Il divieto imposto a una coppia portatrice di una malattia genetica di ricorrere alla diagnosi preimpianto nel quadro della fecondazione in vitro sarebbe contrario al rispetto della vita privata e familiare: questo il contenuto di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che il 28 agosto si è pronunciata sul caso “Costa e Pavan contro Italia”. La sentenza, che ritiene “incoerente” la legge italiana sulla fecondazione assistita, ha sollevato molteplici reazioni e commenti perplessi. Si auspica un ricorso nei confronti dell’organismo di Strasburgo.
Cosa dice la Corte
Un collegio di sette giudici, presieduto dal belga François Tulkens, si è espresso su un caso sollevato dai coniugi italiani Rosetta Costa e Walter Pavan, che, portatori sani di fibrosi cistica, vorrebbero avere un figlio affidandosi alla fecondazione artificiale: effettuando una analisi preimpianto, i coniugi vorrebbero selezionare gli embrioni per evitare la nascita di un figlio affetto da questa malattia genetica. Tale pratica non è però consentita dalla legislazione italiana (legge n. 40), che vieta la selezione degli embrioni e comunque la limita alle coppie dichiarate sterili (non è il caso dei coniugi ricorrenti). I giudici di Strasburgo hanno dunque “rilevato l’incoerenza del sistema legislativo italiano” in quanto “da una parte priva i ricorrenti alla diagnosi genetica preimpianto” mentre permette di accedere all’interruzione di gravidanza per motivi terapeutici. Nella sentenza si riscontra però una distorta interpretazione della legge sull’interruzione di gravidanza (n. 194). Secondo i giudici, lo Stato italiano dovrà versare alla coppia 15.000 euro per danno morale e 2.500 per rimborso spese processuali. La sentenza non è però definitiva: è possibile ricorrere entro tre mesi, per portare il caso davanti alla Grande Chambre di Strasburgo.
“Fare subito ricorso”
“È una sentenza superficiale”: Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita italiano ed eurodeputato, definisce così il pronunciamento della Corte dei diritti dell’uomo. Casini ricorda che il Mpv aveva inviato alla Corte una memoria scritta: “Nonostante questo, la sentenza non ha nemmeno preso in considerazione le nostre argomentazioni”. Casini sottolinea che “si rilevano inoltre una errata interpretazione della legge 194” sull’interruzione della gravidanza “e un mancato esame della grande differenza fra diagnosi prenatale e diagnosi preimpianto, quest’ultima a carattere selettivo ed eugenetico”. Per il presidente della commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, la Corte “si è accorta che tra la legge 40 sulla fecondazione artificiale e la legge 194 sull’interruzione di gravidanza c’è ‘una incongruenza’. È la scoperta dell’acqua calda”. Casini sostiene che la legge italiana sull’aborto “si preoccupa soltanto della donna”, mentre la seconda, più recente, “punta a tutelare tutti i soggetti coinvolti nelle procedure di procreazione assistita, quindi i genitori e il bambino. Tuttavia – aggiunge – neppure la legge 194, almeno a parole, consente l’aborto eugenetico, perché l’interruzione volontaria di gravidanza è permessa in presenza di un pericolo serio e grave per la madre, e la diagnosi prenatale è funzionale anche a un intervento risanatore sul bambino malato. Viceversa la diagnosi genetica programma l’uccisione di molti figli-embrioni per trovare quelli sani”. Casini dichiara di non avere “alcun dubbio che il Governo italiano scelga di fare ricorso contro la sentenza. Un ricorso che difficilmente la Grande Chambre potrà rigettare. In ogni caso – conclude – la decisione” dei giudici di Strasburgo “prova quanto sia importante l’iniziativa europea ‘Uno di noi’ che sta mobilitando i cittadini dei 27 Paesi Ue per raccogliere milioni e milioni di firme con l’obiettivo di chiedere alle istituzioni comunitarie un deciso riconoscimento del bambino titolare di diritti fin dal concepimento”. I giudici, secondo il deputato, “non potranno non tenere conto della volontà di tanta parte dei popoli che per la prima volta fanno ricorso a questo strumento di democrazia diretta”.
I casi precedenti
La sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta sui temi della procreazione e della vita non è la prima in questo campo. Negli ultimi anni più volte i giudici di Strasburgo, ma anche il Consiglio d’Europa dal quale dipende la Corte, così come la Corte di giustizia del Lussemburgo (che invece è un organismo dell’Unione europea) si sono espressi in tali materie. Basti citare il pronunciamento dell’ottobre 2011 mediante il quale la Corte di giustizia Ue ha stabilito la non-brevettabilità di quelle invenzioni biotecnologiche che si fondano sull’utilizzo di cellule embrionali umane. Una sentenza storica, che ribadisce tra l’altro che la vita umana inizia dal concepimento. Il 3 novembre successivo la Corte di Strasburgo ha invece affermato che il divieto della fecondazione eterologa stabilito dal sistema legislativo dell’Austria non contrasta con le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 7 ottobre 2010 aveva invece sottolineato il diritto per tutti gli operatori sanitari di far valere il diritto all’obiezione di coscienza in caso di richiesta di aborto o di eutanasia.