Organizzato da don Roberto Di Mauro e guidato dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti, dal 16 al 29 novembre s’è svolto il pellegrinaggio diocesano ‘sulle orme di san Paolo’ in Siria e in Turchia. Il viaggio è iniziato a Fiumicino, nel caos degli scioperi dell’Alitalia, tra un centinaio di siriani esasperati che gridavano: ‘Damasco! Damasco!’, invocando la partenza dell’aereo, rinviata da giorni. Benché in ritardo, il gruppo perugino è arrivato in Siria lunedì 17 novembre, quasi all’alba. Damasco, una delle città più antiche del mondo (gli arabi la chiamano ‘Cham’, da Cam, uno dei figli di Noè), appariva un gigantesco ammasso di rottami: aeroporto, case, strade, alberi, palazzi, tutto in stato di abbandono, avvolto da una cappa di smog e dalla nebbia. Eppure la capitale siriana ne ha di bellezze! Adagiata sulle pendici della catena dell’Anti-Libano, la città è ricca di monumenti antichi: primo fra tutti il Tempio Maggiore, un luogo di culto pagano trasformato prima in chiesa cristiana, quindi in moschea; vi si conservano le reliquie di san Giovanni Battista, venerato come profeta anche dai musulmani. Tanti i luoghi che ricordano l’apostolo Paolo. Sul luogo della ‘illuminazione’ esistono quattro tesi diverse. Due sono i siti più attendibili: uno alle porte di Damasco, curato dai cattolici, con una chiesa moderna voluta da Paolo VI; un altro a diciotto chilometri dalla capitale, vicino al villaggio di Kawkaba, curato dai greco-ortodossi. Poi la casa di Anania, nel cuore antico della città; infine la cappella della ‘cesta’, lungo le mura romane, dalle quali Paolo fuggì perché perseguitato dagli ebrei della città, un tempo suoi fratelli. E, a parte quelli ‘paolini’, i luoghi di culto cristiani sono moltissimi. Gli apostoli e i primi discepoli hanno attraversato queste terre riarse infinite volte. Da qui sono partiti gli evangelizzatori dell’Europa e dell’Estremo Oriente. I monti della Siria conservano antichi monasteri, alcuni scavati nella roccia, come Nostra Signora a Seydnayya e Santa Tecla a Maalula, dove si parla ancora l’aramaico. I monaci vi si ritiravano in preghiera e solitudine. Oggi restano il cuore pulsante della comunità cristiana siriaca, cui un regime di islamici moderati consente una certa libertà di espressione e di culto. Un diversivo per il gruppo perugino ha rappresentato la visita all’antica città di Palmira, in pieno deserto. Nel mezzo di un lussureggiante palmeto, sorgono i resti di grandiosi templi, palazzi, strade e colonnati. La messa celebrata sotto una tenda di beduini è stata per tutti una piacevole sorpresa. Poi il viaggio è ripreso verso la città di Aleppo, vicino alla quale si estende la valle delle ‘città morte’, antiche roccaforti cristiane, con i ruderi di grandiose basiliche, tra cui quella di San Simeone lo Stilita. Superato il confine con la Turchia, si arriva alla città di Antiochia, culla del cristianesimo, un tempo sede del patriarca che aveva giurisdizione sui cristiani dell’Asia. Oggi i fedeli della zona sono poche unità. Il vescovo cattolico risiede a Iskenderun, accudito da alcune suore, che parlano con timore: non possono stampare catechismi, né possono aprire oratori, centri culturali o biblioteche. Un po’ come i primi cristiani della Cappadocia, costretti a rifugiarsi tra i monti, dove hanno lasciato cappelle rupestri con magnifici affreschi. Insieme a Tarso, città natale di Paolo, il luogo più suggestivo del pellegrinaggio è stata la città di Efeso, con le basiliche dirute di San Giovanni Apostolo e del Concilio, e con la casa ove la beata Vergine trascorse gli ultimi anni della sua vita. Emozione si prova anche tra le rovine di Troia, la città dell’Iliade. Ad accogliere i pellegrini a Istanbul, per l’ultima tappa del viaggio, una giornata fredda e uggiosa. La nebbia a stento lasciava intravedere le sagome delle antiche moschee. A rallegrare il cuore solo la vista dei magnifici mosaici (i pochi non distrutti) della basilica di Santa Sofia e di San Salvatore in Chora.