di Angelo M. Fanucci
Vorrei davvero condividere con voi, amabilissimi 17 lettori, il tentativo di inseguire il continuo mutare, e autonegarsi, e recuperarsi, e aggiornarsi, e progredire del rapporto che nei secoli è intercorso fra Chiesa e poveri: “Un amore lungo e problematico” l’ho chiamato.
Radicalmente problematico lo è diventato quando i poveri hanno rifiutato il ruolo di carne da macello, pardon, di materia inerte idonea soltanto a essere utilizzata dai ricchi che grazie a essa, dopo averne fatto carta straccia, l’utilizzano per guadagnarsi il paradiso. Hanno rifiutato quel ruolo e, da “poveracci”, sono diventati “proletari”, e hanno preso a rivendicare l’autonomia della loro logiche, delle loro proposte, delle loro battaglie. E l’hanno fatto all’interno di una civiltà occidentale che, dal Rinascimento in poi, da quando cioè la filosofia del soggetto prevalse su quella dell’oggetto e (anche se troppo sbrigativamente) l’accantonò, ha posto con forza crescente la necessità di riconoscere a ogni branca delle attività umane un suo ambito, delle sue leggi, una sua logica: da non assolutizzare certo! – ma, grazie soprattutto alla luminosa traccia di trascendenza che attraversa tutta la storia, da comporre con altri ambiti in una sintesi superiore, riconoscendo preliminarmente a ciascuna di esse una sua intangibile dignità. Tanto per capirci: per me “noi vivremo del lavoro, o pugnando si morrà” è la traduzione libera, ma fedele, di “noi vogliam Dio”. La Voce è di sinistra? Lo dicono i pusillanimi.
No, il nostro settimanale, grazie anche al mio piccolo ma orgoglioso contributo, sempre borderline, spesso stralocchio, sempre discutibile e discusso, cerca di restituire al Dio di Gesù il volto che gli compete, quello del Dio di tutti. Su questa linea, di recente mi ha seriamente colpito l’intervista che padre Arturo Sosa Abascal, 31° preposito generale della Compagnia di Gesù, eletto nel 2016, ha rilasciato quindici giorni fa a Daniele Rocchetti del periodico Settimana, che ha definito l’incontro con padre Sosa “due ore di dialogo all’insegna della franchezza e della passione per il Vangelo”. Laureato in Filosofia e in Scienze politiche, studioso di politica, padre Arturo ha un’altra linea fisionomica importante: viene dal Venezuela, viene dal Sudamerica di PapaFrancesco, il Continente al quale il Padrone della messe ha affidato oggi il ruolo di guida della sua Chiesa. Alla domanda “qual è la sfida maggiore che sente di dover affrontare?”, Sosa ha risposto: “Quella di testimoniare il Vangelo in contesti diversi da quello al quale siamo abituati, di riconoscere le differenze come rivelazione di Dio. La diversità non è qualcosa di non voluto: Dio si manifesta proprio tramite la diversità e la libertà”. Amabile lettore, ségnatele e riflettici un quarto d’ora, un pochino, su questa parole! Ne riparliamo.