Non scritta, ma comunemente osservata è la regola che dei suicidi non si parli. Si teme il fenomeno dell’imitazione. Eppure questi accadono e, pur rimanendo coperti da un velo di discrezione e silenzio, ne veniamo informati e rimaniamo sgomenti. Come hanno potuto? Quanto devono essere stati grandi e devastanti il dolore e il disagio, la disperazione, la solitudine, l’affanno. “Solo e depresso”, così Monicelli (95 anni), che aveva osato irridere e sfidare la morte, sbeffeggiare i funerali, denunciare scherzando l’ipocrisia dei superstiti che accompagnano il defunto al cimitero. Tutta una commedia, salvo quel “solo e depresso”, che rimane la parola vera che esce dal profondo di un uomo, comunque inquieto, dietro e dentro il sorriso e il sarcasmo delle scene dei film. Non è il caso di evocare la famosa scena del cavaliere che gioca a scacchi con la morte ne Il settimo sigillo di Bergman, ma neppure di considerare la vita e la morte come un gioco da ragazzi, una farsa per divertire la gente e la scelta del suicidio come uno scatto libero della volontà o una accettabile forma di eutanasia. Possiamo semmai sorridere con don Marcello che nella vignetta del numero scorso commenta la trasmissione di Fazio mettendo in bocca alla Morte (impersonata da una signora vestita di nero con la falce in mano) le parole “Vieni via con me” rivolte ad una donna in carrozzella. Nella Bibbia la morte è la cosa seria della vita ed una nemica che solo Dio può dominare e vincere. A due giorni di distanza è avvenuto il suicidio di Luca Seidita (29 anni), ancora più tragico, che fa soffrire un’intera comunità, oltre alla famiglia, e induce a riflettere. Non è lecito entrare nei giudizi sulla persona, i suoi sentimenti, lo stato d’animo di un momento in cui uno può sentirsi “solo e depresso”. Ci si deve però porre la questione dell’apprezzamento e sacralità della vita con maggiore fermezza e decisione. La grande battaglia culturale di cattolici e laici illuminati per la difesa della vita nascente si aggancia alla lotta contro la pena di morte, l’eutanasia e ogni forma di omicidio e suicidio. E’ un impegno per contrastare l’enorme numero di incidenti stradali che causano la morte di 5.000 persone in un anno, perlopiù giovani. Anche la vocazione, per tornare al caso del giovane suicida che ha scritto difendendo il suo sogno di diventare sacerdote, non deve essere considerata un possesso o un diritto da conquistare, ma una chiamata cui rispondere. Si può desiderare e gioire per il dono ricevuto. Niente altro. In ogni caso, la vita va spesa e non gettata. Lo ha ripetuto il 26 novembre, in occasione di un convegno di ”Scienza e Vita”, uno dei tre cardinali amici di cui abbiamo scritto nel numero precedente, Elio Sgreccia: “La Chiesa ha molto da dire sul rispetto della vita umana, sul diritto a vivere, sulla vita come bene umano e divino, intangibile, non negoziabile. Se manca questo, manca una testimonianza, e si diffonde lo sgomento”. Anche tra il popolo cattolico – dice il neo cardinale – deve diffondersi l’educazione al valore della vita e invita a “rivedere tutte le attività pastorali della Chiesa e a ricentrarle sulla vita umana e sulla sua bellezza”, senza confusione: attaccamento alla vita non significa accanimento terapeutico, ma vicinanza e sostegno medico e umano perché anche la fiammella debole e tremolante non si lasci spegnere da sola.
“Soli” di fronte alla morte
Editoriale
AUTORE:
Elio Bromuri