorati e donne bianche davanti ad un grande manifesto del progetto

“Siamo per un mondo più equo, più giusto e più vicino alle donne”: questo è uno dei tanti princìpi che muove Tamat, organizzazione non governativa riconosciuta dal ministero degli Affari esteri e dall’Agenzia della cooperazione italiana. Si occupano della sicurezza alimentare, agroecologia e dell’agricoltura, sostenendo le popolazioni locali nel rafforzamento delle loro competenze personali, per il miglioramento delle condizioni di vita di ognuno.

Il progetto “Bara Ni Yiriwa - Lavoro e sviluppo in Mali"

Con il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali” si è data soprattutto la possibilità di migliorare la condizione femminile in Mali formandosi, per creare e gestire delle piccole imprese. Come spiega la capo-progetto Renata Gamboa: “Abbiamo voluto sostenere le organizzazioni locali facendo in modo che ogni persona riesca a vivere di risorse e competenze proprie. Abbiamo supportato le popolazioni locali e la società civile per implementare soluzioni di sviluppo sostenibile in ambito sociale, ambientale, culturale ed economico.

Con questo progetto abbiamo permesso alle donne tutto questo, per dar loro un posto in società e più considerazione, per dar loro la possibilità di crearsi una libertà economica e contribuire alle spese familiari. Ma non solo: abbiamo dato loro un’istruzione per farle entrare nell’attività economica del Paese e dei loro villaggi attivando piccole imprese. È stata quindi importante anche la formazione per la micro-impresa, come gestire l’ambito amministrativo e la comunicazione per potersi fare pubblicità”.

La formazione degli agronomi locali

Patrizia Spada, esperta agronoma, anche lei all’interno del progetto, ha contribuito alla formazione dei formatori agronomi locali, costruendo con loro un approccio alla pari, avvicinandoli alle tecniche agro-ecologiche e di trasformazione agroalimentare inquadrandoli in un contesto più ampio.

Spada precisa che non ha voluto trasmettere solo il modo in cui lavorare il terreno per avere una migliore ritenzione d’acqua, o come ottenere il pesticida con erbe locali; ma ha voluto che passasse il concetto di sviluppo agro-ecologico, cioè un modo di fare agricoltura che preservi le risorse naturali, lasciandole intatte per le generazioni future. Conclude che è stato importante anche insegnare ai beneficiari come gestire l’uso dell’acqua per i quattro perimetri agricoli e quattro pozzi che hanno costruito.

Il concetto di cooperazione è stato sviluppato in tutti gli ambiti, culturali, sociali, economici e agricoli, per sostenere la popolazione in Mali, poterla avviare verso lo sviluppo socioeconomico agricolo ed ecologico; avvicinandoli anche a piccoli passi, con le giuste tempistiche, a un cammino di emancipazione a favore delle donne.

La storia del progetto “Bara Ni Yiriwa”

Il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali” è stato avviato a novembre 2020 e si è concluso a dicembre 2023, cofinanziato dal ministero italiano dell’Interno Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, nell’ambito di un avviso pubblico coordinato da Tamat in partenariato con l’ong Le Tonus, Caritas Mali, l’Haut Conseil des Maliens d’Italie , Fondazione Ismu e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Le attività si sono svolte nella regione di Koulikoro e Bamako, nei Comuni di Kambila e Yélékebougou, e hanno riguardato il campo della formazione, sviluppo rurale, supporto alla micro-impresa e sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare.

Emanuela Marotta

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Lo staff composto da un gruppo di donne e uomini malesi con abiti colorati e donne bianche davanti ad un grande manifesto del progetto

“Siamo per un mondo più equo, più giusto e più vicino alle donne”: questo è uno dei tanti princìpi che muove Tamat, organizzazione non governativa riconosciuta dal ministero degli Affari esteri e dall’Agenzia della cooperazione italiana. Si occupano della sicurezza alimentare, agroecologia e dell’agricoltura, sostenendo le popolazioni locali nel rafforzamento delle loro competenze personali, per il miglioramento delle condizioni di vita di ognuno.

Il progetto “Bara Ni Yiriwa - Lavoro e sviluppo in Mali"

Con il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali” si è data soprattutto la possibilità di migliorare la condizione femminile in Mali formandosi, per creare e gestire delle piccole imprese. Come spiega la capo-progetto Renata Gamboa: “Abbiamo voluto sostenere le organizzazioni locali facendo in modo che ogni persona riesca a vivere di risorse e competenze proprie. Abbiamo supportato le popolazioni locali e la società civile per implementare soluzioni di sviluppo sostenibile in ambito sociale, ambientale, culturale ed economico.

Con questo progetto abbiamo permesso alle donne tutto questo, per dar loro un posto in società e più considerazione, per dar loro la possibilità di crearsi una libertà economica e contribuire alle spese familiari. Ma non solo: abbiamo dato loro un’istruzione per farle entrare nell’attività economica del Paese e dei loro villaggi attivando piccole imprese. È stata quindi importante anche la formazione per la micro-impresa, come gestire l’ambito amministrativo e la comunicazione per potersi fare pubblicità”.

La formazione degli agronomi locali

Patrizia Spada, esperta agronoma, anche lei all’interno del progetto, ha contribuito alla formazione dei formatori agronomi locali, costruendo con loro un approccio alla pari, avvicinandoli alle tecniche agro-ecologiche e di trasformazione agroalimentare inquadrandoli in un contesto più ampio.

Spada precisa che non ha voluto trasmettere solo il modo in cui lavorare il terreno per avere una migliore ritenzione d’acqua, o come ottenere il pesticida con erbe locali; ma ha voluto che passasse il concetto di sviluppo agro-ecologico, cioè un modo di fare agricoltura che preservi le risorse naturali, lasciandole intatte per le generazioni future. Conclude che è stato importante anche insegnare ai beneficiari come gestire l’uso dell’acqua per i quattro perimetri agricoli e quattro pozzi che hanno costruito.

Il concetto di cooperazione è stato sviluppato in tutti gli ambiti, culturali, sociali, economici e agricoli, per sostenere la popolazione in Mali, poterla avviare verso lo sviluppo socioeconomico agricolo ed ecologico; avvicinandoli anche a piccoli passi, con le giuste tempistiche, a un cammino di emancipazione a favore delle donne.

La storia del progetto “Bara Ni Yiriwa”

Il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali” è stato avviato a novembre 2020 e si è concluso a dicembre 2023, cofinanziato dal ministero italiano dell’Interno Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, nell’ambito di un avviso pubblico coordinato da Tamat in partenariato con l’ong Le Tonus, Caritas Mali, l’Haut Conseil des Maliens d’Italie , Fondazione Ismu e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Le attività si sono svolte nella regione di Koulikoro e Bamako, nei Comuni di Kambila e Yélékebougou, e hanno riguardato il campo della formazione, sviluppo rurale, supporto alla micro-impresa e sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare.

Emanuela Marotta

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La ‘maledizione’ dell’Africa https://www.lavoce.it/la-maledizione-dellafrica/ https://www.lavoce.it/la-maledizione-dellafrica/#respond Wed, 15 Nov 2023 16:00:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73976

“Viviamo in un Paese ricchissimo in cui gran parte della popolazione vive nell’indigenza” ha dichiarato all’agenzia Fides Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo. Forse è questa la chiave interpretativa che ci fa comprendere non solo la miseria delle popolazioni africane, ma anche dei conflitti che le attraversano.

“Nella Rdc – prosegue mons. Utembi Tapa - si trovano ogni sorta di minerali, e in particolare quelli strategici: il coltan utilizzato per la fabbricazione dei telefoni cellulari e di apparecchi strategici come i satelliti; il cobalto usato per la costruzione di batterie dei veicoli elettrici. La Rdc possiede il 60/70 percento delle riserve mondiali di cobalto. E ci sono riserve ancora non scoperte di altri minerali strategici. Purtroppo tutte queste ricchezze suscitano la cupidigia di molti a livello nazionale, internazionale e mondiale”.

E appare quanto mai paradossale che proprio la cosiddetta “transizione energetica” dei Paesi ricchi provochi guerre e fame, nonché gravissimi danni ambientali. Il 20 dicembre prossimo la Repubblica democratica del Congo è chiamata alle urne per eleggere il proprio presidente, e si spera che si possa imprimere un nuovo corso per il rispetto delle persone e dell’ambiente.

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“Viviamo in un Paese ricchissimo in cui gran parte della popolazione vive nell’indigenza” ha dichiarato all’agenzia Fides Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo. Forse è questa la chiave interpretativa che ci fa comprendere non solo la miseria delle popolazioni africane, ma anche dei conflitti che le attraversano.

“Nella Rdc – prosegue mons. Utembi Tapa - si trovano ogni sorta di minerali, e in particolare quelli strategici: il coltan utilizzato per la fabbricazione dei telefoni cellulari e di apparecchi strategici come i satelliti; il cobalto usato per la costruzione di batterie dei veicoli elettrici. La Rdc possiede il 60/70 percento delle riserve mondiali di cobalto. E ci sono riserve ancora non scoperte di altri minerali strategici. Purtroppo tutte queste ricchezze suscitano la cupidigia di molti a livello nazionale, internazionale e mondiale”.

E appare quanto mai paradossale che proprio la cosiddetta “transizione energetica” dei Paesi ricchi provochi guerre e fame, nonché gravissimi danni ambientali. Il 20 dicembre prossimo la Repubblica democratica del Congo è chiamata alle urne per eleggere il proprio presidente, e si spera che si possa imprimere un nuovo corso per il rispetto delle persone e dell’ambiente.

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Buona notizia per i bambini africani malati di malaria https://www.lavoce.it/buona-notizia-per-i-bambini-africani-malati-di-malaria/ https://www.lavoce.it/buona-notizia-per-i-bambini-africani-malati-di-malaria/#respond Fri, 10 Nov 2023 08:16:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73941

Buone notizie per tutti i bambini che abitano nel Sud del mondo, la parte più povera della Terra, quella che ancora lotta contro malattie che altrove sono state debellate da tempo. L’Organizzazione mondiale della sanità ci fa sapere che il primo vaccino approvato contro la malaria ha ridotto del 13% le morti tra i bambini, e tra i bambini che hanno ricevuto la tripla dose i casi gravi sono calati del 22%. Per ora il farmaco è in uso in Ghana, Kenya e Malawi, ma si pensa di riuscire a estendere la somministrazione se si riusciranno a coprirne i costi (attualmente ogni dose costa 10 dollari) o ad approvare un vaccino meno costoso. Noi non sappiamo se, dando questa notizia, diventiamo a nostra volta una pedina tra le mani delle multinazionali del farmaco. Ci resta la speranza. In un contesto in cui sembra che il valore della vita dei bambini sia quasi nullo, a Gaza e in tante altre aree del mondo, pensare che altrove si possa invece salvare la vita di tanti loro coetanei ci offre un alito di speranza.]]>

Buone notizie per tutti i bambini che abitano nel Sud del mondo, la parte più povera della Terra, quella che ancora lotta contro malattie che altrove sono state debellate da tempo. L’Organizzazione mondiale della sanità ci fa sapere che il primo vaccino approvato contro la malaria ha ridotto del 13% le morti tra i bambini, e tra i bambini che hanno ricevuto la tripla dose i casi gravi sono calati del 22%. Per ora il farmaco è in uso in Ghana, Kenya e Malawi, ma si pensa di riuscire a estendere la somministrazione se si riusciranno a coprirne i costi (attualmente ogni dose costa 10 dollari) o ad approvare un vaccino meno costoso. Noi non sappiamo se, dando questa notizia, diventiamo a nostra volta una pedina tra le mani delle multinazionali del farmaco. Ci resta la speranza. In un contesto in cui sembra che il valore della vita dei bambini sia quasi nullo, a Gaza e in tante altre aree del mondo, pensare che altrove si possa invece salvare la vita di tanti loro coetanei ci offre un alito di speranza.]]>
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I migranti non possono essere fermati https://www.lavoce.it/i-migranti-non-possono-essere-fermati/ https://www.lavoce.it/i-migranti-non-possono-essere-fermati/#respond Fri, 22 Sep 2023 15:55:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73427

Ancora una volta è al centro dell’attenzione il tema immigrazione; e più specificamente di quel flusso di immigrati che arriva via mare dalle coste libiche e tunisine a quelle siciliane (Lampedusa, ma non solo). Quando l’attuale maggioranza di Governo era all’opposizione, praticamente approfittava di ogni nuovo sbarco per sollevare una polemica contro l’inefficienza dei Governi allora in carica.

Adesso gli sbarchi sono molti di più, ma non ne daremo la colpa al Governo: dipendono dal fatto che nei Paesi di provenienza le condizioni di vita sono sempre più difficili e sono state aggravate anche da catastrofi come il terremoto in Marocco e i cataclismi in Libia. Ma soprattutto – ne abbiamo già parlato più volte – il problema di fondo dell’intero Continente africano è la pressione demografica.

Nel 1988 la popolazione dell’Africa si stimava in 570 milioni di persone. Alla fine del 2022 – il dato più recente che trovo – era un miliardo e 340 milioni: 770 milioni in più. Nello stesso periodo la popolazione del Continente europeo è rimasta praticamente invariata (700 milioni o poco più). Non basta: l’Africa continua e continuerà a crescere con lo stesso ritmo, l’Europa finora ha evitato il crollo demografico solo grazie all’immigrazione e all’allungamento della durata media della vita.

Gli Stati africani hanno un indice di crescita fra il 2 e il 3 per cento all’anno, quelli europei lo hanno in genere negativo (nonostante gli immigrati, che una volta qui sono più prolifici dei vecchi residenti), e l’Italia è fra quelli che da questo punto di vista sta peggio. Qui da noi, da un anno all’altro si tagliano le classi perché ci sono meno scolari; laggiù, ogni anno aumenta il numero di quelli che cercano invano un posto nelle scuole, poi un posto di lavoro, una casa. Il tutto in un Continente ricchissimo di risorse naturali ma povero di strutture sociali e culturali, di servizi collettivi, di istituzioni pubbliche solide.

Nell’Africa subsahariana ci sono Paesi dove la sottonutrizione riguarda il 20, il 30, il 50 per cento della popolazione. E vorreste che non scappino con qualsiasi mezzo, per venire a vivere in un Continente, l’Europa, dove di tutto il cibo che si produce è più quello che si spreca che quello che si consuma realmente? Rassegniamoci, nulla potrà fermarli.

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Ancora una volta è al centro dell’attenzione il tema immigrazione; e più specificamente di quel flusso di immigrati che arriva via mare dalle coste libiche e tunisine a quelle siciliane (Lampedusa, ma non solo). Quando l’attuale maggioranza di Governo era all’opposizione, praticamente approfittava di ogni nuovo sbarco per sollevare una polemica contro l’inefficienza dei Governi allora in carica.

Adesso gli sbarchi sono molti di più, ma non ne daremo la colpa al Governo: dipendono dal fatto che nei Paesi di provenienza le condizioni di vita sono sempre più difficili e sono state aggravate anche da catastrofi come il terremoto in Marocco e i cataclismi in Libia. Ma soprattutto – ne abbiamo già parlato più volte – il problema di fondo dell’intero Continente africano è la pressione demografica.

Nel 1988 la popolazione dell’Africa si stimava in 570 milioni di persone. Alla fine del 2022 – il dato più recente che trovo – era un miliardo e 340 milioni: 770 milioni in più. Nello stesso periodo la popolazione del Continente europeo è rimasta praticamente invariata (700 milioni o poco più). Non basta: l’Africa continua e continuerà a crescere con lo stesso ritmo, l’Europa finora ha evitato il crollo demografico solo grazie all’immigrazione e all’allungamento della durata media della vita.

Gli Stati africani hanno un indice di crescita fra il 2 e il 3 per cento all’anno, quelli europei lo hanno in genere negativo (nonostante gli immigrati, che una volta qui sono più prolifici dei vecchi residenti), e l’Italia è fra quelli che da questo punto di vista sta peggio. Qui da noi, da un anno all’altro si tagliano le classi perché ci sono meno scolari; laggiù, ogni anno aumenta il numero di quelli che cercano invano un posto nelle scuole, poi un posto di lavoro, una casa. Il tutto in un Continente ricchissimo di risorse naturali ma povero di strutture sociali e culturali, di servizi collettivi, di istituzioni pubbliche solide.

Nell’Africa subsahariana ci sono Paesi dove la sottonutrizione riguarda il 20, il 30, il 50 per cento della popolazione. E vorreste che non scappino con qualsiasi mezzo, per venire a vivere in un Continente, l’Europa, dove di tutto il cibo che si produce è più quello che si spreca che quello che si consuma realmente? Rassegniamoci, nulla potrà fermarli.

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Migranti deportati a morire di fame e sete nel Sahara https://www.lavoce.it/migranti-deportati-morire-fame-sete-sahara/ https://www.lavoce.it/migranti-deportati-morire-fame-sete-sahara/#respond Thu, 27 Jul 2023 10:20:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72717

È quanto mai impressionante la foto che L’Osservatore romano ha pubblicato qualche giorno fa in prima pagina con il titolo: "Vi chiediamo perdono". La foto ritrae una donna e una bimba esanimi e riverse per terra nel deserto tra Libia e Tunisia. Non conosciamo i loro nomi e ignoriamo le loro storie. Non sapremo mai se fuggivano da una guerra o dalla persecuzione di un regime autoritario, se erano state minacciate o se scappavano dalla fame.

I 1200 migranti subsahariani trasferiti in due aree desertiche tra Libia e Algeria

Una cosa è certa, cercavano una vita migliore e non siamo stati in grado di accoglierle per garantirgliela. E non sono che due dei 1.200 migranti subsahariani che l’esercito tunisino ha trasferito con la forza in due aree desertiche al confine con la Libia e con l’Algeria, lasciandoli senza niente da bere e da mangiare.

L'appello di papa Francesco

Anche Papa Francesco all’ Angelus ha ricordato “il dramma che continua a consumarsi per i migranti nella parte settentrionale dell’Africa. Migliaia di essi, tra indicibili sofferenze, da settimane sono intrappolati e abbandonati in aree desertiche. Rivolgo il mio appello, in particolare ai capi di Stato e di Governo europei e africani, affinché si presti urgente soccorso e assistenza a questi fratelli e sorelle”. E l’editoriale dell’ Osservatore romano conclude: “Vi chiediamo perdono. E poi restiamo in silenzio. Pieni di vergogna”.]]>

È quanto mai impressionante la foto che L’Osservatore romano ha pubblicato qualche giorno fa in prima pagina con il titolo: "Vi chiediamo perdono". La foto ritrae una donna e una bimba esanimi e riverse per terra nel deserto tra Libia e Tunisia. Non conosciamo i loro nomi e ignoriamo le loro storie. Non sapremo mai se fuggivano da una guerra o dalla persecuzione di un regime autoritario, se erano state minacciate o se scappavano dalla fame.

I 1200 migranti subsahariani trasferiti in due aree desertiche tra Libia e Algeria

Una cosa è certa, cercavano una vita migliore e non siamo stati in grado di accoglierle per garantirgliela. E non sono che due dei 1.200 migranti subsahariani che l’esercito tunisino ha trasferito con la forza in due aree desertiche al confine con la Libia e con l’Algeria, lasciandoli senza niente da bere e da mangiare.

L'appello di papa Francesco

Anche Papa Francesco all’ Angelus ha ricordato “il dramma che continua a consumarsi per i migranti nella parte settentrionale dell’Africa. Migliaia di essi, tra indicibili sofferenze, da settimane sono intrappolati e abbandonati in aree desertiche. Rivolgo il mio appello, in particolare ai capi di Stato e di Governo europei e africani, affinché si presti urgente soccorso e assistenza a questi fratelli e sorelle”. E l’editoriale dell’ Osservatore romano conclude: “Vi chiediamo perdono. E poi restiamo in silenzio. Pieni di vergogna”.]]>
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Brutto il patto con la Tunisia sul controllo dell’emigrazione https://www.lavoce.it/brutto-il-patto-con-la-tunisia/ https://www.lavoce.it/brutto-il-patto-con-la-tunisia/#respond Wed, 19 Jul 2023 14:27:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72335

Il Governo sbandiera come un grande risultato l’accordo con la Tunisia sul controllo dell’emigrazione. Detto in termini molto approssimativi, è il bis degli accordi fatti tempo fa con la Libia. Noi (cioè l’Italia; e in questo caso anche l’Europa) verseremo una massa di denaro ai nostri vicini sull’altra sponda del Mediterraneo, e loro si impegneranno a bloccare sul loro territorio il flusso dei migranti dall’Africa subsahariana. Con quali metodi li bloccheranno, e cosa sarà di quegli sventurati, rimane nel vago. Ma si sa come le cose sono andate e vanno in Libia, e così si teme che andranno anche in Tunisia: prigionia, violenza, trattamento inumano, morte.

Il problema dell'efficacia di tali provvedimenti

La Tunisia ha la fama di essere un Paese civile, certamente più della Libia; ma il suo attuale regime politico non promette molto di buono da questo punto di vista. Inoltre la popolazione tunisina ha generalmente un atteggiamento ostile e razzista nei confronti delle popolazioni dell’Africa subsahariana, che sono quelle che alimentano le correnti migratorie.  Quindi, servirsi di questi metodi (che non è una novità di questo Governo) pone un serio problema morale. Al di là dei giudizi morali, c’è un problema ancora più grave, che è quello dell’efficacia. Chi si propone di fermare il fenomeno migratorio in genere ne sottovaluta la forza e le dimensioni. Ne abbiamo parlato altre volte.

Le cause dell'emigrazione dall'Africa subsahariana

Le cause dell’emigrazione dall’Africa subsahariana sono essenzialmente due. Le condizioni di povertà estrema (vi sono nazioni che presentano altissime percentuali di popolazione sottonutrita, priva di accesso assicurato all’acqua potabile e/o ai servizi sanitari). E la crescita demografica, che aggrava il tutto da un anno all’altro (l’intera Africa raddoppia la sua popolazione ogni venti anni). Noi, a casa nostra, siamo passati dalla società dei consumi a quella dello spreco. Si potranno mai fermare milioni di affamati che affrontano la traversata del deserto e poi quella del mare per sfuggire a un futuro di stenti? È come cercare di fermare un fiume in piena con le mani.

Bisognerebbe riprogrammare l'economia mondiale

Bisognerebbe avere la lungimiranza e la determinazione di riprogrammare, dal fondo, l’intera economia mondiale in modo da eliminare, quanto meno, le sperequazioni più gravi. Partendo dal concetto che l’umanità è una sola. Ma figuriamoci se può pensarlo gente che non accetta il principio di solidarietà neppure fra il Nord e il Sud d’Italia.

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Il Governo sbandiera come un grande risultato l’accordo con la Tunisia sul controllo dell’emigrazione. Detto in termini molto approssimativi, è il bis degli accordi fatti tempo fa con la Libia. Noi (cioè l’Italia; e in questo caso anche l’Europa) verseremo una massa di denaro ai nostri vicini sull’altra sponda del Mediterraneo, e loro si impegneranno a bloccare sul loro territorio il flusso dei migranti dall’Africa subsahariana. Con quali metodi li bloccheranno, e cosa sarà di quegli sventurati, rimane nel vago. Ma si sa come le cose sono andate e vanno in Libia, e così si teme che andranno anche in Tunisia: prigionia, violenza, trattamento inumano, morte.

Il problema dell'efficacia di tali provvedimenti

La Tunisia ha la fama di essere un Paese civile, certamente più della Libia; ma il suo attuale regime politico non promette molto di buono da questo punto di vista. Inoltre la popolazione tunisina ha generalmente un atteggiamento ostile e razzista nei confronti delle popolazioni dell’Africa subsahariana, che sono quelle che alimentano le correnti migratorie.  Quindi, servirsi di questi metodi (che non è una novità di questo Governo) pone un serio problema morale. Al di là dei giudizi morali, c’è un problema ancora più grave, che è quello dell’efficacia. Chi si propone di fermare il fenomeno migratorio in genere ne sottovaluta la forza e le dimensioni. Ne abbiamo parlato altre volte.

Le cause dell'emigrazione dall'Africa subsahariana

Le cause dell’emigrazione dall’Africa subsahariana sono essenzialmente due. Le condizioni di povertà estrema (vi sono nazioni che presentano altissime percentuali di popolazione sottonutrita, priva di accesso assicurato all’acqua potabile e/o ai servizi sanitari). E la crescita demografica, che aggrava il tutto da un anno all’altro (l’intera Africa raddoppia la sua popolazione ogni venti anni). Noi, a casa nostra, siamo passati dalla società dei consumi a quella dello spreco. Si potranno mai fermare milioni di affamati che affrontano la traversata del deserto e poi quella del mare per sfuggire a un futuro di stenti? È come cercare di fermare un fiume in piena con le mani.

Bisognerebbe riprogrammare l'economia mondiale

Bisognerebbe avere la lungimiranza e la determinazione di riprogrammare, dal fondo, l’intera economia mondiale in modo da eliminare, quanto meno, le sperequazioni più gravi. Partendo dal concetto che l’umanità è una sola. Ma figuriamoci se può pensarlo gente che non accetta il principio di solidarietà neppure fra il Nord e il Sud d’Italia.

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Il Papa va, non da solo, in Sud Sudan, “periferia delle periferie del mondo” https://www.lavoce.it/il-papa-va-non-da-solo-in-sud-sudan-periferia-delle-periferie-del-mondo/ Sun, 05 Feb 2023 16:48:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70419 Oaoa sulla papamobile di spalle entra nelo stadio dei martiri sullo sfondo la folla sugli spalti

La visita di Papa Francesco in Sud Sudan insieme all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate della Comunione anglicana, e al pastore Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, è un segno di speranza forte e inequivocabile. D’ora in poi, almeno i cristiani di quella parte di mondo non potranno accampare le fortissime divisioni etniche presenti nella giovane nazione, come motivo di conflitto. I cristiani sanno di essere fratelli.

Anzi, fratelli e sorelle di tutti. Anche dei non cristiani. Il Sud Sudan che ha raggiunto l’indipendenza nel 2011, dopo quasi 30 anni di guerra, nella sola capitale Juba conta 50 gruppi etnici. Le donne hanno una media di 5/6 figli e l’aspettativa di vita non raggiunge i 60 anni di età. In questo Paese più di due milioni di bambini portano i segni della denutrizione e più della metà della popolazione soffre la fame. Non c’è accesso all’acqua e l’elettricità raggiunge sì e no il 4-5% della popolazione.

La visita di Papa Francesco è attesa con la commozione di chi sa di abitare la periferia delle periferie del mondo ma che, proprio per questo, è al centro del cuore e del sogno di Dio. Ed è lui che ci chiede di non dimenticare e non voltarsi dall’altra parte.

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Oaoa sulla papamobile di spalle entra nelo stadio dei martiri sullo sfondo la folla sugli spalti

La visita di Papa Francesco in Sud Sudan insieme all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate della Comunione anglicana, e al pastore Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, è un segno di speranza forte e inequivocabile. D’ora in poi, almeno i cristiani di quella parte di mondo non potranno accampare le fortissime divisioni etniche presenti nella giovane nazione, come motivo di conflitto. I cristiani sanno di essere fratelli.

Anzi, fratelli e sorelle di tutti. Anche dei non cristiani. Il Sud Sudan che ha raggiunto l’indipendenza nel 2011, dopo quasi 30 anni di guerra, nella sola capitale Juba conta 50 gruppi etnici. Le donne hanno una media di 5/6 figli e l’aspettativa di vita non raggiunge i 60 anni di età. In questo Paese più di due milioni di bambini portano i segni della denutrizione e più della metà della popolazione soffre la fame. Non c’è accesso all’acqua e l’elettricità raggiunge sì e no il 4-5% della popolazione.

La visita di Papa Francesco è attesa con la commozione di chi sa di abitare la periferia delle periferie del mondo ma che, proprio per questo, è al centro del cuore e del sogno di Dio. Ed è lui che ci chiede di non dimenticare e non voltarsi dall’altra parte.

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Il Papa in Africa. Riuscirà a rompere il silenzio sulle guerre “per procura”? https://www.lavoce.it/il-papa-in-africa-riuscira-a-rompere-il-silenzio-sulle-guerre-per-procura/ Thu, 26 Jan 2023 17:36:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70200

La visita del Papa nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan ci ricordano l’esistenza di un continente. L’Africa c’è. Ed è ricca. Anzi, è condannata dalla propria ricchezza. Il suo sottosuolo nasconde terre rare di cui la tecnologia e lo stile di vita del Nord del mondo hanno una “vitale” necessità. Le guerre in atto non sono tribali ma alimentate piuttosto dal bisogno di controllare vaste aree cui sono interessate multinazionali senza scrupoli e governi europei, americani e cinesi. Una guerra per procura.

Ruanda, Uganda, gruppi armati locali e formazioni ispirate al fondamentalismo fanatico islamista che operano in Congo, altro non sono che la longa manus dell’Occidente. Prova ne sia che non vi è alcuna industria di armi da quelle parti ma di certo è l’unico prodotto che non manca! Un conflitto che dura – muto – da tanti anni e da tante vittime. L’auspicio è che la visita di Francesco possa servire a scuotere le coscienze di chi vive nelle città opulente del Nord del mondo a cominciare da quella parte dell’informazione che nel silenzio tombale su quelle guerre si rende complice dei perversi disegni della costruzione della moderna Torre di Babele in cui i mattoni valgono più delle persone.

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La visita del Papa nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan ci ricordano l’esistenza di un continente. L’Africa c’è. Ed è ricca. Anzi, è condannata dalla propria ricchezza. Il suo sottosuolo nasconde terre rare di cui la tecnologia e lo stile di vita del Nord del mondo hanno una “vitale” necessità. Le guerre in atto non sono tribali ma alimentate piuttosto dal bisogno di controllare vaste aree cui sono interessate multinazionali senza scrupoli e governi europei, americani e cinesi. Una guerra per procura.

Ruanda, Uganda, gruppi armati locali e formazioni ispirate al fondamentalismo fanatico islamista che operano in Congo, altro non sono che la longa manus dell’Occidente. Prova ne sia che non vi è alcuna industria di armi da quelle parti ma di certo è l’unico prodotto che non manca! Un conflitto che dura – muto – da tanti anni e da tante vittime. L’auspicio è che la visita di Francesco possa servire a scuotere le coscienze di chi vive nelle città opulente del Nord del mondo a cominciare da quella parte dell’informazione che nel silenzio tombale su quelle guerre si rende complice dei perversi disegni della costruzione della moderna Torre di Babele in cui i mattoni valgono più delle persone.

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Pena di morte abrogata in 112 Paesi. C’è speranza per un mondo senza https://www.lavoce.it/pena-di-morte-abrogata-in-112-paesi-ce-speranza-per-un-mondo-senza/ Thu, 12 Jan 2023 18:16:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70015 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Esiamo a quota centododici. Anche lo Zambia ha abolito la pena di morte. Il presidente Hakainde Hachilema il 23 dicembre scorso ha firmato l’emendamento n. 25 del 2022 al codice penale. È bastato questo atto per abolire la pena capitale dalla legislazione di questo Stato africano. Ai 112 Paesi del mondo che hanno abrogato la pena di morte, se ne aggiungono altri 24 che di fatto non la applicano più.

Negli ultimi anni sono stati proprio gli Stati dell’Africa sub-sahariana ad abrogare la norma che riserva ai tribunali il diritto di vita e di morte sulle persone giudicate colpevoli di reati ritenuti particolarmente gravi. Certo, se anche Cina, Iran, Egitto, Stati Uniti, e altre nazioni che guidano la triste classifica delle esecuzioni capitali, si convertissero alla civiltà della intangibilità della vita sarebbe un salto ancora più grande per l’umanità ma è chiaro il segnale secondo il quale si sta procedendo nella direzione di un mondo senza pena di morte.

Insomma c’è speranza di entrare nell’era in cui sarà definitivamente cancellata la contraddizione secondo la quale, coloro che sono chiamati a preservare la vita si arrogano il diritto di toglierla.

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Esiamo a quota centododici. Anche lo Zambia ha abolito la pena di morte. Il presidente Hakainde Hachilema il 23 dicembre scorso ha firmato l’emendamento n. 25 del 2022 al codice penale. È bastato questo atto per abolire la pena capitale dalla legislazione di questo Stato africano. Ai 112 Paesi del mondo che hanno abrogato la pena di morte, se ne aggiungono altri 24 che di fatto non la applicano più.

Negli ultimi anni sono stati proprio gli Stati dell’Africa sub-sahariana ad abrogare la norma che riserva ai tribunali il diritto di vita e di morte sulle persone giudicate colpevoli di reati ritenuti particolarmente gravi. Certo, se anche Cina, Iran, Egitto, Stati Uniti, e altre nazioni che guidano la triste classifica delle esecuzioni capitali, si convertissero alla civiltà della intangibilità della vita sarebbe un salto ancora più grande per l’umanità ma è chiaro il segnale secondo il quale si sta procedendo nella direzione di un mondo senza pena di morte.

Insomma c’è speranza di entrare nell’era in cui sarà definitivamente cancellata la contraddizione secondo la quale, coloro che sono chiamati a preservare la vita si arrogano il diritto di toglierla.

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Centinaia di pellegrini massacrati in Etiopia https://www.lavoce.it/centinaia-di-pellegrini-massacrati-in-etiopia/ Mon, 22 Mar 2021 15:11:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59626 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Un diacono della Chiesa ortodossa etiope, che chiede di restare anonimo, il mese scorso ha cominciato a raccontare l’orrore.

Per quella Chiesa, Axum è la città santa in cui è nascosta e custodita l’Arca dell’alleanza. Ogni anno a novembre, con celebrazioni e pellegrinaggi, viene ricordato il trasporto dell’Arca da Gerusalemme. Il 28 novembre scorso, i soldati della confinante Eritrea hanno fatto irruzione nella cattedrale e ucciso centinaia di persone, sostenendo che si trattava di sostenitori dei miliziani del Fronte di liberazione popolare del Tigrai (Tplf). 

I cadaveri sono rimasti per giorni interi nella chiesa e lungo le strade perché i soldati impedivano di seppellirli. Il diacono sostiene che, terminata l’occupazione della città da parte dei soldati eritrei, si è potuto dare sepoltura a circa 800 persone in fosse comuni. Hanno recuperato le carte d’identità, dal momento che molti erano arrivati lì come pellegrini. Amnesty International ha pubblicato di recente un dossier chiedendo che quanto accaduto venga riconosciuto come crimine contro l’umanità.

L’organizzazione internazionale ha raccolto le testimonianze di 41 persone, che sono state incoraggiate dal diacono che ha rotto il silenzio. Ricordiamo che il Governo etiope ha sempre impedito che forze di interposizione Onu e osservatori internazionali potessero mettere piede nel Paese, giudicandola un’indebita ingerenza.

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Un diacono della Chiesa ortodossa etiope, che chiede di restare anonimo, il mese scorso ha cominciato a raccontare l’orrore.

Per quella Chiesa, Axum è la città santa in cui è nascosta e custodita l’Arca dell’alleanza. Ogni anno a novembre, con celebrazioni e pellegrinaggi, viene ricordato il trasporto dell’Arca da Gerusalemme. Il 28 novembre scorso, i soldati della confinante Eritrea hanno fatto irruzione nella cattedrale e ucciso centinaia di persone, sostenendo che si trattava di sostenitori dei miliziani del Fronte di liberazione popolare del Tigrai (Tplf). 

I cadaveri sono rimasti per giorni interi nella chiesa e lungo le strade perché i soldati impedivano di seppellirli. Il diacono sostiene che, terminata l’occupazione della città da parte dei soldati eritrei, si è potuto dare sepoltura a circa 800 persone in fosse comuni. Hanno recuperato le carte d’identità, dal momento che molti erano arrivati lì come pellegrini. Amnesty International ha pubblicato di recente un dossier chiedendo che quanto accaduto venga riconosciuto come crimine contro l’umanità.

L’organizzazione internazionale ha raccolto le testimonianze di 41 persone, che sono state incoraggiate dal diacono che ha rotto il silenzio. Ricordiamo che il Governo etiope ha sempre impedito che forze di interposizione Onu e osservatori internazionali potessero mettere piede nel Paese, giudicandola un’indebita ingerenza.

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Non spegnere le luci sulla strage in Congo https://www.lavoce.it/non-spegnere-le-luci-sulla-strage-in-congo/ Fri, 12 Mar 2021 13:20:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59519 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Da tempo immemorabile la diocesi siciliana di Noto ha una relazione di fraterno cammino con la diocesi di Butembo - Beni in Congo. Innumerevoli sono stati in questi anni gli scambi, le visite, le iniziative e le collaborazioni. Un esempio luminoso e bello di una fraternità senza confini.

Non c’è da meravigliarsi pertanto che proprio da Rosolini, una città in diocesi di Noto, i sacerdoti propongano una petizione a favore della pace nella Repubblica democratica del Congo. L’appello - che ha come titolo “Non spegniamo le luci sulla strage in Congo!” e si può firmare su www.change.org - è tutt’altro che una pura dichiarazione di princìpi altisonanti. Partendo dalla strage in cui hanno perso la vita l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo, si chiede che quella terra d’Africa tanto grande e martoriata non ripiombi nel buio colpevole della disinformazione, del disinteresse e dello sfruttamento.

Sono cinque le richieste che i preti sottopongono al Governo italiano, alle istituzioni europee e all’Onu. Sottoscriverle è il minimo che si possa fare.

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Da tempo immemorabile la diocesi siciliana di Noto ha una relazione di fraterno cammino con la diocesi di Butembo - Beni in Congo. Innumerevoli sono stati in questi anni gli scambi, le visite, le iniziative e le collaborazioni. Un esempio luminoso e bello di una fraternità senza confini.

Non c’è da meravigliarsi pertanto che proprio da Rosolini, una città in diocesi di Noto, i sacerdoti propongano una petizione a favore della pace nella Repubblica democratica del Congo. L’appello - che ha come titolo “Non spegniamo le luci sulla strage in Congo!” e si può firmare su www.change.org - è tutt’altro che una pura dichiarazione di princìpi altisonanti. Partendo dalla strage in cui hanno perso la vita l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo, si chiede che quella terra d’Africa tanto grande e martoriata non ripiombi nel buio colpevole della disinformazione, del disinteresse e dello sfruttamento.

Sono cinque le richieste che i preti sottopongono al Governo italiano, alle istituzioni europee e all’Onu. Sottoscriverle è il minimo che si possa fare.

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Il Covid-19 in Africa è lento, ma sarà letale https://www.lavoce.it/il-covid-19-in-africa-e-lento-ma-sara-letale/ Fri, 15 May 2020 13:54:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57157 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Finora il virus in Africa si è mosso con passo felpato. La popolazione è più giovane e resistente, dicono gli esperti. E in effetti il confronto dei numeri fa pendere la drammatica bilancia di contagiati e morti verso i Continenti asiatico, europeo e americano. Ma siamo così sicuri che l’Africa sia al riparo dalla diffusione della pandemia? La previsione di Matshidiso Moeti, responsabile dell’Organizzazione mondiale della sanità in Africa, è terribile: “Non solo nell’arco del primo anno potrebbe arrivare a registrare 190 mila vittime, ma potrebbe restare per anni”. Anche se il virus da quelle parti si muove più lentamente, non significa che sia meno letale. Per questo, se abbiamo imparato la lezione dell’interdipendenza che questo virus ci sta imponendo con tutta la violenza dimostrata in questi mesi, dovremmo correre in soccorso del Continente africano. Per salvare quelle popolazioni sicuramente meno attrezzate a contenere la pandemia, ma anche per preservare noi stessi da nuove ondate. Il fatto che “siamo tutti sulla stessa barca” è vero a cerchi concentrici, e non può lasciarci indifferenti. Tonio Dell’Olio]]>
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Finora il virus in Africa si è mosso con passo felpato. La popolazione è più giovane e resistente, dicono gli esperti. E in effetti il confronto dei numeri fa pendere la drammatica bilancia di contagiati e morti verso i Continenti asiatico, europeo e americano. Ma siamo così sicuri che l’Africa sia al riparo dalla diffusione della pandemia? La previsione di Matshidiso Moeti, responsabile dell’Organizzazione mondiale della sanità in Africa, è terribile: “Non solo nell’arco del primo anno potrebbe arrivare a registrare 190 mila vittime, ma potrebbe restare per anni”. Anche se il virus da quelle parti si muove più lentamente, non significa che sia meno letale. Per questo, se abbiamo imparato la lezione dell’interdipendenza che questo virus ci sta imponendo con tutta la violenza dimostrata in questi mesi, dovremmo correre in soccorso del Continente africano. Per salvare quelle popolazioni sicuramente meno attrezzate a contenere la pandemia, ma anche per preservare noi stessi da nuove ondate. Il fatto che “siamo tutti sulla stessa barca” è vero a cerchi concentrici, e non può lasciarci indifferenti. Tonio Dell’Olio]]>
Perché dalla Nigeria fuggono verso l’Italia https://www.lavoce.it/perche-nigeria-italia/ Mon, 04 Mar 2019 13:21:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54128 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Le elezioni in Nigeria ci interessano, per vari motivi. Non fosse altro perché è tra le nazioni di origine di una parte considerevole degli immigrati africani presenti in Italia. Se, come si va dicendo, volessimo aiutarli davvero “a casa loro”, dovremmo incoraggiare un Governo che attuasse politiche di sviluppo differente.

Anche perché la Nigeria è la prima economia del Continente e il Paese più abitato, con più di 190 milioni di abitanti. È uno dei principali produttori di petrolio al mondo, ma occupa anche il 144° posto della classifica di Transparency International sulla corruzione sui 180 Paesi monitorati.

Da quando nel 2009 il movimento fondamentalista islamico Boko Haram ha deciso di sferrare un duro attacco alla minoranza cattolica e all’islam dialogante e aperto, ha causato 27 mila vittime e 9,2 milioni di sfollati.

Quando queste pagine saranno in mano ai lettori, forse il risultato delle elezioni non sarà stato ancora reso noto per via della complessità del Paese, ma è certo che non cambierà nulla, dal momento che al presidente uscente Muhammadu Buhari si contrappone il milionario liberista Atiku Abubak, ben inserito negli affari del petrolio quanto nel sistema corruttivo, nonché uomo fidato del presidente.

Garantiscono entrambi le concessioni petrolifere alle aziende straniere, come la nostra Eni; non sono realmente interessati allo sviluppo della Nigeria, e strizzano l’occhio ai fondamentalisti in chiave anticristiana. Si ha come la strana sensazione che anche il Nord del mondo abbia deciso di stare ‘dalla parte sbagliata’.

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colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Le elezioni in Nigeria ci interessano, per vari motivi. Non fosse altro perché è tra le nazioni di origine di una parte considerevole degli immigrati africani presenti in Italia. Se, come si va dicendo, volessimo aiutarli davvero “a casa loro”, dovremmo incoraggiare un Governo che attuasse politiche di sviluppo differente.

Anche perché la Nigeria è la prima economia del Continente e il Paese più abitato, con più di 190 milioni di abitanti. È uno dei principali produttori di petrolio al mondo, ma occupa anche il 144° posto della classifica di Transparency International sulla corruzione sui 180 Paesi monitorati.

Da quando nel 2009 il movimento fondamentalista islamico Boko Haram ha deciso di sferrare un duro attacco alla minoranza cattolica e all’islam dialogante e aperto, ha causato 27 mila vittime e 9,2 milioni di sfollati.

Quando queste pagine saranno in mano ai lettori, forse il risultato delle elezioni non sarà stato ancora reso noto per via della complessità del Paese, ma è certo che non cambierà nulla, dal momento che al presidente uscente Muhammadu Buhari si contrappone il milionario liberista Atiku Abubak, ben inserito negli affari del petrolio quanto nel sistema corruttivo, nonché uomo fidato del presidente.

Garantiscono entrambi le concessioni petrolifere alle aziende straniere, come la nostra Eni; non sono realmente interessati allo sviluppo della Nigeria, e strizzano l’occhio ai fondamentalisti in chiave anticristiana. Si ha come la strana sensazione che anche il Nord del mondo abbia deciso di stare ‘dalla parte sbagliata’.

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Associazione Ghana Fort Amsterdam di Spello. 14 scuole costruite in Ghana https://www.lavoce.it/ghana-fort-amsterdam-spello/ Tue, 18 Dec 2018 10:00:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53660 ghana

Domenica 9 dicembre, presso la sala Fittaioli del Palazzo comunale di Foligno ha avuto luogo una conferenza patrocinata dal Soroptimist Valle Umbra, che in occasione del Soroptimist Day - fatto coincidere con la Giornata internazionale dei Diritti umani - ha ritenuto importante portare all’attenzione della comunità la presenza della Ghana Fort Amsterdam Onlus.

L’associazione, con sede a Spello, è composta da volontari che operano per promuovere e realizzare progetti di solidarietà e sviluppo in Ghana costruendo scuole pubbliche e gratuite nei villaggi.

Nata nel 2004 con l’intento di ristrutturare il castello di Fort Amsterdam, nella costa sud della Central Region ghanese, la Ghana Fort Amsterdam Onlus si è presto resa conto che la richiesta primaria delle comunità nei villaggi era quella di aprire scuole, del tutto assenti nel territorio.

“I bambini sono felicissimi di andare a scuola – ha detto il fondatore della Onlus, Gianni Cruciani - , e per questo in sinergia con il Ghana Educational Service (ministero dell’Istruzione ghanese) ci occupiamo di costruire edifici scolastici nei villaggi che hanno maggiore necessità. Da aprile a giugno c’è la stagione delle piogge in Ghana, e la maggior parte delle costruzioni in legno e fango non regge alle intemperie.

Il nostro complesso scolastico più grande, progettato come gli altri dall’architetto marscianese Franco Ventura, si trova nel villaggio di Otsir, e conta due classi di asilo, sei di primaria e tre di Iunior high school (equivalente alla scuola media europea). Finora abbiamo costruito 14 scuole e abbiamo inserito in un percorso educativo più di 1000 bambini”.

La scelta di intervenire sull’educazione dei più piccoli è frutto della ferma convinzione che soltanto attraverso la cultura sia possibile promuovere un cambiamento consapevole, creando lavoro e quindi ricchezza: “Ci siamo subito resi conto – continua Cruciani - che forzare una comunità adulta ormai radicata in una mentalità di sussistenza quotidiana sarebbe stato infruttuoso, e per questo abbiamo deciso di intervenire sui bambini, per regalare loro la speranza di un domani”.

Nel corso della sua attività, la Fort Amsterdam è intervenuta in risposta ai bisogni più stringenti delle comunità autoctone, operando la costruzione di acquedotti e fornendo assistenza sanitaria a oltre 220 venti donne e ai loro figli. La svolta nel percorso dell’organizzazione è arrivata poco più di un mese fa, con il finanziamento di un bando della comunità europea per la completa ristrutturazione del forte.

“Non solo riaprire Fort Amsterdam – conclude Cruciani - , ma costruire al suo interno una scuola per il turismo sarà il nostro nuovo obiettivo entro i prossimi 4 anni. L’idea è quella di ristrutturare il forte attraverso un corso di formazione, cioè insegnando ai giovani del posto una serie di mestieri (muratore, imbianchino, impiantista ecc.) che impareranno lavorando nel forte. Verrà inoltre disposto un circuito turistico a livello americano ed europeo in collaborazione con Viaggi Mirage, che permetterà ai viggiatori di visitare il forte una volta aperto”.

Vittorio Bitti

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ghana

Domenica 9 dicembre, presso la sala Fittaioli del Palazzo comunale di Foligno ha avuto luogo una conferenza patrocinata dal Soroptimist Valle Umbra, che in occasione del Soroptimist Day - fatto coincidere con la Giornata internazionale dei Diritti umani - ha ritenuto importante portare all’attenzione della comunità la presenza della Ghana Fort Amsterdam Onlus.

L’associazione, con sede a Spello, è composta da volontari che operano per promuovere e realizzare progetti di solidarietà e sviluppo in Ghana costruendo scuole pubbliche e gratuite nei villaggi.

Nata nel 2004 con l’intento di ristrutturare il castello di Fort Amsterdam, nella costa sud della Central Region ghanese, la Ghana Fort Amsterdam Onlus si è presto resa conto che la richiesta primaria delle comunità nei villaggi era quella di aprire scuole, del tutto assenti nel territorio.

“I bambini sono felicissimi di andare a scuola – ha detto il fondatore della Onlus, Gianni Cruciani - , e per questo in sinergia con il Ghana Educational Service (ministero dell’Istruzione ghanese) ci occupiamo di costruire edifici scolastici nei villaggi che hanno maggiore necessità. Da aprile a giugno c’è la stagione delle piogge in Ghana, e la maggior parte delle costruzioni in legno e fango non regge alle intemperie.

Il nostro complesso scolastico più grande, progettato come gli altri dall’architetto marscianese Franco Ventura, si trova nel villaggio di Otsir, e conta due classi di asilo, sei di primaria e tre di Iunior high school (equivalente alla scuola media europea). Finora abbiamo costruito 14 scuole e abbiamo inserito in un percorso educativo più di 1000 bambini”.

La scelta di intervenire sull’educazione dei più piccoli è frutto della ferma convinzione che soltanto attraverso la cultura sia possibile promuovere un cambiamento consapevole, creando lavoro e quindi ricchezza: “Ci siamo subito resi conto – continua Cruciani - che forzare una comunità adulta ormai radicata in una mentalità di sussistenza quotidiana sarebbe stato infruttuoso, e per questo abbiamo deciso di intervenire sui bambini, per regalare loro la speranza di un domani”.

Nel corso della sua attività, la Fort Amsterdam è intervenuta in risposta ai bisogni più stringenti delle comunità autoctone, operando la costruzione di acquedotti e fornendo assistenza sanitaria a oltre 220 venti donne e ai loro figli. La svolta nel percorso dell’organizzazione è arrivata poco più di un mese fa, con il finanziamento di un bando della comunità europea per la completa ristrutturazione del forte.

“Non solo riaprire Fort Amsterdam – conclude Cruciani - , ma costruire al suo interno una scuola per il turismo sarà il nostro nuovo obiettivo entro i prossimi 4 anni. L’idea è quella di ristrutturare il forte attraverso un corso di formazione, cioè insegnando ai giovani del posto una serie di mestieri (muratore, imbianchino, impiantista ecc.) che impareranno lavorando nel forte. Verrà inoltre disposto un circuito turistico a livello americano ed europeo in collaborazione con Viaggi Mirage, che permetterà ai viggiatori di visitare il forte una volta aperto”.

Vittorio Bitti

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Alla veglia missionaria arriva un grido di disperazione dagli amici in Congo https://www.lavoce.it/disperazione-amici-congo/ Sun, 28 Oct 2018 10:13:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53237 congo

Momento centrale dell’ottobre missionario è stata la veglia diocesana di preghiera missionaria, “Giovani per il Vangelo”, nella chiesa di San Matteo a Campitelli, presieduta dal vescovo Giuseppe Piemontese.

Una veglia dalla forte valenza vocazionale per giovani disposti a mettere in gioco la loro vita al servizio del Vangelo e l’impegno missionario che deve caratterizzare tutte le comunità cristiane, perché il cuore missionario è sempre giovane indipendentemente dall’età anagrafica.

“C’è bisogno di giovani generosi – ha detto il Vescovo - che si facciano missionari presso i loro coetanei: è una urgenza qui in mezzo a noi, ma anche lontano”.

Notizie non belle dal Congo

Intanto da Kananga, luogo in anni passati della missione diocesana, arrivano tramite Agnese notizie non belle e richieste di preghiere per la pace in Congo. “La guerra qui non finisce scrive Agnese - , dal 2016 fino ad oggi a Kananga ci sono stati più di tremila morti; tante persone sono state uccise dentro casa, sono state trovate 80 fosse comuni, senza contare quelli che sono morti nei boschi dove si erano rifugiati per sfuggire alle violenze.

Nei conventi e nelle parrocchie ci sono i banditi armati di notte che disturbano la popolazione, c’è fame e miseria. Sono più di settemila i bambini malnutriti, più di tremila le ragazze e le donne violentate, più di 10.000 persone in fuga. Nella capitale Kinshasa, dove mi trovo come profuga, c’è l’insicurezza totale. Anche la Chiesa cattolica vive nell’insicurezza, perché sta denunciando il male e racconta la verità sul Governo e lo Stato”.

E. L.

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congo

Momento centrale dell’ottobre missionario è stata la veglia diocesana di preghiera missionaria, “Giovani per il Vangelo”, nella chiesa di San Matteo a Campitelli, presieduta dal vescovo Giuseppe Piemontese.

Una veglia dalla forte valenza vocazionale per giovani disposti a mettere in gioco la loro vita al servizio del Vangelo e l’impegno missionario che deve caratterizzare tutte le comunità cristiane, perché il cuore missionario è sempre giovane indipendentemente dall’età anagrafica.

“C’è bisogno di giovani generosi – ha detto il Vescovo - che si facciano missionari presso i loro coetanei: è una urgenza qui in mezzo a noi, ma anche lontano”.

Notizie non belle dal Congo

Intanto da Kananga, luogo in anni passati della missione diocesana, arrivano tramite Agnese notizie non belle e richieste di preghiere per la pace in Congo. “La guerra qui non finisce scrive Agnese - , dal 2016 fino ad oggi a Kananga ci sono stati più di tremila morti; tante persone sono state uccise dentro casa, sono state trovate 80 fosse comuni, senza contare quelli che sono morti nei boschi dove si erano rifugiati per sfuggire alle violenze.

Nei conventi e nelle parrocchie ci sono i banditi armati di notte che disturbano la popolazione, c’è fame e miseria. Sono più di settemila i bambini malnutriti, più di tremila le ragazze e le donne violentate, più di 10.000 persone in fuga. Nella capitale Kinshasa, dove mi trovo come profuga, c’è l’insicurezza totale. Anche la Chiesa cattolica vive nell’insicurezza, perché sta denunciando il male e racconta la verità sul Governo e lo Stato”.

E. L.

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In fuga dall’Africa stritolata dalle multinazionali https://www.lavoce.it/fuga-dallafrica-multinazionali/ Sun, 02 Sep 2018 08:00:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52739 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio*

C’è chi percorre il mare dei migranti in direzione opposta: dall’Europa, dagli Usa, dalla Cina… verso l’Africa. Sono le multinazionali, che hanno bisogno di approvvigionarsi di materie prime che solo quel Continente può fornire. Sono le stesse multinazionali che, per questa ragione, hanno bisogno di Governi compiacenti che non neghino le concessioni per lo sfruttamento delle miniere, e che le concedano per quattro soldi.

Per questa ragione pilotano le elezioni facendo salire al potere gente molto corrotta e corruttibile. Pertanto depredano l’ambiente (talvolta in modo indelebile), sfruttano le risorse umane annullando il riconoscimento dei diritti più elementari del lavoro, impongono un’economia senza concorrenza e decidono politicamente del destino di popoli interi. Questo avviene in Africa prima che i migranti arrivino a bussare alle porte d’Europa per chiedere pane e dignità. Dovremmo ricordarcene, quando impediamo loro di venire a reclamare semplicemente quanto stiamo continuando a depredare.

*presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi

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di Tonio Dell’Olio*

C’è chi percorre il mare dei migranti in direzione opposta: dall’Europa, dagli Usa, dalla Cina… verso l’Africa. Sono le multinazionali, che hanno bisogno di approvvigionarsi di materie prime che solo quel Continente può fornire. Sono le stesse multinazionali che, per questa ragione, hanno bisogno di Governi compiacenti che non neghino le concessioni per lo sfruttamento delle miniere, e che le concedano per quattro soldi.

Per questa ragione pilotano le elezioni facendo salire al potere gente molto corrotta e corruttibile. Pertanto depredano l’ambiente (talvolta in modo indelebile), sfruttano le risorse umane annullando il riconoscimento dei diritti più elementari del lavoro, impongono un’economia senza concorrenza e decidono politicamente del destino di popoli interi. Questo avviene in Africa prima che i migranti arrivino a bussare alle porte d’Europa per chiedere pane e dignità. Dovremmo ricordarcene, quando impediamo loro di venire a reclamare semplicemente quanto stiamo continuando a depredare.

*presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi

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Etiopia ed Eritrea, pace dopo 20 anni https://www.lavoce.it/etiopia-ed-eritrea-pace-20-anni/ Sat, 21 Jul 2018 08:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52453 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio* Potessimo consegnare ai lettori di tutto il mondo ogni settimana una buona notizia che affiora dalle Cancellerie diplomatiche e che ci parli di pace! Ci sono voluti vent’anni di un conflitto sanguinoso e cruento perché i Presidenti di Eritrea ed Etiopia potessero sedersi allo stesso tavolo e firmare un accordo di pace. Un conflitto per una porzione di terra di confine e per la città di Badme. Più di 80 mila persone uccise e migliaia di famiglie sfollate o separate. Eppure bastava la buona volontà e l’amore per il proprio popolo da parte dei governanti. Ora quella firma va accompagnata e sostenuta. Si deve vigilare perché si ponga realmente termine al trattamento inumano cui sono sottoposti i cittadini eritrei, e che li costringe ad abbandonare la propria terra. Ci sono guerre dimenticate ma anche paci dimenticate. Il destino delle popolazioni di queste due nazioni - tanto familiari anche alla nostra storia recente - dipende anche dalla nostra capacità di non dimenticare la pace.   *presidente della Pro Civitate Christiana - Assisi]]>
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di Tonio Dell’Olio* Potessimo consegnare ai lettori di tutto il mondo ogni settimana una buona notizia che affiora dalle Cancellerie diplomatiche e che ci parli di pace! Ci sono voluti vent’anni di un conflitto sanguinoso e cruento perché i Presidenti di Eritrea ed Etiopia potessero sedersi allo stesso tavolo e firmare un accordo di pace. Un conflitto per una porzione di terra di confine e per la città di Badme. Più di 80 mila persone uccise e migliaia di famiglie sfollate o separate. Eppure bastava la buona volontà e l’amore per il proprio popolo da parte dei governanti. Ora quella firma va accompagnata e sostenuta. Si deve vigilare perché si ponga realmente termine al trattamento inumano cui sono sottoposti i cittadini eritrei, e che li costringe ad abbandonare la propria terra. Ci sono guerre dimenticate ma anche paci dimenticate. Il destino delle popolazioni di queste due nazioni - tanto familiari anche alla nostra storia recente - dipende anche dalla nostra capacità di non dimenticare la pace.   *presidente della Pro Civitate Christiana - Assisi]]>