di Daris Giancarlini
Tra i segnali più evidenti della crisi di un modello di società c’è la rarefazione, fino alla scomparsa, del pacchetto di valori condivisi intorno ai quali quel modello stesso si era formato.
Nell’Italia del dopoguerra e della rinascita, hanno tenuto insieme il tessuto sociale valori e modi di vita basati sulla solidarietà, il rispetto del prossimo, la buona educazione. E l’istruzione. “Prenditi un pezzo di carta”: chi di noi figli del Dopoguerra non ha ascoltato dai propri genitori questa frase? Poi c’è stato chi ce l’ha fatta, a completare un buon percorso di formazione, e chi per mille motivi non lo ha potuto fare.
Magari pentendosene, e per questo sollecitando a farlo i propri figli e nipoti. La sensazione che si ha ora è che la considerazione sociale di cui godeva il valore dell’istruzione si sia un po’ persa. Di certo negli ultimi decenni sono transitati nell’opinione pubblica messaggi, provenienti dal mondo della politica ma non solo, per cui non fosse più necessario, per fare carriera o semplicemente rendersi la vita più soddisfacente, ricorrere all’impegno, al sacrificio e allo studio.
Sono stati indicati percorsi brevi, in cui studio e formazione non necessariamente sono tra i requisiti principali. E se in una discussione a un tavolo tra amici e conoscenti, qualcuno magari ancora attaccato al vecchio modo di pensare si prova a ribadire che ‘studiare serve’, viene subito rintuzzato con obiezioni del tipo “è una perdita di tempo e di denaro”. Certo, a scattare selfie si fa prima.