Dopo la domenica di Pentecoste, quasi come un approfondimento tematico, la Chiesa celebra la solennità della santissima Trinità. Infatti il Vangelo di domenica scorsa può essere tenuto sullo sfondo come ulteriore disvelamento del mistero che si celebra oggi.
Lo Spirito, l'”inviato” dal Padre
Gesù nella celebrazione della Pentecoste aveva parlato dello Spirito, “l’inviato” dal Padre, ma mandato da Lui, il Figlio unigenito, asceso alla destra del Padre (Gv 15,26). Con un percorso di ulteriore chiarificazione sulla verità, il testo ci ricorda che lo Spirito non parlerà di cose nuove, ma dirà le cose del Figlio, quelle che il Figlio stesso ha ascoltato dal Padre fin dal principio (Gv 16,14-15), perché il Figlio era nel seno del Padre (Gv 1,1).
Quest’anno la solennità della Trinità, come narrata dai testi biblici, appare un percorso storico più che una professione di fede, o un dogma da credere. I testi ci aiutano a distanziarci da una distorta immagine trinitaria troppo simile a un “teorema matematico”, e ci rivelano il volto di Dio rivelato nella storia, che ha deciso di entrare nella storia umana.
L’esperienza di Dio nel Deuteronomio
Il libro del Deuteronomio rilegge la storia d’Israele, fissa lo sguardo sui fatti, sugli interventi di Dio, e mette in bocca a Mosè gli interrogativi che segnano le tappe fondamentali della sua rivelazione. Mosè parla al suo popolo: “Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te” (Dt 4,32). La liberazione dalla schiavitù dall’Egitto, con mano potente e braccio teso (v. 34), l’attraversamento prodigioso del Mar Rosso, la distruzione dell’esercito del faraone resteranno per Israele il nucleo fondamentale dell’esperienza di salvezza. A quell’evento, il popolo ritornerà con la memoria ogni volta che, a motivo dell’infedeltà, si troverà nuovamente in esilio.
Le parole di Mosè nel testo del Deuteronomio risuonano come un monito: “Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi, perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre” (4,40). L’esperienza del Dio salvatore, capace di dominare la natura, interroga il popolo in esilio, e apre una spiraglio sulla sua azione creativa: “Dio creò l’uomo sulla terra e, da una estremità all’altra dei cieli, vi fu mai una cosa grande come questa?” (Dt 4,32).
Ma la creazione è solo l’inizio di una relazione. Il Creatore parla “addirittura” alla creatura come si parla a un amico – il testo stesso la definisce una cosa inaudita (v. 33). È un Dio unico, non nella solitudine della sua divinità, ma nel suo desiderio di entrare nella storia dell’umanità, scegliendosi un popolo (v. 34). È un Dio “onnipresente” ma sceglie di “darsi dei confini”, ponendo la sua tenda in Giacobbe – Israele.
Il Dio di Abramo, di Isacco di Giacobbe, dei patriarchi, dei profeti, assume le coordinate storiche e spazio-temporali per andare incontro all’uomo. Sono le coordinate dell’Incarnazione: un tempo, un luogo, una donna, un padre a cui affidare il frutto dell’amore di Dio, che per mezzo dello Spirito si fa uomo.
Lo Spirito, amore del Padre e del Figlio
Lo stesso Spirito, che è l’amore del Padre e del Figlio, ci rende partecipi della relazione filiale: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” come ci ricorda la seconda lettura (Rm 8,14). Dentro questa relazione Padre-Spirito, sta la concretezza di un Dio che si fa uomo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).
La relazione d’amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito santo partecipata all’umanità
Come lo Spirito aleggiava sulle acque all’inizio della creazione (Gen 1,2), così la “nuova creazione” ha inizio per mezzo dello Spirito, con il prendere “dimora” nel ventre di una donna. Il testo greco di Giovanni usa proprio il verbo “attendarsi” per esplicitare l’Incarnazione. Come nell’intimità di un Dio che è unico, e nello stesso tempo è relazione d’amore perenne tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, così Dio nel suo rivelarsi nella storia si lega inscindibilmente all’essere umano con una relazione d’amore. Sono le parole di Gesù, asceso alla destra del Padre: “Ed ecco io, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Le parole di Gesù sono le medesime che Dio aveva detto al suo popolo in segno di alleanza perenne, che mai dimenticherà (Dt 4,31). Lo Spirito è la garanzia della presenza reale ed efficace di Dio nella storia. Le parole di Gesù “certificano” la sua azione continua e attuale, non semplicemente un “ricordare” per farsi forza nella difficoltà del cammino.
Andate e fate discepoli tutti i popoli
I discepoli, inviati da Gesù a tutti i popoli per fare discepole tutte le genti – come ci ricorda il Vangelo di oggi (Mt 28,19) – , sperimentano la sua presenza. Le prime comunità cristiane vedono operare lo Spirito, artefice di ogni prodigio, come gli apostoli avevano visto all’opera il Signore Gesù (Mc 16,20). Ma la sua azione continua anche oggi, anche a noi è rivolta la rassicurante parola: “Non temere, piccolo gregge” (Lc 12,32).