Capisco poco, oggi come oggi, della politica italiana, benché non mi manchino né le informazioni né le esperienze vissute nelle sezioni di periferia e nei palazzi governativi. Figuriamoci la politica francese, dove tutto questo mi manca. Quindi non posso fare commenti su Macron, che ha (ri)vinto le elezioni presidenziali ma ha perso quelle parlamentari, e per governare dovrà cercare difficili patti con qualcuno degli avversari. Però una cosa la posso dire.
Si conferma che non esistono sistemi istituzionali ed elettorali che da soli garantiscano la stabilità e l’efficienza dei Governi. Mettiamo a confronto quattro Paesi vicini e di dimensioni analoghe: Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania. Secondo le teorie politologiche più accreditate, il sistema meglio congegnato per la governabilità sarebbe quello francese (elezione diretta di un Capo dello Stato con poteri di indirizzo che il nostro non ha; elezioni parlamentari con maggioritario a doppio turno). Diverse volte ha funzionato bene, questa no.
Il sistema elettorale tedesco, sulla carta, sarebbe inefficiente, perché è un proporzionale puro, che solo di rado produce una maggioranza sicura in Parlamento; più spesso i Governi nascono grazie a temporanee intese fra partiti avversari. Eppure, lo abbiamo visto, Angela Merkel è stata al governo per quattro legislature, cambiando coalizione ogni volta; e al pari di lei anche Kohl c’era stato per sedici anni filati. In Gran Bretagna, poi, vanno ancora avanti con un sistema elettorale pensato quando il voto serviva per eleggere i portavoce degli interessi locali, non per indirizzare la politica nazionale; un sistema, insomma, che non garantisce affatto che la maggioranza degli eletti corrisponda alla maggioranza degli elettori. Eppure funziona e nessuno, lassù, se ne lamenta.
In Italia ne avevamo uno rimasto in vigore dal 1948 al 1992, poi ne abbiamo sperimentati altri tre (soprannominati rispettivamente mattarellum, porcellum e rosatellum) tutti subissati da critiche e lamentele. Che cosa ci insegna tutto questo? Che in questa materia non conta il modello legislativo. Contano l’intelligenza e la cultura politica di chi forma e dirige i partiti; nonché quelle di chi si candida e viene eletto. E soprattutto, quelle di chi vota. Che cosa manca all’Italia?