Un referendum che non ha scaldato gli animi dei bolognesi, a dispetto delle dispute ideologiche e delle spaccature partitiche. Così si presenta, all’indomani del voto, la consultazione sul finanziamento concesso dal Comune di Bologna alle scuole dell’infanzia a gestione privata, inserite nel sistema pubblico integrato.
La posta in gioco era, circa, di un milione di euro che il Comune spende ogni anno per le paritarie in convenzione, a fronte dei 127 milioni investiti nelle materne comunali e statali. Ma nel frattempo oltre 400 mila euro sono andati in fumo per la consultazione, che ha toccato un record negativo nei votanti: solo 85.934, pari al 28,71% dei 299 mila aventi diritto, con una percentuale d’astensionismo mai raggiunta in precedenza nella storia della città.
Dalle urne è emersa una prevalenza di A (togliere il finanziamento alle paritarie in convenzione) con 15 mila voti di scarto: 50.517 cittadini hanno scelto A, 35.160 B. Eppure al voto aveva invitato tanto il comitato promotore (“Articolo 33”) quanto coloro che si erano battuti affinché dalle urne uscisse un responso favorevole al mantenimento della situazione attuale.
Insomma, nessuno aveva chiesto di “andare al mare”. Certo, l’aver scelto seggi diversi dal solito (non nelle scuole) può aver contribuito all’astensionismo, complice la confusione da parte dello stesso ufficio elettorale nell’individuare alcune sezioni elettorali: a titolo esemplificativo, il centro sociale “Lunetta Gamberini” (che ospitava quattro seggi) era all’interno dell’omonimo parco, ma non c’erano indicazioni su come arrivarci. Ancora, i promotori hanno lamentato che molti cittadini non hanno ricevuto la lettera con l’indicazione del proprio seggio, mentre “in via della Battaglia e vicolo Bolognetti le persone disabili hanno avuto seri impedimenti perché gli ascensori non funzionavano”.
Tuttavia, l’unico dato che certamente emerge è che la presunta “battaglia per la libertà” dei promotori non era condivisa dalla popolazione. “Il fatto che circa 210 mila bolognesi non abbiano votato ci consegna un risultato che non può essere considerato ‘pesante’”, commenta Rossano Rossi, presidente provinciale della Fism, la federazione che riunisce la gran parte delle scuole materne paritarie.
“Il referendum – osserva – ha radicalizzato certe posizioni che alla gente non interessano e quindi, alla fine, solo il 16% della popolazione adulta ha scelto per la A”, ovvero per togliere il finanziamento alle paritarie in convenzione. C’è semmai un’altra battaglia per la libertà da combattere, rimarca l’economista Stefano Zamagni, promotore di un manifesto per la B (lasciare il contributo alle paritarie), ed è quella “per la libertà di scelta”.
“Non ha vinto né l’opzione A, né la B”, dichiara: da una parte “non è stata raggiunta la soglia critica dei 100 mila votanti” e se si fosse trattato di un referendum abrogativo su scala nazionale ora non avrebbe alcun effetto. Dall’altra, pure l’attuale convenzione, secondo cui “il finanziamento va alle scuole paritarie e non alle famiglie, non è riuscita a scaldare i cuori e le menti”. Insomma, rilancia Zamagni, “se si vuole la sussidiarietà bisogna volerla fino in fondo”, dando “i finanziamenti ai soggetti di domanda, ossia alle famiglie”.