Solo il 5% delle opere ‘sfrattate’ dal sisma sono tornate a casa

Nella Settimana della cultura convegno sugli edifici di culto e le opere d'arte

Solo il 5% delle opere d’arte “sfrattate” dal terremoto e messe in sicurezza sono state riportate nel luogo d’origine. Una percentuale bassissima. E per fare il punto di quanto è stato fatto da quel fatidico settembre del ’97, non solo per le opere d’arte, ma anche per le tante chiese danneggiate si è svolto mercoledì scorso l’incontro su “Il recupero degli edifici di culto dopo il sisma e ricollocazione delle opere d’arte: stato di fatto e programmi” promosso dalla Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali dell’Umbria nell’ambito della Settimana della cultura. Vi hanno partecipato la soprintendente Vittoria Garibaldi, Mario Serio, direttore generale per il Patrimonio storico, artistico e demoantropologico del Ministero dei beni e delle attività culturali, la presidente della Regione MariaRita Lorenzetti, e gli esperti della Soprintendenza Francesca Cristoferi, Giordana Benazzi, Valeriana Mezzasette, e mons. Giuseppe Bertini, vicario generale della diocesi di Foligno, una tra le più danneggiate dal sisma. “A fronte delle circa 2000 opere immagazzinate – ha sottolineato Francesca Cristoferi – sono stati riconsegnati solo 99 pezzi”. Un ritardo dovuto alla concomitanza del terremoto con i lavori per il Giubileo che, in molti casi sono stati però provvidenziali, ad esempio per quelle chiese di cui il trasferimento dei beni mobili era già stato effettuato o programmato. Per le altre sin dai primi giorni dopo le scosse del 27 settembre si pose il problema di dove e come mettere al sicuro la mole di opere d’arte evacuate dalle chiese danneggiate: migliaia di oggetti tra arredi, suppellettili e opere varie. Il problema fu affrontato facendo ricorso, là dove possibile, a locali disponibili presso conventi e monasteri delle zone terremotate oppure di altre località, ma appartenenti allo stesso ordine. Per la restante parte del materiale, la maggiore, il problema non fu di facile soluzione, almeno all’inizio. Per organizzare il lavoro fu deciso – racconta Germana Benazzi – di dividere la zona terremotata in due parti, che facevano riferimento una all’Umbria meridionale (Valnerina) e l’altra all’Umbria centro orientale (area Nocera – Foligno). In quest’ultima zona l’Esercito ha messo a disposizione i depositi militari a Scanzano di Foligno. Anche se non erano certo luoghi ideali, vi hanno trovato riparo tutte le opere dell’area di Bastia, Assisi, Nocera, Gualdo, Foligno, Sellano. Per la zona di Norcia invece sono stati utilizzati depositi nell’area nursina. Con i finanziamenti resi disponibili dallo Stato è stata quindi data precedenza al restauro degli edifici – “Una scelta che non ho molto condiviso e che ancora non condivido” confida la Benazzi – per cui quasi tutte le opere sono in attesa di restauro. Solo una minima parte sono state danneggiate – precisa – ma anche quelle integre andrebbero disinfestate prima della rimessa in loco”. Questi beni dovrebbero tornare nelle chiese da cui sono stati tolti, questo è l’obiettivo finale, ma purtroppo la maggior parte degli interventi di recupero programmati per le chiese del territorio, soprattutto nei centri minori, a tutt’oggi non sono conclusi: inseriti nei programmi per i beni culturali e nei piani integrati di recupero (Pir), per l’ultimazione del recupero attendono ancora il perfezionamento della fase progettuale e di finanziamento o l’avvio delle procedure d’appalto. Ci sono degli edifici che attendono ancora oggi di essere inseriti in piani di recupero. Tra due anni, queste le previsioni, la maggior parte degli edifici di culto dovrebbero ottenere il completo recupero funzionale. E per quanti già restaurati spesso mancano sistemi di protezione delle opere, allarmi e quant’altro, che possano garantire la sicurezza dell’edificio. Nel deposito di Scanzano dallo scorso anno è iniziato il lavoro di controllo e di aggiornamento delle schede conservative di tutti i materiali immagazzinati, per i quali si potranno così predisporre interventi di restauro e di manutenzione straordinaria per i quali è stato deciso un finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività culturali, e altri finanziamenti sono stati approvati per i materiali conservati nei magazzini di deposito dell’area nursino – preciana. Un’altra emergenza, da non sottovalutare – è stato sottolineato – è quella dello spopolamento e abbandono dei piccoli centri. Ci sono luoghi isolati, centri semidisabitati – anche a seguito del terremoto – nei quali la ricollocazione dei beni mobili negli edifici di provenienza dovrà essere valutata con cautela. E’ già successo con il terremoto della Valnerina: per motivi di sicurezza il materiale è stato immagazzinato in chiese non officiate o è confluito in musei o raccolte in altri complessi monumentali. La predisposizione di luoghi in cui alloggiare i beni culturali in caso di calamità future, certamente non auspicabili, è stato il problema posto nel corso del convegno. Una necessità che dovrebbe essere avvertita anche dai musei diocesani che, quasi tutti hanno riaperto nell’anno del giubileo. L’auspicio con cui si è concluso l’incontro è quello di poter restaurare la maggior parte delle opere: per questo si sta sollecitando il Ministero.

AUTORE: Manuela Acito