“Dei molteplici aspetti sui quali potremmo sostare per vivere pienamente la più intensa settimana dell’anno liturgico che con la Domenica delle Palme (o della Passione) ha inizio, soffermiamoci sull’aspetto dell’umiliazione subita da Gesù nel corso della terribile Passione.
Di Essa possiamo infatti richiamare alla mente l’assurdità della condanna, l’angoscia della solitudine nel Getsemani, l’atroce supplizio della coronazione, della flagellazione e della crocifissione, la menzogna diffusa dopo la sepoltura, ma, dovendo scegliere a causa dello spazio, approfondiamo il dileggio morale subìto da Gesù.
La I lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, coincide con il ‘terzo canto del servo’, canto in cui vengono presentate le caratteristiche di un ‘servo/discepolo’ a cui il Signore ha “aperto l’orecchio”, espressione quest’ultima che allude all’uso di forare l’orecchio del servo da parte del padrone. L’ ‘apertura’ dell’orecchio era quindi il segno del legame che il servo aveva con il padrone per tutta la vita, nonché la sua indole pronta ad ‘ascoltare’ ed eseguire i comandi accettando tutto quanto ne conseguiva. Così il ‘servo’ del Signore è indissolubilmente legato alla Sua Parola, la asseconda e si sottopone alle sofferenze che sembrano essere necessarie per ottenere la salvezza. In questo caso, non sono considerate solo le sofferenze fisiche, ma anche gli oltraggi morali poiché questo servo dichiara di “non aver sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. Anche il salmista, nell’elencare le angosce di un innocente perseguitato, mette al primo posto proprio i dileggi morali: “si fanno beffe di me, storcono le labbra, scuotono il capo” come a dire il disprezzo che nutrono i passanti nei suoi riguardi.
Questa condizione di ‘abbassamento’, di rifiuto, come di chi è il peggior delinquente, Gesù che “era in tutto uguale agli uomini fuorché nel peccato” (Eb 4) l’ha vissuta pienamente tanto che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (la più infame del- le condanne a morte). E allora accogliamo il messaggio della Passione secondo Marco, evangelista che ci presenta Gesù come agnello condotto al macello, come Colui che, silenzioso, si sottopone ai dileggi perché, dopo la prima risposta data a Pilato (“tu lo dici”) per ‘riascoltare’ la voce di Gesù dobbiamo attendere l’attimo prima della morte quando si rivolgerà al Padre con le parole del Salmo con cui la liturgia ci propone di rispondere: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (parole che Marco fa pronunciare a Gesù in aramaico in sintonia con quanto aveva espresso nella notte dell’agonia, “abbà”, in tono di assoluta familiarità col Padre).
Nel Vangelo si trova poi il compimento degli annunci del profeta e del salmista quando fa presente che “i passanti lo insultavano e, scuotendo il capo” lo provocavano e quando narra che “anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui” lo deridevano. “E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano”.
Ma sostiamo su un’umiliazione che ha dovuto subire: la spogliazione. Gesù viene condotto nel cortile del palazzo di Pilato da parte dei soldati che, si sa (!), sfogavano la loro rabbia nei riguardi dei prigionieri! È addirittura nominata “tutta la coorte”, equivalente alla decima parte di una legione e cioè 600 soldati che dovevano vigilare in Gerusalemme. Non possiamo (forse) immaginare che un numero così alto di uomini possa aver oltraggiato Gesù, ma di certo la precisazione “tutta la coorte” sta ad indicare un’unanimità di assurdi intenti. E la descrizione continua facendo notare che Gesù viene vestito di porpora. Quindi hanno spogliato Gesù, per vestirlo di “porpora”. La porpora era molto costosa e di fatto era usata per l’abbigliamento regale, quindi si può supporre che i soldati abbiano usato in realtà uno dei loro mantelli scarlatti (come riferisce Mt 27,28). Gesù, che già è stato flagellato, viene anche coronato nel capo con un casco spinoso e “con una canna gli percuotono il capo”. La follia ancora continua perché i soldati gli sputano addosso e con fare canzonatorio lo venerano inginocchiandosi innanzi ed insultandolo. A questo punto, di nuovo lo spogliano della ‘porpora’ e gli rimettono i suoi vestiti. E ancora lo ri-spoglieranno al momento della crocifissione (“si divisero le sue vesti”).
Come si permette un uomo di spogliare un suo simile? C’era relazione tra l’essere spogliati e il concetto di ‘maledizione’. Con l’atto dello spogliare al condannato si negava qualsiasi rivendicazione di dignità. Veniva ufficialmente e pubblicamente dichiarato escluso dalla società e ritenuto una ‘nullità’. Con tale gesto non solo veniva negata la vita fisica dell’individuo perché era chiaro che veniva ucciso violentemente, ma soprattutto gli veniva strappata la sua dignità di essere umano.
Inoltre, Gesù è stato in croce deprivato delle sue vesti per sei ore perché Marco ci informa della spogliazione e poi in modo preciso descrive il seguito (ora terza, sesta e nona) fino al momento della morte, momento preceduto dal sentirsi ‘spogliato’ anche della presenza divina (“… perché mi hai abbandonato?”).
Un mistico umbro ha fatto della Passione di Cristo un così centrale interesse da produrvi tra le più alte liriche medievali che ci aiutano a penetrare l’amarezza della nudità sperimentata da Gesù. Ciò è anche un motivo di riflessione circa coloro che, bambini, donne, uomini, vengono oggi spogliati senza scrupolo della loro dignità. Le parole che il beato Jacopone da Todi rivolge alla Madonna siano il nostro grido perché più nessuno venga offeso: “Soccurri, plena de doglia, cà ’l tuo figliol se spoglia; la gente par che voglia che sia martirizzato”. (Donna de Paradiso).
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Isaia 50,4-7
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 21
SECONDA LETTURA
Dalla Lettera ai Filippesi 2,6-11
VANGELO
Dal Vangelo di Marco 14,1-15,47