Lo ammettiamo: siamo di parte. Per quanto piccoli e irrilevanti possiamo essere nel frastuono globale originato dal conflitto tra Russia e Ucraina, ci teniamo a dire che siamo di parte. È davvero difficile, forse quasi impossibile, pur nel mondo iperconnesso di oggi, distinguere con chiarezza tutti i tasselli che compongono un mosaico come quello del conflitto iniziato a febbraio scorso nel cuore dell’Europa. Lo tsunami di messaggi che investe da mesi ciascuno di noi – un’alluvione informativa che passa attraverso media vecchi e nuovi – ci lascia disorientati.
Non sempre si riesce a capire se il “vero” sia tutto da una parte o dall’altra, se i racconti siano viziati da una “tifoseria”, se le immagini siano condivise per farci cambiare idea, se le versioni ufficiali vogliano giustificare un interesse economico o qualcos’altro. La guerra è sui mezzi di comunicazione allo stesso modo che sul campo di battaglia. Il mondo che torna a polarizzarsi in due pericolosi schieramenti contrapposti, lo spettro ormai più che agitato
delle armi nucleari, vittime e carnefici, invasori e invasi, fornitori di armi “buone” e spacciatori di ordigni “cattivi”. E in mezzo: tante storie piccole, di gente comune che sta tra l’incudine e il martello, di vittime a destra e a manca, di popoli che scappano, chi dall’essere invaso e chi dal dover invadere. Solo poche parole ci danno speranza e ci invitano a tirar su le maniche, ognuno col poco o tanto che può fare. Tra queste parole ci sono quelle di Papa Francesco.
“Tacciano le armi – ha detto il Santo Padre – e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”. Un appello che ha ispirato la grande manifestazione nazionale “Cessate il fuoco subito, negoziato per la pace” che ci sarà a Roma sabato 5 novembre. Ecco, noi siamo di parte. Siamo da questa parte.