“Sono stanco di lottare per questo tipo di calcio”. Nel mare di chiacchiere che ci hanno inondato in occasione delle discussione pro o contro il “Decreto spalmadebiti”, mirato a salvare dal fallimento grosse squadre di calcio che hanno speso cifre folli per comperare giocatori nuovi e pagarli ogni mese a peso d’oro, ho colto al volo questa frase del Presidente dell’Atalanta: “Sono stanco di lottare per questo tipo di calcio”. Lottare. A parte gli atleti e gli asceti, che lo fanno per professione, da Bin Laden a Bush a Gino Strada a Giovanni Paolo II sono tante nel mondo le persone che lottano, per gli scopi più diversi, nobili a volte, a volte criminali. Anche la mia comunità lotta per sopravvivere, in un momento in cui anche in Umbria la medicalizzazione e la monetizzazione dell’handicap hanno raggiunto livelli ante Welfare. E in Ecuador lottano i ragazzi disabili della comunità sorella della mia, la Comunidad Jesus Resuscitado di Penipe, lottano e cantano di fronte alla minestrina della sera (15/18 chicchi di riso, rari nantes in gurgite vasto), cantano il ritornello della canzone che mons. ProaÈo compose ad Assisi, nei primi anni 80, in Cittadella: “Tu alienta a los que luchan para che llegue tu Reino!” (sostieni coloro che lottano perché venga il tuo Regno); e con la voce dell’Obispo de los Indios si appellano ad un Dio Padre del tutto particolare, un Padre che non si accontenta del suo cielo (“Padre nuestro, padre nuestro, no eres Dios che se queda en su cielo”); e a Ibarra lo intona, quel canto, la speranza giovane dei niÈos de rua accolti dalla Fundacion Cristo de la Calle nelle sette Casas de San Ubaldo; e lo ripetono stancamente i disabili della Casaccia Angelo Franco, che in teoria non dovrebbero cantarlo, perché da un pezzo hanno smesso di lottare…: ma come fai ad accusare qualcuno di qualcosa quando, più che vivere, si annaspa sul filo della sopravvivenza, più spesso al di sotto di quel livello? Ma per che cosa dovrebbe luchar il presidente di una squadra di calcio italiana? Il presidente di una squadra di calcio dovrebbe solo divertirsi, visto che il calcio è un giuoco. Ma non è così. Sull’impianto ludico di fondo il calcio ha visto superfetare una moltitudine di piante parassite, di funghi allucinogeni, di mucillagini vischiose. L’endemico bisogno identità, ad esempio, quel ruggito scomposto che esprimono i capipopolo dei tifosi, povera gente loquace e nerboruta, per i quali “La Roma è una fede” (nientemeno!) o “la Juventus è la vita” (vedi un po’!). L’orgoglio cittadinesco, ad esempio, che addita gli Agnelli o i Moratti o i Berlusconi come benefattori della città, mentre sono solo degli incoscienti: che spendono cifre astronomiche, detraibili peraltro dalla denuncia dei redditi, che potrebbero imboccare ben altra destinazione. Siete stanchi di lottare? Smettete. E cominciate a lottare per qualcosa di meno indecente.