Due cari amici che non sono più tra noi. La Santa Madre Chiesa mi chiede di pregare per loro. Lo faccio ogni giorno, nella messa, con una particolare premura, legata al fatto che il dono di quella fede in Lui che me li fa sentire vicini loro non l’hanno avuto. Massimo Taramelli me lo fece conoscere il mio cardiologo di allora, Vittorio Trancanelli. ‘Persona di grande spessore’, disse. L’ultima volta che incontrai Massimo, nella Facoltà di Medicina di via del Giochetto, il cancro stava trionfalmente vincendo la sua lugubre battaglia; lui ignorava le proteste dei suoi provatissimi polmoni, e continuava a fumare sigari monumentali e pestilenziali. Insieme con Franco Federici che me l’aveva fatto conoscere, parlammo di uno dei tanti soggetti border line che incrociavamo. Lui disse cose atee e sagge. Sempre più violenti i colpi di tosse. Per recuperare la figura di Folco Scavizzi invece devo fare più di quaranta anni in retromarcia. Allora, metà anni ’60, con i ragazzi del Movimento studenti eugubino ci vedevamo tutti i giorni, nel primo pomeriggio, al Bar Moderno. E Folco ci faceva ogni tanto una capatina. Quattro chiacchiere. Lui a volte buttava su qualche provocazione, anche oscena, tipo ‘Ma perché n’col legno dei Ceri n’ciacendémo l’foco d’inverno?!, oppure (addirittura!!) ‘Ma perché ta Sant’Ubaldo n l’hanno seppellito in una fossa comune? Immediata e implicita, sul suo volto arguto, la richiesta di scuse. Quel giorno, anche se ci conoscevamo da poco, il caffè glielo avevo offerto io, con la più innocente delle intenzioni. Folco mi fissò, la sua faccia si raggrinzì come un panno umido che si sta asciugando, una smorfia di disgusto ne stravolse i lineamenti: più che un distinto Funzionario comunale sembrava un orribile fumetto giapponese ante litteram. Titolare dell’ufficio comunale che concedeva le licenze edilizie, Folco aveva un potere praticamente smisurato, e ne era cosciente. Per questo, quando, con la strepitosa prontezza con la quale i cani antidroga sentono odor di coca al check in degli aeroporti, il suo fiuto di Servitore dello Stato sentiva aleggiare (o credeva di sentir aleggiare) intorno a sé odore di tentativo di corruzione, la sua cordiale amabilità cedeva immediatamente posto al sospetto. Anche per un solo invito a sorbire insieme un solo caffè. Dopo, te ce ne volevano, di scuse e di mediazioni e di precisazioni, per recuperarlo come amico! Massimo, Folco. Non ho dubbi che anche loro oggi sono nel numero dei 144.000. Si sono salvati anche loro. Ma si è trattato di uno di quelli che i vocianti commensali di Aldo Biscardi chiamano ‘salvataggio in corner’, o si è trattato e si tratta di ben altro?