“Ti amo, Signore”: è la dichiarazione che ‘Davide’ fa al Signore ricoprendolo di tanti titoli come è proprio del linguaggio degli innamorati. In soli due versetti lo definisce forza, roccia, liberatore, rupe, rifugio, scudo, potente salvezza, baluardo. Questo riferimento al Salmo responsoriale (17), introduce il messaggio della XXXI domenica del TO che è infatti l’amore per il Signore.
Prima lettura
La prima Lettura del libro del Deuteronomio ci presenta il brano che, insieme a quello del Decalogo, costituisce la centralità e l’apice della religiosità del popolo dell’Antica Alleanza: l’amore per il Signore, unico Dio. Il capitolo da cui è tratta questa pericope detta dello “Shemà, Israel” (“Ascolta, Israele”) è infatti preceduto da quello del Decalogo: dopo l’Ascolto delle ‘Parole’ del Signore, segue l’amore per il Signore che va provato “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”.
Seconda lettura
La Lettera agli Ebrei, che momentaneamente interrompe il discorso sull’amore per il Signore che il Vangelo riprende esplicitamente citando proprio il libro del Deuteronomio, ci propone di fatto Colui che ci ha amati per primi e da sempre. Continuando il discorso sul sacerdozio, si concentra sul valore del sacrificio che Cristo ha fatto “una volta per tutte, offrendo se stesso”, tutto in una volta ed una volta per tutte. È un sacrificio che ha un valore eterno, è “perfetto” ed è compiuto da Colui che “è sempre vivo” e intercede a favore degli uomini. Questo amore ‘primo’, ‘eterno’ e ‘perfetto’ non può che essere … amato!
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Deuteronomio 6,2-6SALMO RESPONSORIALE
Salmo 17SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli Ebrei 7,23-28
Vangelo
Eccoci pronti dunque per accogliere il messaggio del Vangelo. La vicenda vede coinvolti Gesù ed uno scriba, cioè colui che rientra nella categoria generalmente più in disaccordo con Gesù. Proprio per questo è significativo notare come l’evangelista in questione, Marco, specifichi ‘scriba’, diversamente da Matteo e Luca che parlano di ‘dottore della Legge’. Lo scriba interviene perché attratto dalle risposte che Gesù ha appena dato ai farisei, agli erodiani e ai sadducei e si rapporta a Gesù in un crescendo di azioni.
Infatti ‘vede’ come Gesù ha ben risposto, si avvicina e Lo interroga: “Qual è il primo comandamento in assoluto?”. Questa domanda rispecchia le esigenze culturali e comportamentali del I sec d. C. cioè la ricerca dell’essenzialità nella trasmissione di un ‘sapere’ che consisteva in ben 613 precetti, di cui 248 positivi e 365 negativi. Ma più che il valore ‘gerarchico’, era il valore teologico ad essere ricercato.
Questo interesse per l’essenzialità è documentato nel Talmud di Babilonia (Shabbat 31) che riporta un dialogo tra il rabbi Hillel e un non giudeo il quale chiede a Hillel che gli venga insegnata la centralità della Torah per il tempo che un uomo riesce a stare dritto su un piede solo. Hillel risponde: “Quello che hai in odio per te stesso, non farlo al tuo prossimo. Questa è l’intera Legge. Il resto è puro commento”.
Così Gesù va all’essenziale e riferisce i primi versetti dello Shemà, Israel che gli ebrei conservano, insieme ad altri brevi brani della Torah (appunto l’essenziale!) negli astucci che durante la preghiera appoggiano alla testa e al braccio. Un’altra testimonianza circa l’uso di concentrare l’attenzione religiosa nella sua essenzialità ci proviene dalla Mishnà dove è scritto che lo Shemà veniva proclamato insieme al Decalogo ogni giorno nel Tempio.
E l’essenzialità alla maniera di Gesù è l’amore per il Signore (Dt 6,4-5) e l’amore per il prossimo (Lv 19,18). Ma in fatto di ‘amore’, Gesù propone un atteggiamento diverso, che si tratti del Signore o che si tratti del prossimo. Il Signore va infatti amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza.
Rispetto al brano del Deuteronomio, l’evangelista riporta in più la ‘mente’ trasmettendo così il messaggio che l’uomo è invitato ad amare il Signore con tutte le sue qualità: affettive, spirituali, intellettive e volitive. Nel testo ebraico del Deuteronomio, il sostantivo che traduciamo con forza (me’odeka) significa letteralmente ‘l’eccesso di te’.
Quindi non c’è ‘uguaglianza’ nel modo di amare il Signore e il prossimo. Il Signore va amato dando l’eccesso di sé, il prossimo va amato come se stessi. E tuttavia sappiamo che solo l’amore dimostrato al prossimo attesta la verità dell’amore che si dice di provare per il Signore (1Gv 4).
Il brano continua con l’elogio che lo scriba fa di Gesù per aver risposto bene e cita anche lui la Sacra Scrittura replicando all’amore per il Signore con il monoteismo (Is 45,21b) e all’amore per il prossimo con il riconoscere quest’ultimo superiore ai sacrifici e agli olocausti ( 1Sam 15,22a; Os 6,6). Dunque l’amore! L’amore di Cristo “che supera ogni conoscenza” e l’amore per il prossimo.
L’amore non ha confini spazio temporali ed è “libero”: può essere provato anche se non ricambiato (Lc 23,34), è proporzionato al bene che si ha per la propria vita (1 Sam 18,1), implica la spontanea condivisione della fede (Rut 1,16) e, pensando al mese che stiamo vivendo, può essere manifestato anche a coloro che hanno già lasciato questo mondo (2Mac 12,44). Le occasioni non mancano… Che Gesù anche di noi possa dire: Non sei lontano dal regno di Dio”.
Giuseppina Bruscolotti