A distanza di ben 38 anni (27 ottobre 1986) dallo storico incontro di Assisi in cui san Giovanni Paolo II convocò i leader delle religioni a pregare per la pace, ci troviamo ancora a fare i conti con le fedi usate come pretesto, copertura, giustificazione o addirittura motivo di odio e violenza.
I conflitti armati che continuano a mietere vittime e a produrre distruzione e sofferenza, troppo spesso attingono la forza del delirio di violenza a una religione addomesticata e ridotta a strumento di propaganda. Non si tratta solo del grido “Allah akbar” di quanti usano il Corano per diffondere morte e terrore, ma anche di Netanyahu che nel discorso alle Nazioni Unite ha citato le pagine bibliche su Mosè, re Salomone e il profeta Samuele per “nobilitare” la violenza che l’esercito dello Stato di Israele rovescia contro le popolazioni palestinesi e libanesi. E non sono che piccoli esempi di un fenomeno molto molto più vasto.
Pertanto attualizzare il gesto, l’evento e l’invocazione profetica di quel 27 ottobre 1986 significa oggi levare ancor più decisamente grido e preghiera secondo quello che Giovanni Paolo II definì “spirito di Assisi”, per dire che non si può credere contemporaneamente nella violenza e in Dio e che nessun atto contro la vita – ogni forma di vita – può trovare il consenso di Dio. Se non servirà a far cessare le guerre, almeno potrà contribuire a mettere a nudo le responsabilità dei potenti che non potranno utilizzare Dio come paravento dei loro deliri di violenza.