Il silenzio di una immensa folla eterogenea radunata in una piazza, la immensa piazza san Pietro che è come l’ombelico del mondo, la sera del 7 settembre, durato circa venti minuti: che impressione! Non è il silenzio di chi ascolta uno che parla, o che assiste a uno spettacolo. È silenzio e basta. C’è solo uno che lo gestisce, lo impone, lo inizia, lo guida e lo conclude. Che forza interiore ci vuole per tenere tanta gente in silenzio. Più difficile che mettere insieme una grande orchestra. Quel solo minuto di silenzio imposto nelle cerimonie pubbliche non passa mai. Dopo la comunione eucaristica, qualche secondo di silenzio è prescritto; ma scricchiolano le panche, qualche bambino frigna, qualche anziano rischiara la gola. Sembra una crudeltà tenere a freno un’assemblea. Il silenzio, infatti, impone anche l’immobilità, la contrazione fisica, la concentrazione, la sensazione del proprio respiro, che in genere non si avverte. Papa Francesco, oltre che per quello che dice, ha dato l’impressione di una fortissima personalità fin dal primo momento, quando ha imposto il silenzio a tutti, a tutto il mondo, al primo annunzio e saluto dalla loggia della basilica vaticana.
L’orizzonte che con il silenzio si apre alla mente è diradato, aperto all’infinito; uno spazio dello spirito, una attenuazione di tutto il resto. Tutto si ridimensiona, viene messo tra parentesi, e si ricrea una nuova esistenza come passata attraverso un’acqua purificatrice. È ciò di cui ha bisogno il mondo per ridimensionare le sue paure, far rinascere la speranza, seppellire le minacce arroganti dei potenti e le chiacchiere dei buontemponi, che non danno tregua alle orecchie di chi vorrebbe avere solo notizie e invece deve sentire le improbabili, opinabili, talvolta assurde disquisizioni su tutto ciò che non ha valore, come in questi giorni in questo nostro Paese, dimenticando le priorità della vita, della morale e del bene comune.
Chi non entra nella logica proposta da Papa Francesco è tuttavia costretto a tener conto del silenzio delle folle, soprattutto delle vittime, come il silenzio di Gesù di fronte a Pilato e ai propri carnefici. Nelle indicazioni che si danno per i silenzio di ringraziamento dopo la Comunione, si dà spazio alla contemplazione del dono ricevuto, alla presa di coscienza del proprio stato di salute spirituale in vista di progettare la propria vita nell’immediato. In ambito collettivo, questo apre a una conversione e una rivoluzione silenziosa, a un mutamento di programma, di paradigma e di orientamento, all’avvio di un cammino che diventerà anche messaggio e parola, e forse anche grido di aiuto rivolto a Dio, come è stato il sabato 7 settembre, per la pace. Il fatto, o gesto, o evento che dir si voglia della veglia in San Pietro e nelle cattedrali e santuari del mondo inaugura uno stile pastorale che rifugge dal “trionfalismo” spettacolare fine a se stesso, dai fuochi di artificio di una pastorale a effetto, e ridà respiro e senso a coloro che camminano in punta di piedi lungo i muri delle città e nei viottoli delle periferie, sostenendo il faticoso passo dei poveri: poveri anche per la mancanza di fede, di intelligenza, di cultura, di educazione, poveri per colpa e senza colpa, colpevoli spesso di non saperlo e di non riconoscerlo.