Da 28 anni, ogni anno, si è ricordato il famoso incontro delle religioni per la pace ad Assisi. Anche quest’anno. Il giorno dell’arcobaleno, della cessazione di ogni focolaio di guerra. Una giornata eccezionale, 27 ottobre 1986. Come disse Giovanni Paolo II era la prima volta nella storia che le religioni si ritrovavano insieme a pregare per la pace secondo propri riti, in intima comunione di amicizia e rispetto. Nel 2011 Papa Benedetto XVI ha ricordato quell’evento nel suo 25° anniversario. I due Pontefici nei loro discorsi conclusivi hanno ribadito con profonda convinzione – e applauditi per questo – l’urgenza che le religioni, i credenti e i loro capi assumessero la responsabilità di essere “araldi della pace”, “costruttori della pace”, “testimoni credibili della pace”, “maestri della pace”. La Comunità di Sant’Egidio in questi anni ha portato tale messaggio in tante città del mondo. Gli umbri e Assisi in particolare sono i primi a essere interessati a conservare la memoria di questo evento, date le condizioni in cui versa l’umanità. È anche importante ricordare che tutto questo è stato chiamato dallo stesso san Giovanni Paolo II “lo spirito di Assisi”, in quanto si ispira alla vita e al messaggio di san Francesco e santa Chiara, modelli di mitezza, santità e grazia.
Il 27 ottobre pertanto dovrebbe essere considerato un giorno sacro, da celebrare con un rinnovato senso di ricerca e di testimonianza nel segno della preghiera, del digiuno e del pellegrinaggio; giorno di tutti gli “uomini di Dio” per la pace. Molte organizzazioni religiose e pacifiste hanno preferito dedicare questo giorno al dialogo tra cristiani e musulmani. La mia opinione è che si tratti di una forzatura riduttiva ed equivoca. Il necessario dialogo con l’Islam richiede un’attenzione particolare in questo periodo, dopo il crollo delle Torri gemelle, dopo Al Qaeda, il Califfato e soprattutto dopo la comparsa dello Stato islamico (Isis), mentre le grandi nazioni musulmane tacciono sulle atrocità compiute con motivazione religiosa, tutto, sacrilegamente, in nome della fede in Dio, clemente e misericordioso. Certo, vi sono musulmani in Europa che conosciamo e rispettiamo e accogliamo nei nostri ambienti, cui diamo parola e cattedra, che si dicono e sono contrari ad ogni forma di violenza; amano la pace e sostengono che l’Islam è per la pace. Anche se, va detto, il simbolo dell’Islam non è il ramoscello d’olivo ma la spada di Maometto. Essere per la pace vuol dire – anche per noi cristiani che ci siamo combattuti in guerre feroci – convertirsi religiosamente e culturalmente. Ai cristiani il Vangelo ammonisce: “Amate i vostri nemici”. Con questa parola nel cuore si deve pur essere capaci di dialogare senza rinunciare ad esercitare profezia e parresìa, e conoscendo meglio, non per sentito dire, la religione e la cultura dell’immensa famiglia musulmana e ciò che tale cultura comporta per un dialogo vero e per la convivenza pacifica in un mondo globale.
Cambiare il senso del 27 ottobre in un semplice dialogo nel quale (come succede spesso anche dalle nostre parti) i cristiani danno parola e pulpito ai musulmani accettando supinamente le loro affermazioni diplomatiche, mi pare fuori luogo. Si può e si deve fare un dialogo con i musulmani, ma non ponendo la sordina sullo “spirito di Assisi” che ha ben altro respiro e orizzonte. In questo dialogo si deve accogliere la persona, rispettare la fede professata, e tuttavia chiarire che c’è ignoranza e presunzione nel considerare – da parte musulmana – il cristianesimo come una “preparazione” verso la religione universale e conclusiva della storia, che sarebbe appunto rivelata nel Corano, disceso dal cielo per volere divino e affidato al profeta Muhammad. Liberi loro di professare e diffondere la loro fede, e liberi noi di dire che oggi, in nome di tale fede, vengono compiute violenze e stragi.
Grazie, mons. Bromuri, per il suo articolo sul ricordo dell’incontro e della preghiera di San Giovanni Paolo II con tutti gli altri capi religiosi che furono invitati e vollero partecipare. Grazie anche per la sua chiarezza sulla religione di Maometto che si deve rispettare ma non ci deve essere confusione con chi oggi in nome del profeta compie stragi e non permette ai cristiani di professare la nostra religione e non può edificare nei paesi islamici chiese, quando ad essi viene permesso nelle nostre città, giustamente, di erigere moschee e luoghi di culto. Noi dobbiamo difendere la nostra religione rivelata dal Salvatore, figlio di Dio. Grazie ancora, monsignore