L’ho fatta lunga? La luce dell’abat jour è fioca per contratto, ma sufficiente per farmi intravedere il ghigno pio di qualche mio confratello che non nomino per amor di categoria: “Quanto chiacchierate voi presunti preti dei poveri!! Quanti piagnistei! Ma si può sapere che razza di mondo volete!?”. “Presunti”: molto presunti. Ma il mondo che vogliamo è un mondo… liturgicamente datato. Vogliamo un mondo ospitale. E’ il mondo della XVI Domenica del tempo ordinario, anno C. Il mondo ipotizzato dalla liturgia di domenica scorsa. Abramo e le sorelline di Betania. L’ospitalità come il primo, stringente, imperioso dovere dell’uomo. E – se ti soccorre la luce della fede – l’ospitalità come la prima, la più impegnativa e cogente conseguenza del primato di Dio sul mondo. Siate santi perché Io sono santo. Siate ospitali con lo straniero perché Io per primo lo sono. Di più: un mondo in cui l’ospitalità è il presupposto della fecondità. Fra un anno Sara avrà un figlio. Ma non si tratta – please – dell’ospitalità di mons. Della Casa, motivata dalla buona creanza e affidata ai tenui cartigli retti dalle mani paffute di angeloni da boccoli che non conoscono il gel. No, si tratta dell’ospitalità di Abramo che per dare una mano a tre sconosciuti provenienti dal deserto va a prendere e un pezzo di pane e torna con una pacca di vitello. L’ospitalità di Marta che sfaccenda con una punta d’insensatezza, e di Maria che contempla una punta d’incoscienza. È l’ospitalità radicata nella convinzione che la terra è di Dio e che noi siamo solo amministratori di quei beni dei quali le bugie dei notai ci hanno convinto di essere proprietari. Al G8 di Genova la Chiesa, per bocca del Papa, dei vescovi liguri, delle centinaia di organizzazioni cattoliche che sono confluite nel grande, pacifico fiume della protesta civile prima che la follia dei disadattati seminasse distruzione e morte, non hanno fatto che dare traduzioni diverse, diversamente articolate, diversamente autorevoli, della stessa intuizione di base: quella della XVI domenica del tempo ordinario, anno C.