SIRIA. Parla il francescano Hanna Jallouf, uno dei due frati rimasti ad Idlib

“Ringraziamo il Signore che ancora siamo vivi!”. La voce di padre Hanna Jallouf, 66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, è quella dei cristiani che vivono nei villaggi di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh nella zona di Idlib, nel nord della Siria, ultimo bastione degli oppositori al presidente siriano Assad e dei terroristi islamisti.

Qui, a poca distanza dal confine turco, si sono concentrati in questi anni di guerra decine di migliaia di combattenti, anche stranieri, del fronte Hayat Tahrir al-Sham (gruppo jihadista di ideologia salafita, affiliato ad Al-Qaeda ed erede del meglio conosciuto Jabhat Al Nusra ) decisi a non arrendersi all’esercito regolare siriano e ai suoi alleati russi e iraniani.

Nei giorni scorsi si era parlato di un’imminente attacco volto alla riconquista della roccaforte jihadista; poi rientrato in seguito al vertice di Sochi, sul Mar Nero, durante il quale il presidente russo Putin e il leader turco Erdogan hanno trovato un accordo per creare, intorno a questa area contesa, una zona demilitarizzata. L’accordo dovrebbe portare al “ritiro di tutti i combattenti radicali” da Idlib, scongiurando una crisi umanitaria di vaste proporzioni, dal momento che nell’area vivono anche due milioni e mezzo di siriani, molti dei quali sfollati interni.

L’accordo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a padre Hanna e al suo confratello Luai Bsharat, gli unici religiosi cristiani rimasti a Knayeh e Yacoubieh, nei conventi di San Giuseppe e di Nostra Signora di Fatima. Allontanato per ora lo spettro di nuovi combattimenti, sul terreno restano i problemi di sempre e “condizioni di vita sempre più dure man mano che sale la tensione”.

“Non sappiamo come andrà a finire – dice padre Hanna, che è parroco latino di Knayeh. – I ribelli non intendono né arrendersi né ritirarsi. Se lo facessero, tutti noi che viviamo qui, cristiani e musulmani, ne trarremmo giovamento. Anche i nostri fratelli musulmani soffrono molto. Vengono costretti ad andare in moschea e a seguire pratiche che sono solo nella mente di questi fanatici”.

Dal canto loro i cristiani di Knayeh e Yacoubieh vivono rintanati in casa terrorizzati. “La paura è enorme per le nostre comunità, già povere – dichiara il frate. – Gli aiuti non arrivano come un tempo, e sono iniziati i rapimenti. Non conosciamo gli autori di questi crimini, se siano semplici malviventi o membri delle milizie che controllano la zona. Alcuni giorni fa è stato rapito il nostro avvocato e la famiglia ha dovuto sborsare circa 50 mila dollari per il suo rilascio. Una cifra enorme”.

Anche padre Hanna ha vissuto l’esperienza del rapimento: venne prelevato da miliziani del fronte Jahbat Al-Nusra nell’ottobre del 2014, con 16 parrocchiani. (Continua a leggere gratuitamente sull’edizione digitale de La Voce).