Papa Francesco, lo hanno capito tutti, è il papa della misericordia. Lo ha detto in mille modi, in tutti i toni, sembrando persino eccessivo, aprendosi al dialogo con tutti, usando pazienza e comprensione. Anche i suoi gesti sono improntati all’apertura, al coinvolgimento, lasciandosi travolgere dall’affetto e dalla confidenza esuberante delle persone di qualsiasi tipo che riempiono piazza San Pietro fino all’inverosimile.
Accade però che mercoledì scorso), secondo programma, doveva spiegare uno dei doni dello Spirito santo che sono sette – li ricordo: sapienza, intelligenza, scienza, consiglio, fortezza, pietà e timore del Signore – proprio l’ultimo, il timore. In senso biblico timore non significa paura, panico, terrore, stare sotto minaccia o condanna. Vuol dire piuttosto avere il dovuto rispetto di Dio, del suo mistero, della trascendenza, della sua maestà, della sua immensa grandezza e potenza, del suo amore, della santità del suo nome impronunciabile, da non nominare invano.
A proposito del nome proprio questa mattina incrociando una giovane coppia, ho sentito con raccapriccio, tanto era forte nel tono e nell’espressione, una bestemmia detta con disinvoltura e leggerezza senza rabbia da una bella ragazza a passeggio con il suo ragazzo. E pensare che oltre alla sfida verbale nei confronti di Dio che una volgare bestemmia evoca, vi sono sfide comportamentali per i quali si deve ricorrere al perdono e alla misericordia di Dio e anche degli uomini ed avere pazienza e compassione essendo tutti soggetti alla trasgressione morale.
Ma, dice il Papa, bisogna invocare il dono del “timore di Dio” e ricordare che le azioni hanno un peso e sono sottomesse a valutazione e misura nella bilancia della giustizia divina, alla quale si appellano nella Bibbia e nella storia le innumerevoli vittime innocenti dell’ingiustizia e della violenza umana. Pensiamo ai massacri, guerre, atrocità che non dobbiamo neppure descrivere tanto sono sotto i nostri occhi. Il Papa cita alcune categorie di persone che non condanna all’inferno, ma delicatamente afferma che non saranno felici “dall’altra parte” e non possono esserlo neppure da questa parte agli occhi di se stessi e dei loro simili. Non lo dice il buon papa Francesco, ma dovrebbero vergognarsi di esistere.
Per ironia della sorte, quando il Papa ha fatto questo discorso, i telegiornali erano pieni – e sono ogni giorno pieni – di truffe, frodi alimentari e commerciali, tangenti, usura (persino le banche a tassi usurai), ufficiali di Guardia di Finanza accusati di corruzione, fabbriche chiuse per mancanza di finanziamenti delle banche, violenze, uccisioni e via dicendo. Se pensiamo a popoli in guerra le atrocità e le sofferenze sono da elevare alla milionesima potenza. rispetto a noi. Evocare il timore del Signore, vuol dire convertirsi al bene e trovare in ciò la serenità interiore e la gioia, altrimenti “Non sarai felice”.
Si può avere timore anche dell’amore, nel senso di temere di non essere all’altezza della persona amata, di non esserne degno e meritevole. Quindi il timore del Signore vuol dire riconoscere i propri limiti, la subordinazione all’essere e al volere di Dio, convincersi che non siamo padroni della vita e del nostro ultimo destino.