“Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi”, canta il Salmista che ha sperimentato l’aiuto del Signore in una situazione di pericolo che poteva condurlo alla morte.
Anche l’autore della prima lettura di questa XIII domenica del T. O. tratta dal libro della Sapienza esalta il Signore della vita perché dichiara che “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”.
Il riferimento è sia alla morte corporale che spirituale perché si pongono in assoluta relazione. All’origine della morte vi è “l’invidia del diavolo” che ha introdotto la morte spirituale e, come sua conseguenza, la morte corporale. Ma Dio “ha creato tutte le cose perché esistano”.
Ecco allora che il messaggio della Parola di Dio non è la morte, ma la vita.
Apparentemente la seconda lettura sembra portarci fuori tema perché ci presenta san Paolo intento ad organizzare una colletta a vantaggio di una comunità bisognosa, ma per motivare alla generosità addita l’esempio di Cristo che, “da ricco che era, si è fatto povero” ovvero ha accettato la condizione di uomo passando anche attraverso la morte corporale, ma non lasciando che essa prevalesse perché è risorto dalla morte. Gesù è vincitore sulla morte e datore della vita. La pagina del Vangelo ci propone a proposito di ascoltare i due prodigi che segnano il culmine della manifestazione del potere taumaturgico di Gesù: la guarigione della donna emorroissa e la resurrezione della figlia di Giairo. I due prodigi riguardano casi umanamente irrisolvibili, in quanto la donna da dodici anni era malata ed era ricorsa ai medici, ma questi non erano riusciti a risolvere; la ragazzina – nel momento in cui sopraggiunge Gesù – è già morta, per cui anche questo si presenta come un caso irrimediabilmente spacciato.
Che dunque questi due episodi si presentino come l’apice dell’attività guaritrice di Gesù è testimoniato dal fatto che nelle altre narrazioni di guarigioni non è specificato il ricorso ai medici, mentre qui sì e, anzi, benché fosse stato fatto di tutto a livello sanitario, la donna però non si era guarita, ma aggravata. Nel caso della ragazzina si tratta poi dell’unico caso di resurrezione descritto dall’evangelista Marco (Luca riporta anche quello del figlio della vedova di Nain e Giovanni riferisce la risurrezione di Lazzaro). C’è inoltre un dettaglio che lega le due figure femminili che hanno usufruito dell’intervento prodigioso di Gesù: sono entrambe in uno stato di impurità. La donna in fase mestruale o comunque con perdite di sangue era considerata ‘impura’ (Lv 15,1930) e qualora qualcuno avesse avuto un contatto con lei sarebbe caduto nella condizione di ‘impurità’. Così la figlia di Giairo, essendo morta, rendeva ‘impuro’ chiunque l’avesse toccata (Nm 19,11). Gesù non cerca il contatto con la donna (che invece ricerca in altri casi di guarigione) eppure la donna lo tocca, ma la donna non trasmette l’impurità, anzi viene sanata dal contatto con Gesù. In casa di Giairo, Gesù “prende la mano della bambina” e, invece di contaminarsi, le restituisce la vita. Il rapporto con la vita riguarda quindi queste due figure femminili. La ragazzina ha perso la vita e chi tocca un cadavere deve fare dei riti purificatori (Nm 19,12).
Ugualmente la puerpera e la donna che ha perdite di sangue sono considerate prive di vitalità e quindi per ristabilire il loro equilibrio con il Signore, Dio della vita, devono eseguire riti purificatori (Lv 12,6s; 15,25s).
Altro elemento comune alla due protagoniste che sempre ci riporta al valore della vita è il numero dodici: la donna è malata da 12 anni e la ragazzina ha 12 anni. La donna da 12 anni ha emorragie, la ragazzina ha 12 anni, età in cui all’incirca coincide la prima mestruazione. “La vita della carne è nel sangue” (Lv 17,11) e “il sangue è la vita” (Dt 12,23), ma la donna perde sangue e alla ragazzina non scorre più nelle vene: nessuna delle due può generare la vita. Sono esse stesse morte: la prima a livello sociale, la seconda a livello biologico! Tuttavia il messaggio più importante di questa pagina non è la spettacolarità del loro ritorno alla vita, ma ciò che l’ha causato: la fede. Alla donna guarita, Gesù dice: “Figlia, la tua fede ti ha salvata” e a Giairo, informato sulla morte della figlia, Gesù si rivolge con le parole: “Non temere, soltanto abbi fede!”. Alla donna la fede dona la possibilità di rinascere alle relazioni sociali e il coraggio di testimoniare pubblicamente, alla ragazzina di essere vincitrice sulla ineluttabilità della morte e a Giairo di riavere sua figlia.
Questa pagina del Vangelo ci presenta quindi Gesù come unico Signore che può ridonare la vita a chi ha sperimentato la morte spirituale e corporale. Sì, la vita. Cosa ci riguarda più della vita? Si afferra la vita nei momenti di pericolo, la si augura lunga a chi contrae le nozze, si desidera nella nascita di figli, si apprezza maggiormente nel momento della malattia. In questi e in tanti altri casi, a chi è bene ricorrere se non al Signore della vita? L’emorroissa e Giairo ci testimoniano a proposito la necessità di avere una fede che sa osare andando contro ogni umana speranza per riuscire ad ottenere da Gesù le grazie utili per una “vita bella”.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro della Sapienza 1,13-15; 2,23-24
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 29
SECONDA LETTURA
Dalla II Lettera ai Corinzi 8,7.9.13-15
VANGELO
Vangelo di Marco 5,21-43