Un ministro, mentre parlava di immigrazione, ha detto di essere preoccupato per il rischio di una “sostituzione etnica”. È stato sommerso da una valanga di accuse di razzismo. Non so bene che cosa intendesse, ma, se si dà alle parole il loro giusto significato, “razza” ed “etnìa” sono concetti distinti e non si deve confondere l’uno con l’altro. Se parlo di razza, mi riferisco alla genetica, al sangue; se parlo di etnìa, mi riferisco alla cultura. Dove per cultura s’intende – in questo caso – il patrimonio di tradizioni, saperi, credenze, costumi, princìpi, abitudini, che è specifico di un popolo e gli conferisce un’identità.
Ciò che ci permette di riconoscere uno svedese da un turco, ed entrambi da un giapponese; non dai tratti del volto, ma dai comportamenti individuali e collettivi.
Mentre non è scientificamente corretto parlare di “razze” con riferimento alla genetica, certamente esistono popoli (etnie) caratterizzati dalle rispettive culture. Questo si sa da sempre; e da sempre, ogni popolo è portato a pensare che “noi” siamo quelli civili e “gli altri” sono i selvaggi, i barbari. Solo da poco più di un secolo si è capito che “diverso” non vuol dire inferiore, e ogni popolo ha diritto a conservare la sua cultura, e con essa la sua identità.
Che dire dunque della temuta sostituzione etnica? Che nella storia dell’umanità le sostituzioni etniche ci sono state; ma a farle siamo stati noi europei quando abbiamo spento le culture dei nativi americani, africani e di altri ancora; o, nel migliore dei casi, le abbiamo ridotte a ruoli subalterni e marginali.
Perché ne avevamo la forza e pensavamo che questo ce ne desse anche il diritto. Oggi abbiamo una visione diversa delle cose, più rispettosa delle differenze e del pluralismo. Però non si deve cadere nell’eccesso opposto: quello di pensare che in nome del rispetto dovuto alle culture diverse si possa e si debba accettare tutto, giustificare tutto. Nella nostra cultura (diciamo quella europea e cristiana degli ultimi duemila anni) ci sono state anche pagine nere, ingiustizie e delitti di cui oggi ci vergogniamo.
Anche le culture “altre” possono avere dunque le loro pagine nere. Il confronto, il dialogo, l’integrazione, possono permettere a ciascuno di emendarsi. È una strada difficile. Ma in un mondo interconnesso a ogni latitudine, è indispensabile percorrerla.