di Pier Giorgio Lignani
Se il mio amico più caro mi mandasse un messaggio per informarmi di quello che ha mangiato stamattina per colazione, gli risponderei che non me ne può importare di meno. Se si mettesse a mandarmi messaggi del genere tutti i giorni, più volte al giorno, corredandoli con foto sbilenche, direi con molta discrezione ai suoi familiari di farlo visitare da uno psichiatra.
Eppure ci sono personaggi che regolarmente, direi scientificamente, fanno questo attraverso i “social”, raggiungendo migliaia, a volte centinaia di migliaia, di sconosciuti. Questi se ne sentono gratificati come se il mittente – che di solito è un potente o almeno una celebrità – li avesse personalmente scelti per ammetterli alla sua intimità. Sessant’anni fa, al primo apparire dei televisori, c’erano vecchie zie convinte che la signorina che annunciava i programmi parlasse personalmente con loro e le vedesse come loro vedevano lei.
Mi pare che lo stesso accada tra i vari Salvini e i loro “follower” – si chiamano così, credo, quelli che si entusiasmano vedendo il loro idolo che divora Nutella o porta il cane a fare i bisogni. Gli esperti dicono che si crea l’illusione di un legame di confidenzialità, per cui, quando alla fine il soggetto famoso dà consigli per gli acquisti, i follower li prendono per oro colato. E lo stesso succede per gli slogan politici. Insomma, si tratta di tecniche raffinate e subdole di pubblicità. C’è poi un risvolto curioso.
Anche i follower a loro volta hanno preso gusto a diffondere ai quattro venti le loro gesta irrilevanti e relative foto sbilenche; come se pensassero che i momenti della loro giornata – dalle merende che fanno alle carezze che scambiano con i loro pargoli – non abbiano senso e significato se non li condividono sulla Rete con un sacco di estranei. Fra i quali ci sono anche quelli che rispondono trovandoci un motivo per insultarli. A me sembra un mondo di matti; ma mentalmente sono un uomo dell’altro secolo (e magari dell’Ottocento).