“Il Signore regna, si riveste di maestà: si riveste il Signore, si cinge di forza”. Con questo versetto il Salmista introduce l’inno tutto incentrato sull’esaltazione di uno degli aspetti che più frequentemente nell’AT descrivono il Signore, Dio d’Israele: il suo essere ‘re’.
Domenica 25 novembre è infatti l’ultima dell’Anno liturgico e la Chiesa celebra la Solennità di Cristo Re dell’Universo, Solennità istituita da Papa Pio XI nel 1925 ovvero in una fase della storia in cui, conclusa da poco la prima guerra mondiale e vicino il pericolo delle conseguenze dei regimi dittatoriali, l’immagine dell’amore estremo di un Re crocifisso doveva provocare, placare le rivalità e debellare i progetti omicidi.
Prima lettura
La prima Lettura è tratta – come la scorsa settimana – dal libro del profeta Daniele, libro che si caratterizza per il suo stile apocalittico e ‘visionario’ che è una strategia letteraria finalizzata a sostenere la fede di quei giudei sottoposti alle terribili prove inflitte dal re Antioco IV.
Il capitolo 7, che in parte ascoltiamo, inizia la sezione delle ‘quattro visioni’ che Daniele riferisce interpretandole come una sorta di future tappe della storia d’Israele che, nonostante il dominio che subirà da parte di popolazioni straniere, vedrà finalmente l’avvento glorioso del “Figlio d’uomo” che inaugurerà un regno universale ed eterno. Il “Figlio d’uomo” è infatti presentato dalle sembianze umane ma dalle conseguenze che sono proprie della divinità: “tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”.
Salmo
E il Salmo che abbiamo già citato e con cui rispondiamo alla prima Lettura ‘completa’ la maestosa lode marcando l’attenzione sul carattere sempiterno del ‘sovrano’: “stabile è il tuo trono da sempre, dall’eternità tu sei”. Questo tono suggestivo ed escatologico continua anche nel resto della Liturgia della Parola.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro di Daniele 7,13-14SALMO RESPONSORIALE
Salmo 92SECONDA LETTURA
Dall’Apocalisse di Giovanni 1,5-8
Seconda lettura
Il breve brano del libro dell’Apocalisse è tratto dal primo capitolo, precisamente dall’introduzione che l’Autore fa indicando i destinatari del suo scritto: le sette Chiese dell’Asia (parte dell’attuale Turchia). ‘Giovanni’ scrive alle sette Chiese, da parte sua, da parte dei ‘sette Spiriti’ e da parte di Gesù Cristo. Gesù viene presentato come il ‘fedele’, cioè colui che ha mantenuto l’antica promessa, come il ‘primogenito dei morti’ in quanto è risorto e dopo di Lui tutti risorgeranno in Lui e come ‘sovrano dei re della terra’.
La regalità di Cristo si distingue infatti perché è caratterizzata dalla suggestività dell’entrata gloriosa sulla scena della storia (“con le nubi”), per essere il principio (“Alfa”) e il fine (“Omega”) della vita degli uomini.
Vangelo
Anche il Vangelo ci parla della regalità di Gesù, ma di una regalità non corrispondente a quella che in ‘apparenza’ è il motivo della condanna a morte di Gesù (INRI). Il contesto è quello in cui Gesù, essendo stato condotto dai giudei a Pilato, viene interrogato da quest’ultimo. “Sei tu il re dei Giudei?”.
“Re dei Giudei” ha più una connotazione politica che messianica. Se fosse stata messianica sarebbe dovuta essere “Re d’Israele”. Ciò per dire che la domanda con questa precisa dicitura doveva accertare il rischio o meno di essere detronizzato da quanti, come gli zeloti rivoluzionari, cospiravano contro le autorità pagane. Gesù, servendosi dello stesso metodo già usato con gli scribi e i farisei, risponde con una controdomanda: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”.
A questo punto Pilato prende consapevolezza che quest’Uomo non costituisce pericolo per lui quanto piuttosto è motivo di divisione all’interno dei giudei (“La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me”). Poi Gesù risponde a Pilato in merito alla Sua regalità descrivendola come una regalità che, seppur si eserciti sull’umanità, tuttavia “non è di questo mondo” e, confermando quanto già compreso dal Governatore, fa presente che se fosse stata “di questo mondo”, i suoi sudditi avrebbero combattuto perché non venisse consegnato ai romani.
La conversazione si evolve perché Pilato sembra riconoscere a Gesù il titolo di ‘re’ o comunque vuole capirci di più (“Dunque tu sei re?”), ma Gesù precisa subito senza equivoci che il suo essere re è finalizzato a “dare testimonianza alla verità” ad esercitare cioè il suo ‘potere’ a favore di “chiunque è dalla verità” e lo è perché “ascolta” la sua “voce”. Queste ultime espressioni sono state oggetto di grande riflessione.
Tenendo conto del significato che la parola ‘testimonianza’ ha nella lingua greca, qui si riferisce all’atto supremo della ‘verità’ che di lì a poco si svelerà: l’amore inchiodato sul trono che è la croce. Circa il verbo ‘ascoltare’ (akouo) ricordiamo che l’altro episodio in cui Giovanni lo utilizza è per indicare le pecore che ascoltano, seguono e appartengono al Pastore. Allora si evidenziano due condizioni: essere dalla parte della verità ed ascoltare.
Pilato comprende la verità (“non trovo nessuna colpa in quest’uomo”), ma non ‘ascolta’ la voce di Gesù. I giudei ‘ascoltano’, ma non riconoscono la testimonianza di Gesù (“i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me”). Se il credente di oggi fosse interpellato da Pilato, si dimostrerebbe come un ‘suddito’ che in virtù dell’ascolto della Parola di Gesù, saprebbe riconosce la ‘verità’ nelle circostanze della vita difendendola fino al martirio?
Giuseppina Bruscolotti