Aumentano gli studenti, diminuiscono gli insegnanti, si incrementa il numero degli allievi per classe, diverse scuole elementari di montagna rischiano la soppressione. È il panorama non certo entusiasmante della scuola umbra che si appresta ad avviare il nuovo anno scolastico.
Sulla base dei parametri introdotti dal Governo – per i suoi effetti è in corso a livello nazionale una dura protesta dei precari della scuola – rispetto allo scorso anno ci saranno 313 insegnanti in meno. La popolazione scolastica complessiva umbra è passata dai 115.284 del 2009-2010 ai 117.067 di quest’anno. In Umbria c’è il rischio concreto della soppressione di 28 classi alle primarie, soprattutto nelle zone montane, anche per l’innalzamento del numero degli studenti per classe. Ora ogni classe deve avere un minimo di 18 studenti (prima 12) e un massimo di 27 (in passato 22).
Questi provvedimenti seguono la direzione del risparmio e la continuità didattica, in questa logica, lascia il tempo che trova. Gli effetti della riforma Gelmini si fanno sentire e, oltre alla protesta dei precari, si leva anche quella dei Comuni che devono affrontare “da soli la riduzione del servizio scolastico dell’obbligo, garantito dalla Costituzione”, ha sottolineato il presidente Anci Umbria e sindaco di Perugia, Wladimiro Boccali facendo il punto della situazione in vista dell’anno scolastico. “C’è bisogno di maggior organico – ha spiegato Boccali – perché ridurre sulla scuola significa avere classi più numerose, problemi di trasporto scolastico, problemi legati all’accoglienza”.
In una nota l’Anci Umbria ha sottolineato che “con l’approssimarsi dell’inizio dell’anno scolastico 2010-2011 e con le nuove definizioni dei criteri e dei parametri del dimensionamento della rete scolastica si creano notevoli difficoltà di organizzazione da parte dei Comuni della regione, in particolare modo dei più piccoli e di quelli montani. Soppressione di classi e plessi scolastici, diminuzione del personale Ata, piccoli giovani costretti ad andare a scuola molto lontano da casa: è quello che preoccupa molto gli amministratori umbri”. Il coordinatore della Commissione istruzione di Anci Umbria e assessore di Terni, Simone Guerra, ha affermato che “tagliare sulla scuola significa rallentare la crescita di molti giovani incidendo su quello che sarà il loro futuro; la qualità della didattica in queste condizioni è compromessa in quanto diminuiscono le ore e il numero dei docenti”.
Inoltre i Comuni montani, che già risentono della forte emigrazione verso le città, “senza la scuola rischiano di spegnersi e con essi l’idea dell’Umbria verde, dell’Umbria dei piccoli comuni montani”, ha ricordato il coordinatore dei Piccoli Comuni, Giuseppe Chianella: in Umbria sono il 75% del totale. L’Anci Umbria ha inviato un documento al ministero dell’Istruzione e a quello dell’Economia nonché ai parlamentari eletti in Umbria, attraverso il quale gli amministratori dei Comuni umbri evidenziano che “per la difesa dell’istruzione pubblica le scuole dovrebbero rimanere aperte e diffuse sul territorio, a garanzia del diritto allo studio di tutti i cittadini, indipendentemente dal posto in cui si vive”.
L’inizio delle lezioni nelle scuole di ogni ordine e grado della regione, il 13 settembre prossimo, segna inevitabilmente una svolta nello svolgimento ordinario nella vita delle famiglie e nel complesso delle attività. I bambini, gli adolescenti e i giovani che si recano a scuola sono oggetto di grande attenzione da parte di genitori, insegnanti ed educatori. Uno sguardo particolarmente intenso e pieno di interesse è quello rivolto dalla comunità ecclesiale alla scuola, per molteplici ed evidenti ragioni.
La Chiesa da sempre ha dato all’educazione una cura privilegiata. Un particolare segno di questo interesse, nel momento attuale, è dato dalla presenza attiva degli insegnanti della Religione cattolica, che persegue l’obiettivo di trasmettere alle giovani generazioni la tradizione religiosa che sta a fondamento della storia del nostro Paese, comparata anche con le esperienze dei vari popoli e con il fatto religioso in se stesso. In Umbria, come in altre regioni italiane, abbiamo una Commissione regionale per l’educazione, scuola, università, in cui sono presenti membri delle associazioni di insegnanti e famiglie (Cresu), presieduta dal prof. Giovanni Carlotti, docente di Fisica al dipartimento omonimo, e dall’arcivescovo Sorrentino, vescovo di Assisi. A Giovanni Carlotti abbiamo chiesto cosa stia facendo la Commissione in riferimento alla scuola che inizia. “Stiamo raccogliendo le riflessioni di tutti i membri – dice – per mettere a punto una lettera che invieremo al mondo della scuola nel suo complesso, studenti, genitori e insegnanti. Porterà la data del 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia”.
In questa lettera – ci ha anticipato Carlotti – sarà messa in evidenza la necessità che tutti assumano in proprio la “sfida educativa”, perché sia assunta con responsabilità da tutte le agenzie educative: famiglia, scuola, parrocchie, oratori, associazioni sportive e ricreative. “Nessuna di queste realtà può svolgere un’azione efficace da sola”. In particolare Carlotti considera una grave questione attuale la mancanza di una seria azione di orientamento scolastico: “I giovani molto spesso non riescono a trovare la loro strada, e risultano vittime di scelte sbagliate”. Su questo tema sarà svolta una riflessione da parte della Commissione, e intanto ne sarà fatto un cenno nella lettera annunciata. Intanto, agli studenti e insegnati umbri un vivo augurio da la Voce!
PARLA UN INSEGNANTE
Inizia un nuovo anno scolastico, e tra i plotoni di esecuzione di chi vorrebbe eliminare le contraddizioni della riforma, le rimostranze del mondo del precariato, la demotivazione degli insegnanti… io torno a scuola come professore di Religione. Siccome entro come “precario” – solidale ai tanti -, mi abituerò ad entrare in classe e riannodare le passioni tristi di tanti giovani alla speranza che qualcuno voglia ascoltare ancora un’esperienza di vita e di cultura. I giovani si annoiano a scuola quando diventa un meccanismo, ne sono invece affascinati quando trovano un docente che comunichi la sua umanità, la sua cultura, la sua ipotesi e muova la loro libertà a cercare la risposta ai loro perché. Ciò che tu sai, nel momento in cui lo trasmetti ad altri, lo veicoli tramite il tuo “io”: proprio per questo è impossibile dare una vera e propria oggettività ad una lezione in classe. Se per strumento del mio lavoro intendessi i libri, e li facessi “parlare” al mio posto (come molto spesso accade anche all’insegnante più accorto, vuoi per stanchezza, vuoi per convenienza), allora la lezione diventa tecnicismo, un do ut des (“ti faccio leggere il libro con me, poi tu me lo ripeti”), un procedimento meccanico in cui manca la libertà dell’umano, perché il mio “io” non entra in gioco di fronte alla classe.
La lezione, invece, dovrebbe non essere meccanica o tecnica (fattori che spengono l’interesse e l’entusiasmo del discente), ma una traditio – una consegna da un’umanità (il docente) ad un’altra (la classe) –, non solo di un apprendimento, ma anche della modalità umana con cui si è giunti a tale apprendimento. Ciò che l’insegnante veicola maggiormente con la sua persona è l’approccio alla materia dell’apprendimento, in una parola: il metodo. Non esistono formule, più o meno “magiche”: per insegnare-imparare a studiare non c’è un aggettivo valido per tutti, perché il metodo è personale. Tanto più importante diventa allora la modalità con cui l’insegnante trasmette il proprio metodo, guidando ciascuno nella classe alla ricerca del proprio, instaurando un confronto aperto, nel vivo del lavoro, sul “come fare a…”.
È solo tramite un’interazione personale che avviene la trasmissione di tutti i fattori determinanti per l’apprendimento. Quindi fare l’insegnante vuol dire essere continuamente chiamato e ri-chiamato ad esprimere se stesso, la propria libertà, il proprio sapere e metodo; ad essere attento e vigile sulla realtà di chi sta di fronte, perché se la mia umanità non tiene conto dell’altra che ho di fronte, la traditio (cioè la consegna tramite interazione) non è possibile. Solo l’umano veicola il sapere. Dice Hannah Arendt: “L’insegnamento è una tradizione che tu comunichi in modo sempre diverso”. Mi accingo ad entrare in classe, sento tutta l’emozione e l’urgenza educativa, sento già le coppie di 26 occhi che mi squadreranno e mi interrogheranno in ogni classe, sui miei tic e le mie movenze (quanti “prof” ho imitato nella mia vita) e poi, appena comincerò a fare l’appello e li chiamerò per nome, mi verrà spontaneo non pensare più ai problemi della riforma e le parole d’ordine della scuola, per immergermi nel vissuto e trasmettere una speranza di vita e di curiosità che, a quasi 50 anni, mi resta ancora dentro come il primo giorno di scuola, grazie ai miei migliori insegnanti.