Lo ha ricordato di recente Papa Benedetto XVI ai due popoli contendenti degli ebrei e dei palestinesi: nella guerra, per decenni, sono state fatte scelte quanto mai discutibili, quale l’osceno muro di separazione nel cuore della città, impedendo persino i ricongiungimenti della stessa famiglia. Tali soluzioni non servono però a ridurre le tensioni, anzi le aumentano, entrando nel gioco perverso della vendetta o almeno della provocazione continua. I cristiani hanno la chiara consapevolezza che occorre cambiare strategia: non si può rispondere con ira e con violenza a chi opera con ira e con violenza. Occorre seguire altre strade per giungere alla pace da tutti desiderata: la strada della sola giustizia non basta più. La giustizia è fondamentale, ovviamente: è una delle quattro famose gambe del tavolo della pace delineato da Giovanni XXIII (giustizia, libertà, verità, amore), ma deve essere assolutamente coniugata con l’amore, che il tal caso si fa riconciliazione e perdono. Altrimenti si seguiteranno a trovare inciampi d’ogni genere. Il discorso, che è partito dalle parole di Papa Benedetto nella sua visita in Terra Santa, va esteso a tutti i casi nei quali c’è tensione, divisione, conflitto. Penso in maniera particolare alle discussioni nelle famiglie, quali che siano le cause: superficialità di scelte, sensibilità, offese, prevaricazioni dei genitori, discordanze ostinate di pareri, violenze morali e fisiche, rifiuto della maternità, perduranza di litigio, ed ogni altra forma di patologia della famiglia. Se accanto alla giustizia, che deve esserci, non si mette anche la riconciliazione e il perdono reciproco, non rifiorisce né la pace né l’amore, e perdura la sofferenza per gli sposi, per i figli, per la famiglia, per la comunità cristiana, per la stessa società. Non a caso l’apostolo Paolo, scrivendo alla comunità cristiana di Efeso, diceva: ‘Bando alla menzogna, perché siamo membra gli uni degli altri’. E citando il Salmo 4,5, continuava: ‘Adiratevi pure, ma non peccate. Non tramonti mai il sole sopra la vostra ira, e non date spazio al diavolo’ (Ef 4,25-27). Se la collera è spesso una reazione spontanea, frutto anche di giusta indignazione, Paolo chiede di evitare le conseguenze negative che essa può avere. E le conseguenze negative sono l’indignazione trasformata in odio e in rancore distruttivo; a pagare sono, nella famiglia, soprattutto i figli. Urge invece medicare le ferite con l’olio della mitezza, della tenerezza, del perdono e della conseguente riconciliazione. È chiaro che, se alla base delle proprie scelte c’è una sincera motivazione religiosa, tutto questo processo di ‘mediazione’ sarà facilitato e ben fondato. In ogni caso la pace non può fare a meno, anche in ambito politico e internazionale, di questa integrazione della giustizia con la misericordia e il perdono reciproco, manifestato in varie forme. La pace vale più di qualche, anche legittimo, interesse di persona o di gruppo. Persone capaci di andare controcorrente non sono mancate e non mancano: il Mahatma Gandhi in India o Nelson Mandela nel Sudafrica stanno a dirci che questi comportamenti sono possibili anche quando ingiustizie e sofferenze sono state tante. Ci rendiamo anche conto che occorre munirci di tanta forza interiore e di tanta speranza, virtù che i cristiani imparano con la fede e la preghiera ai piedi della croce, da cui un Uomo giusto, torturato e assassinato, lasciò cadere sui carnefici le ultime parole di pace: ‘Padre, perdonali: non sanno quello che fanno’.
Senza perdono non c’è pace
Parola di vescovo
AUTORE:
' Giuseppe Chiaretti