Uno sviluppo sostenibile implica un cambiamento profondo nelle modalità di produzione e di consumo, di creazione di lavoro, di gestione delle istituzioni, di generazione del benessere personale e sociale.
Per questo scopo sono richiesti tre fattori: in primo luogo, la tecnologia più appropriata ad assicurare sostenibilità; in secondo luogo, il mutamento di mentalità richiesto per produrre tale cambiamento; in terzo luogo, un sistema adeguato di governo (con coinvolgimento dei principali attori sociali) dei processi economici e sociali all’origine di tutto questo.
Una tale dinamica, per la sua pervasività, richiede una diffusa partecipazione dal basso dei protagonisti di tali processi (dai politici ai consumatori, alle imprese, alle organizzazioni non-profit), che devono condividere una visione integrata dello sviluppo, dai temi della produttività e dell’ambiente a quelli del contrasto alla povertà.
E questo – come osserva l’esperto E. Giovannini – è un requisito molto difficile da riscontrare nella situazione odierna, in cui si propongono visioni riduttive e ipersemplificate dello sviluppo, perlopiù concentrate sugli aspetti economici.
Umbria: alti e bassi
Occorre dunque un cammino ancora lungo e un processo educativo diffuso perché il nostro Paese, a tutt’oggi lontano (come ricordato negli articoli precedenti) dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, possa ritenersi percorrere un sentiero che a questo chiaramente conduca.
Per seguire comunque la situazione, e tener conto delle molteplici necessità di intervento, può essere opportuna la considerazione degli indicatori messi a punto dall’Asvis (Associazione italiana per lo sviluppo sostenibile, istituita nel 2016), che ci consentono qualche progresso nel configurare la collocazione dell’Umbria sotto il profilo della sostenibilità (già esaminata negli articoli precedenti in base al Rapporto 2018 sul Bes in Italia).
Essi si riferiscono agli Obiettivi di sviluppo sostenibile proposti dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030, che vanno dalla sconfitta della povertà alla lotta contro il cambiamento climatico, come li abbiamo elencati su La Voce del 25 gennaio; ciascuno di essi essendo misurato da un indicatore composito.
Nel Rapporto 2018 dell’Asvis viene rappresentato per l’Umbria (come per tutte le altre regioni d’Italia), per ogni Obiettivo, per il periodo 2010-2016, l’andamento dell’indicatore regionale rispetto a quello nazionale (negli articoli precedenti il confronto, nel Rapporto Bes, era tra i livelli, nazionali e regionali, o tra percentuali, nel 2017).
Rispetto alla situazione dell’Italia nel 2010, si osserva per l’Umbria una condizione migliore per gli Obiettivi 4 (istruzione di qualità, con un andamento fortemente crescente), 5 (parità di genere), 7 (energia pulita e accessibile), 10 (disuguaglianze).
Si registra invece una dinamica peggiore del dato umbro rispetto a quello italiano in corrispondenza degli Obiettivi 3 (salute e benessere, anche a causa di un forte aumento del tasso di mortalità per incidenti stradali), 8 (lavoro dignitoso e crescita economica, per la minor crescita del Pil reale, e per l’aumento del tasso di disoccupazione e dei giovani senza lavoro), 9 (imprese, innovazione e infrastrutture, su cui rimando ai dati Bes dell’articolo precedente), 11 (città e comunità sostenibili e resilienti, per una minor qualità delle abitazioni).
Anche alla luce di queste indicazioni, e di quelle formulate dal Rapporto Bes, è opportuno considerare il recente Documento di economia e finanza (Defr) della Regione Umbria 2019-2021 (continua a leggere sull’edizione digitale de La Voce).
Pierluigi Grasselli