Una massima molto citata di Mao Ze Dong sosteneva che, se sotto il cielo la confusione è grande, la situazione allora è eccellente. Devono averlo pensato anche i tecnici – politici e burocratici – che decidono e scrivono le leggi di carattere fiscale, a giudicare dalla messe di novità presentate dall’ultima manovra del governo Monti, peraltro molto positiva in altri suoi aspetti. Solo che l’eccellenza della confusione è una valutazione non del tutto condivisa dai contribuenti italiani. C’era un macigno da affrontare. Il governo Berlusconi, tra i “compiti a casa” fatti su esortazione-ordine dell’Europa, aveva inserito in una legge la necessità di rivedere i “favori fiscali” – detrazioni, deduzioni, agevolazioni – entro il 2014. Il debutto del governo Monti chiarì che l’Iva sarebbe aumentata di due punti entro il primo ottobre 2012, di un ulteriore mezzo punto dal 2014, “solo nel caso sia necessario”. Cioè: serve una paccata di miliardi di euro per mettere in salvaguardia i conti pubblici. Berlusconi aveva procrastinato la vendemmia di un paio d’anni puntando sulla “volontà riformatrice” del Parlamento. Monti ha bypassato la questione decidendo da subito l’aumento dell’Iva, salvo non si reperissero risorse in altro modo. Nei giorni scorsi abbiamo visto il modo. Un punto in più di Iva compensato da una diminuzione di un punto dell’Irpef. Pari e patta? No, perché in parallelo sono state “riordinate” molte deduzioni e detrazioni di cui usufruiscono i contribuenti italiani, introducendo una franchigia di 250 euro e stabilendo un tetto massimo oltre il quale non si “scala” dalle tasse più nulla. Non sono aumentate le tasse: sono diminuite le possibilità di pagarne di meno. L’italico “se non è zuppa, è pan bagnato”. Attenzione: la situazione è in continua evoluzione. C’è spazio per modifiche, ad esempio l’eliminazione dell’assurda imposta Iva del 10% (invece del 4) sulle prestazioni delle cooperative sociali, cioè su quel welfare solidaristico che non ha fini di lucro ma che, così, è semplicemente destinato a morire. Quindi fasciamoci la testa, pronti però a modificare l’intreccio delle bende. Ma possiamo già da ora dire che cosa c’è rimasto indigesto: ad iniziare dalla retroattività delle norme. Significa che i tagli valgono già per le spese e gli oneri sostenuti. Così è semplicemente tradire – ancora una volta – la fiducia del cittadino. Anche se la retroattività fosse cancellata, rimarrà – ancora una volta – l’impressione che lo Stato dà e toglie a piacimento, e quel che promette spesso non mantiene. Dispiace poi il trattamento riservato al terzo settore, a cui andrebbe una medaglia invece delle solite e ripetute sberle. Per non parlare delle famiglie: cancellare in pratica le agevolazioni su certe spese sostenute per i figli o per la famiglia (mutuo prima casa), significa ancora una volta punire la stessa. Perché? Ma non si doveva ritagliare il fisco – e la società – a misura della famiglia? Le modalità: è parso che alcune norme siano state scritte in fretta e furia, spinti dall’urgenza del fare a qualsiasi costo. È meglio far presto e bene, ma, dovendo fare una scelta, è meglio fare bene piuttosto che presto. Infine la forma. Siamo nati in tempi più rudi, in cui la “stangata” si chiamava così. Poi hanno pensato che, se un cieco è un “non vedente”, la stangata poteva pure chiamarsi “manovra”. Ma ancora la parola rendeva l’idea di una mano che si infilava nelle nostre tasche e appunto, con un abile manovra, le lasciava più vuote di prima. Adesso: “legge di stabilità”. Cioè una manovra, cioè una stangata. Tra l’altro sempre sulla testa degli stessi, quelli che pagano tasse che i numeri dicono le più alte nel mondo occidentale. Siamo tutti consapevoli che bisogna pagare il conto, e siamo contenti che qualcuno ci abbia finalmente messo davanti alle nostre responsabilità. Ma il saldo va fatto in modo equo, privilegiando nell’esborso chi ha mangiato di più.
“Stabilità”: leggi “stangata”
Politica / economia. La manovra fiscale del governo Monti colpisce famiglie e terzo settore
AUTORE:
Nicola Salvagnin